Esaminate ogni cosa: spirito del tempo o segni dei tempi?
di Andrea Lonardo


«Fuggite il male con orrore, attaccatevi al bene» (Rm 12,9). La lettera ai Romani, nel presentare l’atteggiamento del cristiano dinanzi alla cultura del proprio tempo, ripete le parole del primo scritto paolino, la prima lettera ai Tessalonicesi: «Esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono, astenetevi da ogni specie di male» (1 Ts 5,21-22).

Dove è immediatamente evidente la presenza nella vita del bene e, insieme, la coscienza che anche il male è all’opera. L’invito a non conformarsi «alla mentalità di questo secolo» (Rm 12, 2) indica ulteriormente la serietà della questione del discernimento che si impone a partire dalla presenza di Cristo nel mondo.

Ha scritto una volta lo psicoanalista C. G. Jung che «con lo spirito del tempo non è lecito scherzare: esso è un credo a carattere completamente irrazionale, ma con l’ingrata proprietà di volersi affermare quale criterio assoluto di verità, e pretende di avere per sé tutta la razionalità. Lo spirito del tempo si sottrae alle categorie della ragione umana. Esso agisce su basi inconsce esercitando una suggestione preponderante sugli spiriti più deboli e trascinandoli con sé. Pensare diversamente da come si pensa oggi genera sempre un senso di fastidio e dà l’impressione di una cosa non giusta; può apparire persino una scorrettezza, una morbosità, una bestemmia» (da “Realtà dell’anima”).

Quanto è necessario allora esercitare un vigile discernimento fra quelli che sono i “segni dei tempi”, secondo la nota espressione evangelica ripresa dal Concilio Vaticano II, e quello che è lo “spirito del tempo”, la “mentalità del secolo”, secondo il linguaggio paolino!

Paolo nel cogliere la permanenza della presenza del bene si rivolge all’uomo in quanto tale, prima che alle singole culture da lui prodotte. Nella lettera ai Romani si sofferma sulla dimensione religiosa che appartiene al cuore umano (Rm 1,19-20). L’animo umano, pur non essendo in grado di giungere al mistero della croce di Cristo con le proprie forze, poiché questo è possibile solo a partire dalla rivelazione di Dio, manifesta l’apertura dell’uomo all’Infinito.

Paolo afferma così implicitamente che la ricerca di Dio, la nostalgia di Dio presente nel cuore umano, è una delle caratteristiche più proprie dell’uomo che ne manifesta la sua dignità altissima.

In un’intervista rilasciata ad alcune televisioni tedesche nel 2006 il papa Benedetto XVI ha affermato, a questo proposito, che «l’anima africana e anche l’anima asiatica restano sconcertate di fronte alla freddezza della nostra razionalità. Proprio la fede cristiana non è un impedimento, ma invece un ponte per il dialogo con gli altri mondi. Non è giusto pensare che la cultura puramente razionale, grazie alla sua tolleranza, abbia un approccio più facile alle altre religioni. Ad essa manca in gran parte “l’organo religioso” e con ciò il punto di aggancio a partire dal quale e con il quale gli altri vogliono entrare in relazione. Perciò dobbiamo, possiamo mostrare che proprio per la nuova interculturalità, nella quale viviamo, la pura razionalità sganciata da Dio non è sufficiente».

L’anelito a Dio è riconosciuto da Paolo come uno degli aspetti più grandi dell’esperienza umana ed anche nel famoso discorso dell’Areopago, pur fremendo «nel suo spirito al vedere la città piena di idoli» (At 17,16), inizia la sua predicazione testimoniando che i cittadini ateniesi sono «in tutto molto timorati degli dèi» (At 17,22).

Ma anche l’esperienza morale, il relazionarsi al bene ed al male, appaiono a Paolo come straordinarie manifestazioni della dignità nativa dell’uomo, poiché essi hanno pur sempre, anche nel peccato, «la testimonianza della loro coscienza e dei loro stessi ragionamenti che ora li accusano ora li difendono» (cfr. Rm 2,15).

Ma «poiché tutti hanno peccato» (Rm 5,11) ecco che sempre, a fianco del bene, la voce del male fa sentire la sua presenza e cerca di confondersi con il soffio dello Spirito. G. K. Chesterton così scriverà nei “Racconti” che hanno per protagonista il suo personaggio più famoso, il prete cattolico inglese padre Brown: «Sono un uomo - rispose padre Brown, gravemente - e perciò ho il cuore pieno di diavoli».

Proprio questa capacità di leggere il cuore dell’uomo, a partire dal bene e dal male che vi abitano, sarà la carta vincente delle indagini nelle quali Scotland Yard non riesce a mettere le mani sui peggiori delinquenti, mentre il piccolo pretino risolve i casi più difficili, offrendo poi spesso al malvivente la possibilità del ravvedimento. Chesterton commenterà poi che «la Chiesa Cattolica è la sola capace di salvare l’uomo dallo stato di schiavitù in cui si troverebbe se fosse soltanto il figlio del suo tempo».

Il rapporto della fede con il tempo si rivela così anceps, nell’epistolario paolino. Da un lato sempre l’uomo conserva le tracce della sua dignità, del suo desiderio di Dio, della sua grandezza di cuore, che lo contraddistinguono come colui che è uscito dalle mani del Creatore, ma, contemporaneamente, ogni singolo uomo porta in sé dei germi di morte penetrati a motivo del peccato originale e dei peccati che ne sono conseguiti.

Così è anceps l’atteggiamento della fede cristiana dinanzi ad ogni cultura. In ogni epoca il cristiano cercherà, da un lato, di accogliere, ricevere e valorizzare quegli elementi che sono propri di ogni cultura e che manifestano nella storia la loro appartenenza a quel bene originario derivante dalla creazione e dalla presenza dello Spirito nel tempo, mentre, dall’altro, sottoporrà quella stessa cultura a critica, perché essa venga come rinnovata dall’interno, perché siano posti in luce e combattuti i suoi elementi di male.

In questo senso non corrisponde a verità l’affermazione che il cristianesimo paolino o successivo a lui si è semplicemente ellenizzato – analoghe espressioni potrebbero orientare in vista di una ebraicizzazione o di una occidentalizzazione o di una orientalizzazione del cristianesimo – ma piuttosto la storia della Chiesa mostra che è stata la grecità, la latinità, così come l’ebraicità o l’africanità, a cristianizzarsi.

Supremo è, per Paolo, il riferimento a Cristo. È alla sua luce e sotto la sua grazia che si manifesta ciò che è conforme e ciò che è difforme dal vangelo. Come nessuna cultura è povera di doni dinanzi a Cristo, così nessuna cultura è esente da un male dalla quale deve essere purificata attraverso un faticoso rinnovamento interiore. La ricchezza della fede consiste così nel fatto che essa è capace di accogliere ed insieme rinnovare le culture più diverse pur rimanendo pienamente se stessa.


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