Il processo e la fine dei Templari, una triste storia, non un romanzo: le false tesi di Dan Brown e le recenti ricerche storiche di Barbara Frale (tpfs*)
di Andrea Lonardo


Indice


La fine dei Templari: una triste storia, non un romanzo.
Le recenti ricerche storiche di Barbara Frale
di Andrea Lonardo

I Templari morirono sul rogo del re di Francia perdonati e reintegrati nella piena comunione cattolica, dopo che i delegati pontifici li avevano assolti a Chinon.
Non asserirono mai dottrine eretiche, non cattoliche, che potessero essere condannate dall’Inquisizione, ma furono traditi da alcune consuetudini che potremmo chiamare, secondo il gergo militare odierno, “nonnistiche”. Di esse il re di Francia, Filippo il Bello, si servì per screditare i Templari agli occhi di Clemente V. Quando il papa si accorse dell’inganno, il re di Francia non esitò a far uccidere, pur di vincere la partita, i due principali capi dell’Ordine, il Gran Maestro Jacques de Molay ed il Precettore di Normandia, Geoffroy de Charny.

Queste le rigorose e convincenti tesi storiografiche della ricercatrice Barbara Frale che, da anni, si dedica allo studio della vicenda del più famoso degli ordini nati dalla spiritualità crociata. A differenza dei dozzinali testi reperibili ovunque nella letteratura di intrattenimento, la Frale ha analizzato l’intera documentazione d’archivio disponibile relativa al processo che i Templari dovettero affrontare negli ultimi anni della loro esistenza.
Non dobbiamo, infatti, mai dimenticare che l’Inquisizione non fu, come vorrebbero molti suoi detrattori, un tribunale segreto che volesse porsi al di fuori dell’ambito giuridico.
Certo il nostro spirito moderno non può che rigettare qualsiasi antica forma di controllo delle coscienze. Deve altresì riconoscere che l’antico Tribunale fece di tutto perché gli accusati, dei quali tutti si desiderava salva la vita ed il ravvedimento da eventuale eresia, fossero giudicati secondo precise norme giuridiche, oggettivamente verificabili. Ogni cura fu disposta perché di ogni seduta processuale fosse conservata una precisa documentazione scritta, testimone delle azioni e delle parole sia dell’accusa sia della difesa, in ogni deposizione processuale. Il dettagliato resoconto che restava agli atti – il caso dei Templari è solo uno dei tanti in nostro possesso – è giunto fino a noi ogni qualvolta il furore degli eserciti napoleonici non ha dato alle fiamme o disperso le carte che, come documentazione, erano custodite in ogni archivio Inquisitoriale. L’esistenza di simili testi è già di per sé indizio della volontà di un processo che non si affidi a segrete ed inconfessabili procedure, ma sia sempre di nuovo verificabile nella sua conformità alle legislazioni vigenti all’epoca.

Possediamo così circa mille deposizioni degli interrogatori di cavalieri templari che la Frale ha analizzato integralmente, curandone anche l’edizione. Così essa scrive in appendice alla sua opera:

L’intero corpus delle deposizioni rilasciate dai Templari durante il processo si trova raccolto e classificato in un archivio elettronico (9,5 MB) a corredo di B.Frale, Guardiani del Santuario. Le radici orientali del processo contro l’ordine del Tempio (1129-1314), tesi di dottorato in Storia della società europea, condotta presso il Dipartimento studi storici dell’Università “Ca’ Foscari”di Venezia, sotto la supervisione di S.Gasparri e G.Ortalli, XI ciclo, 2 voll., Venezia, 1996-2000, mentre l’indicazione delle singole fonti è in appendice a B.Frale, L’ultima battaglia dei Templari. Dal “codice ombra” d’obbedienza militare alla costruzione del processo per eresia, Roma, 2001, cui vanno aggiunti il testo contenuto in F.Tommasi, Interrogatorio di Templari a Cesena (1310), introduzione all’edizione del testo, in Acri 1291..., pp. 265-300, e quello dell’inchiesta di Chinon recentemente rinvenuta, in B.Frale, Il Papato e il processo ai Templari. L’inedita assoluzione di Chinon alla luce della diplomatica pontificia, Roma, 2003, pp. 198-215[1].

I Templari, espressione della spiritualità crociata e monastica medioevale

L’ultima stagione di vita dei Templari, che si concluse con la barbara esecuzione dei suoi dirigenti, non differisce da quelle che la precedettero. I Cavalieri Templari nacquero come ordine monastico, per essere rappresentanti, nelle guerre per la conquista e la difesa della Terra Santa, di una condotta militare esemplare, secondo la visione della spiritualità e della morale cattolica del tempo.

Come è noto, infatti, per molti rampolli della nobiltà dell’epoca, le crociate[2] furono l’occasione per lotte di potere, per carriere di prestigio, per ascese che in patria erano interdette dalla legge della primogenitura. Non così doveva avvenire per l’Ordine Templare, secondo l’intuizione dei suoi fondatori ed il riconoscimento della Sede Pontificia che tentò, attraverso i Templari, di orientare lo spirito crociato perché non debordasse in occasione di esibizione di potere o di violenza o di guerra di religione. L’unico obiettivo posto all’orizzonte della militanza dei Templari era la libertà della Terra Santa, secondo lo spirito del tempo animato dall’idea che i luoghi calcati dalle orme del Signore Gesù ed originariamente appartenuti, prima della conquista araba, all’Impero romano e poi a quello bizantino, non potessero essere governati da istituzioni non cristiane.

I Templari erano caratterizzati, al pari di ogni altro ordine monastico cristiano, dal voto del celibato. Dai primi passi dell’Ordine del Tempio, fino al suo termine, questa precisa scelta, considerata come suprema vocazione divina, contrassegnò ogni singolo cavaliere e l’Ordine nel suo insieme. Come il Signore visse da vergine, così dovevano essere i suoi monaci ed i suoi cavalieri, distinguendosi già in ciò da ogni altro militare che partecipasse all’impresa.

Promettete a Dio e alla Signora Santa Maria che per tutti i giorni della vita vivrete castamente nel corpo?[3]

Così recita la formula della cerimonia di ammissione all’ordine, così come ci è tramandata in appendice alla Regola ed ai Retraits, i testi dei quali possediamo varie redazioni, testimoni dello sviluppo dell’ordine.

Più volte era invocata Maria, la Madre del Signore, nella liturgia di ammissione.
Fra gli impegni assunti dai nuovi adepti figurava la recita comune di alcune parti della salmodia della liturgia delle ore, proprio in ossequio all’ideale monastico cattolico che era reinterpretato in funzione militare[4].

La Regola aggiunge che, se le necessità della vita in Oriente lo esigano – “il che crediamo accadrà spesso” – e non si potesse ascoltare tutto l’ufficio, i cavalieri dovranno dire tredici Pater noster al posto del mattutino, altri sette per ogni ora e nove per i vespri, e dice pure che è preferibile li dicano assieme. Così la vita di preghiera è posta all’inizio della Regola, come conviene a ogni religioso e, dai primi capitoli, lo si mette anche in guardia contro un’ascesi eccessiva, specificando che durante la lettura dei salmi si deve sedere, restando in piedi solo per il primo salmo, detto “invitatorio”, per la recita del “Gloria” alla fine di ogni salmo, e del “Te Deum” alla fine del mattutino[5].

La formula recitata da chi presiedeva il capitolo di ammissione dei nuovi membri esplicitava l’assoluta conformità ed obbedienza ai precetti ed alla comunione gerarchica della Chiesa Cattolica Romana:

In nome di Dio e di Nostra Signora Santa Maria, del Signor San Pietro di Roma e di nostro padre l’apostolo – il Papa – e di tutti i Santi del Tempio vi ammettiamo a tutti i benefici della casa[6].

Le regole del comportamento in guerra esplicitavano ciò che era promesso all’atto dell’ingresso, in maniera che sempre il cavaliere combattesse a fianco degli altri cavalieri crociati, in primo luogo gli stessi Templari, in secondo luogo gli altri che resistessero, una volta caduti i primi:

Nessuno deve allontanarsi dalla sua posizione senza il permesso del superiore nemmeno se è ferito; e se si trova in condizioni di non poter chiedere congedo, deve mandare un compagno a farlo per lui. E se per caso avvenisse che i cristiani fossero sconfitti - che Dio ce ne scampi! – nessun frate deve allontanarsi dal campo di battaglia fino a che sia esposto al nemico il gonfalone del Tempio: e chi contravverrà sarà cacciato per sempre dall’ordine. Quando un frate vede che non vi è più un gonfalone del Tempio presso il quale accorrere, dovrà recarsi presso il primo gonfalone degli Ospitalieri o di altri combattenti cristiani che potrà trovare; e se anche questi saranno volti alla sconfitta, da allora in poi sarà libero di mettersi in salvo come Dio gli suggerirà[7].

Gli Ospitalieri, o Cavalieri di S.Giovanni Battista[8] – così chiamati per avere il quartier generale presso l’Ospedale di S.Giovanni Battista presso il Santo Sepolcro di Gerusalemme - erano il secondo ordine per importanza nato dalla spiritualità crociata, una volta conquistata la città santa. Anch’essi si contraddistinguevano per l’assoluta fedeltà al papa ed alla Chiesa Cattolica ed acquisirono perciò, parallelamente ai Templari, un posto di riguardo presso tutti i laici che parteciparono alle crociate. Il retrocedere della loro presenza, dovuta alla riconquista islamica, li portò a mutare il loro nome prima in Cavalieri di Rodi, poi, una volta persa anche l’isola di Rodi, in Cavalieri di Malta.

I motivi fittizi addotti da Filippo il Bello nel processo ai Templari

Come poté essere accusato di eresia un Ordine che si caratterizzava per la sua assoluta fedeltà alla Chiesa ed era promotore delle iniziative crociate in Terra Santa, fino a pagare col sangue del suo Gran Maestro l’eroica difesa dell’ultima piazzaforte crociata, Acri, nel 1291?
La minuziosa analisi alla quale la Frale ha sottoposto i resoconti delle dichiarazioni dei Templari, durante il lungo processo, ci mostra come fossero fittizie le accuse loro rivolte dalla corona francese. Vogliamo presentarle, prima di volgerci ad analizzare, invece, i motivi reali che portarono alla loro fine.

Già nel 1292, all’indomani della caduta di Acri appunto, Jacques de Molay, colui che sarà poi l’ultimo Gran Maestro templare, aveva lanciato un grido di allarme, su alcuni aspetti della decadenza morale dell’Ordine.
A Nicosia di Cipro, dove i Templari si erano riuniti dopo essere stati costretti ad abbandonare l’ultima città crociata di Terra Santa, de Molay aveva puntato l’indice contro non meglio specificati “fatti di malcostume” interni all’Ordine.
Ora, innanzitutto, risulta dagli interrogatori, con tutta evidenza, come si fosse introdotta al termine dei rituali ufficiali di ammissione - liturgie con la celebrazione dell’eucarestia e la professione monastica benedetta dal sacerdote - una prassi di iniziazione del candidato appena ammesso, nella quale qualcuno dei cavalieri addetti all’addestramento, doveva umiliare i nuovi entrati.

La Frale ricorda come la cerimonia di ammissione si strutturò fin dall’inizio, per ispirazione dello stesso S.Bernardo di Chiaravalle[9] - che non fu Templare ma fu predicatore della II Crociata - e si mantenne sostanzialmente fino alla fine dell’Ordine. In essa, una parte rilevante era riservata alla esplicitazione della serietà del passo che si stava per compiere:

Quando san Bernardo mise a punto il rigidissimo codice etico e disciplinare dei Templari era perfettamente consapevole che quel modello di vita non poteva essere accessibile per tutti, specie considerando i costumi mondani e spesso violenti di quel ceto cavalleresco che avrebbe alimentato le fila dell’ordine; perciò si premuniva di inserire nel testo della regola una clausola la quale esortava i capi dell’ordine a non accettare frettolosamente le vocazioni, ma piuttosto di sottoporre i candidati a una “prova” per appurarne l’indole e le intenzioni. L’experimentum al quale fa riferimento l’abate non è chiaro, anzi il santo si rifugia dietro un’elegante allusione che chiama in causa il passo di san Paolo “metteteli alla prova per vedere se vengono da Dio”; questa prova si riferiva a un periodo di noviziato, durante il quale l’aspirante templare avrebbe abitato insieme ai confratelli e condiviso la loro vita in tutto, sperimentando i combattimenti contro il nemico islamico ma anche le durezze dell’ordine per verificare se era all’altezza del suo elevatissimo codice d’onore. Per lo stesso motivo l’abate vietava di arruolare nell’ordine bambini o adolescenti, vero e proprio fardello ma anche incognita per l’ordine sino al raggiungimento dell’età adulta: non solo non erano in grado di combattere, ma sussisteva il rischio che raggiunta la maturità intellettiva non riuscissero a sopportare la vita nel Tempio e si dessero alla fuga. Un punto cardinale nell’etica del Tempio era l’obbedienza “assoluta” ai propri superiori, necessaria per il successo delle operazioni militari ma valorizzata anche in senso religioso dallo stesso san Bernardo che, in ambito monastico, la consigliava persino ai suoi confratelli del chiostro: per obbedienza assoluta si intende la capacità di un uomo di rinunciare al proprio libero arbitrio onde mettersi completamente nelle mani del suo superiore, affidandosi al suo spirito illuminato e alla mano di Dio che lo guida. Il corpo degli Statuti Gerarchici templari, la parte che regolava le norme da tenersi in battaglia, prevedeva che i cavalieri del Tempio non potessero abbandonare il campo di battaglia nemmeno se fossero rimasti completamente disarmati: l’onore dell’ordine richiedeva il sacrificio della vita[10].

Le domande rivolte nella liturgia di ammissione erano perciò volutamente chiare e dure:

Signore, voi ci vedete ben vestiti e forniti dei migliori cavalli, ma ben pochi sanno cosa sopportiamo nell’animo. Se diventerete Templare dovrete affrontare cose assai dure, sentire parole enormi e accettarle con pazienza, e obbedire ai vostri superiori qualunque cosa vi sia comandato”. Poi aggiungeva: “Saprete sopportare l’insopportabile?” e il postulante avrebbe risposto: “Signore, con l’aiuto di Dio sopporterò qualunque cosa!”[11].

Le deposizioni dei Templari nel lungo processo confermano che anche negli ultimi anni della vita dell’Ordine niente era mutato di questo cerimoniale. Unanimemente, però, testimoniano che ad esso si era aggiunta una parte che non veniva mostrata agli invitati al sacro rito, ma avveniva in segreto:

Tutti i frati che testimoniarono al processo raccontano la parte iniziale del loro ingresso esattamente come esso figura nella normativa, con la sua liturgia, l’interrogatorio, le promesse e tutto il resto. Poi, dopo la concessione del mantello, il nuovo templare veniva condotto in un posto isolato (nella sacrestia, dietro l’altare o in un’altra stanza) e qui il precettore gli diceva: “Signore, tutte le promesse che ci avete fatto sono vuote parole. Adesso dovrete dar prova di voi con i fatti”, e senza fornire alcuna spiegazione gli ordinava di rinnegare Cristo e sputare sulla croce, mostrandogliela dipinta su un messale oppure usando una croce liturgica. Naturalmente il novello templare restava senza parole, e, riavutosi dallo stupore, si rifiutava di obbedire; allora il precettore gli diceva una frase di questo tipo: “Hai giurato di obbedire a qualunque comando dei superiori e adesso osi mostrarti disobbediente?” A questo punto l’analisi sistematica delle deposizioni mostra che la maggioranza dei frati si rassegnava a fare quanto comandato, magari cercando di sputare in direzione della croce senza colpirla davvero, mentre altri si rifiutavano assolutamente: essi avevano fatto voto di difendere la fede e non si sarebbero mai macchiati di simili profanazioni. La reazione dei precettori era variabile: a volte la fermezza del candidato era rispettata e non gli si chiedeva oltre, ma più spesso i confratelli presenti cominciavano a minacciarlo di prigione, di morte, a picchiarlo violentemente a mani nude o puntandogli la spada alla gola. Poi il precettore gli dava il bacio di fratellanza monastica sulla bocca e spesso questo bacio, comune in tutti gli ordini religiosi, aveva esso stesso una specie di pendant in altri due baci sull’ombelico e sulla parte posteriore: in genere sopra la tunica, ma a volte vi era qualcuno che esagerava l’azione scoprendosi le natiche e, a detta di alcuni testimoni, qualcuno addirittura avrebbe oscenamente proposto baci in virga virili. La tendenza generale dei frati dinanzi a questa imposizione era quella di obbedire senza discutere quando l’imposizione era moderatamente umiliante, come il bacio sopra le brache, e di rifiutarsi negli altri casi; mentre i precettori erano molto insistenti nel richiedere almeno uno dei due atti precedenti, cioè il rinnegamento di Cristo e lo sputo sulla croce, riguardo ai baci si soprassedeva e i renitenti in genere non venivano forzati. Infine il precettore esortava il nuovo frate a non avere rapporti con le donne invitandolo, se proprio non poteva vivere castamente, a unirsi con i suoi confratelli e a non rifiutarsi loro se veniva richiesto per prestazioni sessuali. Naturalmente il novellino reagiva rabbiosamente, ma non vi erano conseguenze perché la sequenza non prevedeva alcuna applicazione concreta di questo “precetto dell’omosessualità”: si trattava in effetti soltanto di sopportare quelle parole in silenzio senza mostrarsi ribelle, come una specie di prova di sottomissione. La catalogazione delle testimonianze al processo rileva che su circa mille deposizioni pervenuteci solo sei attestano relazioni omosessuali, e del resto le descrivono come rapporti di lunga durata che quasi sempre possedevano una dimensione affettiva: dunque questi legami nel Tempio appartenevano ad alcuni individui, non si trattava affatto di un costume diffuso anche perché la normativa puniva tutto ciò con l’ergastolo.
Alla fine della cerimonia la “vittima” di tutte queste imposizioni era invitata a recarsi presso il cappellano templare onde confessarsi delle colpe appena commesse e farsi dare l’assoluzione; e ancora una volta la classificazione ci permette di rilevare un fatto interessante, cioè che i preti del Tempio confortavano questi penitenti dicendo loro che non era stata una colpa grave e che, se ne provavano rimorso e vergogna, li avrebbero assolti. Spesso però essi andavano a confessarsi a preti esterni al Tempio, in genere francescani o domenicani, i quali naturalmente restavano di stucco, ne alimentavano il disagio morale dicendo loro che si trovavano in peccato mortale e a volte li esortavano a fuggire dall’ordine: le indiscrezioni di questi sacerdoti in buona fede, che però erano completamente ignari della vera funzione del cerimoniale segreto del Tempio, sicuramente alimentarono nel secolo la fama sul volto “oscuro” dell’ordine[12].

Ma – e qui è l’elemento decisivo per comprendere di cosa si trattasse – tutto questo non aveva il significato di un rinnegamento delle finalità dell’Ordine. Questo disdicevole rituale era la versione templare di quel complesso di umiliazioni che, in ogni gruppo militare, sempre i soldati di più lunga militanza infliggono ai novellini per metterne alla prova le inclinazioni e per segnare le tappe del loro progressivo inserimento nel novero dei “vecchi” del reparto. Con la terminologia degli ultimi anni del servizio militare obbligatorio italiano potremmo parlare di “spine” – i neo-militari – che vengono introdotti dai “nonni” – i militari che già da mesi sono in servizio – in caserma. Siamo dinanzi, insomma, al “nonnismo” nella sua versione medioevale. Il tutto era accentuato dal fatto che non si trattava di una militanza in tempo di pace, ma che realmente, nel conflitto crociato, una eventuale prigionia avrebbe posto il nuovo cavaliere in una situazione estremamente difficile, che avrebbe richiesto una capacità di resistenza non comune:

L’opinione più accorta all’interno dell’ordine circa la funzione di questo strano rituale lo identificava come una prova di coraggio e di tempra marziale. Sappiamo che i Saraceni usavano malmenare e torturare i cristiani catturati, costringendoli a rinnegare Cristo e sputare sulla croce, prima di imporre loro l’adesione al credo islamico; probabilmente lo scopo della cerimonia era quello di creare un impatto durissimo, una specie di choc, sul novellino per verificare la sua reazione. Pressato e magari anche pestato per indurlo a rinnegare Cristo solo pochi minuti dopo aver abbracciato la vita religiosa, il nuovo templare reagiva con grande spontaneità e probabilmente erano proprio queste reazioni subitanee che interessavano i precettori: la tensione, la sorpresa e anche la paura mettevano a nudo il vero carattere dell’uomo ed era a quel punto che emergevano il coraggio, la fierezza, la determinazione e persino la capacità di autocontrollo, tutte doti essenziali per un Templare destinato a ruoli operativi e a una carriera di comando. Al contrario, dinanzi a un atteggiamento pavido, troppo velocemente obbediente oppure eccessivamente sfrontato, si decideva per assegnare il soggetto a mansioni diverse; se analizziamo le carriere dei Templari dell’ultima generazione, infatti, noteremo che vi sono uomini inviati in prima linea in Terrasanta appena dopo il loro ingresso, come ad esempio Jacques de Molay, e altri che invece fecero una bella carriera tutta in Occidente, come Hugues de Pérraud, che evidentemente brillava soprattutto in qualità diplomatiche e amministrative. I precettori disprezzavano la pratica del rituale d’ingresso ma lo consideravano una specie di obbligo da mantenersi comunque, proprio come se avesse un qualche valore formativo: forse perché la messinscena metteva il Templare a confronto diretto con le violenze che avrebbe subito se fosse caduto in mano saracena, e chi si era votato alla leggera imparava immediatamente il tenore di vita durissima che vigeva nell’ordine; inoltre la necessità di abdicare alla propria volontà personale per compiere il comando del superiore doveva servire per insegnargli l’obbedienza assoluta, vero cardine della disciplina dell’ordine. Tuttavia gli alti dignitari invitati a officiare le cerimonie disdegnavano quasi sempre di far rispettare il rituale: una volta finita la cerimonia ufficiale, quella prevista dalla normativa scritta, la loro tendenza era quella di andarsene affidando a un subordinato lo spiacevolissimo incarico di compiere la seconda parte. Si trattava dunque di una seccatura che le gerarchie, dall’alto del loro potere, cercavano di affibbiare ai Templari di rango minore[13].

Nei decenni l’aspetto che abbiamo definito “nonnistico” si era andato accentuando:

La natura del rituale era quella di una pantomima recitata su un copione fisso, ricavato dalla cruda esperienza diretta dei Templari scampati alle prigioni islamiche, sulla trama della quale si erano nel tempo annodati elementi estranei: così il bacio sul sedere, un vero e proprio “atto di nonnismo” teso a umiliare la recluta dinanzi agli anziani, e l’esortazione verbale all’omosessualità, probabilmente nata come parodia del precetto che imponeva al Templare di dare tutto se stesso all’ordine e ai confratelli. E’ probabile che il rituale originario, composto solo da quei gesti che imitavano le violenze sofferte dai Templari nelle carceri islamiche, risalisse a una fase estremamente antica nella storia dell’ordine e non sarebbe strano se, almeno nei suoi tratti essenziali, una forma di iniziazione simile si celasse dietro le laconiche parole della regola che esortavano i precettori a sincerarsi sulla buona fede dei candidati; gli annessi volgari e derisivi, tipici esempi di bassa tradizione militare, sono invece più tardi e probabilmente si insinuarono fra i costumi dell’ordine quando la disciplina tradizionale cominciò ad allentarsi: secondo una fonte interna al Tempio ciò accadde sotto il magistero di Thomas Bérard, che in effetti governò durante il ventennio cruciale delle riconquiste del sultano Baibars, tuttavia secondo un’informazione in possesso del papa questi fenomeni sarebbero già stati in atto decenni prima[14].

Dalle testimonianze delle deposizioni non risulta chiaro ciò che avvenisse in relazione ad una piccola scultura rappresentante una piccola testa che veniva mostrata ai neo-cavalieri, ma, comunque, questo era un particolare di questo rituale di umiliazione del nuovo ammesso. Ben diversa rilevanza ha, invece, la testimonianza, peraltro anch’essa non del tutto chiara nelle fonti che possediamo, della venerazione al Sangue eucaristico di Cristo. Questa devozione non aveva parte nel rituale di dileggio del neo-ammesso, ma invece era parte della spiritualità dell’Ordine Templare, nei suoi aspetti più positivi:

Soltanto in casi rari gli astanti, non reggendosi più, scoppiavano a ridere in faccia al novellino terrorizzato e gli spiegavano che si era trattato di una burla. Ma il carattere originario del rito non aveva nulla di comico: era una cruda prova di iniziazione alla durissima vita militare che la recluta avrebbe d’ora innanzi affrontato, perché imparasse presto, senza troppe parole, cosa significava essere un Templare.
Molto più difficili da rintracciare sono i connotati dell’ultimo punto cui si appigliava l’atto d’accusa, cioè la custodia e la venerazione in segreto di un idolo con la forma di una testa maschile barbuta. La ricerca (come si accennerà più avanti) ha finora portato alla luce chiare tracce dell’esistenza di una particolare immagine del Cristo nella vita religiosa dell’ordine, unitamente a un misterioso culto del Santo Sangue che i Templari celebravano nella ricorrenza dell’Ultima Cena con una cerimonia liturgica unica al mondo, forse addirittura derivata da tradizioni popolari di Gerusalemme risalenti ai primi secoli dell’era cristiana; la vita spirituale privata dei Templari, ripulita dalle incrostazioni “commerciali” di una letteratura pseudoscientifica che vende bene esoterismo e fantasia, è uno dei più interessanti terreni di ricerca[15].

Di questo rituale – disdicevole certo, ma comprensibile in un contesto militare – si servì il re Filippo il Bello come fra breve vedremo nei dettagli. L’accusa che egli sollevò, cercando di persuadere il pontefice Clemente V, era che i Templari fossero divenuti apostati della fede cattolica, che l’avessero cioè rinnegata, come apparentemente testimoniava una lettura superficiale dello sputo alla croce e della venerazione dell’idolo barbuto. L’accusa di immoralità, in particolare di sodomia ed omosessualità, veniva a condire la precedente, macchiando la reputazione dell’Ordine che, invece, si presentava come un ordine monastico, votato al celibato. Stanti queste accuse, il re chiedeva alla Chiesa di sopprimere i Templari.

Non possiamo, però, dimenticare un secondo aspetto di decadenza che si era inserito
nell’Ordine del Tempio, pur nella sostanziale fedeltà al carisma originario. Anche di questo il re, astutamente, si servì per decretare l’estinzione dei Templari. Con il passare del tempo, soprattutto a motivo del retrocedere dei Templari dalla Terra Santa per le sconfitte militari, una divaricazione si era introdotta nelle cariche dell’Ordine:
Negli anni l’Ordine del Tempio, proprio per la stima che lo contraddistingueva, era divenuto via via più importante. Numerose donazioni affluivano all’Ordine ed esso si era organizzato sempre più in due rami: l’uno presidiava i luoghi della Terra Santa e le rotte che ad essa davano accesso, l’altro si preoccupava in Europa di sostenere l’altro ramo impegnato sul campo di battaglia e ne preparava ogni futuro passo, cercando di tessere accordi e possibilità di nuovi aiuti. In particolare a Parigi, nell’edificio noto come la Torre del Tempio, nel quartiere del Marais – edificio non più esistente, perché distrutto durante la rivoluzione francese – venne a crearsi come un secondo centro di comando dell’Ordine, che crebbe d’importanza una volta che i Templari dovettero abbandonare la spianata del Tempio di Gerusalemme - da cui avevano preso nome - dov’era il loro quartier generale originario, dopo la sconfitta subita dai crociati per opera di Saladino.

Quando cadde l’ultima piazzaforte crociata in Terra Santa, nel 1291, la città di Acri – oggi Akko in Israele – i cavalieri furono costretti alla ritirata e l’Europa ne accolse molti che non potevano più combattere nei luoghi nei quali erano nati come ordine religioso. Lo stesso Gran Maestro dell’Ordine Guillaume de Beaujeu cadde nel 1291, nella difesa di Acri, per permettere ad altri cavalieri crociati la ritirata, attraverso il mare.

Ora, dunque, negli ultimi anni del Duecento, si erano formati come due poli di potere, il primo a Cipro, composto soprattutto da militari sempre impegnati nel dialogo diplomatico con i governi cristiani d’Oriente per studiare nuovi piani di recupero della Terra Santa, e quello d’Occidente, guidato da sergenti finanzieri e da cavalieri con incarichi amministrativi e diplomatici per i quali l’accordo con le corone d’Europa rappresentava la priorità[16].

L’elezione del successore di Thibaut Gaudin, succeduto a Guillaume de Beaujeu, fu lunga e travagliata. Siamo informati di questi fatti dalla cronaca di un confratello templare, Hugues de Faure, anche se non possiamo dare per acquisita la sua neutralità nel resoconto, essendo egli forse ostile a de Molay che alla fine risulterà essere l’eletto. De Faure ci tramanda la narrazione delle tensioni createsi fra due orientamenti contrapposti che volevano l’uno l’elezione di Jacques de Molay, che era stato diversi anni al fronte, e l’altro l’elezione di Hugues de Pérraud, nipote del potente Visitatore del Tempio in Francia Hubert de Pérraud, rappresentante di una linea più esperta, invece, nell’arte della diplomazia. Alla fine prevalse nella carica di Gran Maestro de Molay, ma la tensione manifestatasi mostrava come, soprattutto, dopo l’indebolimento della presenza in Oriente, l’Ordine si trovasse ormai ad avere, secondo l’espressione di Barbara Frale, una struttura “diarchica” nelle sue parti, orientale ed occidentale.

Una volta eletto de Molay tornò in Oriente, lasciando in Occidente de Pérraud. Sappiamo che, per la difficile situazione nella quale versava allora il papato, diede potere a de Pérraud, perché, in caso di necessità, potesse sovvenire, come plenipotenziario che potesse disporre di tutti beni dell’Ordine, in favore del Papa, se le circostanze avessero sconsigliato di dover attendere il consenso da Cipro. Ciò avvenne nel 1298, per sostenere il Papa Bonifacio VIII, attaccato dai Colonna.

Il contesto storico del processo

Dobbiamo qui allargare il nostro sguardo ad alcuni nodi problematici storici che afflissero quei decenni e che si ripercossero sulla vicenda del processo. Accenniamo subito al fatto che proprio le vicende del processo a carico dei templari aiuteranno a comprendere ancor più le motivazioni dell’agire ecclesiale dei primi del trecento.

La decisione del re di Francia di sopprimere i Templari derivava certo, come motivo contingente, dal desiderio di incamerare la maggior quantità possibile dei loro beni, in relazione soprattutto alla necessità francese di liquidità monetaria per il conflitto con l’Inghilterra che si era aperto poiché i due Stati non si attenevano più al modus vivendi che era stato possibile sotto il Santo Re, Luigi IX (noto nei calendari liturgici come S.Luigi o S.Ludovico, entrambi derivati dall’antico nome Clodoveo[17]). Nel 1294 Filippo il Bello aveva, infatti, attaccato il feudo di Guascogna (il feudo apparteneva allora alla Corona d’Inghilterra, ma, solo per quella regione, il re d’Inghilterra era suddito del re di Francia!) aprendo le ostilità con gli inglesi.

Ma, dietro questa necessità, stava una decisione regale di sottomissione della Chiesa allo Stato. Negli anni immediatamente precedenti alla crisi templare, Filippo il Bello si era misurato con il Papa Bonifacio VIII. Se quest’ultimo aveva talvolta usato toni troppo duri verso la corona, certo è che aveva visto bene la posta in gioco. La bolla Unam sanctam riaffermando la dottrina della supremazia papale, era rivolta al re di Francia che voleva un predominio sulla Chiesa.

Non è qui possibile entrare nei particolari – la tassazione del clero a motivo della guerra, tassazione infine accettata dal Papa, la condanna a morte del vescovo di Pamiers che si era opposto al re di Francia. Sono soprattutto gli sviluppi degli eventi che mostrano come il re Filippo il Bello, facendosi forza della tradizione che lo faceva discendente della dinastia di Clodoveo, consacrato con un crisma miracoloso che lo stesso Spirito Santo avrebbe portato dal cielo in sembianza di colomba, voleva affermare una sua visione ideologica secondo la quale il re cristiano era “superiorem non recognoscens”, era al di sopra di ogni potere.

I giuristi di Filippo crearono un’alleanza con la famiglia nobiliare dei Colonna, gli acerrimi avversari di Bonifacio VIII – nel 1298, per i problemi economici derivanti dalla guerra con i Colonna, l’Ordine dei Templari aveva aiutato Bonifacio con 12.000 fiorini d’oro, raccolti per le crociate, ma donati alla Santa Sede proprio perché la difesa del Papato era fra gli scopi precipui dell’Ordine – contestando la legittimità dell’elezione di Bonifacio. Essa era illegittima – si sosteneva da parte dei giuristi del re - perché le dimissioni di Celestino V non erano canonicamente accettabili.
L’alleanza fra Filippo il Bello ed i Colonna giunse fino al tentativo di cattura del Pontefice ad Anagni, per processarlo e destituirlo (l’episodio è passato alla storia come lo “schiaffo di Anagni”), da parte del de Nogaret, emissario di Filippo, che incontreremo ancora nel processo contro i Templari. Il Papa fu subito liberato, ma morì poco dopo, probabilmente stremato dagli eventi, senza riuscire a pubblicare la scomunica del re che aveva già predisposto.

Dopo il breve pontificato di Benedetto XI (1303-1304), nel 1305 Clemente V fu incoronato papa alla presenza del re a Lione. Era arcivescovo di Bordeaux e venne eletto al termine del lunghissimo conclave di Perugia, durato quasi un anno. Viene considerato il primo papa avignonese, anche se, in effetti, fu il suo successore a risiedere stabilmente nella città francese e ad iniziare i lavori per il nuovo Palazzo Pontificio (Giovanni XXII, già vescovo di Avignone dal 1310, una volta eletto Papa nel 1316, dopo due anni di conclave, decise che la Curia Pontificia avesse stabile dimora ad Avignone ed iniziò i lavori di trasformazione del Palazzo Episcopale in Palazzo Pontificio[18]).

La lunghezza dei conclavi dell’epoca, i veti che il re di Francia cercava di porre attraverso i cardinali suoi sudditi, la scelta papale di allontanarsi da Roma ritenuta insicura per il rischio di essere in balia della lotta fra le famiglie nobiliari romane, il conseguente essere sottoposto alle crescenti pressioni francesi nella città di Avignone, mostrano con immediatezza come Bonifacio VIII avesse toccato un punto dolente, con le sue iniziative ed i suoi scritti. Una legittima considerazione critica delle scelte dei Pontefici dell’epoca – ed in specie di Bonifacio e di Clemente - deve misurarsi con la domanda su quale concreta libertà avesse la Chiesa di allora, stretta fra veti incrociati, in una autonomia che rivendicava, ma che le era continuamente contestata, non solo a parole. Proprio la vicenda dei Templari lo mostrerà dettagliatamente: l’esito della vicenda templare – di un Ordine su cui solo la Chiesa aveva teoricamente giurisdizione, trattandosi di un Ordine monastico e di un Ordine esente dalla giurisdizione episcopale - fu, alla fine, quello deciso dal re di Francia, nonostante la crescente resistenza del Papa.

Ciò che Filippo il Bello cercava di perseguire era una Chiesa di Stato, sottoposta alle sue direttive, i cui vescovi fossero sudditi obbedienti della Corona, prima che fedeli servitori della libertà cristiana e della libertà della Chiesa. La piena disponibilità dei beni della Chiesa – ed, in specie, dei Templari – era solo parte di un disegno più ampio.

Dentro il processo

Seguiamo ora in dettaglio lo snodarsi della questione Templare, secondo la precisa ricostruzione della Frale.
Già nel 1305, in occasione dell’incoronazione papale di Clemente V a Lione, risulta che il re abbia riferito dicerie sui Templari al nuovo Papa appena insediato. La sua prima mossa fu, quindi, immediata, nel desiderio di screditare il Tempio agli occhi del Pontefice, perché Clemente V vi ponesse fine.

Nel 1306 la prima crisi: Filippo il Bello alterò il contenuto aureo della moneta francese, a motivo delle spese di guerra, ma Parigi si rivoltò. Il re si rifugiò allora nella Torre del Tempio, nel Marais. Al termine dell’episodio pretese dal Tesoriere centrale del Tempio, Jean de la Tour[19], 300.000 fiorini d’oro. Questi soldi
erano in parte proprietà di privati che li avevano investiti affidandoli all’Ordine, conoscendo la retta amministrazione dei Templari, ed, in parte, appartenevano alla Chiesa che li aveva investiti, ma in vista della futura crociata. E’ presumibile che dietro la decisione del de la Tour ci fosse il de Pérraud (e dietro di costui, ovviamente, il re Filippo il Bello).
Il de la Tour non informò immediatamente il Gran Maestro che, in quel tempo, si trovava in Oriente. Sapeva che de Molay si sarebbe opposto, come gli eventi successivi dimostrano.
Infatti quest’ultimo, tornato, fece espellere il de la Tour dal Tempio.

Il re, in tutta risposta, chiese prima a de Molay, poi, al suo rifiuto, direttamente al nuovo papa Clemente V, il reintegro di de la Tour. Il papa, infine, lo impose a de Molay. Tutta la questione mostra le divisioni che oramai minavano l’Ordine. La “diarchia” non era più una ripartizione di responsabilità, ma una vera e propria frattura che si manifestava e della quale il re si serviva, per pilotare la questione a suo piacimento. La corrente “militare” del Tempio più vicina alle posizioni del Papa, in accordo con la regola, l’altra, quella diplomatica e finanziaria, apertamente schierata con le posizioni della monarchia francese.

Nel 1307 il Papa chiese una copia scritta della regola dell’Ordine. Voleva vederci chiaro in merito alle accuse che circolavano sul Tempio – e che il re, ad arte, amplificava. In particolare chiese spiegazioni sulla storia dell’idolo segretamente venerato dai Templari. Il re fece infiltrare 12 spie nei Templari, per produrre documentazione atta a convincere il Papa della necessità di sopprimere l’Ordine. Il Papa cominciò a manifestare il desiderio di aprire un’inchiesta sullo stato del Tempio.
A complicare le cose, la salute fisica del Papa cominciò a peggiorare – probabilmente era stato colpito da un cancro allo stomaco o all’intestino – ed egli dichiarò di aver bisogno di 2 mesi di cure disintossicanti. L’aggravamento progressivo della salute del Papa è da tenere in considerazione nella valutazione della lentezza che lo contraddistinse nei suoi interventi nella crisi Templare; non solo il carattere di Clemente V, non solo la forza di volontà del re che gli si opponeva, ma anche la debolezza fisica del Pontefice giocò la sua parte nello svolgimento dell’intera questione.

Per comprendere la condizione giuridica dei Templari è importante rammentare che essi ricevettero ben presto dal Pontefice, proprio a motivo del loro strettissimo legame con la Sede di Roma, l’esenzione dalla giurisdizione canonica dei vescovi delle differenti Diocesi, nelle quali risiedevano. Lo stesso statuto era riservato ai monaci Cistercensi e agli Ospitalieri. Questa condizione diverrà abituale per molti Ordini religiosi nati nei secoli successivi. Con tali norme si voleva garantire la libertà della vita monastica e religiosa da possibili interferenze locali.
Papa Onorio III (1216-1227) concesse, invece, all’Inquisitore di Tuscia facoltà di indagare anche sui tre ordini. Il fatto, allora, non suscitò alcuna rimostranza, perché, in quel tempo, nessuno avrebbe minimamente sospettato che ordini religiosi così fedeli a Roma potessero mai incorrere nell’eventualità di un processo inquisitoriale, motivato da sospetti di eresia.

Nei primi del trecento l’Inquisizione non era saldamente in mano alla Chiesa. Il Papa aveva dovuto inviare suoi rappresentanti a verificare situazioni in cui la condotta dei giudici non era apparsa irreprensibile – uno dei tre cardinali inviati ad incontrare a Chinon il Gran maestro, come vedremo, era stato inviato dal Pontefice, proprio con queste finalità, nel Sud della Francia. Le diverse corone cercavano di manovrare il tribunale dell’Inquisizione, attraverso giudici di loro gradimento e fedeli alle loro direttive, più che non a quelle di Roma.

Fu così che, nel 1307, l’inquisitore di Francia, Guillaume de Paris, iniziò un’operazione contro i Templari, voluta dal re. Incontriamo nuovamente la volontà del re francese di servirsi della Chiesa per i suoi scopi, cercando di convincere, prima con le buone, poi con le cattive, il Pontefice.

Nell’estate del 1307 il re fece dire al papa dal de Pérraud di essere ormai certo che i templari sputassero sulla croce, suggerendo la possibilità di incriminarli per apostasia dalla fede. Il Papa, che si muoveva irrisolutamente, cercando di conciliare un reale desiderio di chiarezza, la sua volontà di purificare l’Ordine del Tempio, la volontà di non opporsi apertamente al re, per timore di possibili decisioni della Corona contro la Chiesa tutta, decise di acconsentire alle richieste del re, autorizzando che si procedesse contro il Tempio. Possiamo presumere, dalle reazioni pontificie che seguiranno, che il Papa fosse ancora convinto che il re, una volta avuto il suo consenso, avrebbe agito solo contro i capi, salvando, però, l’Ordine nel suo insieme.

Il 13 ottobre, invece, tutti i Templari in territorio francese furono fatti arrestare per ordine di Filippo il Bello (fu solo con la bolla Pastoralis Preminentiae del 22 novembre che il Papa dette ordine a tutti i sovrani cattolici di arrestare i frati Templari presenti sul loro territorio, a motivo dello scandalo che montava intorno al buon nome dell’Ordine).
Subito il Papa rientrò in curia a Poitiers e convocò un concistoro d’urgenza: il re aveva messo le mani su di un ordine religioso e questo non gli era permesso. Gli Ordini religiosi dipendevano dalla Sede di Roma e solo essa poteva procedere, per il diritto canonico, contro un intero Ordine monastico, non il potere laico.

Il de Nogaret – lo stesso che aveva tentato l’arresto di Bonifacio VIII – aveva, nel frattempo, convocato la folla nei giardini di Palazzo Reale a Parigi e letto le accuse rivolte dalla corona francese ai Templari: sputo a Cristo, bacio della bocca, dell’ombelico e del sedere del Precettore Templare da parte dei nuovi ammessi, con evidente intento sodomitico, unione carnale con i confratelli, adorazione di un idolo con barba. I bassi episodi del rituale “nonnistico” venivano ora stravolti di significato, indicando, secondo il Nogaret, una eresia manifesta ed una immoralità di costumi che richiedevano la soppressione dell’Ordine.

L’opposizione fra la posizione della Corona e quella della Chiesa si manifestò sempre più. Il Papa era sì favorevole ad un processo, ma in vista di un emendamento dell’Ordine che ponesse fine a pratiche non adatte alla professione religiosa, un rinnovamento delle cariche, se fossero state evidenziate nel corso del processo delle responsabilità precise. Il re chiedeva, invece, la fine del Tempio, la sua soppressione, e si serviva dei difetti evidenziati per far passare la Chiesa sulle posizioni francesi.

Il 25 ottobre il Gran Maestro si confessò colpevole. La notizia subito si diffuse e sembrò dare forza alle scelte di Filippo il Bello. Insieme a questo annunzio fu fatta circolare una lettera dello stesso de Molay che chiedeva a tutti i Templari di confessare le loro colpe. Essa era probabilmente falsa – infatti non fu nemmeno consegnata al Papa, la cui Cancelleria, esperta nel verificare l’autenticità di sigilli e documenti, l’avrebbe probabilmente riconosciuta come illegittima – e doveva servire a produrre nuovi elementi contro il Tempio da parte di cavalieri che avessero voluto porsi al servizio della corona.

Il Papa si irrigidì ulteriormente. Era sempre più chiaro che, se anche il re avesse avuto ragione, il suo modo di procedere era scorretto. Non a lui spettava di giudicare l’Ordine. D’altro canto Clemente V voleva una linea di distensione con la Francia.
Allora, con la lettera Ad preclaras, richiese di rimettere immediatamente i Templari nelle mani della Chiesa, non entrando nel merito della verità delle accuse, ma chiedendo che i Cavalieri fossero liberati dalle mani dei soldati del re.
I cardinali Bérenger Frédol (che era già stato inviato dal Papa, in precedenza, per verificare abusi dell’Inquisizione nel Sud della Francia) ed Étienne de Suisy furono inviato al re, latori della richiesta che i Cavalieri passassero nella custodia della Chiesa.

Il re non permise ai due cardinali di incontrare i Templari; organizzò, invece, un loro incontro con i professori della Sorbona che dichiararono di aver sentito la confessione di de Molay. A questo punto alcuni cardinali minacciarono il Papa, ritenendolo inetto, e volevano dimettersi. Il papa rimandò, in tutta risposta, i due cardinali al re con la stessa richiesta.

Finalmente il re permise l’incontro fra gli inviati pontifici e il Gran Maestro, senza però autorizzarne il passaggio nelle loro mani. Il 27 dicembre 1307 de Molay dinanzi ai cardinali affermò di essere stato torturato e che, pertanto, la sua ammissione di colpevolezza gli era stata estorta, mentre egli rivendicava la piena ortodossia, la piena conformità alla Chiesa Cattolica del suo pensiero, della sua fede, dei suoi comportamenti, come di quelli del Tempio tutto.

Gli storici sollevano dubbi su alcuni dettagli di questo incontro, ma la sostanziale fondatezza dell’evento è dimostrata dal fatto che il Papa revocò, alla fine del gennaio 1308, i poteri del tribunale dell’Inquisizione di Francia, a motivo dei suoi abusi, assicurando che non li avrebbe resi, finché il re non avesse rimesso i prigionieri Templari nelle mani della Chiesa.
Iniziava, nel frattempo, la caccia ai beni del Tempio, pian piano che le diverse monarchie intuivano la decisione del re di Francia oramai lanciata nella decisione della soppressione dell’Ordine. Giacomo II, re d’Aragona, iniziò a chiedere, per il suo territorio, una percentuale del patrimonio del Tempio, se esso fosse stato soppresso. Già il 22 novembre 1307 una bolla papale fu scritta per impedire che i beni dei Templari fossero alienati dalle diverse corone.
I teologi della Sorbona cercarono una mediazione affermando che: il Re era in buona fede, ma che i Templari dovessero comunque essere rimessi nelle mani della Chiesa, per un regolare processo, e non detenuti nelle prigioni di Francia.
Furono fatte anche circolare false accuse contro il Papa (anche quella di avere per amante Brunissenda de Périgord, che, però, non risiedeva nemmeno nella corte).

Il re capì, infine, che il Papa non avrebbe mai dato il permesso per un processo ai Templari del quale fosse già scritta la sentenza. Decise di inviare 70 Templari prigionieri al papa, scelti fra coloro che si erano macchiati, secondo le confessioni, delle colpe più gravi, insieme ai massimi dignitari dell’Ordine. Ma era solo una mossa strategica. Infatti il triste corteo, arrivato a Chinon, cittadina dotata di una poderosa rocca fra Tours e Poitiers, perse i massimi dignitari – il de Molay e le autorità dell’Ordine detenute - che vennero fermati e che non arrivarono mai a Poitiers dal Papa.
La scusa ufficiale volle che fossero malati e, perciò, impossibilitati a raggiungere il Clemente V. Era evidente che non si voleva che il Papa ascoltasse direttamente dalla bocca del Gran Maestro la verità sul fatto delle torture e delle dichiarazioni estorte loro dai messi del re.

Dal 28 giugno al 2 luglio 1308 i templari di rango inferiore furono interrogati dal Papa. Egli si rese conto della “prova di ingresso”, della sua immoralità, ma, al contempo, capì con chiarezza che non si trattava assolutamente di eresia o di apostasia. Era, invece, evidente, come già si era dichiarato a Lione nel 1274, la necessità di una riforma del Tempio, come anche degli altri ordini religiosi, al fine di purificarli da quei tratti antievangelici che si erano introdotti con il tempo, come, appunto, il rituale “nonnistico” di ammissione dei novelli Cavalieri.
Il Papa si decise, illudendosi di poter ancora tentare una conciliazione con la posizione regia, a proporre, per il futuro, una unificazione dei Templari con l’Ordine degli Ospitaleri, congiuntamente ad una riforma interna. Alla fine dei colloqui, comunque, assolse i Templari che il re gli aveva inviato e li reintegrò nella piena comunione. Nominò il cardinal Pierre de La Chapelle custode ufficiale dei Templari penitenti ed il 10 luglio fece ripetere la loro assoluzione .

Il re non poteva essere contento dell’esito dell’interrogatorio papale che spostava nel tempo la voluta soppressione dell’Ordine. Il colloquio si era, alla fin dei conti, risolto favorevolmente ai Templari, pur nell’ammissione delle colpe oramai evidenti. Filippo il Bello si allontanò, allora, da Poitiers, ma vi lasciò una persona di sua fiducia a spiare le mosse pontificie, l’avvocato Guillaume de Plaisians.

Il 5 luglio del 1308 il Papa aveva restituito all’Inquisizione il potere giudiziale, ma con una importante cambiamento: dovevano essere i vescovi locali a gestire i processi. Solo un ruolo marginale vi avrebbero svolto i giudici dell’Inquisizione. Era evidentemente una mossa legata alla convinzione che i Templari non si fossero macchiati di alcun peccato di eresia ed era un modo di segnalare gli abusi di cui si era macchiato il Tribunale dell’Inquisitore di Francia. Il Concilio di Vienne, negli anni 1311-1312, con due differenti costituzioni limiterà il potere dell’Inquisizione; non è difficile leggere un nesso con la vicenda Templare che aveva mostrato al Papa quanto il Tribunale poteva essere piegato alla volontà regia.
Ci è dato così di intravedere con occhi nuovi l’Inquisizione del tempo e le sue responsabilità. Mentre il re si serviva di essa, a suo uso e consumo, ben diverso era l’esito quando essa era integralmente nelle mani della Chiesa. L’Inquisizione era sfuggita di mano al Pontefice. Se, nelle sue mani, assolveva, nelle mani regie condannava.

L’assoluzione papale a Chinon

Il 12 agosto 1308 il Papa emise la bolla Faciens misericordiam – già il titolo era, come sempre avviene nei documenti pontifici, programmatico – nella quale si parlava di un concilio da tenersi entro due anni che si sarebbe occupato, fra l’altro, della futura crociata e della decisione sui templari. Prima di allora nessuno, per volontà del Papa, poteva neanche interrogarli. Clemente V, conscio della debolezza della sua posizione in terra francese, voleva affrontare la questione non solo dinanzi al re, ma all’interno di un consesso più ampio, alla presenza dei vescovi della chiesa intera.
Conoscendo l’importanza della sua mossa, il 13 agosto decretò l’inizio delle ferie estive della Curia Pontificia. Come rivelano le sue mosse successive, voleva distogliere da sé l’attenzione, per poter agire indisturbato dal re durante l’estate.

Qui la Frale apporta il suo contributo personale ed originale alla ricostruzione degli eventi. La sua lunga frequentazione delle deposizioni processuali templari, nella loro versione originale, l’ha portata ad una importante scoperta che arricchisce la nostra comprensione della vicenda:

Nel settembre 2001 stavo rileggendo per l’ennesima volta l’inventario dei documenti sul processo ai Templari conservati nel Fondo di Castel Sant’Angelo dell’Archivio Segreto Vaticano. Non è esagerato dire che lo conoscevo a memoria, avendolo studiato già dal 1994, quando seguivo la specializzazione presso la Scuola Vaticana di Paleografia, e poi un numero imprecisato di volte durante i quattro anni del dottorato presso l’università di Venezia, ma solo quel giorno mi accorsi di un fatto singolare: nell’inchiesta diocesana di Tour, una delle tante udienze locali che Clemente V aveva ordinato di tenere sui Templari in tutta la cristianità, a dirigere gli interrogatori era il cardinale Bérenger Frédol. Mi resi conto che qualcosa decisamente non quadrava: eminente canonista, legato pontificio per le missioni diplomatiche più delicate, membro di spicco del Collegio cardinalizio nonché nipote di papa Clemente V, poteva davvero un personaggio del genere abbandonare la Curia per andarsene in provincia a dirigere una delle tante inchieste diocesane?
Un controllo approfondito rivelò immediatamente tutto. Si trattava dell’udienza tenuta da tre plenipotenziari di Clemente V nelle segrete del castello di Chinon sul Gran Maestro e gli altri dignitari del Tempio che il re di Francia aveva lì segregato onde impedire loro di incontrare il papa; era proprio quel procedimento del quale si dubitava che fosse mai avvenuto, proprio perché noto solo da fonti indirette e in quanto attestava che il papa avrebbe assolto Jacques de Molay e gli altri capi. Il documento era sempre stato nell’Archivio pontificio, praticamente irriconoscibile a causa di una classificazione imprecisa dovuta a un errore verificatosi nel primo Seicento. La lettura del testo non lasciava dubbi: il Gran Maestro del Tempio e gli altri dignitari avevano chiesto il perdono della Chiesa e, dopo l’abiura formale obbligatoria anche per le persone solamente sospettate di contaminazione ereticale, erano stati assolti dall’autorità apostolica e reintegrati nella comunione dei sacramenti[20].

Cosa era avvenuto, allora? Il Papa si era allontanato in vacanza, ma chiedendo segretamente a tre suoi uomini di fiducia, di recarsi a Chinon - dove il controllo era stato allentato proprio a motivo della partenza del Papa - per incontrare personalmente il Gran Maestro ed i suoi collaboratori, lì detenuti nelle mani dei soldati francesi. Furono i cardinali Bérenger Frédol, Étienne de Suisy e Landolfo Brancacci ad essere inviati a Chinon. Così ancora la Frale, ricostruisce gli avvenimenti[21]:

L’atto originale dell’inchiesta avvenuta a porte chiuse nelle segrete di Chinon, da poco rinvenuto dopo settecento anni d’oblio in un fondo dell’Archivio Segreto Vaticano, restituisce l’esito del procedimento, che si concluse con l’assoluzione dei capi e il loro pieno reintegro nella comunione cattolica; molti dettagli mostrano che Jacques de Molay era in profondo conflitto con Hugues de Pérraud, che vi furono intense negoziazioni e cha alla fine il capo templare si piegò alle proposte del papa. Il 20 agosto 1308 l’inchiesta di Chinon si concludeva lasciando lo Stato Maggiore del Tempio assolto dall’accusa di eresia e reintegrato nella comunione dei sacramenti; al rientro dei Commissari in Curia il papa fece preparare una seconda versione della sua bolla Faciens misericordiam, una versione “aggiornata”, che ribadiva i concetti espressi nella prima uscita, ma aggiungeva la notizia che i capi del Tempio erano stati assolti e ora si trovavano protetti in un’isola d’immunità giudiziaria perché nessuno, eccetto il romano pontefice, avrebbe più potuto anche solo interrogarli[22].

La proposta del Papa, della quale i cardinali si facevano latori, era quella ormai maturata nell’interrogatorio dei Templari che aveva incontrato a Poitiers: l’unificazione del Tempio con l’altro ordine crociato più rappresentativo, quello degli Ospitalieri.

Il nuovo tassello, da molti ipotizzato, ma solo ora conosciuto con una prova documentaria attraverso la scoperta della Frale dell’incontro a Chinon del Gran Maestro con i cardinali emissari del Papa, spiega il successivo svolgersi degli eventi. Il re, appena conosciuti i fatti, rispose riaprendo la questione di Bonifacio VIII, per trovare motivo di opporsi a Clemente V, intimorirlo e farlo ritornare sui suoi passi.
La minaccia era quella di far riesumare Bonifacio dalla tomba, giudicarlo come illegittimo e deporlo da morto (come era avvenuto alla fine del IX secolo con Formoso).
Ancora una volta la politica del re fu quella di mostrare la sua risolutezza nel mostrare ed imporre il suo primato decisionale su quello del Pontefice, rifiutandosi di accogliere la decisione pontificia di riammissione nella comunione del Gran Maestro e dei suoi più stretti collaboratori. Sempre più si prospettava all’orizzonte la minaccia che il re desse vita ad una Chiesa francese, autonoma dal Vescovo di Roma per essere più asservita alla monarchia di Francia.

Nell’ottobre 1308, il re fece bruciare il vescovo Guichard di Troyes, accusato di stregoneria, ma assolto dal Papa. Il suo disegno era di provare che l’eresia si era infiltrata dappertutto nella Chiesa cattolica, per poter più agevolmente attaccarla. Voleva mostrare che tutti, Papi, vescovi, religiosi e monaci dei vari ordini, erano eretici.

Solo a questo punto il Papa si arrese, spossato anche dalla malattia, dinanzi alla crescente ostilità del re. Nell’agosto del 1309 si rassegnò alla decisione dello scioglimento definitivo dell’Ordine. Si risolse a questo difficile passo, a motivo del suo desiderio di salvare l’unità della Chiesa, che vedeva in pericolo in caso di uno scontro aperto con la Francia ed a motivo della sua convinzione di riuscire così a salvare la vita dei Templari stessi.
Lo fece, inviando una lettera a tutti i vescovi che avevano aperto il procedimento contro i Templari. Pur essendo stati incaricati dal Papa già da un anno del procedimento, che era stato sottratto al Tribunale di Francia, erano in attesa di un segnale dal Pontefice, per poter procedere. Nella lettera Clemente V spiegava che non era il caso di attendere una nuova regola, una riforma del Tempio, da lui scritta, come era stato nell’aria, fino a quel momento. Egli non l’avrebbe scritta ed era perciò il caso di procedere con il regolare svolgimento delle udienze.

Possiamo seguire i differenti esiti dei processi che si svolsero tra il 1309 ed il 1310, nelle varie Diocesi nelle quali erano presenti i Templari. Ad esempio, Rinaldo da Concorezzo a Ravenna li assolse, Peter a Magonza fece fare un inventario dei beni per proteggerli, in attesa di un ripristino della libertà dell’Ordine.
Le accuse furono ovviamente più gravi in Francia, meno a Cipro o nell’area iberica.
Nel 1310, il re fece bruciare 54 templari dichiaratisi innocenti, contro il parere dei teologi della Sorbona.
Alla fine del 1311 tutta la documentazione dei differenti processi tornò al Papa che, a Maucène, per settimane, li esaminò insieme ai Padri conciliari. Si era, infatti, riunito nell’ottobre 1311 il Concilio di Vienne, secondo il progetto del Papa che si era così espresso, come già abbiamo visto, fin dal 1308.

La fine dei Templari

Clemente V aveva già deciso di cedere al re, come abbiamo visto, timoroso della sua reazione in caso contrario. Tutto era già pronto per la sospensione, quando anche il re Filippo il Bello si presentò al Concilio il 20 marzo 1312. Fu allora che la triste decisione del Papa fu ufficializzata con la Vox in excelso[23] del 22 marzo 1312, confermata e specificata il 2 maggio 1312: l’Ordine del Tempio era sospeso e, fino ad una nuova decisione papale, non esisteva più. I Cavalieri del Tempio erano, però, salvi. Potevano entrare in un altro Ordine. I beni sarebbero invece stati trasferiti agli Ospitalieri. Su questo punto il Papa non cedette e si oppose a chi voleva l’istituzione di un nuovo ordine, che sarebbe stato sicuramente obbediente al re di Francia e che gli avrebbe condotto tutti i beni dei Templari. Il passaggio dei beni agli Ospitalieri fu sancito per tutti gli Stati, tranne per la penisola iberica (Castiglia, Aragona, Portogallo e Maiorca).
Soprattutto il Papa sanciva l’immunità per i capi del Tempio. Essi, assolti personalmente dai cardinali, in nome del Papa, dovevano avere salva la vita. Erano sì colpevoli dei peccati di cui erano accusati e che avevano infine ammesso e confessato, ma nessuno di questi era un peccato di eresia o di apostasia.

E’ a questo punto, probabilmente, che de Molay, ancora recluso, si pentì di aver accettato la mediazione papale a Chinon. Clemente V non era riuscito a salvare l’Ordine.
I Templari tentarono una resistenza ideale intorno a Pietro di Bologna, che si oppose con argomenti giuridici alla decisione. Di Pietro di Bologna si persero le tracce; probabilmente fu fatto sparire per metterlo a tacere. A tutti fu impedito di parlare con de Molay. Ma il re non era ancora soddisfatto. La sola esistenza del Gran Maestro era un atto di accusa contro il suo operato. Così la Frale:

Agli inizi del 1314 la situazione era ancora immutata e il re premeva che si decidesse della sorte dei dignitari, i quali rappresentavano per l’accusa una specie di mina vagante: poiché Clemente V li aveva di fatto assolti da ogni accusa ed essi si trovavano nella comunione cattolica, tanto che Molay ottenne un cappellano personale per celebrargli la messa e l’ufficio liturgico nella sua cella tutti i giorni, e poiché solo il papa avrebbe potuto emettere un verdetto definitivo su di loro, si temeva che un’improvvisa decisione di far valere gli effetti dell’assoluzione di Chinon rimettesse in circolazione lo Stato Maggiore del Tempio, il quale, in quanto sede della massima autorità, si presentava come una radice che avrebbe potuto facilmente rigenerare l’ordine intero[24].

La sorte di de Molay era segnata. Questi gli ultimi momenti della sua vita, nel ricostruzione della Frale:

Viene deciso un colpo di mano per chiudere una volta per tutte la questione templare in modo che non possa più essere riaperta: il re fa rapire Jacques de Molay e Geoffroy de Charny sottraendoli alla legittimità custodia dei Commissari e li manda a morte per rogo su un’isoletta della Senna poco dopo i Vespri. Le fonti che ci hanno tramandato il racconto del rogo concordano nel documentare il grande eroismo dei due dignitari, i quali affrontavano una morte che avevano volontariamente scelto come atto supremo di testimonianza per il proprio ordine. Jacques de Molay chiese ai carnefici di sciogliere le corde che gli stringevano i polsi e poi rivolse gli occhi alla cattedrale di Nôtre-Dame, che già una volta lo aveva visto testimoniare la sua innocenza, e pregò la Vergine Maria cui san Bernardo aveva dedicato l’ordine: i Templari dicevano che nel nome della Madonna tutto aveva avuto inizio e sarebbe finito, così con quella preghiera il Gran Maestro intendeva sancire gloriosamente la fine del Tempio e ne proclamava insieme la perfetta fede cristiana.
La folla presente ribollì in una specie di tumulto e per accendere i roghi fu necessario aspettare che si fosse in parte dispersa; secondo la testimonianza del poeta Geoffroy de Paris, che probabilmente assistette di persona all’esecuzione, Jacques de Molay avrebbe chiamato dinanzi al Tribunale di Dio tanto il re di Francia che li aveva assaliti a tradimento quanto il papa che li aveva abbandonati. Clemente V spirò il 20 aprile seguente, poco più di un mese dopo il rogo: sembra che in punto di morte non si perdonasse la misera fine dei Templari, che pure gli era stata strappata con la viva forza e alla quale aveva sempre cercato di opporsi; Filippo il Bello lo seguì alcuni mesi dopo. Il fatto che entrambi morissero nel volgere dell’anno dopo esser stati chiamati dal Maestro morente a rispondere delle loro colpe dinanzi al giudizio di Dio favorì la fioritura di leggende che si tramandarono nel tempo, alimentate dal mistero di quel coraggio straordinario che i due fieri dignitari avevano mostrato dinanzi ai carnefici. Settecento anni dopo quell’evento il mito dei Templari, fatto di storia vera come pure di moltissime invenzioni, è ancora incredibilmente vivo; la ricerca ci ha regalato nuove certezze le quali aprono ulteriori sentieri d’indagine per procedere alla scoperta di quanto ancora dev’essere chiarito. Clemente V non lanciò mai sentenze di condanna contro i Templari, ma anzi provvide a sollevare quella scomunica nella quale, a norma del diritto canonico, i Templari si erano invischiati da soli; quell’assoluzione non è mai più stata revocata e la sentenza di sospensione contro l’ordine sancita nel concilio di Vienne permane ancora immutata, dopo sette secoli, nella forma di un provvedimento non definitivo. Il Gran Maestro e il Precettore di Normandia, rapiti e uccisi dal sovrano prima che la Commissione delegata a giudicarli potesse emettere un verdetto, morirono nello stato in cui li aveva posti l’autorità pontificia: cioè i cristiani assolti e reintegrati nella comunione cattolica, così come i plenipotenziari apostolici avevano sancito per ordine di Clemente V a Chinon[25].

I punti ancora oscuri e la leggenda

Nonostante il rigoroso lavoro della Frale, che abbiamo cercato di seguire passo passo, non perdono d’interesse per la ricerca storica futura aspetti dell’esperienza Templare che ancora non si è riusciti, allo stadio attuale, a comprendere perfettamente; essi ci appaiono, però ora, nella loro giusta luce, quella di un ordine monastico crociato:

Sul Tempio c’è dunque ancora molto da scoprire: non ultimo, un culto speciale della Passione di Cristo celebrato durante la sera del Giovedì Santo, in commemorazione dell’Ultima Cena, nel quale i Templari probabilmente ricevevano la comunione sotto la sola specie del Vino, inteso come Sangue eucaristico cioè bevanda di vita eterna. Questa singolarissima pratica cultuale è stata sottoposta all’attenzione di diversi specialisti di liturgie orientali ed è tuttora in corso di studio anche grazie al contributo di alcun bizantinisti del Pontificio Istituto Orientale di Roma: al momento quanto si può dire è che essa non ha precedenti altrove, era ignota alla Chiesa latina, è specifica dei Templari che sembrerebbero averla mutuata da antiche tradizioni religiose popolari specifiche della città di Gerusalemme, forse addirittura di età paleocristiana. Il culto sembra proporre suggestive connessioni con la leggenda del Santo Graal, tradizionalmente interpretato come la coppa miracolosa che Gesù usò durante l’Ultima Cena per istituire l’Eucarestia, oppure come il contenitore in cui Giuseppe d’Arimatea raccolse il sangue misto ad acqua uscito dal costato di Cristo dopo la crocifissione; è un’associazione mentale lecita, ma lo storico, in mancanza di prove certe, deve fermarsi al semplice accostamento di contenuti[26].

Ed è proprio la fedeltà alla Chiesa cattolica ed al Pontefice – che caratterizzò tutta la storia dei Cavalieri del Tempio – a rendere evidente l’impossibilità di qualunque pretesa filiazione successiva. L’Ordine potrebbe rinascere ad una condizione: una decisione pontificia che annulli la sospensione dell’antico Ordine crociato dei Cavalieri del Tempio:

Un altro punto di discussione frequente sulla storia dei Templari riguarda la fine dell’ordine, che una bolla di Clemente V intitolata Vox in excelso sospese nel 1312. L’argomento ha un certo rilievo nell’attualità: se infatti vi sono diverse associazioni no profit che semplicemente si ispirano ai valori del Tempio per promuovere lodevoli iniziative culturali, folkloristiche e di beneficenza, altri gruppi si proclamavano invece “eredi” dell’ordine proprio come se esso non si fosse mai estinto, in virtù di una sopravvivenza al processo e al rogo dell’ultimo Gran Maestro che si presume mantenuta fino a oggi. Il Tempio era un ordine religioso e militare, vale a dire che i suoi appartenenti erano soldati inquadrati in un esercito stabile, celibi o vedovi, comunque impegnati a non avere moglie e figli, a serbare il voto di obbedienza e non possedere beni personali: quanti di questi gruppi odierni presentano tali fondamentali caratteristiche dell’ordine? A parte questo dato di fatto, vi è l’ostacolo insormontabile del diritto canonico imposto dallo stesso Clemente V che al momento di sospendere l’ordine mise fuori legge qualunque tentativo di ripristinarlo senza i consenso pontificio, lanciando persino la scomunica contro chiunque osasse utilizzare il nome e i segni distintivi del Tempio; è vero che il papa si rifiutò di condannare l’ordine e la sospensione a suo carico fu stabilità con una sentenza non definitiva, ma quel provvedimento è ancora lì da settecento anni e solo l’autorità di un altro pontefice romano successore d Clemente V potrebbe modificarne le disposizioni[27].


Appendice: un articolo di Umberto Eco sul lavoro sui Templari di Barbara Frale

In Appendice al nostro articolo ripresentiamo on-line un breve testo di Umberto Eco, pubblicato nella rubrica La bustina di Minerva, nell’ultimo numero di novembre 2004 dell’Espresso. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la messa a disposizione on-line di questo testo non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto.

L’Areopago

L'Eco dei Templari, un articolo di Umberto Eco

L'ordine venne sciolto da Clemente V all'inizio del XIV secolo. Da allora chiunque può rifondarlo così come può dichiararsi sommo sacerdote di Iside e Osiride.
 
Fate nascere un ordine monastico-cavalleresco, fatelo diventare straordinariamente potente sia militarmente che economicamente. Trovate un re che voglia sbarazzarsi di quello che è ormai diventato uno Stato nello Stato. Individuate gli inquisitori adatti, che sappiano raccogliere voci sparse e comporle in un mosaico terribile: un complotto, crimini immondi, innominabili eresie, corruzione e una buona dose di omosessualità. Arrestate e torturate i sospetti. Chi ammette e si pente avrà salva la vita, chi si dichiara innocente finirà sul patibolo. I primi a legittimare la costruzione inquisitoriale saranno le vittime, specie se innocenti. Infine, incamerate gli immensi beni dell'Ordine. Questo fondamentalmente ci insegna il processo intentato ai cavalieri Templari da Filippo il Bello.
Segue la storia del mito templare. Immaginate che molti siano rimasti scossi da questo processo e, oltre ad avvertirne l'ingiustizia, come accadde persino a Dante, siano rimasti affascinati dalle dottrine segrete attribuite ai Templari e colpiti dal fatto che la maggior parte dei cavalieri non fosse perita sul rogo e allo scioglimento dell'ordine si fosse come dissolta. All'interpretazione scettica (con la paura che si erano presa, hanno cercato di rifarsi una vita altrove, in silenzio) si può opporre l'interpretazione occultistica e romanzesca: sono entrati in clandestinità, ci sono attivamente restati per sette secoli, Essi sono ancora tra noi.
Niente è più facile che trovare un libro sui Templari. L'unico inconveniente è che nel 90 per cento dei casi (mi correggo, 99) si tratta di bufale, perché nessun argomento ha mai maggiormente ispirato le mezze calzette di tutti i tempi e di tutti i paesi quanto la vicenda templare. E via con la continua rinascita dei Templari, con la loro costante presenza dietro le quinte della Storia, tra sette gnostiche, confraternite sataniche, spiritisti, ordini pitagorici, rosacrociani, illuminati massoni e Priorato di Sion. Talora la bufala è così smaccata, come nel caso de Il santo Graal di Baigent, Leigh e Lincoln (Mondadori, 1982), che l'evidente e spregiudicata malafede degli autori consente almeno al lettore dotato di buon senso di leggere l'opera come divertente esempio di fantastoria. Come sta avvenendo ora con il Codice Da Vinci, che scopiazza e rielabora tutta la letteratura precedente. Ma stiamo attenti, perché migliaia di lettori creduli vanno poi a visitare il teatro di un'altra bufala storica, il paesino di Rennes-le-Château.
L'unico modo per riconoscere se un libro sui Templari è serio è controllare se finisce col 1314, data in cui il loro Gran Maestro viene bruciato sul rogo. Tra i libri che si arrestano a quella data era uscito da Einaudi nel 1991 I Templari di Peter Partner.
Ora il Mulino pubblica I templari di Barbara Frale, una studiosa che ha dedicato anni di lavoro e altre opere a questo argomento. Sono meno di 200 pagine, e si leggono con gusto. Ricchissima la bibliografia (seria). Barbara Frale non si scandalizza troppo per certi aspetti successivi del mito templare, anzi ne vede con qualche simpatia certi svolgimenti romanzeschi (ai quali dedica però solo due paginette conclusive), ma solo perché possono suscitare nuove serie ricerche su tanti aspetti ancora oscuri della 'vera' storia dei templari. Per esempio c'era davvero un rapporto tra i Templari e il culto del Graal? Non si può escludere, visto che persino un loro contemporaneo, Wolfram von Eschenbach, ne favoleggiava. Ma osserverei che i poeti, teste Orazio, sono autorizzati a fantasticare, e uno studioso del prossimo millennio che trovasse un film d'oggi che attribuisce a tale Indiana Jones la scoperta dell'Arca dell'Alleanza non avrebbe ragioni per trarre da questa divertente invenzione alcuna conclusione storiograficamente corretta.
Quanto al fatto che però l'antica vicenda non sia ancora del tutto chiara, Barbara Frale accenna ad alcune sue recenti scoperte in archivi vaticani che indurrebbero a vedere in modo nuovo il ruolo della chiesa nel processo. Ma, per lo sconforto di chi ancora oggi esibisce talora un biglietto da visita che lo qualifica come Templare, ricorda che Clemente V, al momento della sospensione dell'ordine, aveva messo fuorilegge qualsiasi tentativo di ripristinarlo senza il consenso pontificio, lanciando addirittura la scomunica contro chiunque utilizzasse il nome e i segni distintivi del Tempio. D'altra parte, nel 1780, argomenti del genere usava Joseph de Maistre per liquidare i neotemplaristi dei tempi suoi.
L'ordine templare esisteva in quanto riconosciuto dalla Chiesa e dai vari Stati europei, e come tale è stato formalmente disciolto all'inizio del XIV secolo. Punto. Da quel momento, visto che nessuno ne possiede più il copyright, ciascuno ha il diritto di rifondarlo, nello stesso senso in cui chiunque può dichiararsi sommo sacerdote di Iside e Osiride, e al governo egiziano la cosa non fa né caldo né freddo.


Alcune tesi sui Templari. Il Tempio ed il Codice da Vinci
a cura dell’Areopago

Ci permettiamo di scrivere, come passatempo, in appendice al breve studio sui Templari, una nota sulla marmellata di luoghi comuni presente nell’opera di Dan Brown, Il Codice da Vinci. Il testo dell’autore americano può essere istruttivo come repertorio di affermazioni non solo non comprovate dalla storia, ma piuttosto in antitesi con essa. Dire una parola sull’ideologia – adoperiamo questo termine, che ha una sua nobiltà, qui in maniera impropria, per indicare una impostazione di parte che l’autore lascia trasparire - di D.Brown può avere una sua utilità, non tanto per la presunta originalità di essa, ma, al contrario, proprio perché essa non è visione “segreta”, “misterica”, “esoterica”, ma piuttosto espressione di una mentalità dominante e massmediale sull’esperienza templare che preferisce evitare la fatica di misurarsi con i testi e la serietà della storia.
Nella stessa linea vedi lo studio di Andrea Lonardo Dal Codice da Vinci di Dan Brown ad una più rispettosa lettura iconografica del Cenacolo di Leonardo nel Refettorio di S.Maria delle Grazie a Milano, nella sezione Arte e fede del sito www.gliscritti.it

Queste in sintesi le problematiche sollevate dai personaggi di Dan Brown che fraintendono completamente l’esperienza templare nelle brevi righe con le quali viene liquidata dal Codice da Vinci la gloriosa e poi tragica storia templare:

1) Il Priorato di Sion – creato nel 1956![28] – non solo sarebbe l’erede dell’esperienza templare, ma ne sarebbe l’origine. I Templari nascerebbero dal Priorato, ne sarebbero figli. Ecco i Templari, allora, completamente svincolati dalla spiritualità crociata, di cui sono invece, l’espressione per eccellenza.Si sarebbero intrufolati in una storia non loro, quella crociata, per fini privati.
La loro presenza in difesa dei Luoghi Santi e dei pellegrini sarebbe pertanto una “scusa”, un diversivo.

2) Nel romanzetto di Brown si racconta del loro voto di povertà, ma nulla viene detto del loro voto di castità e della loro promessa di obbedienza al Papa. Il voto di castità, infatti, farebbe cadere l’idea di una discendenza custode di segreti, il loro amore alla Chiesa cattolica, nell’obbedienza alla Chiesa di Roma, sbugiarderebbe il presunto carattere anti-clericale dei Templari. Niente viene detto altresì dell’amore alla Madonna che caratterizzava i Cavalieri del Tempio, né dei momenti liturgici quotidianamente vissuti, dalla liturgia eucaristica alla preghiera dei Salmi da essi celebrata, secondo la tradizione monastica cristiana.
Sono chiaramente sottaciute anche le battaglie che li videro insieme a tutti gli altri cavalieri crociati, fino alla caduta di Acri, nella quale morì il Gran Maestro del tempo.
Neanche una parola viene detta a spiegare che i beni custoditi dai Templari erano le offerte che essi, proprio in quanto élite dei Cavalieri Crociati, ricevevano dai nobili e dal popolo, per le nuove crociate che venivano via via organizzate.
E’ così difficile rendersi conto che esaltare il movimento Templare vuol dire rivalutare le tanto bistrattate crociate medioevali?

3) Non viene spiegato, nella confusione del testo di Brown, cosa sia l’esenzione degli ordini religiosi. Essa è stabilita dal Papa, per permettere agli Ordini religiosi una mobilità missionaria maggiore ed una libertà interna, pur nel rispetto del ministero del vescovo nei vari luoghi di apostolato dei monaci esenti. Egli stesso, il Pontefice, si fa garante della loro cattolicità, a lui i monaci direttamente offrono l’obbedienza. Per questo la loro obbedienza non va innanzitutto al vescovo nella cui Diocesi la loro comunità risiede (sono “esenti” dall’autorità episcopale). Nessun ricatto o compera, quindi, ma un diverso modo di vivere l’unica obbedienza nella Chiesa, attraverso la pronta obbedienza al Papa.

4) Papa Clemente V è considerato dagli storici, prima delle ricerche della Frale, un irrisoluto, che, dinanzi all’arroganza di Filippo il Bello, non seppe difendere i Templari e si vide costretto a sacrificare l’esistenza dell’Ordine, pur di mantenere un modus vivendi della Chiesa con la Corona francese. E’ lecito attenersi a questa valutazione, senza accogliere le ben più benevole affermazioni storiche della Frale, come noi abbiamo proposto, ma non certo vederlo come un astuto macchinatore, deciso e crudele, che coinvolge il re in un complotto anti-templare, ordito dalla Sede Apostolica e non dalla Corona francese. Il Papa stesso avrebbe scritto gli ordini di cattura dell’ottobre 1307, ai quali invece cercò di ribellarsi?

5) Se, contro i suoi desideri, il Papa dovette accettare di dichiarare la sospensione dell’Ordine del Tempio, certo è che esso finì con il 1312. Un Ordine che ha nei suoi statuti la promessa di fedeltà al Pontefice e che nasce per una precisa approvazione della sua Regola da parte della Sede apostolica, certo non può vivere, una volta che la Chiesa che lo ha generato ne decreta, con amarezza, la fine. Chi si appropri indebitamente di quel nome, non ha la minima idea di cosa sia un Ordine religioso, di cosa sia un monaco cattolico, di cosa sia la spiritualità crociata.

Ecco di seguito le righe di Dan Brown che ci elencano le “geniali” affermazioni storiche sui Templari dei personaggi del romanzetto (D.Brown, Il Codice da Vinci, Mondadori, Milano, 2003, pagg.189-192):

Per recuperare i documenti dalle rovine, il Priorato creò un proprio braccio militare, un gruppo di nove cavalieri chiamato l’Ordine dei Poveri Cavalieri di Cristo e del Tempio di Salomone”. Langdon fece una pausa. “Più noto come i templari.”
Sophie sollevò la testa, sorpresa. Langdon aveva tenuto abbastanza conferenze sui templari per sapere che li conoscevano tutti, almeno di nome. Per gli studiosi, la storia dei templari era un mondo precario, dove fatti, leggende e disinformazione errano così intrecciati che ritrovare la verità era quasi impossibile. Oggigiorno, Langdon esitava a nominarli nelle sue conferenze, perché quel nome portava sempre a un mucchio di domande su varie teorie basate sul concetto di complotto. Sophie lo guardò con preoccupazione. “Intendi dire che i templari sono stati fondati dal Priorato di Sion per recuperare una raccolta di documenti segreti? Pensavo che fossero stati creati per proteggere i luoghi santi.”
Un equivoco comune. L’idea di proteggere i pellegrini era la scusa scelta dai templari per compiere la loro missione. Il loro vero scopo in Terra santa consisteva nel recuperare i documenti dalle rovine del tempio.”
E li hanno trovati?”. Langdon sorrise. “Nessuno lo sa con certezza, ma c’è un particolare su cui tutti gli studiosi concordano: i cavalieri hanno di certo scoperto qualcosa fra le rovine, e questa scoperta li ha resi ricchi e potenti al di là di ogni immaginazione.”
Langdon le fece in fretta il riassunto della storia dei templari comunemente accettata dagli storici, spiegandole che i cavalieri erano in Terra santa durante la seconda crociata e avevano detto a re Baldovino II di essere laggiù per proteggere i pellegrini cristiani durante il cammino. Anche se non ricevevano pagamento e facevano voto di povertà, i cavalieri avevano detto al re di avere bisogno di un rifugio e gli avevano chiesto il permesso di stabilire la loro residenza nelle stalle sotto le rovine del tempio. Re Baldovino aveva accolto la richiesta dei cavalieri, che erano andati ad abitare, in condizioni misere, all’interno del tempio distrutto. Quella strana scelta, spiegò Langdon, non era affatto casuale. I cavalieri pensavano che i documenti cercati dal Priorato fossero sepolti in profondità sotto le rovine, e in particolare sotto il sancta santorum, la sacra camera dove si pensava risiedesse la presenza di Dio, letteralmente il centro della fede ebraica. Per quasi un decennio i nove cavalieri erano vissuti nelle rovine e avevano scavato in totale segretezza nella roccia. Sophie lo fissò. “E tu dici che hanno scoperto qualcosa?”
Certo” rispose Langdon, spiegando come avessero impiegato nove anni, ma avessero finalmente trovato quello che cercavano. Avevano poi portato via il tesoro ed erano tornati in Europa, dove in breve erano diventati potentissimi. Nessuno sapeva se i cavalieri avessero ricattato la Chiesa o se fosse stata questa a cercare di comprare il loro silenzio, ma il papa Innocenzo II aveva immediatamente emanato una bolla papale senza precedenti, che attribuiva ai templari un potere illimitato e li dichiarava “una legge in se stessi”, un esercito autonomo, sottratto a qualsiasi interferenza di re e di prelati, di religione e di politica. Con la carta bianca fornita loro dalla Chiesa, i templari si erano ingranditi con rapidità stupefacente, sia come numero, sia come forza politica, accumulando grandi proprietà in una decina di nazioni. Avevano cominciato a prestare denaro ai sovrani in bancarotta e a farsi pagare interessi, fondando così il moderno sistema bancario e accrescendo ancora di più la loro ricchezza e la loro influenza. Verso il 1300, la bolla papale aveva permesso ai templari di ottenere un tale potere che il papa Clemente V aveva deciso di prendere provvedimenti. Operando di concerto con il re di Francia Filippo IV, il papa aveva studiato un’ingegnosa operazione lampo per eliminare i templari e impadronirsi del loro tesoro, impossessandosi così del segreto che minacciava la Chiesa. Con un’operazione militare degna della CIA, il papa Clemente aveva inviato ordini segreti sigillati che dovevano essere aperti contemporaneamente dai suoi soldati in tutta Europa il venerdì 13 ottobre del 1307.
All’alba del giorno 13, i documenti vennero aperti e il loro stupefacente contenuto fu rivelato. La lettera di Clemente diceva che Dio gli era apparso in una visione e l’aveva avvertito che i templari erano eretici, colpevoli di adorare il diavolo, di omosessualità, vilipendio della croce, sodomia e altri comportamenti blasfemi. Il papa Clemente era stato incaricato da Dio di ripulire la terra catturando tutti i templari e facendogli confessare con la tortura i loro crimini contro Dio. Quel giorno innumerevoli cavalieri erano stati catturati, torturati spietatamente e infine bruciati come eretici. L’eco della tragedia rimane tuttora nella cultura moderna: ancora oggi il venerdì 13 è considerato di cattivo augurio. Sophie aveva l’espressione confusa. “I templari sono stati cancellati? Pensavo che gruppi di templari esistessero ancora ai giorni nostri.”

Certo, sotto vari nomi. Nonostante le false accuse di Clemente e i suoi sforzi per cancellarli, i cavalieri avevano alleati potenti, e alcuni riuscirono a sfuggire alle epurazioni della Chiesa. Il grande archivio di documenti dei templari, che a quanto pare costituiva la fonte del loro potere, era il vero obiettivo di Clemente, ma gli era sfuggito tra le dita. I documenti erano da tempo affidati all’artefice segreto dei templari, il Priorato di Sion, la cui segretezza li aveva tenuti al sicuro, lontano dal massacro della Chiesa. Mentre la Chiesa colpiva i templari, il Priorato aveva portato via, di notte, i documenti, trasferendoli da una comunità templare parigina a una nave ancorata a La Rochelle.”
E dove sono finiti?” Langdon si strinse nelle spalle. “Questa risposta è nota solo al Priorato di Sion. Dato che ancora oggi si cercano i documenti e si specula sul loro nascondiglio, si pensa che siano stati spostati parecchie volte. Attualmente si ritiene probabile che siano in qualche parte dell’Inghilterra.”

In conclusione, possiamo enunciare alcune tesi:

1) I Templari nascono in seno alla Chiesa medioevale e, precisamente, all’interno della spiritualità crociata, subito dopo la prima di esse. L’iniziativa è del 1118 o, forse, del 1119, quando nove cavalieri, fra i quali Andrea di Montbard, zio di S.Bernardo, fanno voto di proteggere, anche a crociata terminata, i pellegrini e le vie che conducono a Gerusalemme. Lo stesso Bernardo ne tesserà l’elogio con il De laude novae militiae, scritto fra il 1130 ed il 1136.

2) La Regola dei Templari, ispirata da S.Bernardo di Chiaravalle, la loro preghiera, la loro obbedienza alla Chiesa cattolica ed al Papa in particolare, il loro amore ai Santi ed alla Madonna, la loro difesa dei Luoghi Santi e dei Pellegrini ne fanno uno dei differenti Ordini religiosi della Chiesa cattolica nel Medioevo.

3) Il particolare attaccamento al Papa e la loro fedeltà, insieme alla necessità di garantirne una libertà di azione svincolata dai vescovi locali, motivano la decisione del Pontefice di concedere loro l’esenzione (la stessa cosa avviene contemporaneamente per i Cistercensi e per gli Ospitalieri e, nei decenni successivi, per i francescani ed i domenicani e, pian piano, per tutti gli Ordini religiosi, ad esempio per i gesuiti come per le altre congregazioni).

4) Il Papa Clemente V cercò di salvare l’Ordine del Tempio, una volta compreso di essere stato ingannato dal re, ma, alla fine, fu sconfitto. Il potere civile decretò la fine di un Ordine contro il desiderio della Chiesa. La questione Templare è espressione di quella lotta per la libertà della Chiesa che Bonifacio VIII aveva iniziato contro Filippo il Bello e che portò quest’ultimo, dopo il suo tentativo di rapimento di Bonifacio VIII ad Anagni, ad eliminare una presenza come quella Templare che, per la sua consonanza con le posizioni pontificie, gli era troppo scomoda. Fu il re a decidere il rogo dell’ultimo Gran Maestro.

5) Un Ordine che ha fra le sue caratteristiche fondative e permanenti la sua fedeltà al Papa, solo da esso può essere riconosciuto, approvato ed eventualmente rifondato. Ogni altro tentativo di imitazione è una contraffazione, simile ad un vino di pessima qualità, non D.O.C.

Le correnti pseudo-storiografiche che inneggiano ai Templari stanno esaltando una delle esperienze della Chiesa cattolica medioevale e, attraverso di essa, stanno riconoscendo il valore permanente della testimonianza dell’uomo medioevale.
Di questo possiamo esser loro veramente grati.


Note

[1] B.Frale, I Templari, Il Mulino, Bologna, 2004, pag. 174. Questo volume è appunto una sintesi dei suoi più ponderosi studi L’ultima battaglia dei Templari. Dal “codice ombra” d’obbedienza militare alla costruzione del processo per eresia, Viella, Roma, 2001 e Il Papato e il processo ai Templari. L’inedita assoluzione di Chinon alla luce della diplomatica pontificia, Viella, Roma, 2003.

[2] Non possiamo addentrarci qui nelle complesse problematiche storiografiche sul movimento “crociato”. I moderni studi, attraverso una seria ed attenta analisi delle fonti, stanno aprendo nuove prospettive di ricerca ed interpretazione (cfr. su questo il volume collettivo Le crociate. L’Oriente e l’Occidente da Urbano II a San Luigi. 1096-1270, a cura di M.Rey-Delqué, Electa, Milano, 1997, catalogo della mostra esposta al Palazzo Venezia di Roma, dal 14 febbraio al 30 aprile 1997). Maggior rilievo viene dato, ad esempio, al presentarsi alle frontiere dell’Europa delle popolazioni turche, che, nel 1071, sconfiggono i bizantini a Manzikert – non un movimento crociato, dunque, in lotta con il mondo arabo che dovrà, anch’esso, infine, soccombere, nei secoli seguenti, all’egemonia turca, ma piuttosto sollecitato dalle richieste di aiuto bizantino contro il nuovo avversario. Nel famoso discorso di Papa Urbano II, il 27 novembre 1095, a Clermont, questo è il punto in evidenza nella predicazione pontificia (cfr. su questo punto i numerosi studi di Franco Cardini, dai suoi primi lavori come Le crociate tra il mito e la storia, Istituto di cultura Nova Civitas, Roma, 1971 ed Il movimento crociato, Sansoni, Firenze, 1972, ai contributi successivi).
Lo stesso termine “crociata”, che qui adopereremo secondo la consuetudine, come è noto, non è un vocabolo con il quale i “Crociati” definirono se stessi (ed è un anacronismo vederlo usare in film sull’argomento!). “Crociata è un termine raro e tardivo (metà del XIII secolo), derivato dalla croce che i partecipanti cucivano sui loro abiti. All’inizio si parla piuttosto di “viaggio a Gerusalemme” (iter Hierosolymitanum, via Sancti Sepulcri), poi di passaggio o viaggio oltremare” (articolo “Crociate” di C.Morrison, in Dizionario enciclopedico del Medioevo, diretto da A.Vauchez, Città nuova, vol. I, pag. 516). Nelle fonti coeve di parte islamica, analizzate da F.Gabrieli (Storici arabi delle Crociate, Einaudi, Torino, 1987) e A.Maalouf (Le crociate viste dagli arabi, SEI, Torino, 1989) non viene utilizzata la parola “crociata”. L’espressione “hurub as-salibyyah (“guerra della croce”) è un neologismo nella lingua araba, dove appare per influsso dell’illuminismo e del romanticismo (l’uno detrattore, l’altro esaltatore del movimento crociato) occidentali (così ancora F.Cardini, Nel nome di Dio e di Allah in AA.VV. Dossier 1095-1995. Le crociate, pagg.103-104). Nelle fonti arabe antiche si utilizza piuttosto la denominazione di “Franchi” (cfr. su questo F.Micheau, Le crociate nella visione degli storici arabi di ieri e di oggi, pagg.63 segg. in Le crociate. L’Oriente e l’Occidente da Urbano II a San Luigi. 1096-1270, a cura di M.Rey-Delqué, Electa, Milano, 1997).
Per una problematizzazione generale della questione crociata, tesa ad inserirla nel quadro più ampio dell’intera Europa e delle guerre del tempo, vedi il recente C.Tyerman, L’invenzione delle crociate, Einaudi, Torino, 2000.

[3] R.Pernoud, I Templari, Effedieffe, Milano, 2000, pag. 30.

[4] Studi recenti sono stati dedicati all’iconografia dell’Ordine dei Templari, al loro modo di interpretare l’arte e l’architettura medioevale, in funzione dello status di monaci-guerrieri. G.Curzi, nel suo studio La pittura dei Templari, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo, 2002, passa in rassegna i cicli pittorici conservati, con l’alternarsi di scene bibliche con la rappresentazione di Cristo in gloria tra i santi, di scene che rappresentano la vittoria di Costantino sul paganesimo con scene di guerra fra Crociati ed infedeli, di rappresentazioni del giudizio universale alla fine dei tempi, ecc. ecc. E’ conservato anche a San Bevignate, la Chiesa dei Templari a Perugia, l’affresco di Santa Maria Maddalena penitente, secondo l’usuale iconografia medioevale della patrona degli eremiti e dei monaci – così cara anche a Francesco d’Assisi - vissuta in verginità, povertà e preghiera, dopo la sua conversione alla fede cristiana, dovuta al perdono offertole dal Cristo. Le testimonianze residue architettoniche e pittoriche confermano la grande attenzione dei Templari all’uso dell’arte nel contesto liturgico e richiamano “le parole di Giacomo di Molay il quale nel 1309 sosteneva di non conoscere, ad eccezione delle cattedrali, chiese dove gli oggetti di culto, le reliquie e gli ornamenti fossero più pregevoli di quelli delle cappelle dell’Ordine. L’affermazione dell’ultimo Gran Maestro del Tempio costituisce, nel suo evidente compiacimento quasi l’epitaffio di questo lavoro (N.d.R. di G.Curzi) in quanto sgombera definitivamente il campo dall’ipotesi di una normativa intransigente nei confronti della decorazione, della quale, sia pur nel progressivo attenuarsi dell’iniziale rigore, sarebbe rimasta memoria nella posizione del più alto dignitario della milizia. Possiamo dunque trarre una conclusione definitiva... ovvero che la pittura costituisce una presenza ricorrente e “normale” negli edifici degli ordini militari e, segnatamente dei Templari” (op. cit. p.125).
Per una presentazione generale dell’architettura crociata, cfr. P.Deschamps, con fotografie di Zodiaque, Terra Santa romanica, Jaca, Milano, 1990.
Le fonti in nostro possesso ci permettono talvolta un immersione nel dettaglio della costruzione di alcuni edifici templari, come nel caso raccontato dall’archeologo M.Piccirillo in Il castello di Safed in Galilea. Templari e frati minori nel XIII secolo, in L.Marino (a cura di), La fabbrica dei castelli crociati in Terra Santa, Franco Cantini editore, Firenze, 1997, pagg.92-98. Sulla scorta di due documenti coevi, le cronache di due frati francescani, che portano il titolo di De constructione castri Saphet e di Liber recuperationis Terrae Sanctae, Piccirillo ci descrive l’alterna collaborazione fra Templari e francescani – questi ultimi erano stati inviati a Safed, come cappellani dei Templari – nell’opera di restauro in chiave difensiva del castello, fra il 1240 ed il 1266. La storia si concluse tragicamente quando, durante l’assedio posto dalle truppe del sultano Baibars, i crociati infine si arresero, alla promessa che avrebbero avuta salva la vita. I superstiti furono invece decapitati, al rifiuto opposto alla richiesta di farsi musulmani. Ultimi, dopo i Templari, furono uccisi i tre francescani, nella piazza d’armi del castello di Safed.

[5] R.Pernoud, I Templari, Effedieffe, Milano, 2000, pag. 19.

[6] R.Pernoud, I Templari, Effedieffe, Milano, 2000, pag. 30.

[7] B.Frale, I Templari, Il Mulino, Bologna, 2004, pag. 61.

[8] Così F.Cardini: “Oltre ai Templari, nacquero militiae la specifica vocazione delle quali era ospitaliera, come quella di “San Giovanni” (detta poi “di Rodi”, poi “di Malta”) o quella di Santa Maria, riservata ai germanofoni e detta “dei Teutonici”. Nella penisola iberica furono importati gli ordini della Terrasanta, ma se ne crearono anche dei locali (“di Santiago”, “di Alcantara”, “di Calatrava”, “di Montesa”, “di Aviz”). I Teutonici si radicarono nel sud-est europeo, dove sorsero anche altri Ordini (i “Portaspada” detti “di Livonia”)” in F.Cardini, il passagium in Terrasanta, in F.Cardini, R.Salvarani, M.Piccirillo, Verso Gerusalemme, Idealibri, Rimini, 2000, pag.63. Considerazioni analoghe in F.Cardini, Il movimento crociato, in AA.VV., In Terra Santa. Dalla crociata alla Custodia dei Luoghi Santi, Artificio-Skira, Firenze-Milano, 2000 (catalogo della mostra tenutasi al Palazzo Reale di Milano dal 17 febbraio al 21 maggio 2000). Tutti questi Ordini rappresentarono delle forme stabili di organizzazione monastico-militare, tipica del tempo, all’interno del ben più vasto mondo dei partecipanti alle crociate. Per una riflessione sull’evoluzione del monachesimo e delle sue forme, cfr. M.Pacaut, Monaci e religiosi nel Medioevo, Il Mulino, Bologna, 1989. Per uno studio comparato sui diversi ordini monastico-cavallereschi, cfr. A.Demurger, I cavalieri di Cristo.Gli ordini religioso-militari del Medioevo. XI-XVI secolo, Garzanti, Milano, 2004 (Demurger si era fatto conoscere al grande pubblico proprio con uno studio sui Templari, dal titolo Vita e morte dell’Ordine dei Templari., Garzanti, Milano, 1996).

[9] Per una raccolta dei testi di Bernardo sui Templari e le crociate, dal De laude novae militiae alle lettere su singoli episodi della storia templare delle origini, vedi Bernardo di Chiaravalle, I Templari e la seconda crociata, a cura di Alfonso Marini, Piemme, Casale Monferrato, 2002. Per uno studio sistematico sulla questione, vedi F.Cardini, I poveri cavalieri di Cristo. Bernardo di Clairvaux e la fondazione dell’Ordine Templare, Il Cerchio Iniziative editoriali, 1994, Rimini.

[10] B.Frale, I Templari, Il Mulino, Bologna, 2004, pagg. 136-137.

[11] B.Frale, I Templari, Il Mulino, Bologna, 2004, pag. 137.

[12] B.Frale, I Templari, Il Mulino, Bologna, 2004, pagg. 138-140.

[13] B.Frale, I Templari, Il Mulino, Bologna, 2004, pagg. 140-141.

[14] B.Frale, I Templari, Il Mulino, Bologna, 2004, pagg. 142-143.

[15] B.Frale, I Templari, Il Mulino, Bologna, 2004, pagg. 143-144.

[16] B.Frale, I Templari, Il Mulino, Bologna, 2004, p. 117.

[17] Vedi su Luigi IX lo studio di J.Le Goff, San Luigi, Einaudi, Torino, 1996.

[18] Per una precisa ricostruzione delle vicende avignonesi, soprattutto nei riflessi architettonici ed artistici, cfr. lo splendido volume di D.Vingtain con foto di C.Sauvageot, Avignone. Il Palazzo dei Papi, Jaca Book, Milano, 1999. Per uno studio più generale sui motivi dei trasferimenti della residenza pontificia nel Medioevo, cfr. l’articolo di A.Paravicini Bagliani, Residenze Pontificie, in P.Levillain, Dizionario storico del Papato, vol.II, pagg.1243-1248, Bompiani, Milano, 1996.

[19] Il cognome de la Tour derivava proprio dall’aver la famiglia diretto la costruzione della fortezza parigina templare.

[20] B.Frale, I Templari, Il Mulino, Bologna, 2004, pagg. 167-168.

[21] I documenti scoperti dalla Frale sono pubblicati, nell’edizione originaria ed in traduzione italiana, in appendice al suo Il Papato e il processo ai Templari, Viella, Roma, 2003, pagg.198-219.

[22] B.Frale, I Templari, Il Mulino, Bologna, 2004, pag. 156.

[23] Il testo integrale delle decisioni del Concilio di Vienne con tutte le motivazioni ed i distinguo del caso sono reperibili nella versione originaria latina ed in traduzione italiana in Conciliorum Oecumenicorum Decreta (a cura dell’Istituto per le scienze religiose), EDB, Bologna, 1991, pagg.336 e segg.

[24] B.Frale, I Templari, Il Mulino, Bologna, 2004, pag. 165.

[25] B.Frale, I Templari, Il Mulino, Bologna, 2004, pagg. 166-167.

[26] B.Frale, I Templari, Il Mulino, Bologna, 2004, pagg. 168-169.

[27] B.Frale, I Templari, Il Mulino, Bologna, 2004, pagg. 169-170.

[28] “La prova che il Priorato esiste da mille anni dovrebbe consistere nel nome di un piccolo ordine religioso medievale chiamato Priorato di Sion. Questo è effettivamente esistito – e finito – ma non ha relazioni di sorta né con i merovingi né con presunti discendenti di Gesù Cristo”, M.Introvigne, "Il Codice Da Vinci": ma la storia è un'altra cosa, nella sezione Approfondimenti di www.gliscritti.it


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