La nuova traduzione italiana 2008 della Bibbia a cura della CEI,
di mons. Giuseppe Betori

Mettiamo a disposizione sul nostro sito la presentazione scritta da S. Ecc. mons. Giuseppe Betori, allora segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana, per il web in occasione dell’evento La Bibbia giorno e notte, organizzato presso la basilica di Santa Croce in Gerusalemme in Roma e trasmesso dalla RAI dal 5 all’11 ottobre 2008. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per il testo completo della nuova Bibbia CEI, vedi al link Il testo della nuova traduzione della Bibbia CEI 2008.

Il Centro culturale Gli scritti (9/11/2008)


Indice


1. Bibbia e tradizione culturale

Manca nella tradizione culturale italiana la presenza di un testo biblico autorevole, non solo strumento per l’azione liturgica e la formazione spirituale ma elemento significativo dell’immagine culturale di una nazione, come accade invece per i popoli germanici e anglosassoni, dove le versioni della Bibbia costituiscono un atto fondante o fondamentale per l’identità stessa della lingua, tale essendo stato il ruolo della traduzione in tedesco della Bibbia a opera di Martin Lutero (1534) e la traduzione in lingua inglese detta King’s James Bible o anche Authorized Version (1611).

Questo non vuol dire che in Italia mancarono in epoca medievale e moderna traduzioni in vernacolo (persino in vari dialetti) della Bibbia (completa ma anche in singoli libri, specie i vangeli). Questo accadde prima e dopo il Concilio di Trento, contrariamente a quel che si va spesso stancamente ripetendo con evidente disinformazione.

Ciò che fu scoraggiato, a seguito non tanto dei decreti del Concilio tridentino quanto delle disposizioni del successivo Indice dei libri proibiti, non furono le traduzioni ma la lettura delle traduzioni prodotte nel mondo protestante – un divieto che operò a lungo e che si tradusse in sospetti e condanne verso le Società bibliche, superati solo con il Concilio Vaticano II, dopo il quale si intensificarono invece le collaborazioni.

Soprattutto, delimitando i soggetti abili alla lettura del testo sacro, se ne voleva scoraggiare un uso individuale che comportasse di fatto una lettura senza riferimento ecclesiale e quindi legata alle forme del “libero esame”. Diverse traduzioni in lingua
italiana si susseguirono nei secoli XIII-XVIII (sino al 1500 ci sono undici edizioni dell’intera Bibbia, tra cui emerge per importanza e diffusione quella di Nicolò Malermi camaldolese 1471, con ben 19 edizioni nel solo XVI sec.; da ricordare anche le traduzioni di Antonio Brucioli, del 1532, che però appare fortemente debitore della traduzione di Lutero; del domenicano Zaccaria da Firenze, nel 1536; del calvinista lucchese Giovanni Diodati 1607, la Bibbia in italiano di riferimento per il mondo evangelico, più volte riveduta; la più importante in ambito cattolico, per valore intrinseco e diffusione, fu la traduzione approntata dal sacerdote toscano Antonio Martini nella metà del ’700 (1769-1781), una traduzione fatta però dalla Vulgata, che ebbe 8 edizioni nella sola seconda metà del ’700 e addirittura 40 edizioni nel secolo successivo).

La pluralità delle traduzioni, la mancata ufficializzazione di una di esse, la prevalenza del testo latino della Vulgata grazie all’uso liturgico comportarono che il riferimento al linguaggio biblico nell’area linguistica italiana fosse veicolato dal latino e dai suoi calchi, fino a riconoscere a parole italiane di uso comune significati specifici nel linguaggio religioso.

Solo per accennare a qualcuno di questi calchi, possiamo ricordare termini come “Verbo” o “Paraclito” (qui il calco è, attraverso il latino, dal greco), espressioni come “uomini di buona volontà”. Tutto ciò rappresenta anche una ricchezza per il linguaggio della fede, in quanto così si evita l’impoverimento dei concetti che potrebbe derivare da una traduzione che utilizza termini di uso corrente (vedi, ad es., “Parola” per “Logos”, una scelta che dovrebbe poi giustificarsi rispetto ad altre possibili e tutte plausibili traduzioni come “Discorso”, “Racconto”, “Pensiero”, “Ragione”, “Concetto”, ecc.). In tal modo si giunge anche a costruire, nell’ambito propriamente religioso, uno specifico patrimonio lessicale.

Questo obiettivo non viene abbandonato neanche dalla nuova traduzione che stiamo presentando, la quale si preoccupa di mantenere per quanto possibile questa terminologia religiosa specifica (vale per Verbo, Paraclito, Parasceve, ecc.), correggendo solo laddove l’antica espressione a carattere di calco comporta un’interpretazione non più accettabile del testo (per cui invece di “uomini di buona volontà” si legge “uomini, che egli [Dio] ama”, ma era già così nella precedente versione della Bibbia CEI); oppure quando non si tratta di termini con specifico valore teologico (come “mammona”, giudicato troppo antiquato e sostituito ora con “ricchezza”, lasciando al contesto il compito di chiarire che si tratta di una “ingiusta ricchezza”).

2. La natura della traduzione a cura della CEI

La traduzione approntata a cura della CEI è un testo per l’uso liturgico, che ha quindi anzitutto di mira l’atto della proclamazione. Non si tratta di produrre un testo di facile lettura, ma un testo che si lasci ascoltare e che già dall’ascolto manifesti il messaggio che racchiude, senza un’ulteriore mediazione di riflessione come può accadere quando leggendo ci è possibile tornare sulla frase appena letta per decifrarne meglio il senso.

Ciò comporta una costruzione semplice della frase e del periodo, il ricorso a un vocabolario essenziale, senza tuttavia perdere in distinzioni e ricchezza.

Ma questo non descrive compiutamente la natura di questa traduzione. È vero infatti che la Bibbia tradotta a cura della CEI ha come finalità la sua proclamazione nella liturgia, ma di fatto essa è diventata per tanti anche uno strumento essenziale di nutrimento della vita spirituale, il riferimento obbligato per la “lectio divina” e della altre forme di meditazione e preghiera con la Parola. Né possiamo nasconderci il fatto che le persistenti difficoltà ad accostare i testi biblici nelle lingue originali conducono concretamente molte persone a utilizzare la traduzione italiana anche nel momento dello studio biblico, nei vari contesti formativi in cui esso si realizza. Ciò implica che il testo deve quanto più avvicinarsi nella struttura della frase e nelle corrispondenze di vocabolario ai testi originali.

Questa complessità organica di finalizzazioni del testo se per un verso porta a dover far convivere esigenze diverse ha però come corrispettivo positivo il fatto che nella consapevolezza di fede dei credenti è possibile fare riferimento ad un’unica forma testuale, favorendo quindi l’unità tra i vari momenti vitali: spirituale, liturgico, pastorale e culturale. Possiamo così intravedere anche per un’umile traduzione come la nostra il compito di assumere quel ruolo che la Vulgata ebbe per tanti secoli nella cristianità italiana.

Va anche considerato che la traduzione CEI si è andata imponendo anche a rischio di semplificare il panorama della legittima, e per alcuni aspetti utile, pluralità delle versioni, diventando “il” testo biblico di riferimento per tutti. La ricchezza del testo rivelato comporta che nessuna traduzione-interpretazione può esaurirne il significativo; in questa prospettiva la molteplicità delle traduzioni costituisce un vantaggio, in quanto dal loro confronto diventa già visibile come nessuna comprensione del testo possa dirsi definitiva.

In positivo, tuttavia, il convergere sulla traduzione della CEI anche da parte di edizioni di commenti alla Bibbia di varie editrici contribuisce a ribadire il primato e l’autorevolezza di questa traduzione, fattore non secondario di unità nella Chiesa nel nostro Paese. A tale situazione deve risponde la consapevolezza della responsabilità in ordine alla costruzione del linguaggio di fede e quindi della coscienza di fede della comunità ecclesiale in Italia e in ordine al confronto con l’ambiente culturale. Le reazioni dell’opinione pubblica agli annunciati cambiamenti di questa terza edizione della Bibbia CEI indicano l’interesse che anche l’ambito più ampio della cultura nutre al riguardo.

3. La prima e la seconda edizione della traduzione CEI

Quella che ora viene presentata non è la prima traduzione che la CEI appronta. A seguito delle esigenze poste dalla riforma liturgica postconciliare, la CEI decise infatti subito di dotarsi di una propria traduzione della Bibbia e diede inizio ai lavori in tal senso nel 1965. Non si pensò di fare una traduzione “ex novo”, ma di utilizzare come base il testo della Bibbia non da molto pubblicata per la UTET a cura di Enrico Galbiati, Angelo Penna e Piero Rossano, invitando a farne una revisione ai fini dell’utilizzazione liturgica.

La revisione di quella traduzione fu affidata a un gruppo di biblisti e italianisti sotto la guida del Card. Ermenegildo Florit. I criteri di revisione affidati a tale gruppo furono: «esattezza nel rendere il testo originale; precisione teologica, nell’ambito della stessa Scrittura; modernità e bellezza della lingua italiana; eufonia della frase, in modo da favorirne la proclamazione; cura del ritmo, con conseguente possibilità di musicarne i testi (specie i Salmi), di cantarli, di recitarli coralmente».

Il lavoro, approvato dall’8ª Assemblea Generale della CEI (14-19 giugno 1971), ebbe una prima edizione nel dicembre 1971[1] e una seconda, che includeva le correzioni richieste dalla Santa Sede per alcuni testi utilizzati nella Liturgia, nell’aprile 1974. Da questa seconda edizione sono tratti i testi delle pericopi bibliche dei Lezionari liturgici e della Liturgia delle ore che sono stati fino ad oggi in uso.

4. L’elaborazione della nuova, terza edizione

La revisione della traduzione della Bibbia CEI era una esigenza che emergeva dall’uso dei Lezionari nel tempo, come attestano numerose richieste di modifiche giunte alla Segreteria Generale della CEI; soprattutto però si impose come inderogabile dopo la pubblicazione della Nova Vulgata. Le novità maturate nell’ambito degli studi biblici, soprattutto in quello della critica testuale, hanno infatti indotto la Santa Sede ad avviare già nel 1965 una revisione della Vulgata geronimiana, un lavoro terminato nel 1979; ulteriori approfondimenti portarono a pubblicare una seconda edizione della Nova Vulgata, promulgata il 25 aprile 1986 e dichiarata “typica”, specie per l’uso liturgico[2].

In ossequio a tale indicazione, la Presidenza della C.E.I. nel maggio 1988 costituì un Gruppo di lavoro per provvedere a una revisione della traduzione italiana, alla luce del testo della Nova Vulgata “editio altera” e, con l’occasione, per migliorarne la qualità. Il lavoro di revisione (anche questa volta non una nuova traduzione), affidato a questo Gruppo di lavoro guidato successivamente dai vescovi Giuseppe Costanzo (1988-1991), Wilhelm Egger (1991-1994), Franco Festorazzi (1994-2000) e composto da biblisti, liturgisti, italianisti e musicisti[3], fu orientato da indicazioni e criteri stabiliti dal Consiglio Episcopale Permanente e in seguito sulla scorta di quanto previsto dall’Istruzione della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti Liturgiam authenticam (2001) relativa alla traduzione dei testi liturgici, che invita a rivedere i testi biblici utilizzati nell’azione liturgica in base ai testi originali presupposti dalla Nova Vulgata.

I criteri che hanno guidato il lavoro di revisione possono essere così riassunti:
- i libri e le pericopi da tradurre, in quanto facenti parte del Canone biblico della Chiesa cattolica, sono stati individuati in conformità alla Nova Vulgata e, in genere, alla tradizione liturgica occidentale;

- la traduzione esistente è stata rivista in base ai testi originali (ebraici, aramaici e greci), secondo le migliori edizioni critiche oggi disponibili, dalle quali è stata tradotta anche la Nova Vulgata[4], e secondo i principi classici della critica testuale e dell’esegesi. Nei casi di lezioni testuali dubbie o discusse, ci si è riferiti in primo luogo alla versione dei Settanta, per l’Antico Testamento, e poi alla Vulgata, tenendo conto delle scelte compiute dalla Nova Vulgata;

- inesattezze, incoerenze ed errori della traduzione del 1971-1974 sono stati corretti seguendo scelte condivise tra gli esegeti e avendo come riferimento, nei casi dubbi, la Nova Vulgata;

- si è cercato di recuperare un’aderenza maggiore al tono e allo stile delle lingue originali, orientandosi verso una traduzione più letterale, senza compromettere tuttavia l’intelligibilità del testo fin dal momento della lettura o dell’ascolto;

- particolare attenzione è stata riservata alla corrispondenza dei testi sinottici, alla varietà degli stili e dei generi letterari nei diversi libri della Scrittura, cercando al contempo uniformità e continuità del vocabolario;

- ci si è preoccupati di rendere il testo in buona lingua italiana, con modalità espressive di immediata comprensione e comunicative in rapporto al contesto culturale odierno, evitando forme arcaiche del lessico e della sintassi;

- si è curato il ritmo della frase, per rendere il testo rispondente alle esigenze della proclamazione liturgica e, dove occorra, adatto a essere musicato per il canto.

Nel lavoro di revisione, durato dodici anni, ci si è avvalsi dei suggerimenti forniti da esegeti specialisti dei diversi libri biblici[5]. Il lavoro è stato costantemente seguito dal Consiglio Episcopale Permanente, anche mediante un apposito Comitato ristretto[6].

Nel corso del cammino non sono mancati anche apporti di carattere ecumenico e interreligioso. In particolare è stato chiesto un confronto sulla traduzione del Nuovo Testamento alla Federazione delle Chiese Evangeliche d’Italia; altre osservazioni, relative alla traduzione del Pentateuco, sono state richieste alla presidenza dell’Assemblea dei Rabbini d’Italia.

Nell’aprile 2000 il Gruppo di lavoro ha consegnato i testi rivisti alla Segreteria Generale della C.E.I., che ha provveduto a un’ulteriore rilettura, dedicata in particolare a dare maggiore omogeneità agli interventi nei diversi libri, con particolare attenzione ai Vangeli, e ad affrontare il problema dell’uniformità dell’onomastica[7]. Nell’estate 2001, il testo è stato inviato ai vescovi per una prima consultazione. Hanno risposto 218 dei 249 vescovi aventi diritto. Il testo presentato ha ricevuto un larghissimo consenso: 168 placet, 47 placet iuxta modum, 3 schede bianche, nessun voto contrario. Sono stati proposti 1321 emendamenti formali e circa un migliaio di osservazioni, finalizzate al miglioramento del testo. La Commissione Episcopale per la liturgia ha demandato a un apposito Comitato l’esame degli emendamenti proposti. Il Comitato, guidato dal presidente della Commissione, il vescovo Adriano Caprioli, e composto dai vescovi Luciano Monari e Mansueto Bianchi, si è avvalso della consulenza di biblisti e liturgisti già impegnati nelle precedenti fasi dell’iter di revisione[8]. Il Segretario Generale della C.E.I. ha partecipato a tutti i lavori.

Sono stati accolti circa i due terzi degli emendamenti e delle osservazioni. Si è poi proceduto a una ulteriore rilettura del testo per controllare la coerenza tra gli interventi effettuati e le precedenti scelte lessicali e interpretative. La traduzione è stata inviata a tutti i membri della C.E.I., che, dopo un esame personale, l’hanno approvata nel corso della 49ª Assemblea Generale, il 23 maggio 2002. Il consenso è stato pressoché unanime: 202 dei 203 votanti hanno approvato il testo proposto.

Il testo è stato inviato alla Congregazione per il Culto, per ricevere la “recognitio” prevista per l’uso liturgico del testo. Per volontà del Santo Padre Benedetto XVI, la Congregazione ha esaminato tutto il testo della Bibbia e non solo le pericopi che vengono attualmente utilizzate nella liturgia della Parola delle celebrazioni eucaristiche e nella Liturgia delle Ore. La Commissione episcopale per la liturgia, presieduta successivamente dai vescovi Adriano Caprioli e Felice Di Molfetta, con il supporto dell’Ufficio liturgico nazionale[9], ha curato l’introduzione delle correzioni richieste dalla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, nel contesto di un fruttuoso dialogo. La “recognitio”, per quanto concerne i Lezionari liturgici è stata ratificata in data 12 luglio 2006; il 28 maggio 2007 per i testi biblici presenti nella Liturgia delle ore.

La Presidenza della CEI, a cui spetta formalmente l’approvazione della versione italiana dei libri della Sacra Scrittura[10], ha infine dato la sua definitiva approvazione nella riunione del 17 settembre 2007. Tre giorni dopo la Congregazione ha dato la sua “recognitio” alla Bibbia nella sua globalità, così come richiesto da Benedetto XVI.

Accanto all’iter di revisione della traduzione del testo biblico, si è avviata in parallelo la revisione delle introduzioni e delle note che accompagnavano le precedenti edizioni della Bibbia C.E.I. Anche in questo caso il lavoro di revisione è stato profondo e ha fatto tesoro delle acquisizioni più recenti degli studi biblici. Introduzioni e note accompagnano il testo, come è doveroso per ogni Bibbia pubblicata in ambito cattolico, ma non hanno il medesimo valore “tipico” della traduzione e pertanto sono pubblicate sotto l’esclusiva responsabilità della Segreteria Generale della CEI, che per questo lavoro si è avvalsa di numerosi collaboratori[11].

5. Caratteri della nuova traduzione

Obiettivo della nuova traduzione è stato quello di offrire un testo più sicuro nei confronti degli originali, più coerente nelle dinamiche interne, più comunicativo nei confronti della cultura contemporanea, più adatto alla proclamazione nel contesto liturgico.

Al servizio di questi obiettivi, sono state operate alcune scelte: maggiore fedeltà rispetto ai testi originali, con valorizzazione della corrispondenza letterale rispetto a quella contenutistica; maggiore organicità nella traduzione, cercando per quanto possibile di tradurre sempre allo steso modo parole ed espressioni, soprattutto nei testi sinottici.

Provo ora ad offrire alcune esemplificazioni delle variazioni più significative.
La Bibbia CEI si caratterizza per una più fedele aderenza al testo originale e nello stesso tempo per uno stile italiano più scorrevole. Si è cercato, tra l’altro, di semplificare anche l’onomastica, rendendola per quanto possibile omogenea nelle sue corrispondenze fonetiche con i testi originali. Tuttavia per alcuni passi maggiormente noti e consacrati da un uso linguistico ormai divenuto patrimonio comune del lessico o del linguaggio religioso italiano, si è preferito rimanere fedeli alla tradizione.

Al medesimo intento di una fedeltà maggiore agli originali si ispira anche la decisione di offrire per il libro di Ester una traduzione del testo greco (come avviene nelle Bibbie tradizionali) e una versione del testo ebraico (che ovviamente è quello trasmesso dalla Bibbia ebraica), anch’esso considerato ispirato dalla tradizione ecclesiale. Al di là dei problemi testuali relativi alla situazione testuale di questo libro, che presenta un testo greco notevolmente più lungo rispetto a quello ebraico, nella nostra traduzione ad esempio in 2,9 il brutto «entrò nelle buone grazie di lui» della vecchia traduzione CEI (che in fondo era un ibrido) ora è sdoppiato in “trovò grazia presso di lui” nella versione dal greco e in «conquistò il suo favore» in quella dall’ebraico; così pure, in 2,11 il poco elegante «che cosa succedeva di lei» è ora «che cosa fosse accaduto a Ester» (greco) e «come la trattavano» (ebraico).

Anche per il libro del Siracide si è scelto di tradurre il cosiddetto testo greco lungo delle edizioni critiche (Ziegler), ormai riconosciuto autorevole per via della sua utilizzazione nella tradizione patristica e liturgica, indicando in corsivo le sue aggiunte rispetto al testo breve. Poiché da un lato si è tradotto dai testi degli originali e dall’altro la traduzione deve poter essere utilizzata nel contesto liturgico in cui fanno fede le scelte della Nova Vulgata, si è aggiunto nei libri di Tobia, Giuditta, Ester e Siracide un apparato di note che segnalano le varianti di maggior rilievo presenti nella traduzione della Nova Vulgata.

Il testo biblico rispecchia un mondo culturale diverso dal nostro, che in qualche modo deve essere fatto conoscere anche solo attraverso una semplice traduzione linguistica; spetta poi all’esegesi e alla predicazione saper cogliere in quel linguaggio i significati culturali, teologici e spirituali che a loro volta devono esser posti a confronto con la nostra sensibilità contemporanea.

Così si è scelto volutamente di conservare l’appellativo divino «Signore degli eserciti» (p.e. Is 2,12 e 3,1), nel quale è racchiuso un contenuto teologico che non va giudicato immediatamente in base ai nostri criteri moderni (si veda nel commento la nota a Sal 24,10).

Questo rispetto del contesto culturale originario ha permesso di restituire il significato proprio di heloìm in Sal 8,6 senza attenuazioni timorose, come già fa invece la Settanta, per cui dove prima si leggeva: «Eppure l’hai fatto poco meno degli angeli, di gloria e di onore lo hai coronato”», mentre ora si legge: «Davvero l’hai fatto poco meno di un dio, di gloria e di onore lo hai coronato».

Fedeltà al testo originale significa anche rispetto dei valori semantici del lessico ebraico. Così ad esempio per il termine hesed si è cercato di attenersi il più possibile al suo significato di “amore” o “bontà”, superando quello troppo restrittivo di “misericordia”, riservato invece alla traduzione del vocabolo rahamim. Nel Sal 136 il ritornello è diventato: «Perché il suo amore è per sempre» e in Sal 51,3 (il famoso Miserere) si legge ora più propriamente: «Pietà di me, o Dio, nel tuo amore (hesed); nella tua grande misericordia (rahamim) cancella la mia iniquità» (prima era: «Pietà di me, o Dio, secondo la tua misericordia, nella tua grande bontà cancella il mio peccato»).

In Sal 130,7 (De profundis) si è preferito tuttavia conservare il tradizionale: «Poiché presso il Signore è la misericordia (hesed) e grande è con lui (prima: presso di lui) la redenzione», in quanto in questo caso il contesto connotava il vocabolo come “amore misericodioso”.

Un paio di ulteriori esempi di più aderente traduzione del testo ebraico. In Is 50,4 ora si legge «Il Signore Dio mi ha dato una lingua da discepolo», là dove leggevamo in modo un po’ oscuro «Il Signore Dio mi ha dato una lingua da iniziati». E in Am 6,7 l’«orgia dei buontemponi» diventa ora in modo più plausibile «l’orgia dei dissoluti».

Qualcosa di analogo per il Nuovo Testamento, magari a costo di abbandonare un’espressione divenuta quasi proverbiale: in Mt 16,23 «Lungi da me Satana!» erano le parole con cui Gesù si rivolgeva a Pietro che voleva dissuaderlo della passione; ma il testo greco non si riferiva a un allontanamento di Pietro, bensì alla sua ricollocazione nella posizione del discepolo, per cui oggi si legge: «Va’ dietro me, Satana!», con una resa peraltro più vicina al «Vade post me» della Vulgata e della Nova Vulgata, che anche nel testo parallelo di Mc 8,34 hanno «Vade retro me, Satana».

Molti sono i problemi addensatisi sulla formulazione del Padre Nostro. Venendo incontro al desiderio di molti si è voluto superare le difficoltà dell’attuale «non indurci in tentazione», dove il calco del latino non offriva un’esatta visione dell’agire di Dio nei confronti dell’uomo. «Indurre» in italiano si è sovraccaricato di una connotazione volitiva («introdurre», «spingere dentro») che non gli fa più dire la stessa cosa dell’«inducere» latino o dell’«eisfèrein» greco nel passo biblico, dove era implicito un senso concessivo («non lasciar entrare», «fa’ che non entriamo»).

Tra le molte traduzioni possibili si è scelta un’espressione, «non abbandonarci alla tentazione», che lascia aperta l’interpretazione sia alla richiesta di essere preservati dall’entrare nella tentazione sia di essere soccorsi quando si è nella tentazione, evitando quindi di lasciar pensare che la tentazione possa essere opera di Dio, il che contraddirebbe Gc 1,13: «Nessuno, quando è tentato, dica: “Sono tentato da Dio”; perché Dio non può essere tentato al male ed egli non tenta nessuno».

Per restare al Nuovo Testamento mi piace ricordare ancora alcune novità. In Mt 28,19 il pesante «Andate e ammaestrate tutte le nazioni» ora è più fedelmente, e direi anche in modo più ricco, «Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli». «Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te» dice ora l’angelo a Maria in Lc 1,28 con il recupero del sottofondo anticotestamentario di Sof 3,14 e Zac 2,14 rispetto al vecchio «Ti saluto, o piena di grazia».

Il rispetto del dettato sintattico ha portato a cambiare la finale del Magnificat, per cui invece di «come aveva promesso ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza per sempre», ora più correttamente leggiamo «come aveva detto ai nostri padri, per Abramo e la sua discendenza per sempre» (Lc 1,55).

Per restare ai cantici evangelici, merita annotare che in Lc 1,69 ora si legge più correttamente: «e ha suscitato per noi un salvatore potente / nella casa di Davide, suo servo», laddove si leggeva: «e ha suscitato per noi una salvezza potente / nella casa di Davide, suo servo»; e al v. 78 invece di: «grazie alla bontà misericordiosa del nostro Dio, / per cui verrà a visitarci dall’alto un sole che sorge», ora leggiamo: «grazie alla tenerezza e misericordia del nostro Dio, / ci visiterà un sole che sorge dall’alto».

Per il cantico di Simeone, invece, le novità stanno all’inizio e alla fine. Non più l’imperativo «Ora lascia, o Signore, che il tuo servo / vada in pace secondo la tua parola», ma il concessivo ««Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo / vada in pace, secondo la tua parola». In conclusione, invece, « per illuminare le genti» diventato con maggiore precisione filologica e teologica « per rivelarti alle genti».

A un suggerimento dello stesso Pontefice, contenuto nell’omelia tenuta ancora da Cardinale nella Messa “pro eligendo Pontifice”, si deve il cambiamento di Ef 4,13. Aveva infatti osservato il Card. Joseph Ratzinger: «Il primo è il cammino verso “la maturità di Cristo”; così dice, un po’ semplificando, il testo italiano. Più precisamente dovremmo, secondo il testo greco, parlare della “misura della pienezza di Cristo”, cui siamo chiamati ad arrivare per essere realmente adulti nella fede». Ecco allora che da «finché arriviamo tutti all’unità delle fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo» si è passati a un più corretto filologicamente e teologicamente «finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo».

Di rilevanza teologica è pure il cambiamento di At 20,28 dovuto al cambiamento del Nestle-Aland, il testo critico ora seguito in luogo di quello sottostante alla precedente traduzione: il passaggio da idìou aimatos a aimatos tou idìou, porta tradurre non più: «pascere la Chiesa di Dio, che egli si è acquistata con il suo sangue», ma: «essere pastori della Chiesa di Dio, che si è acquistata con il sangue del proprio Figlio».

E per toccare un altro testo al centro di larghe discussioni anche nella pubblicistica corrente, in Gv 20,29 la parola di Gesù a Tommaso non è più tradotta: «Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!», bensì come sosteneva il grande esperto giovanneo p. Ignace De La Potterie: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».

Se per il “coperchio” dell’arca dell’alleanza nella precedente traduzione CEI si diceva solo in Es 27,17 che era il “propiziatorio”, aggiungendo in quel passo un termine che ne indicava la funzione, ora lo si traduce direttamente secondo questa sua valenza semantica di “propiziatorio”, rendendo così più comprensibile il significato che quell’oggetto assume attraverso il rito di espiazione/purificazione descritto in Lv 16 e secondo quanto afferma Paolo in Rm 3,25 (vedi anche Eb 9,5).

Un maggior rispetto per la tradizione ebraica ha indotto anche a tradurre lo shofar con “corno” anziché con l’impropria “tromba” (p.e. Gl 23,15). E anche per gli strumenti musicali in genere si è cercata un maggior precisione tecnica: i “timpani” sono ora “tamburelli” (cfr. Sal 150,4), come pure “cimbali” ha sostituito l’improbabile “cembali”.

Talvolta sono sufficienti piccole varianti nella traduzione, dovute appunto a una maggiore fedeltà all’originale, per far cogliere una diversa concezione ad esempio della sapienza. In Pr 8,22 prima si era tradotto: «Il Signore mi ha creato all’inizio della sua attività», mentre ora la sapienza dice di sé: «Il Signore mi ha creato come inizio della sua attività». La sapienza non è la prima realtà creata attraverso o dopo la quale Dio crea il mondo, ma è insita nel mondo dal momento in cui Dio interviene con il suo atto creativo.

Similmente, in Gb 28,27 si diceva prima che Dio, nei confronti della sapienza, «la comprese e la scrutò appieno», seguendo un testo poco testimoniato, mentre una lettura del testo ebraico dell’edizione critica comunemente usata richiede di tradurre «la fondò e la scrutò appieno»: la sapienza non viene prima compresa intellettualmente e poi utilizzata come modello, ma è fondata con il mondo, che quindi risulta armonico perché “sapienziale”.

Ancora il rispetto della esatta valenza semantica dei singoli vocaboli ebraici conduce a rivedere traduzioni di testi come Sal 19,3-5 in cui ora si può apprezzare meglio la varietà del vocabolario del linguaggio lì utilizzato con grande maestria. Nella vecchia traduzione si leggeva:

3 Il giorno al giorno ne affida il messaggio
e la notte alla notte ne trasmette notizia.
4 Non è linguaggio e non sono parole,
di cui non si oda il suono.
5 Per tutta la terra si diffonde la loro voce
e ai confini del mondo la loro parola.

Ora invece leggiamo:

3 Il giorno al giorno ne affida il racconto
e la notte alla notte ne trasmette notizia.
4 Senza linguaggio, senza parole,
senza che si oda la loro voce,
5 per tutta la terra si diffonde il loro annuncio
e ai confini del mondo il loro messaggio.

Infine, nei punti in cui non ci si è potuti allontanare da una terminologia ormai tradizionale, il commento provvede a chiarirne il senso: si veda soprattutto Is 7,14 e anche Pr 8,36. Il commento, pur ridotto all’essenziale, vuole facilitare anche l’utilizzazione del testo indicando i paralleli (1-2Re e 1-2Cr, i Sinottici), per i quali si è posta particolare attenzione a rendere uniforme la traduzione di quei testi che sono perfettamente uguali nell’originale.

Il testo confezionato secondo tali orientamenti ora viene affidato alla vita delle comunità e all’esperienza dei singoli credenti, con la fiducia che mediante esso la Parola possa diventare «saldezza della fede, cibo dell’anima, sorgente pura e perenne di vita spirituale» (Dei Verbum, 21).


Note

[1] La Sacra Bibbia, Edizioni Pastorali Italiane, Roma 1971.

[2] Nova Vulgata Bibliorum Sacrorum Editio, editio typica altera, Libreria Editrice Vaticana, Romae 1986 (cf. p. VIII).

[3] Ne hanno fatto parte, con integrazioni e sostituzioni nel corso degli anni, i vescovi Carlo Ghidelli, Alberto Giglioli (†), Luciano Monari, Luciano Pacomio, coadiuvati da Carlo Buzzetti, Romeo Cavedo, Eugenio Costa, Renato De Zan, Giuseppe Ghiberti, Tiziano Lorenzin, Luca Mazzinghi, Antonino Minissale, Angelo Ranon (†), Luigi Sessa (†), Giulio Villani (†). Segretario è stato Giuseppe Danieli.

[4] Si è fatto riferimento per l’Antico Testamento alla Biblia Hebraica Stuttgartensia (a cura di K. Elliger e W. Rudolph, 5a ed. a cura di A. Schenker, 1997) e alla Septuaginta (a cura di A. Rahlfs, 9ª ed., 1971; per ciò che concerne il Siracide ci si è però affidati al testo curato da J. Ziegler, Sapientiae Iesu Filii Sirach, 2ª ed., 1980); per il Nuovo Testamento ci si è basati sul testo della 27ª ed. rivista del Novum Testamentum Graece (Nestle-Aland, 1993) e del GreekNew Testament (curato da B. Aland, K. Aland, J. Karavidopoulos, C.M. Martini, B.M. Metzger, 4a ed., 1993). Il cambiamento dei testi critici di riferimento nella redazione della Nova Vulgata ha avuto importanti conseguenze: la traduzione della Bibbia C.E.I. del 1971 e 1974 presuppone infatti per l’Antico Testamento la Biblia Hebraica di R. Kittel (3a ed.) e per il Nuovo Testamento in generale il Novum Testamentum graece et latine di A. Merk.

[5] In questa fase del lavoro hanno collaborato Augusto Barbi, Valdo Bertalot, Giuseppe Betori, Antonio Bonora (†), Gianantonio Borgonovo, Claudio Bottini, Adriana Bottino, Maria Brutti, Innocenzo Cardellini, Cecilia Carniti (†), Lino Cignelli, Mario Cimosa, Enzo Cortese, Giuseppe Crocetti, Giuseppe Danieli, Angelico Di Marco, Claudio Doglio, Vittorio Fusco (†), Roberto Gelio (†), Mara La Posta, Tiziano Lorenzin, Nicolò Loss (†), Cesare Marcheselli Casale, Mario Masini, Luciano Monari, Francesco Mosetto, Alviero Niccacci, Marco Nobile, Anna Passoni Dell’Acqua, Romano Penna, Antonio Pitta, Virgilio Ravanelli, Armando Rolla, Francesco Saracino, Giuseppe Segalla, Adalberto Sisti, Gianni Trabacchin, Stefano Virgulin (†), Lorenzo Zani, Silverio Zedda (†), Italo Zedde. Altri apporti sono stati dati successivamente da Andrea Andreozzi, Silvio Barbaglia, Sandro Carbone, Gaetano Castello, Flavio Dalla Vecchia, Roberto Filippini, Fortunato Frezza, Corrado Ginami, Pier Angelo Gramaglia, Umberto Neri (†), Piergiorgio Paolini, Paolo Papone, Angelico Poppi, Gian Luigi Prato, Benedetto Prete, Michelangelo Priotto, Gianfranco Ravasi, Maria Luisa Rigato, Pasqualino Tamietti (†), Francesco Vannini, Gianfranco Venturi, Roberto Vignolo.

[6] Del Comitato hanno fatto parte i cardinali Giacomo Biffi (dal 1997 sostituito da Dionigi Tettamanzi), Carlo M. Martini, Giovanni Saldarini (dal 1997 sostituito dal vescovo Renato Corti), nonché i vescovi Mariano A. Magrassi (†) (dal 1997 sostituito da Giuseppe Costanzo) e Benigno L. Papa.

[7] Anche questo lavoro è stato coordinato dal Giuseppe Danieli e ha visto l’apporto di altri esperti, tra cui Augusto Barbi, Eugenio Costa, Luca Mazzinghi, Romano Penna e Gian Luigi Prato, nonché la verifica personale da parte del Sottosegretario poi Segretario Generale della C.E.I. Giuseppe Betori. In questa fase ci si è preoccupati anche di una revisione dei testi dal punto di vista linguistico e letterario, avvalendosi della consulenza di Maria Gabriella Benedetti Presilla, Ermanno Paccagnini, Ferruccio Parazzoli. Un ulteriore contributo di rilettura del testo, finalizzato anche a rendere congruente l’onomastica, è stato offerto da Gregoria Arzani e dalla Comunità del Monastero di S. Maria del mare di Castellazzo (La Spezia).

[8] Nell’esame degli emendamenti ci si è avvalsi dell’apporto di Augusto Barbi, Giuseppe Busani, Romeo Cavedo, Eugenio Costa, Giuseppe Danieli, Renato De Zan, Luca Mazzinghi, Antonino Minissale, Romano Penna.

[9] Direttori, aiutanti di studio e collaboratori dell’Ufficio liturgico nazionale – Michelangelo Giannotti, Guido Genero, Giuseppe Busani, Domenico Falco, Angelo Lameri, Natalina Argentin, Patrizia Di Maio, Anna Paola Fornaci Ranaldi e Ornella Russo – hanno offerto un contributo importante in tutte le fasi del lavoro, particolarmente con compiti di verifica e di organizzazione.

[10] Cfr. can. 825 § 1 del Codice di diritto canonico e delibera C.E.I. n. 25 del 18 aprile 1985.

[11] Alle introduzioni e alle note, con il coordinamento di Giuseppe Danieli, hanno lavorato Claudio Balzaretti, Augusto Barbi, Giuseppe Betori, Enzo Bianchi, Elena Bosetti, Maria Brutti, Carlo Buzzetti, Sandro Carbone, Giuseppe Crocetti, Rinaldo Fabris, Antonio Fanuli (†), Antonio Favale, Alberto Giglioli (†), Primo Gironi, Bruno Maggioni, Luciano Manicardi, Filippo Manini, Gilberto Marconi, Antonino Minissale, Giacomo Morandi, Pasquale Pezzoli, Gian Luigi Prato, Gianfranco Ravasi, Patrizio Rota Scalabrini, Lucio Sembrano, Filippo Serafini.


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