Indetto da Benedetto XVI l’Anno Paolino. Un ritratto di Paolo, l'Apostolo delle Genti, che ha ricevuto la rivelazione del «mistero» di Dio, a cui sarà dedicato il 2008-09
di Andrea Lonardo

L’articolo che mettiamo a disposizione on-line sul nostro sito è stato scritto da don Andrea Lonardo, direttore dell’Ufficio catechistico di Roma, per Romasette di Avvenire dell’8 luglio 2007, nella pagina dedicata dal settimanale a presentare l’indizione dell’Anno Paolino. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line del testo.

Il Centro culturale Gli scritti (12/7/2007)


Tremilacinquecento chilometri per giungere fino a Roma, che si aggiungono ai 2.000 del primo viaggio, ai 5.000 del secondo ed ai 6.000 del terzo, percorsi a piedi o in una barca sospinta dal vento, per un totale di circa 16.500[1]: anche questi dati dicono la passione dell’annuncio del Vangelo che mosse - è il caso di dirlo - l’apostolo Paolo.

L’annuncio di Benedetto XVI dell’indizione dell’Anno Paolino[2], per commemorare il bimillenario della nascita di Paolo di Tarso, è un invito ad accogliere la testimonianza dell’apostolo che ha ricevuto la rivelazione del «mistero» di Dio.

Con questo termine Paolo ha voluto indicare non tanto l’incomprensibilità di Dio, quanto il suo preveniente disegno, il progetto da Lui pensato e desiderato prima ancora della creazione del mondo. «Ci ha predestinati» (alcuni esegeti traducono l’espressione con ‘pro-destinati’), dice Paolo: prima del creare, prima dell’esistenza della materia e delle galassie, prima degli oceani e delle vette dei monti, Dio ha voluto gli uomini e li ha pensati perché giungessero alla comunione con Cristo.

Solo l’uomo conosce i propri pensieri, disegni e desideri, ed è lui l’unico a poter raccontare tali segreti gelosamente custoditi a chi ama, senza che nessuno possa violarne l’intimità; a maggior ragione, dice la prima lettera ai Corinzi, il disegno di Dio non poteva essere compreso dall’uomo, finché Lui stesso non l’avesse rivelato. È il «mistero» ormai conosciuto, ormai donato e realizzato, ormai presente: ricapitolare tutto in Cristo. E il Concilio Vaticano II ne ha ripreso le espressioni dicendo: «Piacque a Dio rivelare se stesso».

Paolo esprime così il primato di Dio e della sua grazia in tutte le sue lettere, ma, nella maniera più compiuta, proprio nella lettera scritta ai Romani, ai nostri antenati e padri nella fede.

Alcuni autori moderni hanno voluto invertire l’evidenza storica, facendo di Gesù un qualsiasi rabbino del suo tempo ed in Paolo il vero fondatore del cristianesimo. Il Papa ha voluto subito riportare la figura di Paolo alla sua concretezza storica, affermando nella celebrazione dei primi vespri della solennità dei Santi Pietro e Paolo nella basilica ostiense: «Quando sulla via di Damasco Paolo cadde a terra abbagliato dalla luce divina, passò senza esitazione dalla parte del Crocifisso e lo seguì senza ripensamenti. Visse e lavorò per Cristo; per Lui soffrì e morì».

Se è vero che per capire Paolo, non possiamo prescindere dal suo essere stato, in origine, fariseo, appartenente alle scuole rabbiniche ed, insieme, profondamente aperto all’ellenismo - perché tale era il giudaismo del tempo - l’evento che ben più profondamente di tutto questo lo caratterizzò fu l’incontro con il Risorto. Senza Damasco, Paolo è incomprensibile. Potremmo dire che non fu Paolo l’inventore del cristianesimo, bensì Cristo a rifondare la vita di Paolo.

La proposta di un anno che abbia come riferimento l’apostolo Paolo ci invita poi alla continua rimeditazione della tradizione della Chiesa, poiché il «noi» della Chiesa non è mai semplicemente sincronico, ma abbraccia tutte le generazioni credenti e le unisce alla Chiesa apostolica, che è nostra madre. Roma è la Chiesa madre di tutti non perché faccia nascere fisicamente tutti i cristiani, ma perché garantisce del rapporto di ogni credente con l’unica tradizione che genera alla fede.

Come scrisse l’allora teologo Joseph Ratzinger: «La Chiesa non la si può fare, ma solo riceverla, e cioè riceverla da dove essa è già, da dove essa è realmente presente: dalla comunità sacramentale del suo Corpo che attraversa la storia».

Benedetto XVI ha posto l’attenzione anche sulla prospettiva ecumenica che dovrà caratterizzare l’Anno Paolino. Se l’evangelista Marco, come è certo, ha inventato il genere letterario "vangelo", possiamo ben dire che Paolo ha inventato un nuovo genere, di "epistola". Le lettere che conosciamo dall’antichità greca e romana sono dei brevissimi biglietti con rapide informazioni rivolte a singoli destinatari oppure dei trattati filosofici nei quali la suddivisione in lettere, mai spedite concretamente, è un espediente letterario per scandirne i differenti capitoli. Paolo espresse il suo «assillo» per tutte le Chiese, inviando i suoi scritti, perché fossero letti e accolti.

La novità delle sue lettere, che univano la concretezza delle situazioni affrontate e l’ampiezza delle spiegazioni teologiche, derivava da quella realtà nuova che era la Chiesa di Cristo che si diffondeva in ogni città e regione. La vita e la predicazione viva di Paolo, espresse nelle sue epistole, rimandano continuamente all’origine dell’unità che non può essere persa, pena la perdita dell’identità stessa: l’unico Padre, l’unico Cristo, l’unico Spirito.

Così, nella fede della Chiesa, primato e collegialità non si oppongono mai, ma anzi si richiamano vicendevolmente. Proprio la tradizione dell’abbraccio di Pietro e Paolo, presso la Piramide Cestia, prima del loro martirio, con la conferma reciproca delle rispettive missioni - abbraccio rappresentato in tante testimonianze iconografiche paleocristiane - è stata evocata dal Santo Padre nell’annunciare l’ecumenicità che caratterizzerà l’anno paolino.

Le iniziative che saranno programmate per il 2008/2009 sicuramente coinvolgeranno differenti luoghi geografici, da Damasco all’Arabia (le regioni nabatee?) e ad Antiochia, da Tarso a Gerusalemme, dalle regioni dell’Anatolia alle città della Grecia, dalle isole del Mediterraneo all’Italia (Siria, Giordania, Turchia, Grecia, Israele, Palestina, Libano, Cipro, Malta, Italia, Spagna?...) ma la città di Roma sarà un punto di riferimento a motivo della testimonianza suprema, a motivo del martirio.

Luca, autore degli Atti, che venne fisicamente a Roma, come ci ricordano le cosiddette «sezioni-noi» degli Atti - cioè quelle parti nelle quali si usa la prima persona plurale «partimmo», «giungemmo» - ci racconta che fu il Signore Gesù in persona, apparendo a Paolo, a pronunciare per lui il nome della città eterna: «Di notte venne accanto a Paolo il Signore e gli disse: Coraggio! Come hai testimoniato per me a Gerusalemme, così è necessario che tu mi renda testimonianza anche a Roma» (At 23,11).


Per altri articoli e studi di d.Andrea Lonardo o sulle lettere di S.Paolo presenti su questo sito, vedi la pagina Sacra Scrittura (Antico e Nuovo Testamento) nella sezione Percorsi tematici


Note

[1] Vedi, sulla lunghezza dei viaggi paolini, su questo stesso sito lo studio Itinerari di Paolo (tutti i luoghi antichi ed odierni), di L.De Lorenzi

[2] Per ulteriori testi su San Paolo presenti su questo sito, vedi:


[Approfondimenti]