Quale evoluzione possiamo oggi aspettarci dal mondo islamico? (tpfs*)
Conferenza di padre Maurice Borrmans del PISAI, tenuta al Centro Culturale L'Areopago della parrocchia di Santa Melania in Roma, il venerdì 9.11 2001.


d.Andrea : Diamo il benvenuto a Padre Borrmans che è questa sera con noi. Padre Borrmans è molto noto in Italia. Prima, scherzando, si definiva “francese, arabo, romano” perché di origine francese, ma ha vissuto moltissimi anni nel mondo arabo e vive da tantissimo al PISAI che, come sapete, è il Pontificio Istituto di Studi Arabi e di Islamistica dei Padri Bianchi, a viale Trastevere, qui a Roma. Avete visto anche qui esposti tantissimi suoi libri, tante sue pubblicazioni. In una delle ultime ha fatto una analisi di tutte le traduzioni italiane del Corano, per confrontare quelle ufficiali, quelle autorizzate dall'autorità islamica e quelle che sono fatte invece da studiosi italiani laici o non musulmani per vedere, a partire dal testo arabo, le varie interpretazioni ed anche i passi che sono più discussi, i passi con maggior difficoltà di interpretazione. Abbiamo chiesto a lui, alla sua competenza, di aiutarci un po' a comprendere in quale direzione si sta muovendo oggi l'Islam. La domanda che gli poniamo è soprattutto: “Quale evoluzione è possibile oggi nel mondo islamico? Quali sono le prospettive future? Dove va l'islam?” Ci parlerà soprattutto della situazione dei paesi del Medio Oriente, ma anche della situazione italiana.

Negli incontri precedenti abbiamo preso sempre più coscienza di alcune distinzioni fondamentali. Abbiamo visto come l'Islam non sia identico col mondo arabo, sia perché la maggioranza del mondo islamico non è più arabo (ma turco o persiano o del sud-est asiatico o africano, ecc.), sia perché parte del mondo arabo è ancora cristiano (con la presenza delle chiese ortodosse o cattoliche melkite, maronite, copte, assire, caldee, siriane, ecc.). Abbiamo anche visto come, d'altra parte, ci sia una distinzione profonda da fare, sempre sottolineata dal Santo Padre, pur nelle ovvie interconnessioni e dipendenze fra il cristianesimo, la cultura europea, la cultura occidentale e la cultura americana. Sono anch'esse realtà diverse (anche se in ambiente islamico questi termini tendono ad esser confusi). Chiediamo ora a Padre Borrmans di aiutarci a fare un passo ulteriore nel conoscere ancora di più tutte queste realtà.

p.Borrmans : Vorrei con voi tentare di rispondere alla domanda: “Quale evoluzione è possibile nel mondo islamico?”. Ora, che cosa significa “mondo islamico”? Mi fa paura l'espressione e molto spesso quando inizio delle conferenze in altre aule, come la vostra qui, chiedo alla gente di distinguere fra “islam” con la “i” minuscola e “Islam” con la “I” maiuscola. L'islam con la “i” minuscola è la religione vissuta a titolo personale, familiare e comunitario che porta ad una esperienza spirituale, ad un credo, un culto, una morale, ecc. L'Islam con la “I” maiuscola è la civiltà, la cultura, il diritto, l'economia; il diritto e la politica e dunque la realizzazione di uno stato islamico, almeno desiderato, da parte di molti musulmani nel mondo. Dunque quando io scrivo distinguo sempre l'islam con la piccola i e l'Islam con la grande I.

Purtroppo in arabo non abbiamo maiuscole e allora in arabo si dice sempre “islam” e naturalmente si fa in continuazione il passaggio dall'islam all'Islam e viceversa. E naturalmente questo fa comodo a chi è musulmano soprattutto di tipo fondamentalista. Questo mondo islamico, come ha ricordato il vostro parroco, e come forse ha detto p.Giambattista Maffi, non soltanto fa parlare di lui, ma costituisce una sfida, non soltanto per l'occidente ma per noi cristiani.

Come mai dopo venti secoli di cristianesimo abbiamo oggi nel mondo un miliardo e duecento milioni di musulmani che si trovano dappertutto? Una volta erano in alcuni paesi ben precisi, però ormai abbiamo delle diaspore di musulmani in tutti i paesi dell'Europa, dell'America del Sud - abbiamo anche delle diaspore cristiane in Arabia Saudita, nel Bahrain, ad esempio, dove sono stato vice parroco degli immigranti asiatici cattolici per tre anni.

Ora essendo dappertutto e noi in quanto cristiani lo stesso - essendo anche ogni tanto in Arabia Saudita, ho celebrato la messa a Riyad, però avevo la cravatta – questo equivale a dire che non possiamo fare a meno di prendere in considerazione questo mondo. Ora questo mondo dei musulmani è un mondo islamico? E' questo il problema per me, per noi, per alcuni di loro.

Che cosa significa un mondo islamico? Sono un miliardo e duecento milioni. Duecento milioni sono arabi, o arabofoni, dalla Mauritania al Kuwait, dalla Siria alla Somalia. Quasi cento milioni sono gli iraniani e gli afghani, mondo sciita, mondo iraniano, antica civiltà di prima del cristianesimo. Abbiamo il mondo dei turchi, cento milioni, Turchia, Azerbaigian, ex repubbliche sovietiche. Abbiamo il Pakistan “paese dei puri”, centoventi milioni di musulmani, il Bangladesh lo stesso centoventi milioni e l'India centoventi milioni e non parlo dell'Indonesia più di centocinquanta milioni di musulmani. Più della metà demografica del mondo islamico di oggi sta nel sud-est asiatico. E nel continente dell'Africa nera abbiamo più o meno cento milioni di musulmani.

Tante aree culturalmente diverse! Abbiamo anche i sunniti, il 90% e gli sciiti, il 9,8 % e gli Kharigiti, lo 0,2% che rappresentano delle – direi - elaborazioni teologiche, canoniche e anche di spiritualità molto diversificata, per non parlare dei sunniti che si dividono in quattro scuole canoniche le quali oggi sono diventate scuole di giurisprudenza nazionale. Dunque un mondo che apparentemente ha delle fondamenta unitarie, uniche - voglio dire lo stesso credo e la stessa liturgia, dei riti da praticare e la stessa morale - se non che la storia, le scuole teologiche e canoniche e poi anche le storie recenti hanno fatto sì che in ogni paese l'islam nazionale ha, direi, il suo colore locale. E non si può paragonare un senegalese musulmano vu'cumprà a Bologna, con il marocchino che lavora nei campi del Veneto. Tutto questo per dirvi che in mezzo ai musulmani oggi troviamo a una grande diversità. Diversità che viene per di più sviluppata in direzioni divergenti a causa - direi - delle sfide della modernità.

Ma che cosa significa la modernità? E' difficile tra di noi dare una definizione delle sfide della modernità: alcuni dicono le esigenze della democrazia, altri le esigenze della tecnologia, gli altri dicono le promesse dei diritti dell'uomo e così via, l'uguaglianza uomo/donna. Come definire la modernità? Lo strano, vedete, è che un secolo e mezzo fa, dal 1800 al 1900, tutti questi paesi del Medio Oriente sognavano di imitare l'occidente. E ricordo il primo libro arabo che ho letto ad Algeri, era un libro egiziano, scritto dal ministro della pubblica istruzione egiziano Taha Hussein. Il suo libro era intitolato “L'avvenire della cultura in Egitto” e la sua tesi era questa: la cultura egiziana è la figlia legittima e diretta della cultura greca. Ora oggi chi avrebbe il coraggio di dire lo stesso, dal Marocco all'Indonesia? Nessuno. Allora vedete: perché c'è stato questo cambiamento e perché oggi metà dei documenti che io leggo in arabo nella stampa, nelle riviste degli intellettuali, dei dotti della religione musulmana, quando parlano dell'influenza della cultura “occidentale” fra virgolette, parlano di “aggressione culturale”? E' un ritornello che trovo dappertutto.

Allora nasce un sentimento di rifiuto se non di gelosia. Gelosia perché? Allora prendo un altro libro scritto dal figlio del più grande storico dell'Egitto contemporaneo Husayn Ahmad Amin. Lui era nella diplomazia egiziana, ha girato dappertutto nel mondo, ha scritto un libro che ha fatto riflettere molta gente, il libro del musulmano sconcertato davanti alle sfide della modernità. Primo capitolo: “Come mai - dicono tutti i musulmani - come mai per tanti secoli noi, mondo arabo islamico, siamo stati la locomotiva, la prima carrozza della carovana e adesso siamo l'ultima?” Non è giusto! E la risposta di molti è: “Non è giusto, perché gli altri sono furbi”. Nessuno ha il coraggio di fare un'autocritica.

Allora, vedete, tutto questo per farvi capire che abbiamo un sacco di problematiche. Ora, davanti a queste problematiche, noi troviamo nella diversità delle culture, delle ideologie, di queste scuole teologiche canoniche, direi, quattro tipi di musulmani. Naturalmente è difficile mettere l'etichetta su Mohammed, su Ali, su Fatima, perché spesso la stessa persona a seconda delle tappe della vita, partecipa ad una tipologia o ad un'altra.

Io ho conosciuto nel mondo popolare dell'Africa del Nord – direi - il musulmano che vive con grande semplicità le cose della sua religione, un islam tradizionale, tranquillo, buono, che realizza psicologicamente, in ognuno e ognuna, l'uomo biblico, la donna biblica: rassegnazione, adorazione, ospitalità, generosità, solidarietà o tribale o familiare. Ricordo molti anni fa con un mio confratello eravamo ospiti di una famiglia della borghesia nel sud del paese e abbiamo detto alla signora: “Domani mattina col vostro permesso noi celebreremmo la nostra Eucarestia nel vostro salotto”. Ci dice: “Posso essere presente?” “Non c'è problema”. Era la festa di una santa e abbiamo letto come prima lettura l'ultimo capitolo del Libro dei Proverbi, la donna perfetta secondo la Bibbia, un testo stupendo: si alza per prima, provvede a tutto, ecc. Ha ascoltato questo e alla prima colazione ci ha detto: “Ma, padri miei, questo è il mio ideale, lo vivo ogni giorno”. Vedete, questo è tipico di un islam tradizionale che era stato arricchito da tanti secoli, dalle confraternite religiose, gruppi di laici che si aiutano a vicenda per vivere con il cuore il loro islam. Però questo mondo sta scomparendo. E' questo il problema!

Accanto a questa gente semplice, brava, simpatica e che ben presto con noi dimostra di essere vicina, abbiamo gli uomini di cultura religiosa che hanno soltanto la loro cultura nazionale in arabo o in iraniano o in turco o in urdu, ecc. O sono di tipo tradizionalista - abbastanza aperti, però non possono immaginare un altro mondo - oppure abbiamo anche accanto a loro i muftì riformisti, coloro che, avendo percepito le prime sfide della modernità, hanno tentato di riformare il loro islam, arabo, iraniano, ecc. dal di dentro. Naturalmente questi qui rischiano di togliere dal popolino questo islam del cuore per farne un islam della ragione, del culto e della mente.

Accanto a loro - terza categoria - abbiamo i modernisti. Tanti musulmani che hanno doppia cultura, una cultura araba, iraniana, o turca, ecc. e però anche una cultura francese o inglese o tedesca o russa o italiana o spagnola. In tal caso hanno fatto un compromesso pragmatico, a livello dei valori. Di solito quel tipo di musulmano non è tanto praticante. Si farà il Ramadan e tutto lì. Però sono quelli che stanno al potere. Nei governi, nei ministeri, nelle università troviamo quel tipo di musulmano. E' abbastanza facile dialogare con lui perché abbiamo più o meno le stesse esigenze scientifiche, della modernità tecnologica, ecc.

E poi abbiamo un altro gruppo, che è cresciuto molto in questi ultimi trenta anni: il gruppo dei musulmani radicali, intransigenti, fondamentalisti, di cui si parla molto, forse anche troppo, in questi ultimi tempi. Persone di cultura locale e anche di cultura inglese o di altri paesi occidentali. Possono essere anche loro di doppia cultura, però sono insoddisfatti di quanto hanno realizzato gli altri, i modernisti e gli uomini di religione vecchi, perché il mondo islamico fra virgolette, è arretrato, è sottosviluppato, fa parte ancora del cosiddetto Terzo Mondo - il che non è vero, perché è un mondo ricco di petrolio e di gas, però tecnicamente e culturalmente no. Come diceva il direttore di un settimanale tunisino di espressione francese “I nostri paesi hanno un sottosuolo ricco, però non siamo stati capaci noi a sfruttarlo, abbiamo avuto bisogno degli altri. Quanti premi Nobel abbiamo da proporre alla storia dell'umanità, noi mondo dei musulmani? E da nessuna parte, nei nostri paesi - aggiungeva lui - è prevista o è realizzabile l'evoluzione democratica del potere politico”. Tremendo come bilancio!

Potete capire che un musulmano che ha riletto con orgoglio e certezza di essere membro di una comunità, la migliore che Dio abbia mai creato nella storia, non si accontenti di questo bilancio e cerchi le cause, non dico del fallimento, ma dell'essere arretrati, più che mai. E allora la tentazione è di dare la colpa agli altri, ai furbi dell'occidente, ai “cattivi crociati”, ai “perfidi comunisti” - l'abbiamo letto tante volte - e in mezzo a questa compagine, naturalmente, i “terribili sionisti”. Avete capito? E' tutta la litania dei nemici dell'islam.

Ed è vero che il problema finora senza soluzione nel conflitto tra lo Stato di Israele e i popoli arabi, gli stati arabi confinanti, ha fatto sì che da mezzo secolo questa spina tremenda nel dialogo interculturale e interpolitico ha fatto sì che siamo arrivati agli eventi di oggi. Ricordate, nel 1948 le Nazioni Unite decidono la creazione di due stati, sul territorio del mandato britannico: Israele e Palestina. Ma purtroppo subito i paesi arabi rifiutano sia l'una che l'altra dichiarazione: è una guerra che dura quasi un anno e naturalmente gli israeliani sono vincitori. Stranamente allora, dopo il primo armistizio, la Cisgiordania viene amministrata e quasi annessa alla Transgiordania per fare la Giordania, però la striscia di Gaza diventa protettorato egiziano ed è stato così fino al 1967, la Guerra dei sei giorni. Ricordate '48, '56, Suez, '67, la Guerra dei sei giorni, '73 la guerra di Ramadan e di Kippur con l'embargo sul petrolio. Per la prima volta i paesi islamici si rendono conto che tenendo i rubinetti del petrolio sotto controllo, possono mettere l'occidente in ginocchio. Questo è stato per loro un momento di risveglio politico tremendo.

E poi '82 Sabra e Shatila e Beirut e Arafat, con le sue piccole ultime cose, i suoi sopravvissuti, va a finire a Tunisi . E' l'anno '82 e poi ci saranno gli accordi di Oslo e sapete quante “Intifada” continuano a sviluppare un clima di tensione da non finire.

Non è il momento di cercare chi è il colpevole nella vicenda. La realtà è che questo conflitto, che dura da mezzo secolo, ha fatto sì che i fondamentalisti musulmani hanno detto ai nazionalisti arabi: “Voi, con il vostro socialismo di stato e il vostro nazionalismo pan-arabo, non siete stati capaci di risolvere il problema. Noi, da musulmani, lo risolveremo perché tutta la terra, dal Giordano al Mediterraneo, è terra di islam. Butteremo fuori questi ultimi crociati”. L'ho letto tante volte nella loro letteratura. Allora, amici miei, davanti a questa realtà cosa si può, si deve fare? Bisogna fare qualcosa, certo! Bisogna essere realisti e sapere quali sono gli ostacoli e soprattutto le impossibilità da realizzare subito.

Dunque vi ho detto che ci troviamo davanti questa realtà, molto complessa. D'altronde al momento della dichiarazione universale dei diritti dell'uomo nel '48 a New York ricordate che pochi erano gli stati islamici che allora erano indipendenti. I rappresentanti del Libano con quello della Francia, il signor R.Cassin, e poi la vedova di Roosevelt sono stati i tre a lottare fino in fondo per l'elaborazione e la pubblicazione di questo documento. Però ricordate che l'Arabia Saudita ha rifiutato di firmare il documento, essendo contraria ad uno dei suoi articoli che prevede l'uguaglianza di scelta per il matrimonio e anche la possibilità per una donna di sposare l'uomo del suo cuore senza ostacolo di religione. Dunque questo discorso dei diritti dell'uomo rappresenta il cuore delle sfide della modernità, per la sua espressione concreta nel campo sociologico, economico, culturale e politico. Tutto deriva da quanto questa dichiarazione definisce, propone e stabilisce.

Ve l'ho detto, dobbiamo prendere in considerazione la parola “mondo islamico”. Che cosa significa? Un mondo islamico non c'è: abbiamo dei paesi, degli stati con delle frontiere, dei governi, con delle rappresentanze, diciamo ambasciate, consolati, ecc. e con delle leggi nazionali. Mi rifiuto di discutere del matrimonio islamo-cristiano in Italia: non esiste. E' un matrimonio italo-tunisino: si tratta di leggi nazionali. Vale a dire che il mondo islamico tale e quale non c'è. Benché nella testa di molti musulmani, soprattutto di uomini di religione - la seconda categoria - e i fondamentalisti-radicali - la quarta categoria - rimane nella psiche collettiva l'ideale di un mondo islamico che sarebbe una “dimora dell'islam”. Un commonwealth senza frontiere all'interno, dove tutti quanti potessero seguire gli stessi schemi, vivere la stessa pratica, e soprattutto riconoscersi a casa loro, senza gli altri. Senza gli altri!

Dimora dell'Islam, casa dell'islam, casa della giustizia, casa della pace, Dar es Salaam - il nome della capitale della Tanzania. E sanno, in questa ricostruzione o desiderio classico, che l'altra parte del mondo dove i musulmani non sono al potere è la dimora della guerra – “dar al-harb” è l'espressione tecnica, dimora della guerra - verso la quale ogni anno, il capo del mondo islamico dovrebbe per legge provvedere ad aprire le porte per la predicazione islamica e, se questo non è possibile, jihad bellico per aprire le porte. Benché sia possibile ogni tanto tra la dimora dell'islam e la dimora della guerra avere la dimora dell'armistizio: per una decina di anni non ci sarà guerra. I dotti medievali questo l'hanno scritto, elaborato e giustificato. Ora questo fa parte - direi - del subconscio di alcuni gruppi di musulmani, quelli che, tradizionalmente, si riferiscono al periodo del dominio della comunità islamica di Baghdad e poi i fondamentalisti. Dunque, vedete, avete questo da una parte.

D'altra parte tutti questi stati moderni, da quando sono diventati indipendenti, hanno preso in mano l'organizzazione dell'islam internazionale. Che voi siate in Marocco, in Algeria, in Tunisia, in Egitto, in Siria, in Iraq, nella Penisola Araba, cosa scoprirete dopo alcune settimane di soggiorno? Che c'è il ministero degli affari islamici, che costruisce e mantiene tutte le moschee. E, se la gente costruisce liberamente delle moschee private, ogni tre o quattro anni c'è la nazionalizzazione delle moschee private affinché siano controllate dal ministero del culto islamico che paga gli impiegati e talvolta dà lo schema della predica del venerdì. C'è il ministero della pubblica istruzione che elabora i manuali di educazione islamica per l'ora di religione in tutte le scuole dello stato, dando la sua interpretazione delle fonti dell'islam, del credo, del culto, della legge della famiglia, ecc. C'è il ministero della cultura - perché in quasi tutti i paesi c'è il ministero della cultura e dell'orientamento nazionale. Alcuni paesi europei hanno conosciuto questo prima dell'ultima guerra mondiale. Il che vi permette di capire che - radio, televisione e stampa - dappertutto l'islam è presente con i testi del Corano e i canti dei muezzin, cioè la cultura nazionale è portatrice dei valori del Corano, della Sunna [1] e dunque della Shari'a [2] . Per non parlare ogni tanto del ministero della giustizia, perché nel Medio Oriente abbiamo una doppia distribuzione dei tribunali: tribunali religiosi, per quanto riguarda il diritto della famiglia e tribunali secolari, secolarizzati, per quanto riguarda tutti i codici, le leggi che trattano del commercio, della procedura, ecc.

Dunque vedete l'islam nazionale viene in ogni paese amministrato dal governo che nomina il gran muftì, il comitato superiore per le cose dell'islam e, naturalmente, c'è un servizio reciproco di legittimazione fra governo e rappresentanti del sistema religioso nazionale. In tal caso potrei dire che questi paesi sono più o meno islamici, però molti altri paesi di popolazione musulmana non sono islamici, hanno scelto la via della laicità. Pensate alla Turchia moderna di Kemal Ataturk, pensate anche alla Siria e all'Iraq del partito Ba'th, che hanno introdotto una distinzione abbastanza importante, pensate all'India, pensate anche all'Indonesia che ha basato la sua costituzione sulla “pentasila” - tutti d'accordo per legge su un Dio unico e poi le religioni facciano come vogliono - e poi nell'Africa nera, al Sud del Sahara, voi sapete che quasi tutti i paesi dove la maggioranza è musulmana sono di tendenza laica. La costituzione non dice, come nei paesi arabi ad eccezione della Siria e del Libano, che l'islam è la religione dello stato. Ora che cosa significa che l'islam è la religione dello stato? Lo stato va a pregare? Sono le persone che pregano! Vedete ancora qui delle domande da fare.

Ora tutti questi paesi che hanno dunque il compito di essere amministratori dell'islam nazionale, per definirlo oggi, rappresentarlo nel mondo e trasmetterlo alle nuove generazioni tramite i manuali scolastici, hanno tentato tra di loro di raggrupparsi e stranamente - vedete - da quando il califfato è stato abrogato da Kemal Ataturk, nel 1924, ad Ankara, i musulmani hanno tentato di ricreare l'istituzione califfale e così si è creata la prima istituzione islamica internazionale, che si chiama il Congresso del mondo musulmano, che a lungo ha tentato delle assemblee a Gerusalemme, al Cairo, alla Mecca, per trovare un nuovo califfo. Ma non è stato possibile. Oggi la sede di questo congresso sta a Karachi. Il presidente è saudita, il segretario generale è pakistano. Però a lungo, per quasi trenta anni, il segretario generale del congresso del mondo islamico era il Gran Mufti di Gerusalemme, al-Husayni, che purtroppo durante l'ultima grande guerra mondiale era a Berlino e appoggiava Hitler. Dunque un carattere antisemitico chiarissimo, in tale congresso, del mondo musulmano. Dunque capite la faccenda di Israele: ci troviamo davanti delle difficoltà.

Nel '62 è creata alla Mecca, dal governo dell'Arabia Saudita, la Lega del Mondo Islamico, che è come la Propaganda Fide del mondo islamico: sostenere tutte le diaspore di musulmani in tutti i paesi del mondo dove non c'è uno stato islamico, affinché non perdano la loro identità, la loro fede e le loro pratiche. Questa Rabita è presente dappertutto nel mondo. Il finanziamento non pone problemi e dappertutto mandano missionari e questa Rabita da allora ha restituito al mondo dei musulmani la voglia di islamizzare il mondo intero mandando missionari e imitando nel continente dell'Africa nera le missioni cattoliche e protestanti : è la famosa Da'wa [3] .

E poi, nel '69, a causa dell'incendio fallito della moschea El-Aqsa - siamo di nuovo a Gerusalemme - il re del Marocco invita i capi degli stati detti islamici a Rabat e crea con loro l'Organizzazione della Conferenza Islamica, la quale si sviluppa in tal mondo da diventare le Nazioni Unite Islamiche, con cooperazione politica, economica, culturale. Si è sviluppato questo raggruppamento in tutte le direzioni: cinquanta stati aderiscono. Per fortuna nostra - direi - le decisioni debbono essere prese all'unanimità. E' difficile che cinquanta rappresentanti, tutti quanti, vadano d'accordo per una mozione.

Questi raggruppamenti hanno fatto sì che il mondo dei musulmani, tramite stati più o meno islamici, hanno ridato alla coscienza comune dei musulmani il desiderio di vivere insieme. Il problema è: vivere insieme da soli o con gli altri? Tutto il problema sta qui. E' stato creato a Gedda, venticinque anni fa, un istituto per le minoranze islamiche nel mondo e il suo direttore era un professore indiano musulmano Syed Z.Abedin. Lui ha tentato di riformare la psiche collettiva di cui vi ho parlato ed in tutti i suoi scritti lui ha insistito su questo fatto: che del miliardo e duecento milioni di musulmani del mondo, un terzo, quattrocento milioni, vivono in paesi che non sono islamici. E lui diceva: “Questi paesi non saranno mai islamici”, perché sono paesi in cui i musulmani convivono con altre religioni, altri gruppi, ecc. E allora diceva: “Perché mantenere in quei musulmani un complesso di colpevolezza perché vivono in una società che non è islamica?” Lui diceva che bisogna ridefinire il concetto di comunità musulmana internazionale. Mentre i fondamentalisti mi parlano di comunità islamica internazionale, islamica come istituzione politica, lui parlava di comunità musulmana come istituzione religiosa soltanto. Qui - vedete - ci troviamo al bivio e, dappertutto, nel mondo dei nostri amici musulmani vediamo che non è facile trovare una soluzione, perché sono costretti tutti quanti ad entrare nel concerto internazionale delle relazioni economiche, tecnologiche e politiche. Allora come combinare ed armonizzare tutto questo: con gli altri o senza gli altri? E' questo il problema!

Ottobre 1999: io sono ad Algeri, invitato dal presidente dell'Alto Consiglio Islamico, che dipende dal Presidente della Repubblica, un amico nostro. Lui organizzava un seminario di studi di tre giorni per vedere la possibilità di riformare un pochino la legge algerina della famiglia, a favore di una promozione della condizione della donna. Ci siamo ritrovati per tre giorni nell'albergo più moderno di Algeri, con controlli di polizia all'entrata, dentro e all'uscita. Quattrocento musulmani, professori, deputati, alti impiegati dello stato. Eravamo tre cristiani, l'arcivescovo mons. Teissier, una suora libanese che insegna all'università ed io che ero andato lì e mi hanno nominato rappresentante della Santa Sede - mai successo in vita mia. Tutto questo però per arrivare a delle conclusioni quasi inutili. Tre giorni di dibattiti e nei dibattiti che cosa abbiamo percepito? Abbiamo sentito l'ex ministro del culto islamico dire a tutta l'assemblea - metà dell'assemblea era femminile, ma poche le donne vestite come voi, giovani donne di 25 anni, con il velo, anche se non eravamo a Teheran, ma ad Algeri (Repubblica Democratica Popolare è la definizione costituzionale) - il ministro ha detto al microfono: “Il problema per noi è di sapere se vogliamo vivere tra di noi o con degli altri”. Metà dell'assemblea naturalmente ha fatto un bell'applauso alla sua prima proposta. Ed è questo il dramma dell'Algeria di oggi: metà dell'Algeria vuol vivere a casa sua, soltanto fra musulmani - degli altri non ne abbiamo bisogno, non li vogliamo avere accanto a noi perché ci pongono dei problemi. L'altra metà della popolazione pensa il contrario e credo che sia simbolicamente significativo.

Ora a venire a mettere benzina sul fuoco c'è questo fatto che tutti questi paesi che tentano pragmaticamente di risolvere tutti i loro problemi economici, culturali, religiosi e politici non riescono a mantenere le promesse fatte all'indomani dell'indipendenza, perché le realtà sono quelle che sono e la prima realtà è la demografia galoppante.

Prendiamo l'Algeria. Al momento dell'indipendenza, nel '62, sono dieci milioni. All'ultimo censimento, due anni fa, sono 31 milioni. Immaginate l'Italia che triplica la sua popolazione in quaranta anni. Cosa succede? Una rivoluzione! E' quello che è successo in Algeria. Soprattutto quando la scolarizzazione è fatta così male che all'esame di maturità le bocciature sono l'80%. Per tanti motivi - non posso entrare in tutti i particolari. Allora capite che l'urbanizzazione accelerata e mal fatta, la scolarizzazione anche essa mal programmata, il lavoro che non c'è per tutti… Capite che, in tal caso, i giovani dove vanno a finire? Allo stadio per vedere la partita di calcio – sarebbe meglio! Però altri ascoltano le sirene dei leaders del fondamentalismo che dicono: “Vedete c'è il petrolio e la benzina, ma dove va a finire il denaro? E perché la nomenclatura nostra manda i suoi figli e le sue figlie a studiare all'estero e noi a casa nostra non abbiamo tutto? E perché arabo e non arabo, francese e non francese insieme? E perché imporre a noi i modelli di sviluppo dell'occidente che non sono fatti per noi. Tentiamo i modelli islamici”. Naturalmente non hanno un programma ben preciso, però sono delle sirene che si fanno sentire e quando qualcuno non ha niente da perdere tenta di guadagnare qualcosa da qualche parte. E' una situazione difficile che però porta acqua al mulino dei fondamentalisti. Anche se è vero che tanti paesi di tradizione musulmana sono talmente ricchi che naturalmente possono essere accusati di sprecare apertamente tutto il loro denaro.

Allora in mezzo a tutto questo abbiamo delle comunità cristiane che debbono convivere, come piccola minoranza. Voi sapete che nel Medio Oriente, per fortuna nostra, abbiamo ancora tante comunità cristiane che sono tuttora le presenze delle antiche chiese apostoliche: Gerusalemme, Antiochia, Alessandria, Costantinopoli. Però sono vere gocce nell'oceano. Nell'Egitto forse sono l'8%, nell'Iraq, nella Siria 5%, nella Giordania, 3%, in Palestina, 1-2%. Anche nel Libano, oramai, i cristiani non sono più la maggioranza, il 40% soltanto. E queste comunità purtroppo sono divise. Fortunatamente da quasi dieci anni sono raggruppate in unioni locali di chiese. Ne possiamo parlare nel dibattito, però il sistema ha previsto in questi paesi che per le comunità cristiane di minoranza ci sia uno statuto di cittadinanza un po' al di sotto dello statuto comune del cittadino musulmano.

Ricordate Boutros-Ghali che, a nome di Sadat, ha potuto sistemare la pace fra Egitto e Israele, a Camp David. Era ministro di stato, ma non poteva essere ministro degli esteri, un posto riservato ai musulmani. Vale a dire che nel Medio Oriente il cittadino cristiano, tranne che nel Libano, non può avere accesso alle più alte cariche dello stato, perché l'islam è la religione, o l'ideologia o, direi, l'ordinamento giuridico-politico della società globale. Ora nella penisola araba, come nell'Africa del Nord le piccole comunità cristiane sono composte di stranieri, dunque presenza precaria, con una presenza di preti, suore, persone consacrate. Però le chiese locali sono delle piccole cose da niente. Nell'Algeria di oggi, in mezzo a trentuno milioni di algerini musulmani forse abbiamo cinquemila stranieri più o meno cristiani con quattro vescovi. Dunque quando noi parliamo della chiesa d'Algeria rischiamo di esagerare la sua importanza.

Per fortuna nell'Africa nera, nel Pakistan, nel Bangladesh, nell'Indonesia, le chiese locali sono autoctone, hanno partecipato anche a tutta l'evoluzione indipendentistica e possono dialogare, convivere e lavorare insieme con i loro connazionali musulmani. Tutto questo - vedete - vi fa capire che le problematiche, le ipotesi, che oggi dobbiamo fronteggiare sono molto complesse e non possiamo generalizzare una spiegazione unilaterale in qualsiasi campo della ricerca o, direi, domani, delle previsioni. Però siamo invitati tutti quanti a moltiplicare tutte le passerelle inter-culturali, inter-economiche e forse inter-religiose, per quanto è possibile.

Gilles Kepel, uno specialista francese dei movimenti fondamentalisti musulmani, nell'anno 2000 ha scritto un libro in francese a Parigi che è stato tradotto quest'anno in italiano: “Jihad, ascesa e declino”. E la sua conclusione è: “Forse la democrazia per domani?” con un punto interrogativo. Visto quanto noi possiamo leggere oggi e sentire la domanda rimane tale e quale. I paesi di tradizione islamica sono in cammino verso la democrazia? Può darsi di sì, può darsi di no. E dipende da chi? Non lo so. Può darsi di sì, perché vediamo molti intellettuali arabi musulmani, non tanto praticanti, chiedere a tutti quanti un esame di coscienza - finalmente un'autocritica! Per loro, bisogna condannare il terrorismo a nome del vero islam. Però i rappresentanti degli islam nazionali, gli uomini giovani che dovrebbero parlare, gridare, urlare, non dicono un gran che, perché sanno benissimo che nel Corano stesso ci sono parecchi versetti sulla violenza. E allora si tratta di un problema di interpretazione.

Abbiamo parecchi versetti nel Corano che dicono: “Combattete ad oltranza”, anzi: “Uccidete i politeisti dovunque li troverete”, “Combattete coloro che non sono musulmani, fino a che non paghino la “dhimma” [4] e non siano sottomessi”. Dunque abbiamo dei versetti a favore della pace e ne abbiamo altri a favore della guerra. Ci sono versetti per la jihad almeno difensiva, altri per quella forse preventiva e altri, forse, per quella aggressiva. Allora: come interpretare tutto questo? Non è facile rispondere. E talvolta le nostre politiche europee, ingenue, buoniste, hanno fatto sì che una legione islamica è andata a combattere a fianco dei bosniaci in Bosnia Erzegovina. Non dico che la Serbia abbia fatto bene, però vedete che è molto complesso il problema. E questa legione di islamici avevano sulla fronte la Shahada [5] .

Allora, amici miei, può darsi di sì, può darsi di no. Ora questi musulmani ormai sono a casa nostra. Voi sapete che in Europa, oramai, abbiamo cinque milioni di musulmani in Francia - e più della metà sono cittadini francesi, come me e gli altri lo saranno. Due milioni di turchi in Germania, un milione e mezzo di musulmani dell'India, Pakistan, Bangladesh, in Inghilterra. In Italia abbiamo sul milione di extra comunitari. La metà sono di fede musulmana, 150.000 marocchini, 50.000 tunisini, e così via.

Ora voi avete visto che, in risposta alle sfide degli ultimi eventi, le risposte di alcuni leaders musulmani in Italia non sono tra di loro concordanti: c'è tanta cacofonia, però alcuni si permettono delle manifestazioni - direi - molto tristi nei confronti della maggioranza cristiana del paese. L'avete visto forse nel Corriere della Sera la manifestazione di Milano con dei cartelli: “Islam sempre più su, il cristianesimo sempre più giù”, “L'Eucaristia rito antropofago, rito ematofago”. Mi sembra che sia un po' troppo, non è a favore del dialogo di domani o della collaborazione tra marocchini in Italia e la maggior parte del popolo italiano che è di tradizione cristiana, se non praticante.

Se non che - voi capite - davanti a tutti questi problemi della cosiddetta integrazione delle popolazioni immigrate, le risposte non sono unitariamente uniche, ma abbiamo delle tendenze contrastanti. La posizione giusta non è facile tanto più che i nostri amici musulmani tra di loro non parlano la stessa voce e in Italia voi sapete che a Roma noi abbiamo il Centro Culturale Islamico di Monte Antenne, moschea, sala di conferenze e biblioteca. Però la presidenza del comitato che controlla tutto è affidata ogni anno ad un ambasciatore di un paese islamico - ambasciatore presso il Quirinale – ma, praticamente, è l'ambasciatore dell'Arabia Saudita che assume sempre la suddetta funzione, e capite perché: hanno finanziato quasi tutto. Poi in seconda posizione il Marocco, mandando gli artigiani per mettere i mosaici. Praticamente il Centro islamico di Roma è il centro culturale saudita, il che non ci permette un bel dialogo, quando si sa che l'Arabia Saudita, che viene considerato come stato modello da molti musulmani nel mondo, applica un'interpretazione della legge islamica molto stretta. Sapete che nell'Arabia Saudita abbiamo più di un milione e mezzo di stranieri - il vescovo Mons. Gremoli che sta ad Abu Dhabi mi diceva almeno trecento, quattrocentomila filippini, tutti cattolici – ed è impossibile avere un prete ufficialmente al loro servizio nella penisola saudita. Abbiamo alcuni preti clandestini con il rischio, ogni tanto, di essere buttati fuori se sono denunciati. Allora capite che ci mette in una posizione difficile.

Ora un po' dappertutto in Italia le associazioni di musulmani immigrati, che spesso si vedono sottomesse ad una leadership di musulmani diventati italiani dopo i loro studi nelle nostre università, hanno costituito l'Unione delle Comunità e delle Organizzazioni Islamiche in Italia, l'UCOII, che naturalmente ha proposto allo Stato italiano un'intesa, quasi un concordato. Però c'è anche, accanto a questa corrente, un'altra composta soprattutto di convertiti italiani all'islam, ma ad un islam di tipo filosofico, metafisico, mistico, sulla scia di un francese convertito all'islam al Cairo, cinquant'anni fa, René Guenon. Si chiama questa la Comunità Religiosa Islamica in Italia, la COREIS, che naturalmente non va mai, assolutamente mai, d'accordo con l'UCOII. Anch'essa ha proposto la sua intesa. Poi a Roma, a Napoli, avete l'Unione dei Musulmani d'Italia con alcuni convertiti alla direzione. Anche loro hanno proposto un'intesa. Allora capite che soltanto per questo piccolo mondo di mezzo milione di musulmani che stanno in Italia e forse dei due, tre, quattromila convertiti all'islam abbiamo questa complessa situazione. Moltiplicate questo per due, per tre, per quattro, in Germania, in Francia, in Gran Bretagna. E' molto difficile. Paradossalmente il governo belga ha organizzato lui, governo laico, le elezioni nelle comunità musulmane di marocchini e turchi del Belgio per avere una piccola assemblea rappresentativa dei musulmani che vivono nel Belgio, sia gli stranieri che i già cittadini. E' un po' paradossale per noi che lo Stato faccia questo. Ma non lo è tanto per i musulmani, come diceva un dotto professore di diritto musulmano a Damasco in un colloquio qui a Roma a Frascati: “Lei deve capire, professore, che l'islam ha bisogno dello stato. L'islam non può fare a meno dello stato. E' chiaro”.

Allora capite davanti a queste situazioni quale dovrebbe essere la relazione fra le comunità musulmane in Italia, stranieri, o le comunità musulmane d'Italia, cittadini, con lo Stato italiano, nel quadro della costituzione laica e delle tradizioni culturali del paese.

Tutto questo mi porterebbe a commentare i problemi della convivenza: le moschee. Credo che sia normale che abbiano le moschee, luoghi di preghiera, decenti, che però siano sottomesse, in quanto necessario, alle regole dell'urbanistica locale.

d.Andrea : Possiamo ora continuare il nostro incontro, rivolgendo delle domande a p.Borrmans.

p.Borrmans : Sì, va bene. E' difficile trattare tutto. Allora chi ha una domanda sull'argomento?

Domanda : Molto rapidamente, a proposito della distinzione che lei faceva fra le quattro categorie di islam. Se ho ben capito il pericolo che lei segnalava era proprio che quelli che lei ha chiamato uomini di religione adesso abbiano una certa convenienza nel lasciare che i musulmani fondamentalisti prendano il sopravvento rispetto ai musulmani laici, ai modernisti che hanno governato fino ad ora in alcuni stati islamici e che, come lei diceva, non hanno ottenuto buoni risultati. C'è un pericolo di emarginazione definitiva di ogni speranza di avere un confronto con altri paesi laici, oppure no?

p.Borrmans : Io avrei bisogno di tanto tempo per spiegarvi nei dettagli il gioco molto complesso. Prendete la situazione egiziana. Avete un governo di tipo laico, i modernisti sono al potere. Avete El Azhar, la grande università islamica tradizionalista, che ha un millennio di anni di ortodossia alle spalle, che naturalmente, al tempo di Nasser, socialista - socialismo arabo - ha dovuto obbedire ad una laicizzazione della struttura globale della società. E Mubarak, dopo Sadat, procede sulla stessa strada, grosso modo. Però dato che c'è la pressione sempre più forte dei fondamentalisti, i “fratelli musulmani”, ikhwan muslimun [6] , dato che il governo vuole contrastare tutti questi estremisti, il governo ha bisogno dell'appoggio di El Azhar presso il popolino che è ancora di fede tradizionale. Allora El Azhar risponde: “D'accordo, vi appoggio, governo mio, però restituite all'insegnamento dell'islam in tutte le scuole, alla radio, alla televisione, l'importanza che i vostri predecessori ci hanno tolto”.

Allora - vedete - c'è un gioco continuo sicché per contrastare i fondamentalisti lo Stato dà di nuovo, diciamo, ai moderati musulmani un'importanza che non avevano più. Dunque c'è una forma di re-islamizzazione tramite questo processo di difficile armonizzazione continua tra tutti questi elementi, perché i capi dello Stato sanno benissimo che devono sfruttare il sentimento religioso delle masse per portare avanti il progetto nazionale di ispirazione, direi, laica, più o meno. E questo gioco difficile in ogni paese ha la sua caratteristica. Non ci sono due paesi simili. Per di più, per complicare le cose, in Egitto c'è la presenza dei sette milioni di copti. Quando un leader musulmano - non dei fondamentalisti, ma di El Azhar! - dice in un articolo: “Nessun soldato cristiano nell'esercito, perché sarebbe un potenziale traditore”, capite che la situazione non è comoda per le comunità cristiane. Allora qual'è il riflesso della comunità cristiana egiziana? Vive come se non ci fossero i musulmani. Se voi frequentate le chiese degli ortodossi copti, in Egitto, sembra che vivono in un paese dove non ci sono musulmani. E' la forma di piegarsi su se stesso, in una forma di ghetto culturale-religioso. Economicamente e politicamente sono sottomessi, sopravvivono. Però vivono tra di loro. E' diverso nel Libano, è ancora diverso nella Siria, dove appartengono anche talvolta al partito che è al potere. E' molto complesso. Mette le comunità cristiane in una situazione molto difficile.

Domanda : Scusi, volevo fare una domanda. Lei prima ha parlato dei quattro gruppi.

p.Borrmans : Sì, è una tipologia, ma non tagli con l'accetta, perché ognuno appartiene più o meno a due o tre di queste categorie.

Domanda : I fondamentalisti mi sembrano un po' gli ultimi arrivati.

p.Borrmans : Non sono gli ultimi, ci sono stati sempre.

Domanda : Allora diciamo che oggi si fanno più sentire, in alcuni casi riescono a farsi sentire perché traggono forza da un malessere sociale, anche economico.

p.Borrmans : Malessere sociale, anche economico. E poi anche insuccesso sulla scena internazionale – direi - dell'islam come cultura e come religione. Vedete, il Corano promette la vittoria ai musulmani. Tra i 99 bei nomi di Dio c'è: Colui che dà l'aiuto fino alla vittoria, al-Fatih, Colui che apre le porte per la vittoria, al-Nasir, Colui che vince, al-Ghalib, e nel Corano la vittoria finale è promessa a tutti i popoli che seguono il loro profeta. Il segno della vittoria, come lo abbiamo nell'Antico Testamento in alcuni testi, è per i musulmani fondamentale. Vedete, la vittoria è promessa e paradossalmente l'ultimo capitolo del Corano trasmesso da Maometto ai suoi amici è la Sura 110, è la Sura conclusiva: “Quando Iddio vi darà il trionfo e la vittoria e vedrai la gente entrare nella religione di Allah a frotte, allora celebra le lodi del tuo Signore e chiedi a lui perdono, egli è colui che molto perdona”. Allora vedete, il fatto che da due secoli i musulmani non sono più all'avanguardia, ma, piuttosto il contrario, fa sì che la psiche collettiva si dica inconsapevolmente: “C'è qualcosa che non funziona. E' colpa di chi? E' colpa degli altri, o è colpa dei nostri capi? Bisogna cambiare le cose. Come?” E avete, allora, dei fondamentalisti di tipo pacifico che fanno la re-islamizzazione lampante, partendo dalla base. Vanno nei ristoranti, incontrano il musulmano e gli dicono: “Perché stai bevendo vino? Non si può fare” E buttano giù il suo bicchiere. Però ci sono anche i “fratelli musulmani” che tentano - diciamo - una ribellione armata per cambiare il potere e succede che in tal caso a volte il potere laico dello Stato, come in Siria nell'82, manda le sue truppe e butta giù con cannonate tutta la città di Hama e così - mi dicono anche i cristiani a Damasco - così abbiamo la pace per mezzo secolo. Però poi cosa succederà?

E' una situazione molto difficile e capisco che i capi degli Stati islamici e gli uomini che stanno al governo, consapevoli di questa situazione molto complessa e rischiosa, non vedono domani come sistemare le loro cose. Orbene in molti di questi paesi l'evoluzione democratica del paese non è garantita. Se domani muore Mubarak al Cairo, chi è previsto per succedergli? Nessuno. Se Saddam Hussein muore a Baghdad, ci sarà suo figlio? Come a Damasco il figlio? Allora abbiamo delle presidenze ereditarie. E' un po' strano il sistema.

Paradossalmente le società islamiche dove c'è un re, un emiro, un sultano, sono più equilibrate e moderate e da quel punto di vista io mi rallegro di vedere il Marocco camminare abbastanza bene. Non conosce i drammi dell'Algeria vicina. Perché poteva essere contagioso il fenomeno conflittuale algerino. E allora vedrete nelle strade di Casablanca centomila donne con il velo, elogiando l'applicazione della shar'ia e a Rabat centomila altre donne senza velo, dire “Vogliamo riforme ancora più moderne”. Si fa tutto questo sotto lo sguardo sorridente del nuovo re che si sposerà tra poco e che dice che nelle provincie meridionali, nel Sahara marocchino, il vero islam non è quello dei taliban e neanche di alcuni altri paesi (e sappiamo chi sono!).

E' una situazione molto complessa. E allora voi capite che, presso le diaspore che sono a casa nostra, c'è un doppio pericolo. Da una parte tutte queste diaspore musulmane, di qualsiasi origine nazionale siano, a casa nostra imparano “nolens volens” a vivere l'islam con la “i” minuscola e sono costrette a rinunciare all'Islam “I” maiuscola, perché sono a casa nostra, in democrazie pluralistiche, laiche, ecc. Alcuni capi religiosi tradizionalisti o fondamentalisti dicono: “Attenti, amici miei, che quelli stanno acquistando una nuova mentalità, vivere la religione musulmana per conto proprio, in famiglia, in comunità, ma senza progetto politico per la società. Attenti perché rischiano di portare questi microbi a casa nostra. Mandiamo dunque predicatori, mandiamo catechisti, affinché vengano mantenuti nel desiderio futuro di costituire una comunità islamica nel senso pieno della parola”. E perciò approfittano delle nostre libertà per mandare in mezzo a noi predicatori fondamentalisti. Ne abbiamo tante prove soprattutto in questi giorni. Però possiamo anche dire nello stesso tempo, visto dal nostro punto di vista, che è forse una chance, una possibilità positiva per domani di vedere questi musulmani cresciuti in mezzo a noi, che ripensano un po' le risposte autentiche di una religione, non di una ideologia, alle sfide della modernità, per aiutare i paesi di origine a cambiare pian piano le cose a casa loro. Dunque, vedete, abbiamo anche qui una situazione potenzialmente conflittuale. Però c'è concorrenza di diverse visioni e questo vi spiega che le associazioni musulmane a casa nostra sono così tante e diverse tra di loro e talvolta in conflitto, e anche conflitti di leadership.

Allora la nostra accoglienza deve essere onesta, civile, cristiana, ma nello stesso tempo, essendo coerenti noi con i nostri ideali civili e cristiani, dobbiamo anche essere molto realisti. E forse - direi - il punto debole della famosa lettera del cardinal Biffi è che lui ha puntato subito il dito sull'appartenenza religiosa. Doveva parlare della integrabilità civile degli extra comunitari, che siano musulmani o non musulmani non importa. Sono potenzialmente integrabili sì o no? Sono entrati liberamente a casa nostra? Allora: “Benvenuti amici miei, venite a lavorare in mezzo a noi, c'è del lavoro. Però, per carità, siete entrati liberamente, rispettate le nostre regole, le nostre usanze, le nostre tradizioni e organizziamo il pluralismo per tutti”. C'è un ricevimento? Sul tavolo ci sia prosciutto, salame ecc. e su un altro tavolo salmone, ecc. E che ognuno faccia le sue scelte. C'è vino per chi vuol bere vino - sono libero, il vino è buono, è un dono di Dio - e c'è acqua, coca cola, per chi vuole. Ma che il pluralismo venga organizzato. Nell'aula della scuola c'è il Crocifisso: venti ragazzi cristiani, due ragazzi musulmani. Dovremmo togliere il Crocifisso perché la piccola minoranza di due musulmani lo chiede? La maggioranza anche ha i suoi diritti. Anziché creare una laicità a-religiosa io preferisco una laicità plurireligiosa. Dobbiamo spiegare ai due piccoli musulmani che la croce è importante per i cristiani. Se loro vogliono essere gli amici dei loro connazionali nuovi, debbono sapere questo e rispettare i cristiani. E io spiego ai cristiani che cos'è il Corano dei musulmani e che devono rispettare il Corano dei musulmani. E sono pronto a chiedere ai musulmani: “Datemi un bel versetto del vostro Corano e lo metteremo anche accanto al Crocifisso se lo volete”. Laicità plurireligiosa e così educhiamo la gente a vivere nel rispetto reciproco, anziché nell'ignoranza. Perché l'ignoranza genera paura e poi violenza. Niente da fare, gli eventi ce lo dicono! Però dobbiamo essere coerenti a casa nostra.

Alcuni anni fa ero a Torino invitato dalla Direttrice di una scuola media superiore che aveva organizzato per tutta la domenica conferenze per capire gli immigrati marocchini di Torino. Eravamo cento persone. Ho fatto due ore di relazione e a pranzo era previsto un bel couscous per tutti quanti e mi sono ritrovato in una stanza con il direttore della Caritas e poi con l'Imam marocchino e la sua compagine - tutti uomini - e abbiamo mangiato, ma acqua, acqua, acqua, niente vino. E poi la direttrice che aveva organizzato tutto non c'era. Dopo il caffè ho potuto parlare con il direttore della Caritas in un angolino: “Mi pare un po' strano. Qui siamo in Italia, no? A me il vino piace e poi soprattutto sono stato invitato dalla direttrice e avrei avuto piacere di parlare con la direttrice a tavola”. “Ah, sa - mi dice - abbiamo invitato l'Imam e i suoi. Hanno detto di sì a due condizioni: niente vino e niente donne a tavola”. Ho guardato il direttore e ho detto: “E lei ha accettato?” Vedete non è così che si può preparare la convivenza rispettosa. Non è normale che un gruppo anche di minoranza voglia imporre le sue usanze a tutti. Dobbiamo far rispettare le libere scelte di tutti. E' un lavoraccio, lo so. E' più semplice. Se voi avete un oratorio e alcuni bambini musulmani vogliono frequentare l'oratorio, è un problema. Non potete accontentarvi di dare una formazione religiosa comune, tralasciando il mistero di Cristo, della Croce e della Pasqua. Allora bisogna inventare in tal caso delle riunioni per tutti, e poi delle riunioni specifiche per i cristiani e forse delle riunioni specifiche per i musulmani col papà di uno di loro.

Il pluralismo! Per organizzarlo bisogna essere preparati. E' più complicato, però è l'unico modo di realizzare una società di convivenza non soltanto pacifica, ma anche eguale. E qui è l'impegno di tutti noi, perché suppone una preparazione, perché suppone che nell'ora di religione non si faccia soltanto l'insegnamento del cristianesimo, ma anche una scientifica e teologicamente giusta presentazione delle altre religioni. Non soltanto l'islam, ma anche il buddismo. Abbiamo dei convertiti al buddismo in Italia e in Francia. Però io direi che questa presenza dei musulmani in mezzo a noi, per tanti motivi della storia, è anche una sfida, come avevo detto all'inizio e io la chiamo una sfida mistica. Forse la loro presenza ci invita, invita noi cristiani in Europa stessa a svegliarci finalmente e a ritrovare la specificità del messaggio di Gesù Cristo. E' molto importante. Chi di noi è pronto domani a spiegare gentilmente, soltanto a livello di informazione, in che cosa consiste la fede cristiana ad un musulmano di buona volontà che vuole essere informato su di noi? Chi è preparato, tenendo conto della sua problematica? E allora c'è da fare, c'è del lavoro!

Avete altre domande?

Domanda : Ha detto che si augura che i giovani musulmani che entrano nel nostro paese, vivendo la nostra libertà e la nostra democrazia, potranno essere in futuro portatori nei loro paesi di origine di maggiori libertà. Quello che mi ha colpito in questi giorni è stato l'ascoltare alla televisione in varie trasmissioni giovani studenti universitari musulmani in Italia che sono, viceversa, per niente liberali, ma di spirito molto fondamentalista. Questa è la cosa che non mi ha lasciato dormire tutta la notte, perché mi dicevo: “Se dei giovani che vivono qui, perfettamente integrati, approfittando delle nostre libertà, divengono portatori di idee così drastiche, così in opposizione con il popolo che li ospita e con la religione cosiddetta di maggioranza da noi, allora…” Mi ha molto spaventata.

p.Borrmans : Capisco benissimo il suo spavento. Lei non è l'unica a provarlo, tanti lo provano. Purtroppo è così, perché questi giovani sono stati educati anche nella scuola statale moderna, dove non si impara più il Corano a memoria, ma dove si imparano alcuni versetti in forma antologica per illustrare alcuni aspetti della formazione religiosa. Però ancora, attraverso tutto questo processo scolastico, sono convinti di essere membri della religione giusta, vera e unicamente voluta da Dio. E noi per loro siamo dei miscredenti. E allora dimostreranno sempre inconsapevolmente una certa arroganza. Il musulmano che è convinto di avere tutti i diritti dovunque vada nel mondo, perché appartiene ad una religione superiore. Purtroppo a livello psicologico è una sofferenza per noi, perché lo proviamo tante volte e allora tanto più bisogna lavorare. Tanto più - vedete - che il musulmano che non è così, il musulmano che è nostro amico, non avrà il coraggio in pubblico, davanti a questi colleghi suoi di tendenza intransigente di rettificare la posizione e di dir loro: “Caro mio, hai la tua interpretazione del Corano, questa è la mia ed entrambe sono valide”. Il musulmano moderato, il musulmano interiorista davanti ad un musulmano intransigente tace, purtroppo. Perché nel sistema musulmano tradizionale c'è anche la politica della clandestinità ideologica, la “taqiyya” [7] . Quando non si è d'accordo con l'altro e non si può esprimere il dissenso si tace e si fa finta di niente. Vedete è una realtà che proviamo in continuazione, perciò non possiamo essere buonisti, neanche faciloni, non possiamo scherzare nell'avvicinare tutte queste problematiche e - mi dispiace dirlo - da parte cattolica abbiamo troppi buonisti che credono che con sorrisi, gentilezze, si possono risolvere tutti i problemi.

Domanda : Io vorrei chiederle una cosa sullo studio delle fonti. So che lei è anche un esperto della traduzione del Corano in italiano. Nel mondo cattolico c'è stata tutta un'evoluzione per cui si è cominciato a studiare la storia del testo sacro. Il testo non esce direttamente dalla penna di Mosè. Padre Maffi ci diceva che il Corano è stato sistemato successivamente, non direttamente da Maometto. Non è stato fin dall'inizio così com'è. Queste cose possono aiutare, sono tipi di studi che hanno una qualche rilevanza o sono cose senza alcun significato?

p.Borrmans : Assolutamente no, perché non è lo stesso. Noi cristiani non siamo la gente della Bibbia, siamo la gente di Gesù Cristo ed è tutto diverso. E quando i musulmani insistono dicendo: “Voi cristiani e ebrei, gente del Libro” io dico loro: “Stop. Io non sono gente del libro, sono gente di Gesù Cristo”. Un cristiano è qualcuno che segue Gesù Cristo e tende ad imitarlo per quanto è possibile e la Bibbia è uno dei mezzi per avvicinare Gesù Cristo, ma prima della Bibbia c'è la tradizione ed è la tradizione che l'ha messa per iscritto. E poi chi interpreta la Bibbia? E' lo Spirito Santo a noi affidato in comunità - credo che sia chiaro tra di noi. Ora il Corano ha posto alla loro coscienza teologica direi più o meno le stesse domande che sono state rivolte ai padri della chiesa per precisare il mistero dell'incarnazione del Verbo - ricordate Efeso, Calcedonia, quando sono usciti dalla comunione della Chiesa i nestoriani e i monofisiti, perché bisognava precisare culturalmente con le parole povere umane, che talvolta cambiano di significato, qualcosa del mistero e della meraviglia dell'incarnazione del Verbo nella persona storica di Gesù Cristo. I musulmani hanno sviluppato le stesse problematiche per sapere quale rapporto c'era tra Allah e Maometto e il testo Coranico. Però dopo due secoli hanno deciso a stramaggioranza e sotto pressione politica - è ovvio - che il testo coranico, tale e quale lo abbiamo oggi ed è lo stesso che abbiamo già nel secondo secolo nella storia dell'islam, è un dettato divino trasmesso da Allah, tramite Gabriele, a Maometto affinché lui lo trasmetta agli altri. E, come mi diceva un dotto musulmano, Maometto è soltanto il filo telefonico. Allah parla e la gente ascolta. In tal caso il problema di critica delle fonti non c'è.

L'unico problema aperto è di sapere che cosa significa una parola che sta nel Corano. Ora è una parola in arabo. Bisogna sapere la lingua araba. E voi sapete che l'80% dei musulmani non sono arabi e non sanno l'arabo, tranne le persone della religione, cioè i dotti. Hanno bisogno di traduzione. Però in tutte le moschee del mondo il Corano sarà cantato in arabo, pur non sapendo il significato, come una volta da noi si cantava in latino e non si sapeva più bene il significato. Vedete le cose stanno così. Il problema è di capire il testo. Ora, per secoli e secoli, la comprensione del testo e dunque la sua interpretazione erano riservati ad una élite di persone che hanno studiato a lungo i vocaboli, la grammatica, i dizionari e tutto il mondo della lingua araba dell'epoca, perché il Corano è il primo elemento storico della letteratura araba. Ora nei paesi moderni, con la scolarizzazione generalizzata e fatta in arabo letterario dal Marocco al Kuwait che comprende quindici anni di scuola, avete questo risultato: che a venti anni oggi l'arabo moderno può leggere da solo, senza il suo dotto, il testo del Corano, con il rischio di leggerlo letteralmente, perché non ha la preparazione esegetica per contestualizzare i versetti a seconda dei momenti e dei luoghi della predicazione di Maometto, il che richiede studi storici, ecc. ecc. Dunque rischia di leggere il suo testo come se fosse indirizzato a lui oggi, il che è grave. C'è il versetto coranico che dice. “Tagliate la mano destra a chi ruba”. Possiamo capire che in una società tribale dove non c'è né polizia ecc. sia l'unico modo di far rispettare la proprietà privata. I tempi sono cambiati, però il fondamentalista non fa questo ragionamento, capite. Ha accesso diretto al testo oggi. E' una delle altre manifestazioni del carattere paradossale della situazione. E quando vede nel Corano: “Uccidete i politeisti dovunque voi li troverete” lo deve prendere ad litteram, oggi, sì o no? E naturalmente c'è una lotta tra i dotti, possessori – direi - di una retta giusta e moderata interpretazione del testo e quelli che vogliono assolutamente trovare nel Corano oggi una risposta. Ora è anche vero che un libro sacro non è soltanto un testo per il passato - un vero testo sacro deve essere un messaggio che Dio mi manda oggi. Devo trovare nel Vangelo un richiamo che mi è fatto oggi. Dunque il carattere dell'attualizzazione del messaggio è anche necessario, però, ancora, qui bisogna fare una lettura di comunità, sotto la guida di persone che sono capaci di fare un discernimento.

Ecco vedete alcuni aspetti. Ora è vero che l'interpretazione del Corano pone problemi ed è importante moltiplicare gli incontri per spiegare l'uno all'altro come leggiamo i nostri testi, non come facciamo la critica delle origini perché il musulmano non la può fare, non possiamo chiederglielo. Alcuni musulmani pensano che Maometto sia l'autore solo in parte del Corano, ma chi scrive questo e sostiene questo è eretico e deve lasciare il suo paese, come Fazlu R-Rahman che ha dovuto lasciare il Pakistan. Per fortuna sua, ci sono gli Stati Uniti d'America.

Perché per i musulmani, vedete, il Corano, la parola di Dio è diventata libro. Vorrei creare il neologismo italiano: il Verbo, per noi cristiani, si è fatto carne e ossa, condizione umana, per i musulmani la parola di Dio si è fatta verbo, si è fatta libro. E hanno per il libro del Corano il rispetto che noi abbiamo per il Santissimo. Psicologicamente è quasi lo stesso. Io ho provato questa esperienza in molti incontri con dotti musulmani. Fanno la loro conferenza in arabo, citano un versetto del Corano in arabo. Dopo tre parole il mio relatore sbaglia una parola del versetto. Subito, nell'assemblea, dieci, quindici persone a riprenderlo e lui fa marcia indietro e cita il Corano rettificando la pronuncia. E può darsi che questo succeda due, tre quattro volte durante la sua relazione. Il testo non si tocca! Allora, vedete c'è stata una forma di transfert, di trascendenza da Allah alla Shari'a e all'islam e al Corano. Questo bisogno di trascendenza è bello in se stesso, il problema è di sapere dove lo mettiamo.


Testi dello stesso autore presenti sul nostro stesso sito www.gliscritti.it

Islam e fede cristiana
Gesù nella prospettiva del Corano: l’Islam di Maometto ed i musulmani del XX secolo dinanzi al Cristo
I matrimoni islamo-cristiani: la condizione giuridica della famiglia islamica e le problematiche di un matrimonio misto

Alcuni testi presenti nel nostro sito www.gliscritti.it che affrontano argomenti correlati a questo testo

Gesù nella prospettiva del Corano: l’Islam di Maometto ed i musulmani del XX secolo dinanzi al Cristo di Maurice Borrmans
I matrimoni islamo-cristiani: la condizione giuridica della famiglia islamica e le problematiche di un matrimonio misto di Maurice Borrmans
Islam e fede cristiana di Maurice Borrmans
Dal Corano all´elaborazione della tradizione islamica di Giovanni Amico
Appunti da/di viaggio: Granada e l’Islam andaluso
Breve nota sul significato del termine arabo “Islām” di Massimo Rizzi
Islam e Occidente
La Bibbia nell´Islam
I profeti biblici nel Corano
Gesù nel Corano
Gesù negli Hadith


Note

[Nota 1] La “Tradizione” islamica.

[Nota 2] La “Legge” islamica.

[Nota 3] La “missione” islamica.

[Nota 4] Tassa per lo statuto di minoritario protetto.

[Nota 5] Professione di fede islamica.

[Nota 6] Movimento politico-religioso, nato nel 1928 in Egitto, fondato dallo sheykh Hassan al-Banna, che predica il ritorno della società ad un Islam rigoroso, l'islamizzazione del potere e l'esclusione definitiva dei governi “laici” degli Stati musulmani.

[Nota 7] “Dissimulazione”, “prudenza”.


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