Paolo ed i cristiani di Roma: Rm 16 appartiene alla lettera ai Romani
di Romano Penna

Mettiamo a disposizione on-line sul nostro sito, per gentile concessione dell’autore, l’articolo scritto dal prof. Romano Penna per gli Atti del VIII Simposio di Efeso su S. Giovanni Apostolo,a cura di L. Padovese, "Turchia: la Chiesa e la sua storia" XV, Pont. Ateneo Antoniano, Roma, 2001, pp. 109-114, con il titolo originario Note sull’ipotesi efesina di Rom 16. Il Summary dell’articolo così afferma: «Da tempo si sono notate in Rom 16 alcune difficoltà di carattere sia testuale sia soprattutto letterario, che hanno condotto all’ipotesi di una destinazione efesina di questo capitolo. Ciononostante, una serie di osservazioni porta a concludere, del resto insieme alla stragrande maggioranza dei commentatori, che Rom 16 appartiene in toto alla originaria lettera scritta da Paolo ai Romani. Viene elencata una serie di dieci motivi per sostenere questa tesi». I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza di questo testo sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto.

Il Centro culturale Gli scritti (1/11/2008)


La conclusione della lettera ai Romani pone una serie di problemi di tipo testuale e letterario, che ne inducono altri di genere storico, tanto da giustificare ciò che scriveva Käsemann alcuni anni fa nel suo commento: “Con questa conclusione il più importante documento paolino si perde per così dire nella sabbia”[1]. Qui di seguito perciò vediamo brevemente, per quanto è concesso a una comunicazione, quali sono i problemi sul tappeto per poi percorrere brevemente la storia delle loro soluzioni, tra cui l’ipotesi efesina, e proporre infine una serie di motivi a favore dell’ipotesi romana del capitolo in questione.

I problemi

Enumero schematicamente le incongruenze di carattere testuale e letterario presenti nella stesura di Rom 16, che hanno favorito la formulazione della tesi secondo cui l’intero capitolo non sarebbe altro che una (parte di) lettera inviati ai cristiani di Efeso più che di Roma. Percorro il testo di ventisette versetti in senso inverso, partendo dalla fine e salendo fino al suo inizio.

I vv. 25-27 nella tradizione manoscritta hanno una collocazione tormentata, che conosce sei forme diverse: sono del tutto omessi da F G 629; sono spostati dopo 14,23 da Ψ e dalla maggior parte della Koiné; sono spostati dopo 15,33 dal P46; sono spostati sia dopo 14,23 sia dopo 15,23 dal tardivo minuscolo 1506 (addirittura con l’omissione di 16,1-24); si trovano sia dopo 14,23 sia anche dopo 16,24 in A P 33, 104; si trovano dopo 16,24 in P61 א B C D 81, 365, 630, 1739, 2464, vg, syp, co. Quest’ultima collocazione, essendo la più attestata (ma non la più antica, che è quella del P46, tuttavia isolato), sembra conservare la forma migliore. Dal punto di vista letterario, la composizione rivela dei tratti non paolini: così è della frase circa “la rivelazione del mistero taciuto per secoli eterni e ora rivelato” (che si accosta a tematiche delle lettere deuteropaoline) e in generale del periodo lungo e ampolloso, oltre al fatto che altre dossologie presenti nelle lettere paoline (Rom 1,25; 9,5; 11,36; Gal 1,5; Fil 4,20) per la loro asciuttezza non sono paragonabili a questa (che invece è più vicina a Ebr 13,20-21; Giud 24-25; 1Clem 65; Mart. Pol 20). In più va constatato che comunque mai Paolo conclude una lettera con una dossologia, la quale nel suo posto attuale appartiene a una esigenza liturgica piuttosto che allo stile epistolare. È facile dunque concludere che il brano “non è probabilmente una composizione paolina autentica, ma una dossologia che fu aggiunta alla lettera quando venne formato il corpus paolino”[2].
Il v. 24 chiuderebbe molto bene l’intera lettera, ma, oltre a conoscere una collocazione altrettanto tormentata, è assente nei migliori manoscritti, tanto che le edizioni critiche di Rom, insieme alle moderne traduzioni in volgare, lo considerano testualmente inautentico, omettendolo del tutto.
I vv. 21-23 contengono i saluti dell’entourage di Paolo al momento della stesura della lettera (Timoteo, Lucio, Giasone, Sosipatro, Terzo, Gaio, Erasto, Quarto); essi però fanno problema in doppio senso: perché sdoppiano il saluto già presente nel v. 16b (“vi salutano tutte le chiese di Cristo”) e perché seguono invece di precedere l’invito a un vicendevole bacio santo che si trova al v. 16a (contrariamente a quanto avviene in 1Cor 16,19-29; 1Pt 5,13-14; cf. 1Tess 5,26)[3].
I vv. 17-20, intermedi tra l’invito al bacio santo e i saluti dettagliati, contengono una ammonizione durissima verso degli avversari, la quale mal si concilia sia con il contesto prossimo (in quanto interrompe il nesso tra il v. 16 e i vv. 21-23 che sono omogenei tra di loro) sia con il contesto remoto (in quanto, scrivendo a una chiesa personalmente non nota al mittente, questi aveva evitato finora i toni duri, con la parziale eccezione di 3,8); tuttavia, nel v. 20b si ha una frase (“la grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia con voi”), che ben concluderebbe l’intero scritto, il quale altrimenti resterebbe senza adeguata conclusione.
Nei vv. 3-16 (15) il mittente saluta una serie di ben 24 persone menzionate singolarmente per nome, più la madre di Rufo e la sorella di Nereo non nominate (che fanno 26), più alcuni della casa di Aristobulo e alcuni della casa di Narcisso (probabilmente i cristiani appartenenti alla servitù dei due personaggi menzionati che non sono cristiani; ma non è detto quanti siano, anche se potremmo ipotizzare in tutto una decina). È da notare poi che nella serie dei 24 nomi un’attenzione particolare è riservata alle donne, poiché più di un terzo del totale (cioè otto, a cui vanno aggiunte la madre di Rufo e la sorella di Nereo) sono appunto tali, osservando in più che nella menzione della coppia Prisca e Aquila al v. 3 il nome della donna precede insolitamente quello dell’uomo e che al v. 7 anche Giunia è qualificata insieme ad Andronico come un ”apostolo insigne”! Il problema vero e proprio deriva dal fatto che Paolo possa conoscere tante persone in una città come Roma, dove non è ancora mai stato.
I vv. 1-2 costituiscono l’apertura del capitolo e si presentano formalmente come una lettera commendatizia (quella che è definita dagli epistolografi come epistolē systatikē) in favore di Febe, espressamente qualificata come diaconessa della chiesa di Cencre e probabile latrice dell’intera lettera.
Come si vede, Rom 16 è una pagina molto mossa e variegata, soprattutto dal punto di vista delle forme letterarie ivi contenute.

2. Accenni di storia della questione

I primi dubbi su Rom 16 risalgono al secolo XVIII. Dopo l’ipotesi emessa nel 1755 da C.A. Heumann, secondo cui il nostro capitolo sarebbe un semplice post-scriptum aggiunto da Paolo dopo che già in 15,33 la lettera era stata chiusa[4], fu David Schulz nel 1829 a sostenere che il capitolo non sarebbe altro che una lettera indirizzata agli Efesini[5]. I motivi addotti in favore dell’ipotesi erano sostanzialmente tre: la presenza dei numerosi saluti individuali nei vv. 3-16; il tono dell’ammonizione nei vv. 17-20; e osservazioni minori, come il fatto che 15,33 fungerebbe già da conclusione.
Da allora, a fianco della posizione tradizionale che ingloba Rom 16 nell’originaria lettera ai Romani, l’ipotesi efesina venne ulteriormente riformulata almeno fino al Käsemann compreso. Le forme in cui l’ipotesi efesina si riaffaccia di volta in volta sono diverse. Secondo qualche commentatore, i vv 1-2 andrebbero comunque computati come una lettera separata in quanto specifica raccomandazione di Febe ai cristiani di Efeso; questa raccomandazione costituirebbe il vero corpus del breve scritto, mentre il resto ne sarebbe solo un’appendice. Così ritiene lo Schmithals, che in più, scorporando l’attuale redazione di Rom in due lettere diverse (A e B) scritte da Paolo in momenti successivi, scorge in 16,21-23 uno dei resti di Rom B[6]. Altri studiosi sostengono l’autenticità paolina del capitolo, ma vi scorgono una aggiunta operata dall’Apostolo, quando volle inviare anche alla chiesa di Efeso, per il tramite Febe come latrice, una copia della sua originale lettera ai Romani come se fosse una enciclica[7].
A parte i Commentatori, la cui stragrande maggioranza si schiera per l’integrità della lettera ai Romani[8], i maggiori studi monografici dedicati specificamente e globalmente[9] al nostro argomento così si ripartiscono:
- incerto si dimostra H. Gamble, Jr., The textual history of the Letter to the Romans, Eerdmans, Grand Rapids 1977, specie 37-55 (“no obvious conclusion … the question remains moot”);
- a favore di Roma si dichiarano i due studi di W.-H. Ollrog (“Die Abfassungsverhältnisse von Röm 16”, in D. Lührmann e G. Strecker, edd., Kirche.Fesschrift für G. Bornkamm, Mohr, Tübingen 1980, 221-244) e di P. Lampe (Die stadtrömischen Christen in den ersten beiden Jahrhunderten, WUNT 2.18, Mohr, Tübingen 1987, 21989, 125-153);
- a favore di Efeso si pronuncia F. Refoulé, “A contre-courant: Romains 16,3-16”, RHPhR 70 (1990) 409-420; il motivo addotto è che molte delle persone salutate rivelano una condizione servile di origine orientale, che non avrebbe permesso loro di spostarsi da Efeso a Roma.
Si può dire che la questione è stata ormai ampiamente dibattuta e sviscerata, per cui possiamo qui riportarne semplicemente i risultati.

3. I motivi principali in favore della tesi ‘romana’.

In questa sede mi accontento di richiamare schematicamente i motivi maggiori per cui Rom 16 dovrebbe essere computato come parte dell’originaria lettera di Paolo ai Romani.
3.1 Nella tradizione manoscritta Rom 16 è sempre unito ai capp. 1-15. Un solo codice ne attesta l’omissione, il minuscolo 1506, che però è del secolo XIV!
3.2 La particella grecaδέ[10] nell’incipit del cap. 16,1 sul piano sintattico del discorso aggancia evidentemente ciò che segue con ciò che è stato appena detto prima e quindi con il precedente cap. 15.
3.3 Il fatto che nel v.1 si accenni a Febe come diacono della chiesa di Cencre e che Cencre sia il porto orientale di Corinto, rivolto quindi al commercio verso l’Asia (cf. Käsemann), non significa affatto che la lettera sia partita dal porto di Cencre.
3.4 Contro l’obiezione maggiore di un eccesso di saluti nominali a una chiesa non ancora conosciuta personalmente, è ben possibile sostenere che Paolo, nonostante che non fosse ancora stato a Roma quando scrisse la sua lettera, abbia comunque conosciuto molti romani. Ciò può essere avvenuto in un doppio modo: o personalmente già prima dello scritto, incontrando le persone menzionate in Oriente (specie a Corinto e a Efeso, senza dimenticare Filippi), come Epeneto detto in 16,5 “primizia dell’Asia” e la coppia Prisca e Aquila incontrati a Corinto secondo Atti 18,2; oppure per sentito dire (soprattutto da Prisca e Aquila), visto che in Rom 3,8 Paolo è al corrente di un’accusa lanciata contro di lui a Roma senza che vi fosse ancora mai stato di persona[11].
L’obiezione di Refoulé, che insiste sui nomi di persona di origine non libera (probabilmente nove, secondo l’accurata analisi di Lampe[12], e cioè Nereo, Ermes, Perside, Erodion, Trifena, Trifosa, Giunia, Giulia, Ampliato) per sostenere che essi non potevano disporre di sé per muoversi dall’Oriente a Roma, di fatto non ha un peso specifico consistente. Infatti, si deve tener conto delle seguenti osservazioni: - i nomi del genere sul totale sono pochi; - il commento di Lietzmann del 1933 già ricordava il caso di una ricca matrona che dall’Oriente si era trasferita a Roma verso il 130 con al seguito tutta la sua servitù di addirittura 500 persone; - l’origine non libera di alcuni cristiani può indicare non solo schiavi ma anche liberti, e questa seconda condizione sociale, sebbene meno frequente in Grecia che a Roma, era comunque possibile; - infine si possono anche calcolare fughe di schiavi, come attesta Paolo stesso per il caso di Onesimo nella lettera a Filemone (e successivamente Plinio il Giovane per un liberto dell’amico Sabiniano in una lettera a questi[13]).
3.5 Sorprende che, se Rom 16 fosse indirizzato a Efeso, Paolo non saluti altre persone importanti, di cui sappiamo da altre lettere che erano là residenti: Sostene (cf. 1Cor 1,1), poi Epafra, Marco, Aristarco, Dema e Luca (cf. Flm 23-24), forse anche Apollo e il trio Stefanas-Fortunato-Acaico (menzionati tutti in 1Cor 16,12.17). Ricordiamo infatti che 1Cor è stata sicuramente scritta da Efeso (cf. 1Cor 16,8); lo stesso vale per Flm nell’ipotesi della prigionia efesina di Paolo.
3.6 Sorprende altresì che Paolo, se si rivolge a Efeso, tratteggi le caratteristiche ‘apostoliche’ di molti dei nomi menzionati (una decina) come se fossero ignoti ai destinatari. Per esempio, sarebbe inutili ricordare agli Efesini che Prisca e Aquila hanno rischiato la testa per Paolo (v. 3) o che Epeneto è stato “la primizia dell’Asia” (v. 5) o che Andronico e Giunia sono degli apostoli insigni (v. 7), mentre per i Romani queste affermazioni hanno veramente il sapore dell’informazione.
3.7 In lettere a chiese da lui fondate Paolo manda solo saluti collettivi, non individuali, come si vede dai seguenti testi: 1Cor 16,20b; 2Cor 13,12a; Fil 4,21a; 1Tes 5,26.
3.8 Il saluto da parte di “tutte le chiese in Cristo” (v. 16b) è più comprensibile se rivolto a Roma più che a Efeso, a motivo della funzione della città come capitale dell’impero. Lo stesso si dica per il complimento che si legge in 16,19: “La vostra obbedienza ha raggiunto tutti”, che richiama e sta in parallelo con quello iniziale di 1,8: “La vostra fede è annunciata in tutto il mondo”.
3.9 Quanto alle incongruenze letterarie notate sopra (cf. § 1), va tenuto presente che Rom, unica fra le lettere paoline, reca nel nostro capitolo il nome esplicito dell’amanuense che l’ha scritta sotto dettatura (cf. 16,22: “Terzo”, che si propone in prima persona). È ben possibile che al termine di un testo così lungo, e non speculativo ma, soprattutto alla fine, molto colloquiale, ci sia stato un po’ di scompiglio nella successione delle sezioni tradizionali della composizione epistolare. Gli ultimi vv. 25-27, che abbiamo detto essere probabilmente posteriori, potrebbero aver sostituito una formula conclusiva di saluto che allo stato attuale del testo manca.
3.10 Infine, bisognerebbe indagare se negli epistolari dell’antichità esistano altri esempi di lettere ‘conflate’, che cioè combinino insieme redazionalmente più lettere o parti di più lettere. Un esame sommario della questione orienta verso una risposta negativa, che è sicura per quanto riguarda le lettere private e del tutto probabile per quanto riguarda quelle di autore[14].


Note

[1] E. Käsemann, An die Römer, HzNT 8 a, Mohr, Tübingen 41980, 404.

[2] J.A. Fitzmyer, Romans, AB 33, Doubleday, Lodon 1993, 753.

[3] Anche in 2Cor 13,12a-b l’invito al bacio santo precede i saluti, ma immediatamente, mentre invece qui (a parte il v. 16 b) ne è separato da quattro versetti.

[4] Così anche J.S. Semler nel 1767 e J.G. Eichhorn in scritti del 1810 e 1827 (cf. W. Schmithals, Der Römerbrief. Ein Kommentar, Mohn, Gütersloh 1988, 544).

[5] Cf. D. Schulz, in una recensione alle Introduzioni al Nuovo Testamento di Eichorn e De Wette apparsa in ThSK 2 (1829) 563-636 specie 609-612.

[6] Una scomposizione in due lettere è sostenuta anche da W. Simonis, Der gefangene Paulus. Die Entstehung des sogenannten Römerbriefes und anderer urchristlicher Schriften in Rom, Lang, Frankfurt am M. 1990, secondo cui Rom 16,1-23 risalirebbe a un anonimo redattore verso la metà del II secolo in funzione antimarcionigta, (sia per dimostrare che Paolo aveva buoni legami con la chiesa di Roma, che quindi può ben rappresentare la dottrina del’Apostolo: 16,1-16) sia per ammonire Marcione e i suoi dopo la rottura della chiesa di Roma con lui (16,17-20).

[7] Così T.W. Manson, “St. Paul’s Letter to the Romans – and Others”, BJRL 31 (1948) 224-240; ristampato in K.P. Donfried, ed,, The Romans Debate. Revised and Expanded Edition, Hendrickson, Peabody 1991, 3-15.

[8] Così ritengono tutti i commenti più recenti, pubblicati negli anni ’90: J.A. Fitzmyer (London 1993), D. Moo (Eerdmans, Grand Rapids 1996), B. Byrne (Collegeville 1996), T.R. Schreiner (Baker, Grand Rapids 1998), K. Haacker (Leipzig 1999), C. Bryan (Oxford 2000).

[9] Si può citare per esempio lo studio settoriale di J.I.H. McDonald, “Was Romans xvi a Separate Letter?”, NTS 16 (1970) 369-372, che dimostra come fosse storicamente possibile l’esistenza separata di una lettera composta prevalentemente da saluti.

[10] Omessa solo da un paio di manoscritti (D,G) e di versioni (it, arm).

[11] Cf. R. Penna, “I diffamatori di Paolo in Rom 3,8”, in Id., a cura, Antipaolinismo: reazioni a Paolo tra il I e il II secolo. Atti del II Convegno Nazionale di Studi Neotestamentari, Ricerche Storico-Bibliche 1,2 (1989) 43-53.

[12] Cf. P. Lampe, Die stadtrömischen Christen, 141-153.

[13] Plinio il Giovane, Epist. 9,21. Un annuncio di ricompensa a chi avesse riconsegnato uno schiavo fuggitivo di 18 anni è documentato in P. Par. 10 (dell’anno 156), riportato in Select Papyri II, Non-literary Papyri & Public Documents, ed. A.S. Hunt – C.C. Edgar, Harvard University Press, 1977 (=1934), n° 234.

[14] Vedi per esempio le sezioni comparativistiche degli studi di J.L.White, Light from Ancient Letters, Fortress, Philadelphia 1986; S.K. Stowers, Letter Writing in Greco-Roman Antiquity, Westminster, Philadelphia 1986; D. Trobisch, Die Entstehung der Paulusbriefsammlung, NTOA 10, Universitätsverlag/Vandenhoeck, Freiburg Schw./Göttingen 1989; E.R. Richards, The Secretary in the Letters of Paul, WUNT 2.42, Mohr, Tübingen 1991.


[Approfondimenti]