Il cammino di Gesù nel vangelo di Marco. Una introduzione al suo vangelo (tpfs*)
di mons.Gildo Manicardi

Il testo che mettiamo a disposizione on-line è frutto della collazione di appunti di diverse persone presenti alla meditazione che mons.Manicardi, rettore dell’Almo Collegio Capranica, ha tenuto nella parrocchia di S.Melania, per il ritiro di Avvento, il 4 dicembre 2005. Infatti, purtroppo, la registrazione di quell’ incontro non è stata possibile per inconvenienti tecnici. Presentiamo lo stesso questa sintesi perché, pur non essendo una trascrizione letterale, ci permette di intravedere la ricchezza e la profondità delle chiavi di lettura di Marco offerteci quel giorno.

L’Areopago


Come ci ha detto don Andrea, l’Avvento è un tempo di silenzio, non però un silenzio senza senso, ma un silenzio di ascolto.
Oggi, prima domenica di Avvento e inizio del nuovo anno liturgico, vorrei parlarvi del Vangelo di Marco. E’ lui infatti che ci accompagnerà nel corso dell’anno che incomincia.
La riforma liturgica di 40 anni fa ha aggiunto una cosa importantissima, che prima non c’era: una tecnica di lettura di tutti i Vangeli, in un ciclo triennale. I Vangeli di Marco, Matteo, Luca, si leggono per intero nell’arco dell’anno liturgico, poi si ricomincia da capo. In questo modo, la Chiesa ha voluto dare risalto alle 3 voci degli evangelisti.
Prima invece si leggevano solo i passi più belli del Vangelo, tratti soprattutto da quello di Matteo, in maniera fissa nelle domeniche dell’anno; ciò che importava erano gli episodi, e non le voci degli evangelisti.
Ora, invece ciascun anno liturgico deve essere guidato da un evangelista.
Voi obietterete che i Vangeli sono quattro: che fine fa il Vangelo di Giovanni? Al vangelo di Giovanni non è dedicato un anno in particolare perché si usa in tutti e tre gli anni, nei tempi forti, nei tempi solenni: Avvento, Natale, Quaresima, Pasqua.

Poiché ogni evangelista ha le sue insistenze spirituali, le loro quattro voci insieme diventano una polifonia che all’unisono ci fa sentire la voce di Cristo.
Ora però nel corso della nostra vita e nel ripetersi di questo ciclo triennale, noi dobbiamo imparare a riconoscere, nella polifonia, la voce di ciascuno di loro.
Ogni anno le stesse cose tornano, ma raccontate con una specificità diversa; e nel tornare e nel ricominciare, noi ci arricchiamo.

Parlerò del Vangelo di Marco in maniera schematica, perché ci sarebbe da dire molto di più.
I Vangeli sono ispirati da Dio, ma non sono scritti da Dio: questo vuol dire che Dio muove a scrivere, ma poi parla attraverso l’uomo, attraverso la sua umanità.
Vorrei farvi un esempio: esistono tante versioni musicali del Dies irae, e quando ero giovane ne preferivo uno in particolare, quello di Mozart. Poi ho scoperto quello di Verdi e mi sembrava più bello. Ora che ho i capelli bianchi, sono arrivato a questa conclusione: non vedo perché ne devo scegliere uno per forza, dal momento che ognuno ha una sua caratteristica particolare.
E così è del Vangelo: sempre Vangelo è, ma Marco non è Luca. Assaporarli tutti e tre vuol dire diventare più ricchi.

Il Vangelo di Marco è il più breve e probabilmente il più antico, ed è concentrato sulla persona di Gesù, sui Suoi insegnamenti, potremo dire sulla Sua identità. Marco ci pone questa domanda: chi è Gesù? Conosco veramente Gesù? Sono veramente suo discepolo?
Marco non è stato testimone diretto di Gesù, ma ha cercato nelle prime comunità cristiane quello che veniva ricordato di Lui. Ha preso gli elementi per lui più importanti e ha fatto una grande costruzione.

Marco parte da questa frase: “Come è scritto nel libro del profeta Isaia: Ecco, io mando il mio messaggero davanti a te. Voce di uno che grida nel deserto”. Parla di Giovanni Battista. Avrebbe potuto però cominciare dicendo: “In quel tempo, lungo Il Giordano, si presentò Giovanni Battista”. Il vangelo potrebbe benissimo cominciare così. Ma il vangelo di Marco comincia dal passato, con una meditazione profonda, e così facendo invita noi a meditare in profondità. Si deve arrivare a Giovanni e Gesù, dopo aver compreso come Dio si comporta con l’uomo, come si è comportato nel passato. Isaia è vissuto sette secoli prima di Gesù. Attraverso questo riferimento al libro di Isaia in realtà l’evangelista Marco comincia facendo parlare Dio. “Come è scritto nel libro del profeta Isaia: ecco io mando il mio messaggero davanti a te”. Non è Isaia, il libro è di Isaia, ma colui che dice “ecco, io mando il mio messaggero davanti a te”, quello è Dio.

Le prime frasi sono le più importanti perché servono per ambientarci, Marco ci vuole ambientare nel rapporto fra Dio e Gesù: è Dio che ha inviato Gesù. Marco ci dice: “Ascolta il vangelo e cerca di capire il rapporto fra Dio e Gesù”. Come Gesù è in rapporto con il Padre: questo è il messaggio fondamentale per la nostra vita.

Cosa devo fare della mia vita? Cosa devo fare con quell’amico che mi ha tradito? Devo perdonare? Prima di queste domande, la domanda principale è: ascolta il vangelo e cerca di capire come Gesù è in rapporto con Dio e come Dio è stato in rapporto con Gesù. Questo è decisivo per la nostra vita: non le azioni, ma che Dio ci salva, non le nostre scelte. La grandezza massima della nostra vita viene da Dio, e questo è vero anche per Gesù. E’ per questo che Marco inizia dicendo: “Ecco, io (Dio), mando il mio messaggero (Giovanni Battista) davanti a te che sei Gesù. Lui, Giovanni, ti preparerà la strada, lui sarà voce di uno che grida nel deserto: preparate il cammino per il Signore”. Dobbiamo stare attentissimi a questo rapporto tra il Padre e Gesù, è un punto decisivo. La frase è bellissima, la traduzione corretta sarebbe non “preparate la strada del Signore”, ma “preparate la strada per il Signore”. Non semplicemente la strada che piace al Signore, ma la strada in cui il Signore viene a camminare. Giovanni Battista prepara il cammino che Gesù farà, ma è il cammino che Dio viene a fare con il suo popolo. Questa è la chiave di lettura del vangelo.

Poi Marco ci racconta il battesimo di Gesù: e di nuovo si sente la voce di Dio. Giovanni comincia a preparare il cammino agitando le acque, dicendo: “Ci vuole un battesimo di conversione”. Lungo il Giordano si raccoglievano gli ebrei che erano disposti a chiamarsi peccatori e ad entrare nel cammino del Signore confessando i propri peccati. Poi venivano battezzati. Gesù un giorno si presenta lì. Molto interessante, Gesù era ebreo, figlio di Maria di Nazareth e ha riconosciuto che non basta essere ebrei per entrare nel Regno di Dio, ma bisognava riconoscere di essere peccatori. Lui si presenta non perché sia un peccatore, ma perché riconosce questo principio, che per essere popolo di Dio bisogna saper riconoscere i propri peccati e confessarli. E’ così che ci si santifica, ci si rinnova. Per questo Gesù si fa battezzare.
Mentre Gesù esce dall’acqua i cieli “si lacerano”, dice il vangelo di Marco. Qui la nostra traduzione è sbagliata perché si dice “si aprono”. Se pensate ad una tenda capite la differenza. Io posso aprire una tenda o lacerare una tenda. Nel battesimo di Gesù i cieli si lacerarono, cioè si aprirono per sempre, non aperti e chiusi come una tenda, ma lacerati perché ormai Dio era in comunicazione con Gesù, non erano più sigillati i cieli

Dai cieli squarciati appare una colomba, che è lo Spirito di Dio, che dal cielo scende e si posa su Gesù. Messaggio bellissimo. Lo Spirito di Dio era nel cielo e dominava sulle cose, ma da quando il Padre ha mandato Gesù, lo Spirito di Dio scende raggrumato nella colomba e la colomba si posa su Gesù. E’ il segnale che lo Spirito di Dio viene oramai all’umanità attraverso Gesù. La strada di Gesù è la strada di Dio.

E poi ancora una volta sentiamo la voce di Dio: “Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sono compiaciuto”. In queste parole sono richiamati tre passi dell’Antico Testamento: Tu sei il servo, quello che fa veramente quello che Dio vuole; qui però non dice servo, ma figlio, tu sei il mio diletto. Nell’Antico Testamento c’è un solo figlio diletto, Isacco, che il padre sacrificherà. Ci sono pochi passi nel vangelo importanti come il battesimo di Gesù. Nel battesimo di Gesù il Padre parla a suo Figlio che sta cominciando il cammino e gli dice queste parole bellissime e terribili. Molto importante il riferimento ad Isacco. Tu sei veramente mio figlio, come Isacco era veramente figlio di Abramo, figlio naturale. Ma traspare che questo essere figlio deve passare attraverso una prova terribile.

Non è che Abramo, mentre stava per sacrificare Isacco sul monte, si dimentica di chi è: Isacco rimane per lui il figlio diletto anche quando sta per sacrificarlo. L’essere figlio di Isacco è ciò che dà grandezza al sacrificio. Il Figlio di Dio, Gesù, sarà offerto in sacrificio sul Golgota.

Questo è il cuore del Vangelo di Marco e il cuore del cristianesimo. Noi cominciamo l’Avvento, ci siamo messi in attesa di Dio che viene. Dio, se viene, avrà la faccia che veramente ha. Molti vorrebbero Dio, ma dettando loro quello che Dio deve fare ed il volto che deve avere.

Dopo questo inizio grandioso si continua il racconto con i segni che Gesù fa: “Insegna, ma non come gli scribi”. Gli scribi spiegavano dei testi, come faccio ora io con voi. Gesù invece insegna con autorità: “E’ stato detto… ma io vi dico…” L’insegnamento di Gesù non viene dai libri, ma dalla Sua persona. E’ “una dottrina nuova, insegnata con autorità”.
Anche quando Gesù cacciava i demoni, si vedeva che la sua parola era autorevole, funzionava. E i demoni se la svignavano!
Le guarigioni poi… la bellezza dell’insegnamento traspare dai fatti.
La novità dell’insegnamento di Gesù risulta in modo evidente, è dirompente, e fa scandalo. “Perché i tuoi discepoli mangiano senza essersi lavate le mani? Perché di sabato fate queste cose? Perché non digiunate?”
Un altro elemento di novità del Vangelo di Marco è la scelta dei discepoli: Gesù chiama dei discepoli. Fino ad allora i maestri venivano scelti dagli allievi, come in fondo accade anche oggi - che lo studente scelga una scuola o una università perché c’è un bravo insegnante.
Gesù invece non aspetta di essere scelto, ma chiama lui stesso! Passa e dice: “Vieni, ti farò diventare pescatore di uomini”.

Viene poi il momento della verifica, nel famoso capitolo 8, a Cesarea di Filippo, in cui Gesù chiede ai discepoli: “La gente, chi dice che io sia?” La gente dice cose grandi di Gesù: che è un profeta - e il profeta parla in nome di Dio. Che è Elia, che addirittura non era neanche morto. Gesù è un uomo importante, di prestigio. Ma Lui non è soddisfatto della risposta, e allora si rivolge ai discepoli: “E voi, chi dite che io sia?” Pietro ha risposto: “Tu sei il Cristo”. Pietro ha dato la risposta giusta, tu sei il personaggio unico, singolare, consacrato da Dio. Come te non c’è nessuno.

Faccio un paragone. Oggi tutti dicono che Gesù è un personaggio molto importante. E’ difficile trovare qualcuno che ce l’abbia con Gesù. Più facile prendersela con i preti, con la Chiesa. Nel Corano c’è una grandissima concezione di Gesù. Ma questa grandezza non si traduce nella singolarità. Infatti i musulmani ritengono Maometto il sigillo dei profeti. Gesù è il figlio della vergine Maria, è un grande profeta, ma il sigillo dei profeti è Maometto. I cristiani devono perciò stare attenti, perché non basta avere “stima” di Gesù. Si è cristiani non quando si ha stima di Gesù, ma quando si ha l’idea che Gesù è assolutamente l’unico, il singolare personaggio attraverso il quale Dio parla. Noi ci chiamiamo cristiani infatti perché riconosciamo che Gesù di Nazareth, l’uomo Gesù, è il personaggio assolutamente unico per conoscere Dio. Quello sul quale si è posata la colomba dello Spirito Santo.

A Cesarea però Gesù sgrida Pietro. Subito dopo questo riconoscimento Gesù dice a Pietro di stare zitto, ma perché? Perché chi capisce che Gesù è l’unico e il singolare, deve capire anche un’altra cosa. Al capitolo 8, dopo aver sgridato Pietro, Gesù cominciò ad insegnare che il Figlio dell’uomo deve molto patire, essere rifiutato, essere ucciso e, dopo tre giorni, risuscitare. Questo è il punto centrale perché Gesù “comincia ad insegnare”. Quando un maestro insegna ai suoi discepoli vuol dire che viene fuori proprio quella cosa che lui vuole trasmettere. E lui vuole trasmettere una cosa inaudita: il personaggio che rappresenta Dio sulla terra deve patire, morire, e poi risorgere. Gesù (Isacco), comincia ad insegnare ai suoi discepoli quale sarà il suo destino di Isacco. Di essere avversato, ucciso e resuscitare. E a questo punto la reazione di Pietro: “Prese Gesù in disparte e cominciò a sgridarlo”. Immagino così la conversazione: “Cosa ti è venuto in mente di parlare così? Dai i numeri? Tu morire? Tu sei il Cristo e dovresti morire?” Ma il vangelo dice che Gesù sgridò Pietro e disse: “Torna alla mia sequela, Satana, tu non pensi le cose di Dio, ma dell’uomo”. Capite? Pietro ha appena detto che lui è il Cristo e Gesù gli rimprovera di non pensare le cose di Dio, ma degli uomini, è un Satana. Ho dovuto riflettere molto per capire questo termine. Poi ho capito che questa parola terribile, Satana, svelava che quello che Pietro diceva, era quello che Gesù voleva sentirsi dire. Gli ha detto: torna dietro a me, tentatore! Gesù insegnava sì, che doveva patire e morire, ma davanti a questo aveva un grande terrore.

E allora arriviamo al cuore. Che rapporto ha avuto Gesù con il Padre? Il Padre lascerà passare il Figlio nel dolore ed il Figlio passerà nel dolore non del tutto pacificato. Forse le mie parole vi sembrano strane e posso concedervelo. Cosa vuole dirci Dio con questo? Il dolore c’è, il male c’è. Non possiamo avere una visione di Dio come se il Male e la sofferenza non ci fossero. Dio ama Gesù anche se Gesù soffre, e lo lascia passare attraverso la sofferenza. Questo deve aprirci gli occhi, il disegno di Dio è diverso, non è il disegno che noi ci aspettiamo. Il vangelo testimonia che l’amore di Dio e il dolore non sono due cose opposte. Guardate che nella storia molte persone l’hanno pensato. Chi ha una vita brutta non è amato da Dio. Ma questo non è un pensiero cristiano! In Cristo vediamo che la vita brutta, nel dolore, non vuol dire che Dio non ci ama. Il vangelo ci insegna un’altra cosa bellissima, che di fronte al dolore io soffro. Non è che io voglio soffrire. Che se non voglio soffrire allora mi ribello a Dio. Anche Gesù: ha obbedito, ma ha sofferto.

Passiamo molto rapidamente a dare uno sguardo alla morte di Gesù.
Nell’agonia dell’orto degli ulivi c’è una duplice preghiera: “Padre, se è possibile passi da me questo calice, però non la mia, ma la tua volontà!”
Per molti anni anch’io ho pensato che Gesù avesse cominciato chiedendo che passasse da lui la Passione e poi successivamente si fosse rassegnato. Ma non è così nel vangelo di Marco. Gesù dice sempre le “medesime parole”, all’inizio ed alla fine della preghiera: “se è possibile passi da me questo calice”, certo, “non quello che voglio io, ma quello che vuoi tu”. Non dice all’inizio la prima parte della preghiera, ed alla fine dell’ora del Getsemani, la seconda parte!

Allora capiamo perché Gesù sulla croce, ad un certo punto, grida: “Eloì, Eloì, lemà sabactàni? Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?” Io non riuscivo a capire. Ma come, nel Getsemani si è sottomesso e poi sulla croce ci ha ripensato? I chiodi sono stati così terribili che ci ha ripensato? No, la sofferenza di Gesù mostra il suo amore e il suo amore ci salva. Anche qui ha ripetuto le “medesime parole” del Getsemani.

L’insegnamento più importante di Gesù sapete qual è? E’ in poche parole: “Chi vuole salvare la sua vita la perderà, chi perderà la propria vita per me e per il vangelo, la salverà”. Gesù è venuto ad insegnarci a salvare la vita, non a perdere la vita. Però l’insegnamento di Gesù è che chi vuol salvare salvando perde tutto. E’ venuto a rispondere al nostro desiderio di salvezza dicendo: se vuoi salvare la tua vita davvero la devi perdere.

E lui per primo ha vissuto questo. Perché quando gli dicono: “Scendi dalla croce perché vediamo e crediamo”, se Gesù fosse sceso dalla croce avrebbe salvato la vita, ma l’avrebbe persa.

La scena più bella del vangelo è quella della morte di Gesù. Bella nel senso di profonda. Prima della morte di Gesù ci sono tre ore in cui il cielo è buio. Ma nel buio non si sente alcuna voce da Dio. Nel battesimo si era sentita la voce, alla trasfigurazione era venuta una nube e dalla nube la voce. Alla morte di Gesù non si sente niente. Ma quelle tenebre sono segno, come nell’Antico Testamento, che Dio è presente. Più volte Dio manifesta la sua presenza nel segno delle tenebre. Quelle tenebre, in Marco, non sono un segno apocalittico o puramente descrittivo. Indicano la presenza di Dio stesso. Però, nonostante questa presenza, il Padre tace. Possiamo immaginare che Gesù quando ha visto il “buio” ha sentito Dio. Non c’era solo la gente che diceva: “Scendi giù, salva te stesso”. C’era Dio. Possiamo immaginare la voce di Dio che dice: “Questo è il mio Figlio diletto che muore per tutti voi”, ma la voce non si sente, a differenza del Battesimo e della Trasfigurazione. Allora Gesù fa l’esperienza di Dio che è lì, ma non fa quello che vuole lui. Allora urla: “Eloì, Eloì, lemà sabactàni?” “Dio mio, Dio mio, che sei qui presente, perché mi hai abbandonato?”. E con quel grido muore. Gesù è morto con quel fotogramma terribile. Sotto la croce un po’ di donne. I discepoli sono scappati, c’è un traditore, Pietro l’ha rinnegato, e Gesù muore con il Padre presente nel buio, ma silenzioso.

Dio però lo resuscita: e Gesù ricomincia a camminare. Le donne andranno alla tomba che troveranno vuota. Alle donne venute alla tomba il giorno dopo il sabato, l’angelo dice: “Gesù vi precede in Galilea”. E’ bellissimo quel verbo “precedere”, perché vuol dire che i discepoli, anche se lo avevano tradito, possono riprendere la sequela se gli vanno dietro. Il risorto cammina. Se noi camminiamo dietro al Risorto, quello è il cammino dove Dio viene a camminare. Anche noi dobbiamo camminare dietro al Risorto.

I cristiani veri con la loro esistenza, con il loro cammino, sono coloro che rendono presente Dio. Non bisogna avere paura: “Voi siete il sale della terra”, “voi siete la luce del mondo”. Nel vangelo di Giovanni Gesù dice “Io sono la luce del mondo”, ma anche i cristiani lo sono se veramente sono alla sequela.

Per la nostra riflessione, per il momento di silenzio, chiediamoci allora: ma che tipo di cristiano sono? Seguo Gesù, il Signore Gesù, nella sua comunione con il Padre? La mia vita è presenza di me, o presenza di Dio? Non possiamo fare niente di più grande nella nostra vita che rendere presente il Signore Gesù.


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Una introduzione al Vangelo di Matteo

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Romano Penna, Introduzione al vangelo di Marco
Breve introduzione al vangelo di Luca ed ai suoi temi principali
Per leggere ed amare l’evangelista Giovanni


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