La famiglia nella missione della Chiesa
Relazione di d.Francesco Pilloni, tenuta il 19 gennaio 2005, per il IV incontro formativo, nella XXVII Prefettura, in preparazione alla missione alle famiglie della Diocesi di Roma. (tpfs*)

La relazione è stata trascritta dalla viva voce dell’autore e conserva pertanto lo stile di testo parlato. Non è stata rivista dall’autore.

L’Areopago


Il punto fondamentale per andare ad annunciare la famiglia è capire che la famiglia ha una missione specifica. Un laico più una laica non fanno una famiglia, fanno due laici insieme. La famiglia trae la sua identità specifica non solo dal fatto che è composta da battezzati. Questo è evidente ed è per tutti: vuol dire essere inseriti nell’unico fondamentale mistero della vita cristiana. La famiglia trae la sua identità dal ricevere in dono da Dio, mediante un sacramento specifico, una specifica identità che quindi configura una specifica missione.

Per capire che questa missione è specifica, dobbiamo innanzitutto renderci conto del fatto che il matrimonio è un sacramento. Un sacramento non vuol dire un atto magico che dà il permesso per vivere la sessualità dal giorno dopo il matrimonio in modo legittimo - mentre prima era illegittimo. Pensiero inconscio, comune, purtroppo, a tanti. Piuttosto il sacramento dà una particolare grazia per esprimere qualcosa del mistero di Dio.

Cos’è un sacramento? E’ una piccola, povera, semplice, realtà materiale, che contiene, riceve in dono, accoglie, conserva ed esprime qualche cosa del mistero di Dio. Per esempio, l’eucarestia è costituita da un po’ di pane e un po’ di vino - da un punto di vista materiale è poca cosa. Il cibo più semplice degli uomini. Il più semplice non tra i cibi che vengono dalla natura, ma tra i cibi che vengono dalla natura e che sono manipolati dall’uomo. Dio, mediante la consacrazione dello Spirito, abita il pane e il vino, in modo sostanziale, e li rende sua presenza. Per cui mangiando quel pane e quel vino non si nutre più solo il corpo mediante un effetto materiale, ma si attualizza e si vive, si accoglie, si conserva, ci si identifica e si esprime un qualcosa di molto importante del mistero di Dio. Dio è amore, vuole unirsi a noi, identificarsi con noi. Realizza con noi questo scambio di identità che il sacramento dell’eucarestia porta con sé.

Ora i coniugi sono come il pane e il vino. Sono una relazione di amore umano che viene abitata, consacrata dalla grazia dello Spirito Santo, per accogliere, incarnare, far propria, alimentare ed esprimere un volto particolare del mistero di Dio: che Dio ama. E nell’amore tra due sposi, sta il metodo dell’amore. Il sacramento del matrimonio esprime non solo che Dio ama, ma esprime in modo concreto, umano, sperimentabile da tutti, come Dio ama. Dio ama non in modo generico. “Dio è la carità, allora tu fa l’elemosina – penserebbero alcuni - Io ho l’orologio, tu no, tieni”. Ma Dio ama rispettando la tua diversità, il fatto che tu non sei lui! Come l’uomo deve accogliere la diversità, la distinzione di una donna. E la donna deve accogliere la totale, radicale distinzione di un uomo. Proprio nella percezione che c’è un progetto comune, perché siamo la stessa cosa divisa in due. Poi spieghiamo meglio questo concetto, perché l’espressione “divisa in due” è inesatta. Ma siamo un unico progetto di comunione. Per cui, se accogliamo la nostra distinzione, possiamo realizzare una profonda comunione. Se accogliamo questa profonda comunione, noi diventiamo una cosa nuova, insieme. Se diventiamo una cosa nuova insieme, realizziamo qualcosa di bello capace di chiamare altri all’amore che noi stessi siamo.

Le leggi dell’amore sono: che da soli non ci si può amare, bisogna essere più di uno. Infatti abbiamo un Dio che non è solitario, non è Allah, è un Dio che è comunione di persone. Divine, ma comunque persone! Da soli non si può amare, bisogna essere in due. E più è forte la distinzione delle persone chiamate nel gioco dell’amore, più è forte la diversità, così come tra il polo positivo e il polo negativo, e più è più forte la corrente che passa. Allora, accogliere la diversità per un progetto di comunione. Mi fermo un attimo e vi indico una strada da percorrere: ci rendiamo conto che proprio ciò che abbiamo appena detto è una via enorme di evangelizzazione sociale. Perché il problema vero della società è che non sappiamo più accoglierci nella distinzione in un dialogo autentico. Ma ci mangiamo e ci divoriamo a vicenda. Riscoprire la verità della dignità dell’altro come persona da amare in un gioco di amore è anche tutta la virtù dell’azione sociale. La famiglia è la custode del metodo dell’azione sociale, non i parlamentari.

Questa sacramentalità del matrimonio dà un contenuto specifico alla realtà dell’uomo e della donna. Attenzione, una sacramentalità che non viene solo dal fatto di essere cristiani, ma che ci mette in comunione con tutti gli uomini, perché viene dal fatto di essere uomini e donne. Perché affonda le sue radici nella Creazione. Dio ha creato la premessa del sacramento del matrimonio, in senso specifico cristiano. O, come dice il Santo Padre, Dio ha creato il sacramento primordiale, il giorno della creazione, quando ha creato l’uomo e la donna (Gn 1,26-27):

Dio disse “Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza”, a immagine di Dio lo creò,
- l’unico Adamo, l’unico vivente della terra -
maschio e femmina li creò.

Dio ha creato un’unica realtà, la comunione interpersonale dell’uomo e della donna, distinta nella polarità delle due realtà del maschile e del femminile. Quindi c’è un progetto che affonda le sue radici nella Creazione. E questo progetto è l’amore. L’amore che è contenuto e vissuto in ogni amore. C’è quindi un sacramento specifico in senso cristiano, ma anche una dimensione originaria del sacramento che affonda la sua radice nella creazione dell’uomo e della donna.

Questo sacramento di cosa è sacramento? Dell’amore tra Cristo e la Chiesa (Ef 5,31-32). Cristo ama la Chiesa, la genera nell’eucaristia, la riunisce, la unisce a sé nell’eucaristia, le partecipa i suoi doni. In particolare la sua stessa vita, il suo stesso amore, il suo stesso respiro, la sua stessa identità che è lo Spirito Santo e la coinvolge con sé in quello che è il suo scopo, lo scopo della sua vita, radunare a sé ogni cosa del cielo e della terra. Che ogni cosa sia ricapitolata in Cristo, dice S.Paolo, che sia raccolta, sia riportata, ricondotta alla comunione con Cristo. “Perché la realtà è Cristo” (S.Paolo).

Allo stesso modo il sacramento del matrimonio è un amore umano che esprime, incarna, custodisce, alimenta ed annuncia queste attitudini dell’amore di Dio. E l’amore non è uno scherzo, è la sorgente della vita degli uomini. E’ la sorgente della vita degli uomini con Dio. E’ la sorgente, il metodo, il contenuto. E’ il metodo della relazione tra Dio e gli uomini e degli uomini tra loro. E’ il processo stesso della vita. Dove noi dobbiamo guardare, se vogliamo capire cosa è l’amore? Dove l’amore c’è. Soprattutto nella sua condizione fondamentale, basilare, creata e benedetta da Dio che è quella dell’unione sacramentale, interpersonale, di un uomo e di una donna. Quindi ogni amore sponsale è un tabernacolo dentro il quale abita l’amore di Dio.

Potrebbero scomparire dalla terra tutte le Bibbie, tutte le chiese, tutte le suore e i preti (i vescovi li lasciamo!), ma finché rimane al mondo una coppia che si ama, rimane l’interezza di ciò che Dio ha voluto donare al mondo, la comunione del suo amore. Che poi la prima coppia abbia avuto problemi e ci sia qualcosa da ricostruire, questo è altrettanto vero. Ma questo è un capitolo del quale non ci occupiamo questa sera. Io vi annuncio un ideale, poi bisognerebbe fare due altri incontri, uno sul peccato originale e sulle sue conseguenze e l’altro sulla ricostruzione di tutto questo. Ma limitiamoci all’annuncio, che non è solo ideale, ma anche vero. Da dove scaturisce la missione della famiglia? Dalla sua identità. Ma qual è l’identità della coppia se non essere un luogo di amore e di comunione? Partendo dall’estrema diversità raggiungere la massima unità e renderla feconda per la vita e per il mondo. Non è piccola cosa. Mettere in moto nella profondità dello Spirito con la totalità della propria vita il proprio dinamismo di amore. Non fare quei contratti coniugali – “ma sì ormai ti conosco, so che il 60% lo metto io (dice ognuno), il 40% lo metti tu, cerchiamo di andare avanti nella completezza”- ma innervare continuamente di un’energia di amore, di perdono, di accoglienza, di gratuità, di donazione di sé, la fedeltà di un’intera vita. La famiglia è quindi il luogo che custodisce l’identità della comunione, il dinamismo della comunione. Non c’è comunione senza diversità, senza distinzione. Non c’è comunione senza unità totale dell’essere umano, fino alla compenetrazione fisica dell’identità: una caro, nel progetto di Dio. “Una caro”, una sola realtà.

E non c’è comunione senza una fecondità. “Che bella che sei, che bello che sei”, ma poi bisogna uscire da questa sorta di partita a tennis e innervare un dinamismo più grande. Se la nostra comunione è talmente grande noi desideriamo che altri vi partecipino, che altri godano della fruizione della bellezza dell’amore. Quindi oggi la prima missione della famiglia è la coltivazione della propria identità sponsale all’interno delle coppie e delle famiglie. Bisogna prima di tutto annunciare la famiglia a se stessa. Annunciare alla coppia: sei una coppia cristiana, sei un sacramento, sei un’identità divina sulla terra, sei un tabernacolo di Dio. Perché finché questo non diventa veramente forte, tutto il resto è labile.

Bisogna annunciare l’identità sponsale specifica che vada oltre il generico e quindi bisogna appropriarsene. Bisogna mettere in atto delle strategie di formazione dei fidanzati, e ancor prima dei giovani all’amore, dei figli nelle famiglie, di consapevolezza nei genitori, per la formazione e l’educazione a questo. Bisogna mettere in atto delle realtà di formazione al sacramento. Non basta preparare due a sposarsi con quattro incontri. Occorrerebbe un cammino per cui quegli incontri siano il vertice di un’intera maturazione. Anche se è un cammino che deve durare anni. Bisogna aiutare la coppia, quando è giovane, a viversi e man mano che cresce - perché ci sono delle età della coppia - a vivere la pienezza di sé, anche nella partecipazione ecclesiale, sociale, ecc. Quindi c’è tutto un arco di ministerialità, di servizio, di missione della coppia, da riscoprire.

La prima chiesa era di natura familiare, l’eucaristia era celebrata nelle famiglie. La chiesa si pensava come la famiglia di Cristo e si radunava nella casa di Pietro. A Cafarnao hanno costruito una bella chiesa con il pavimento di vetro sopra la casa di Pietro, in modo che camminando nella chiesa vedi sotto le fondamenta della casa di Pietro. E capisci che l’origine della barca (perché questa chiesa è fatta a forma di barca) è la roccia della casa di Pietro che diventava una casa-chiesa. Come le domus ecclesiae a Roma, che vedete sotto alcune chiese e basiliche.

E’ necessario ri-evangelizzare il contenuto stesso del sacramento se vogliamo ri-evangelizzare la missione. Non possiamo avere famiglie missionarie se non abbiamo famiglie consapevoli della loro identità sacramentale. Non si può escludere questa fondamentale base catechetica. Qui occorre preparare i catechisti per questo compito. Diciamo che la famiglia contiene il DNA dell’amore e della comunione. Dove lo attingiamo? Adesso ne dico una grossa ma è per farmi capire. Se in una parrocchia, la Caritas realizza il proprio compito senza avere davanti agli occhi, nel cervello e nel cuore, l’identità familiare, non è la Caritas, è un’azienda di beneficenza. Qual è la radice dell’amore verso il prossimo che noi attuiamo e di quella necessaria espressione della carità cristiana nei termini socio-assistenziali? E’ proprio l’amore familiare. E’ un DNA di comunione e di amore che sa farsi servizio, che vede l’altro come persona nel suo bisogno. Non come peso o struttura sociale. Ed è questo che ha fatto della carità l’animo del cristianesimo occidentale, non l’efficienza dell’organizzazione. La Caritas migliore sarà quella che metterà più cuore, che darà maggior primato alla persona sull’organizzazione, all’identità dell’amore sulla modalità del servizio.

Una parrocchia sarà tanto più attiva nella carità quanto più sarà consapevole della propria natura e struttura familiare. Perché diventerà una comunione di famiglie nella quale è impensabile che un figlio, parente, amico rimanga fuori dalla tavola, dalla porta o dall’ascolto o dalla risposta del suo bisogno. L’anima della carità, l’anima dell’amore è un’anima familiare, un’anima personale, che affonda nel tessuto dell’amore sacramentale umano che veicola l’amore divino. Pensate che Dio ha voluto proprio narrarsi nella comunione familiare, nel modo di farla. Nel modo di amare, ha voluto dire chi lui è, più che in altre cose.

Vorrei sintetizzare adesso questo elemento con quanto dice il Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC) al numero 1534:

Due altri sacramenti, l'Ordine e il Matrimonio, sono ordinati alla salvezza altrui. Se contribuiscono anche alla salvezza personale, questo avviene attraverso il servizio degli altri.

Uno non si sposa per se stesso, come non diventa prete per sé. Cosa fa il giorno dopo l’ordinazione? Si mette davanti allo specchio e dice “Che bel prete che sei! 92 kg di carne consacrata a spasso per il mondo!” .
Uno non è consacrato per sé e nemmeno la coppia è consacrata da Dio per sé, ma i suoi componenti sono ordinati per la salvezza altrui. Se siete sposati è per gli altri, non per voi. Per essere per gli altri incarnazione dell’amore di Dio.

Essi conferiscono una missione particolare nella Chiesa e servono all'edificazione del popolo di Dio.

Chiarissima la missione dell’ordine, forse abbiamo riflettuto un po’ meno su quella del matrimonio ed è ora di approfondire l’argomento. Siamo stimolati da 25 anni di profezia del papa a fare questo, perché è urgente. Non so se è urgente perché è urgente o perché verranno altre religioni ed allora non avremo più altri spazi nei quali annunciare la parola di Dio - si sentono tante versioni! In fondo è relativo: è urgente perché lo è, è urgente perché è vero, perché appartiene alla verità cristiana.

Hanno una missione particolare e servono all’edificazione del popolo di Dio.

Tanto è vero che il capitolo terzo di questa sezione del catechismo chiama i sacramenti dell’ordine e del matrimonio con il titolo unico di sacramenti del servizio della comunione. Qual è il servizio della famiglia? Servire la comunione. Da sola? No, insieme ai ministri ordinati. Perché, vedete, lo schema del catechismo per i sacramenti è questo: battesimo, confermazione ed eucarestia che sono l’iniziazione cristiana. E questo è la vita in Cristo e nello Spirito. E’ il tutto della vita di fede e di amore. Siccome però noi siamo mortali e peccatori abbiamo due sacramenti per la guarigione: la riconciliazione e l’unzione dei malati. Poi abbiamo due sacramenti al servizio della comunione: l’ordine e il matrimonio. Sono sacramenti, cioè strutture oggettive della Chiesa senza le quali la Chiesa è incompleta e impensabile. Certo anche una religiosa o un religioso sono struttura dell’amore di Dio. Qui è un dato oggettivo che la Chiesa riconosce tra i sette sacramenti della nuova alleanza. Non lo puoi tagliare via, come non puoi tagliare l’unzione dei malati o il battesimo. E quello che il testo sottolinea è che proprio ordine e matrimonio sono costitutivi del servizio della comunione della Chiesa.

Che non vuol dire che fanno la stessa cosa e non c’è più bisogno dei preti perché gli sposi possono fare anche i parroci, come se fosse la stessa cosa che un parroco o uno sposato presiedano il consiglio pastorale. Ma il parroco non è un presidente: è un consacrato per consacrare. Lui consacra la comunità perché consacra il pane e il vino. E a causa di questo presiede la comunità. Non presiede l’eucarestia perché presiede la comunità, ma il contrario: presiede la comunità perché presiede l’eucarestia per grazia. Lui è la sorgente, è lo sposo che genera la Chiesa. Ma il dinamismo dell’amore di cui la Chiesa deve essere innervata non lo custodisce lui da solo, ma lui nella comunione con tutti. E di questa metodologia è custode l’amore familiare. Non è solo il prete. Il prete è figura di Cristo sposo. La famiglia è forma dell’amore è custodia del dinamismo intero dell’amore.

Ecco quindi che molte emergenze si aprono davanti a noi. Sono convinto che, come la parola povertà, è stata al tempo di Francesco d’Assisi il cuneo, lo stimolo che ha permesso alla Chiesa di togliersi la corazza nella quale era troppo irreggimentata dopo secoli di feudalesimo, e che non la lasciava muoversi con sufficiente libertà per essere annuncio fresco del vangelo, così oggi è dell’amore sponsale, familiare
Ci voleva la parola povertà per svestirsi della corazza. Così noi oggi rischiamo, dopo tutta la teologia razionalista, dal ‘700 in poi, di essere troppo irreggimentati. Abbiamo tutta una Chiesa ben strutturata: Diocesi, parrocchie, consigli, documenti, libri, sussidi ecc. Però rischiamo di dimenticare che in tutto questo c’è un’anima, una freschezza, che devono venire fuori. Qual è la ginnastica che la fa venire fuori? Quella familiare dell’amore sponsale. Sarà proprio la ginnastica che consentirà alla freschezza della chiesa di uscire da un primato del suo essere oggettivo e rilanciare anche il primato fresco di un tessuto evangelico immediato, esistenziale, legato all’esistenza, alla vita.

E credo che il linguaggio dell’amore sia il linguaggio di un’evangelizzazione che chiunque capisce. Perché è l’uomo, è ciò che siamo. Ciò che Dio ci chiede non è diverso da ciò che siamo, ha la bellezza di ciò che siamo. Per cui facendolo diventiamo sempre più noi stessi e diventiamo sempre più contenti di farlo e di esserlo. Io sono venuto questa sera anche se ho un po’ di febbre, perché non sono qui solo per fare un piacere ad altri sacerdoti, ma perché mi piace. E’ bello se porti un annuncio che tu sai che rende felici. Ecco, allora qui si aprirebbe tutto un capitolo: cosa significa ripensare la comunità sui due sacramenti, non più solo sul sacramento dell’ordine. Cosa significa assumere un’attitudine familiare, divenire una comunità dove le relazioni hanno il primato, e non la carta. Perché il Verbo si è fatto carne, non carta. Le relazioni hanno il primato sull’organizzazione. Cosa vuol dire questo nelle famiglie, nella comunità, nei conventi, nelle comunità religiose, nelle canoniche, tra preti, nelle relazioni con il vescovo. Cosa significherebbe questa irradiazione nel sociale, nel politico. Cosa significherebbe ridare il vero primato alla persona in questo campo, che cosa significherebbe la tutela della fecondità e della vita, come relazione. Dai giornali infatti sembra che noi siamo gli ultimi fanatici che vogliono a tutti i costi che i bambini nascano. Siamo così deficienti! O sembra che siamo gli unici che non li vogliamo far nascere in modo artificiale. Ma non è questo! E’ che siamo i custodi del DNA della vita e la vita è dentro la relazione, dentro l’amore. Se togli l’amore, puoi anche far nascere un esercito di bambini in provetta, saranno oggetti o tenderanno sempre di più ad esserlo.

Cosa significa tutto questo allora? Vedete allora come è importante riscoprire l’identità sacramentale, la specificità della missione coniugale che sgorga dall’identità, non viene dall’esterno. Riscoprire la missione ecclesiale di questo e la sua missione sociale. Certo è un cammino che necessita di tempi lunghi e non può essere esaurito con questo incontro.
Avete domande? Tenete conto che io non ho una risposta a tutto.

Domande:

Risposte:
Mi correggo: non ho una risposta a niente!
La complessità della vita vale per tutti. Io faccio il mestiere più felice dell’universo, il teologo. Non devo far nulla, ho i più bei principi del mondo da pensare. Poi l’impatto della vita è quello duro, reale. Fatta questa premessa di auto-confessione, possiamo comprendere che l’amore è comunque la realtà fondamentale, essenziale. C’è un tema su cui ci ritroviamo tutti ed è l’amore. Chi può dire a quale punto del cammino di amore, anche familiare, una persona si trovi? Quando è che noi comprendiamo l’eucarestia? Credetemi, io da teologo non ho capito l’eucarestia più di quando ero bambino e ho fatto la prima comunione. La mia intuizione sintetica forse era più fresca a otto anni che oggi. L’amore è il mistero stesso di Dio che ci viene incontro. Come noi non arriviamo mai al possesso e alla gestione del possesso di Dio, ma siamo sempre in cammino, così è in tutte queste realtà. Perché dobbiamo sempre metterci dal punto di vista dogmatico di chi possiede la verità come un oggetto che deve dare? La verità non è un pacco che io do ad un altro. La verità attraversa la mia esistenza, prima che la tua, interpella la mia prima della tua. La mia debolezza, il mio peccato prima del tuo. E se non ho capito che la tua fragilità nel cammino è solo un pallido riflesso del vuoto che è in me, io devo ancora cominciare ad essere cristiano. Questo non vuol dire che io non devo avere la chiarezza dogmatica. Vuol dire che devo però avere anche la chiarezza esistenziale: che siamo tutti nella barca della medesima umanità che Dio ama. E che Dio non ama di più colui che è arrivato in fondo al cammino rispetto a chi ha appena iniziato questo cammino. O chi sta facendo delle grosse fatiche in questo cammino. O per colpa, dovuta alla fragilità, alla debolezza, al peccato. O perché subìte, a causa della fragilità, della debolezza e del peccato di altri. Ho molto apprezzato un intervento del cardinale che, durante un incontro, toccò questo argomento. Non parlò mai di separati, divorziati, ecc., ma sempre molto rispettosamente di coppie in cammino. E’ vero, noi abbiamo un’umanità di coppie in cammino. Però se abbiamo delle verità in più, una consapevolezza in più, queste devono servire a nutrire una mentalità separante o unificante, che ci rende missionari?

Chi si ferma a parlare una sera con il separato, il piantato, il divorziato ecc.? Tutti nel proprio covo d’amore, ma in appartamenti! E’ assurdo vivere l’amore appartati. E’ giusto che ogni famiglia abbia anche una sua intimità, ma poi non ci si può ignorare continuamente. La comunità cristiana non è quindi costituita da coloro che hanno la tessera di perfezione, perché sono anch’essi in cammino di perfezione. Ma il nucleo di quelli che hanno una verità di Dio che li attraversa e che è un’energia che è capace per la sua forza di coinvolgere anche altri. Perché mi rende capace di vedere nell’altro, in ogni situazione di amore ferito, una situazione di cui io posso farmi carico, alla quale posso aprirmi, a cui posso dare. Lo stesso vale per le persone che si avvicinano ai sacramenti. Non è che non dobbiamo valutare la loro preparazione, ma più di tutto conta il cammino. Iniziare un cammino e portarlo avanti. Va bene, inizi oggi il cammino, inizia pure oggi, esiste l’università della terza età! Non è mai troppo tardi. Io credo che l’amore non distingua e non separi, ma per sua natura unifichi e renda umili verso l’amore ferito e parziale. Anche perché: chi ha l’amore pieno?
Quale comunità può testimoniarlo ed annunciarlo? Però insieme diventiamo tutti più umili e più forti. E diventiamo capaci di portare un amore che non è solo nostro ma che ci rende figli di Dio. Forse un po’ folli, perché dobbiamo annunciare qualcosa che ci trascende infinitamente. Se però veramente scatta questa comprensione umana, allora può partire l’annuncio. Uno si accorgerà anche allora di essersi sposato in modo imperfetto, recupererà terreno. Io ho visto autentici miracoli. Se la consapevolezza comincia ad entrare, con il tempo e la pazienza, la lievitazione accade. Il coinvolgimento anche. Perché è un annuncio autentico di parola di Dio.


Testi dello stesso autore presenti sul nostro stesso sito www.gliscritti.it

Eucarestia e famiglia


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