L'arte di imparare ad amare ed il cristianesimo. Corso di preparazione al matrimonio nella parrocchia di S.Melania.
Trascrizione degli incontri tenuti da d.Andrea Lonardo, da sr.Maddalena Longobardi e dal gruppo degli animatori del corso nella primavera 2004 (tpfs*)

Il testo che segue vuole fornire un'idea dell'itinerario proposto ai fidanzati che si preparano al matrimonio nella parrocchia di S.Melania in Roma. E' utile sottolineare che ogni corso segue lo stesso itinerario di fondo, ma si differenzia non solo a seconda delle questioni che vengono direttamente sollevate durante gli incontri, ma soprattutto a seconda del gruppo sempre diverso che si crea all'inizio di ogni corso, con una serie di variabili diverse come diversa è la vita. Nondimeno, poiché la fede cristiana ci insegna che alcuni punti sono imprescindibili e la nostra comprensione della vita ci conferma nella constatazione che esistono questioni decisive, le pagine che seguono riescono a dare un'idea comunque intelligibile della proposta formativa che viene fatta ai fidanzati.
Chiaramente, essendo il testo la trascrizione di riunioni in cui il parlato è l'elemento dominante, ci sono questioni che meriterebbero ben altro approfondimento e temi che potrebbero invece essere sintetizzati più concisamente.
Con tutte queste puntualizzazioni, presentiamo lo stesso il testo di questi incontri on-line, perché possa arricchire la riflessione di persone interessate ad un confronto sulla scelta del matrimonio.
N.B. Sono stati omessi o ridotti al minimo, nella trascrizione, gli interventi dei partecipanti per privilegiare la continuità nella presentazione dell'itinerario proposto. Gli incontri sono stati trascritti da Francesca Menegazzo


Indice


I incontro
Una introduzione a modo di provocazione

Scoprirete che i temi che affronteremo, pur essendo molto semplici, tragicamente vengono affrontati solo raramente. Penso che viviamo un tempo di grande “analfabetismo affettivo”. Pochi aiutano a capire l'ABC del linguaggio degli affetti. Non è solo causa della TV-spazzatura, di quelle stupidissime trasmissioni sui sentimenti con la loro banalità di discorsi, ma manca proprio una educazione all'amore per cui le persone non sanno parlare degli affetti, non sanno come chiamare le cose, non sanno capire perché succede una cosa, non sanno valutare se una relazione è buona o cattiva, ecc.
Partiamo da alcuni esempi per mettere un po' sul tappeto i problemi che affronteremo.
Mi sono venuti in mente i temi trattati nel convegno organizzato dal Card. Ruini all'inizio di questo anno, quando ha convocato tutte le parrocchie di Roma per riflettere sul tema della famiglia. In quell'occasione ha invitato a parlare una sociologa che ha fatto degli esempi molto interessanti. Eccone alcuni.
Nella famiglia di alcuni decenni fa (o tuttora in alcune culture diverse da quella italiana) la famiglia non era basata essenzialmente sulla scelta libera dell'altra persona. Ad esempio il coniuge veniva scelto dai genitori, dai parenti, dalla famiglia allargata. A volte c'era qualcuno che stabiliva: “La persona che devi sposare è quella”, oppure: “Puoi sceglierla, ma deve far parte di quella famiglia, di quel ceto sociale, di quel paese, ecc.!” Scherzando potremmo dire che questo è un enorme problema tolto a chi deve sposarsi: non dover scegliere! Sapete bene che qualcuno non si sposa mai perché non sa scegliere!
Torniamo al discorso serio: quello che era chiaro invece, diceva la sociologa, era cosa si andava a costruire dando vita ad una famiglia, quali erano i valori. Per esempio era abbastanza evidente per una persona degli anni '30, che sposarsi significava anche avere tanti bambini.
La situazione odierna è capovolta. Da un lato – ed è un grande progresso - è veramente rispettata la libertà della persona di decidere di se stessa. Guai, oggi, se un parente provasse a dire: “Ho scelto per te questa persona!”. Ma, d'altro canto, questo elemento affettivo sembra diventare l'unico motivo della scelta. Perché mi sposo? Perché ho trovato la persona giusta. Non perché sono convinto che sia fondamentale una famiglia. Prescindo dall'idea che la famiglia sia una cosa buona. Posso anche pensare che tutte le famiglie sono destinate a fallire, ma io sono così convinto del “mio” rapporto con la “mia” ragazza, che la garanzia della bontà di quello che vado ad iniziare è dato esclusivamente dalla qualità del “nostro” amore. Ecco che allora può nascere un matrimonio senza che sia chiaro cosa vuol dire essere una famiglia. E' veramente fondamentale dire che una famiglia è per sempre? Non importa – sembrerebbero pensare alcuni - che io creda che la famiglia è importante o no; è sufficiente che con questa persona vada bene. Tutto il peso del rapporto è basato su questo: “Io scelgo te, tu scegli me!” Il resto non importa.
E' corretto questo modo di vedere? Aiuta? Fa crescere? Ha dei limiti? Su cosa si basa un matrimonio? Dove sono le fondamenta? Ho trovato il “pollo giusto”, la “principessa” (perdonatemi se scherzo!)? O c'è qualcosa oltre questo? Ecco una prima pulce nell'orecchio: ci si sposa “perché ci si vuole bene” o questo non è sufficiente?
Un secondo argomento toccato in quella relazione di cui vi parlavo è stato il tema dei figli. Affermava la sociologa: “Quando molti opinionisti dicono che gli italiani non vogliono bambini, non è vero proprio per niente! Il problema è che vogliono solo il loro bambino”. Così questo bambino, spesso unico e rimandato per tanto tempo, viene caricato di tutte le angosce, di tutti i desideri, di tutte le immaginazioni dei genitori. Ma c'è una generazione di adulti che vuole educare una generazione di bambini? Pensate a cosa avviene quando un bambino va nella scuola o in una squadra sportiva per crescere fisicamente. I genitori si accorgono in quel momento che il figlio non cresce solo. Impara le parole, i comportamenti, le mode, dagli altri, nel male e nel bene. Il problema è nuovamente lo stesso: c'è un popolo che educa una nuova generazione o siamo daccapo “io e lei” che educhiamo “il nostro figlio” e basta?
Il tempo in cui viviamo ha dei pregi e dei difetti ed è comunque differente da altri che lo hanno preceduto. Questa diversità è percepibile facilmente almeno in questo: la generazione precedente al sessantotto aveva maggiore coscienza di essere un popolo che educava una nuova generazione in un contesto comunitario condiviso, su dei valori ritenuti veri e certi, più grandi del mio sentimento di voler bene al coniuge ed al figlio.
Con queste prime riflessioni è già evidente che nel parlare del matrimonio è implicito non solo il rapporto fra i due, fra l'uomo e la donna, ma anche il rapporto con una nuova generazione, se il Signore vorrà dare figli alla coppia.
Pensate come sta emergendo questo problema anche a livello sociologico: c'è la questione molto dibattuta delle pensioni. Gli schieramenti politici si dividono su questo grande tema, ma sta pian piano emergendo che, dietro le scelte economiche che debbono essere fatte, c'è il grandissimo problema demografico! Qualunque scelta economica sulle pensioni, nel lungo periodo, sarà insostenibile se non ci sarà un aumento della natalità (in questi giorni si è parlato sui giornali di una leggerissima inversione di tendenza, lo 0,1% in Italia). Il Papa è uno dei pochi che ha avuto il coraggio di dire, durante la sua visita in Parlamento, che il più grande problema italiano odierno è quello demografico. Se non ci saranno bambini, non ci saranno i soldi per le vostre pensioni, le nostre. Pensate cosa vuol dire per un anziano avere un solo figlio, un solo nipote e, a volte, nemmeno un figlio o un nipote. Pensate che cosa vuol dire per uno Stato anche a livello economico, come dovrà essere riprogettato il Welfare (o come non sarà possibile riprogettarlo!). Chi avrà cura degli anziani? Prima – possiamo esemplificare - c'erano quattro fratelli, otto nipoti, ecc. ed era allora chiaro che l'anziano stava un po' con uno, un po' con l'altro. Ma quando resta una sola linea di discendenza in una famiglia… Di chi sarà la responsabilità della cura degli anziani? So bene che il problema dei figli è legato alla convinzione dell'esistenza del senso della vita, alla gioia di vivere – affermiamo con forza che i giovani che non chiamano a vivere bambini, che non sono disponibili per diventare genitori, non sono etichettabili che superficialmente come egoisti, ma, alla radice, il loro blocco, la loro paura deriva dal loro non essere convinti che la vita abbia senso e sia bella, dalla loro mancanza di speranza che gli impedisce di avere i motivi per chiamare un altro ad averla questa vita! – ma questi argomenti sociali e di costume servono ad aprire il problema ed a far riflettere chi ragiona solo in termini politici ed economici!
Altra questione, ancora come provocazione: sapete del diffondersi della realtà della convivenza. Pochissimi sottolineano, dinanzi all'emergere evidente di questo fenomeno, un “piccolo” annesso alla questione: dalle statistiche di alcuni anni fa risulta che le coppie che hanno convissuto prima di sposarsi, sono in realtà più deboli, cioè divorziano più facilmente di quelle che non hanno convissuto. Queste sono statistiche ufficiali, non della Chiesa. E' molto interessante questo dato, perché fa capire che se tutto si basasse sul “te che scegli me ed io che scelgo te”, se fosse vero questo, ne dovrebbe risultare che più le due persone hanno vissuto nella stessa casa prima del matrimonio, più dovrebbe essere forte il legame. In realtà non è così. Il fatto di avere convissuto non mi porta a conoscerti meglio, ma soprattutto non mi conduce a comprendere di più qual è il valore in gioco nel matrimonio per vivere una scelta più felice, duratura e convinta. E' vero anzi il contrario! La convivenza non serve ad avere un matrimonio più riuscito! Prima di dire se la convivenza è moralmente giusta o meno è interessante soffermarsi a vedere quindi le banali argomentazioni con cui la si fa passare per scelta di progresso e di amore più maturo. Se pensate alla mentalità che viene trasmessa ai quindici-sedicenni, continuando a far passare loro il messaggio che adesso tutti andremo verso questo stile di vita, perché questo è il futuro, perché così saremo veramente liberi... In realtà il problema non si risolve, anzi si aggrava. Questa non è una via di soluzione del problema. Non è l' “esperienza” che rende saldo un matrimonio! Ma cos'è allora? Qual è il bandolo della matassa?
Un altro tema che emergerà nei nostri incontri è quello della sessualità. Il nostro tempo ha una cultura per certi versi molto più aperta rispetto al passato. Pensate allo sviluppo sessuale, pensate all'evidente fatto che le nostre bambine hanno la prima mestruazione molto prima di quella delle nostre nonne (1,5 – 2 anni prima) e questo per stimoli psicologici. La realtà così pervasa di richiami sessuali – io contesto profondamente quei parenti che, alla vista del loro nipotino di tre anni gli domandano: “Ma ce l'hai la fidanzatina!” come se dovesse essere quello il suo problema principale all'età di tre anni - cambia il nostro fisico. Tutto viene apparentemente anticipato. Però per altri aspetti non è così: ci sono ragazzi che scoprono l'omosessualità tardissimo. Per alcuni la scoperta, l'accettazione di questo dato, avviene dentro il matrimonio, persone che arrivano a dire: sì è vero, io mi sono sposato per nascondermi. In un contesto di apparente vittoria sui tabù sessuali è in aumento il numero delle coppie che non riescono ad avere bambini per problemi psicologici (si parla addirittura del 10% delle coppie!). E' allora vero che basta una “libertà” nella sessualità, per viverla bene?
Pensate quanto in un paese apparentemente culturalmente molto aperto vive ancora, non mai detta, la famosa mentalità della “doppia morale”: se un maschio ha avuto poche ragazze è una persona che non ci capisce niente di affetti, è un ritardato, ecc. ecc., se una donna ha avuto molti ragazzi è una poco di buono, ecc. ecc. E' molto forte questo atteggiamento. Mi raccontava la sua storia un ragazzo che conosco, che era stato tanti anni con una ragazza e poi, all'età di 34 anni, era stato lasciato. E' rimasto colpito dal fatto che tutti avevano delle amiche da presentargli e lui così commentava gli eventi che gli accadevano, divertito: “Alla mia età i maschi da matrimonio sono pochi, perché la maggior parte sono già in vista del matrimonio o sposati, sono già impegnati, e quelli che non lo sono, non gliene importa niente e allora non sono adatti, per le ragazze che cercano il matrimonio! Mi diverto a vedere che le ragazze che conoscevo da lontano e che sapevo avere avuto molte storie affettive, perché si erano volute “divertire” fino ai trent'anni e fino a poco prima se ne vantavano, ora mi si presentano, dicendo di aver avuto solo due o tre amori e tutti seri, perché ora vogliono sposarsi e pensano che, presentandosi così, hanno più possibilità che io dica loro sì!” Questa terribile doppia morale esiste! Per un uomo a volte vale il contrario. La storia è piena di ragazze che credono ingenuamente a ragazzi che ne hanno combinate di tutti i colori e pensano che, però, con loro sarà tutto diverso: “Adesso con me sarà diverso, sarà eccezionale, perché solo io l'ho capito, ecc. ecc.”
Altro tema di cui parleremo è il rapporto con le figure dei genitori. La loro presenza non solo torna a fare problema perché bisogna mettersi d'accordo riguardo al pranzo del matrimonio: il genitore vuole che sia invitato il parente X che invece io non voglio invitare, oppure l'antipasto deve essere fatto in blu o in giallo, ecc.!
Pensate piuttosto cosa vuol dire riconsiderare ora chi sono i miei genitori, per poter consegnare la mia figura di marito e di padre, di moglie e di madre, in maniera più chiara all'altra persona. A volte quanto fa male sentirsi dire: “Ma sei proprio come tuo padre, quel tratto lì ce l'hai proprio! Se vedo tuo padre o tua madre, io vedo te!” Oppure a volte uno si caratterizza per antitesi: lui è stato così io devo essere diverso. Il matrimonio è uno di quei momenti in cui una persona, rivivendo la sua vita passata, si domanda: come sono adesso io? Cosa porto dentro nel bene e nel male? Ed è bene che sia così, anche se non tutto fosse andato bene. Io sono segnato da una storia che non è una storia neutrale, matematica … ma una storia di relazioni, di rapporti. E porto in me dei tratti non solo fisici ma anche psicologici, spirituali, culturali, in cui si vedono delle cose della mia storia, dei miei genitori, per somiglianza, per opposizione.
Un'altra cosa cui accenneremo è il rapporto con gli amici, il rapporto fra il volersi bene nella coppia e il voler bene ad altre persone. E' un elemento da considerare: che cosa pensano i vostri amici di voi? A me colpisce, per esempio, che tanti ragazzi, tanti maschi, non parlano mai degli affetti, anche prossimi al matrimonio. Hanno tantissimi amici di pallone, di calcetto… però è raro che abbiano un amico che gli dice: “Non vedo l'ora di vederti sposato con quella persona perché da quando ci stai insieme sei più felice, ti vedo cresciuto”. Oppure l'opposto: “Con quella persona non ti ci vedo affatto!” E' difficile che una persona entri nel merito a dare un giudizio che la vera amicizia permetterebbe. In che maniera questa storia viene vissuta sì dalle due persone, ma, insieme, viene accompagnata, aiutata, illuminata dalla parola di altre persone. Queste provocazioni volevano aiutarvi ad aprire problemi che sono tutt'altro che risolti, secondo me, a farvi rendere conto come di scontato c'è poco e quanto abbia senso prendersi del tempo per questi incontri per approfondire e crescere.
Ma veniamo ora al punto decisivo, al punto di vista che vorremmo insinuare in voi e che è la via maestra per affrontare poi tutti gli interrogativi che ci siamo fin qui posti. La prospettiva di cui vorremmo parlarvi, che è una prospettiva un po' particolare, legata profondamente alla nostra comprensione cristiana della vita, è questa: il matrimonio non è basato sulla scelta della persona giusta. Noi non crediamo che il problema più importante del matrimonio sia trovare la persona giusta. Come se il matrimonio fosse la grande caccia. Si apre la caccia e allora finché ci sono volatili in giro bisogna prenderne uno - il più grosso o il più adatto che sia – pensando inconsciamente: a seconda se sono molto bello, molto ricco e molto simpatico allora ho certe possibilità, se lo sono un po' di meno, allora devo tarare il mio target a seconda della possibilità. La Chiesa ritiene, e in questo sa di essere appoggiata anche da qualcuno che cristiano non è, che ci sia un elemento fondamentale, rappresentato da una parola che sentirete riecheggiare più volte nei nostri incontri, la parola “crescere”. Ho la profonda convinzione che a seconda di come una persona cresce, cambia tutta la sua vita e, così, la sua comprensione dell'amore. La Chiesa parla di conversione, crede che le persone possono cambiare vita. Gesù dice: “Convertitevi e credete al Vangelo!” Cioè esistono dei momenti in cui una persona cresce o resta bambina. Cresce perché cambiano i suoi valori, cambia il suo rapporto con la verità, con Dio, con il bene, con la carità, con la fede… Questo è l'elemento che fa vedere il maniera diversa le realtà della vita.
Un famoso psicologo ha scritto “L'arte di amare”. E' un piccolo libro in cui si dice, più o meno, che le persone sono convinte che tutto si debba imparare, sono disposte sul posto di lavoro a fare dei corsi, a volte assolutamente inutili, di convinzione psicologica - fino ad imparare a camminare sui carboni ardenti! - di avere l'idea che se sono vincenti conquisteranno chissà che cosa... Sanno che si deve imparare, sanno che se uno non impara è un carciofo nel mondo lavorativo. Ma la domanda dell'autore è questa: le persone sono convinte che si impara ad amare? Oppure sono convinte che l'amore è un fatto spontaneo? Che se trovo la persona adatta mi viene spontaneo, non devo imparare, non devo riflettere, parlare, confrontarmi con un altro che lo sa fare? Il titolo è provocatorio: “L'arte di amare”. Forse è l'arte più difficile, l'arte in cui bisogna imparare e se uno non impara non riesce ad amare e sbaglia, non perché ha sbagliato la scelta dell'altro o l'altro ha sbagliato scegliendo me, ma perché non ha l'arte, cioè non è padrone dell'arte di amare. Intuite subito che, parlando di “arte”, non intendiamo tanto dei trucchetti, una metodologia sull' “how to do”, delle tecniche possedute le quali tutto va bene, delle indicazioni da “ars amatoria” o similari, ma qualcosa di ben più profondo!
Mi viene in mente un esempio molto semplice, un classico ormai di questi corsi. Conosco un giovane della parrocchia nella quale ero vice-parroco, un ragazzo bellissimo, fichissimo, sportivo, ingegnere, ricco, ecc… Quando l'ho conosciuto è venuto da me e, in queste confessioni di profonda intimità maschile che noi preti subiamo, mi ha detto: “Senti Andrea, io sono contento di venire in parrocchia, mi stai simpatico ecc. ecc. Ma chiariamo subito un punto: io con una “cozza” non mi ci metterò mai! Se una ragazza non mi piace, non mi “tira” non ci potrò stare insieme”. Per chi non è romano chiariamo che “cozza” sta per ragazza molto brutta! Non so perché mi disse questa cosa. Poi lui è diventato catechista, ha seguito i ragazzi della parrocchia, ha fatto un cammino all'interno della comunità nella fede e, dopo tre anni, è tornato da me dicendomi: “Ti ricordi cosa ti avevo detto? Non ho cambiato minimamente idea su quella cosa che ti dissi: con una cozza mai! Però ho capito una cosa in più: se la mia futura ragazza non sarà una donna generosa, io mi annoierò. Non voglio solo una ragazza che mi attiri, ma una che ami l'accoglienza, il servizio, la Chiesa”. Era cresciuto nell'arte di amare! Aveva capito che per la sua vita era fondamentale il rapporto con i piccoli: i bambini, i ragazzi, le persone in difficoltà. Aver vissuto questa esperienza lo aveva portato a scoprire una cosa completamente nuova: lui cercava una persona che condividesse questo stile di vita, questo valore, una persona generosa, con la voglia di aiutare, di incontrare... perché lui era cresciuto. Questo esempio è interessante perché mostra come non è vero che si impara ad amare avendo necessariamente tante esperienze affettive con l'altro sesso. A volte è un inganno dire: “Quello non è preparato per il matrimonio perché è la prima o la seconda persona con cui sta insieme”. Non è vero, anzi a volte si impara proprio ad amare facendo altre esperienze che non sono direttamente affettive. E talvolta non sa amare proprio chi ha avuto tanti rapporti di coppia, perché non si è mai misurato con la generosità, con la gratuità, con la fede, ecc.!
C'è un grande spartiacque in ogni discorso sull'amore e sul matrimonio: devo scegliere l'obiettivo giusto, la persona adatta oppure devo crescere io ? Sono due cose radicalmente diverse (poi vedremo che si incrociano anche). Tutto è basato sul trovare l'altra persona e sul sentimento che mi lega a lei oppure sul fatto che io e l'altra persona dobbiamo crescere? Nel caso di quel giovane è straordinario che sia cresciuto proprio non stando con una ragazza! Ha capito un aspetto fondamentale di una famiglia attraverso un'esperienza diversa, l'esperienza del servizio per i ragazzi di una parrocchia!
Conosco tanti ragazzi e ragazze che hanno avuto tantissime storie affettive, ma sono state tutte come delle fotocopie. Ad esempio, ragazze che hanno avuto sempre ragazzi violenti e poi hanno affermato che tutti i maschi sono farabutti e traditori. In realtà non essendo mai cresciute andavano sempre a cercare la persona che era il corrispettivo psicologico della loro vita. Oppure persone che hanno sempre bisogno di avere vicino persone incapaci, inadatte, non all'altezza. Perché per forza tutte storie simili, analoghe? Una storia non basta viverla ma va capita: non è perché lascio una persona che ho capito una storia, ma dipende quanto cresco dentro quella storia. Come accorgersi che una persona non è onesta, non è sincera, non è fedele, è dura, è indolente, è pigra, non si impegna? Una relazione molto frequente è quella di persone iperattive che stanno con persone moscissime. Uno dei due tiene in piedi tutto il rapporto. Fa tutto lei… e sembra che vada tutto bene perché una delle due fa sempre tutto, l'altra non fa niente e gli va bene tutto… Però così non funziona un rapporto! Il problema però non è solo dire che non sono adatte le persone - per esempio, chi è iperattivo si deve dare una calmata, chi invece è indolente dovrebbe crescere e questo permette poi di vedere. Ma se non avviene una crescita, la situazione non è ancora stata chiarita, il toro non è ancora stato afferrato per le corna!
Un esempio più alto lo traggo dall'esperienza di S Francesco d'Assisi.
Nel suo testamento S.Francesco stesso racconta così la sua conversione: “Quando io ero nei peccati mi sembrava cosa triste stare con i lebbrosi, ma il Signore mi condusse tra di loro e ciò che era amaro mi fu mutato in dolcezza di anima e di corpo”. E' un'espressione bellissima! Scopre che alcune cose che sembravano amare, per questa conversione diventano dolci. Usa questa espressione molto forte: “dolci di anima e di corpo”. Riusciva a sentire la dolcezza non solo nella sua interiorità ma anche nella sua corporeità. Quindi lui comincia ad essere felice di costruire la Chiesa, diviene per lui inconcepibile non amare il Papa, i vescovi, le cattedrali, predicare il Vangelo ecc. Diventa inconcepibile per lui non amare i poveri; una persona che non aiuta i poveri è una persona che non sa vivere, che non ha capito bene la vita. La cosa interessante è che capisce che prima quella cosa lui la odiava, era amara; ha vissuto un periodo della vita in cui queste cose non erano importanti, e solo poi è iniziato un periodo della vita in cui queste cose erano importanti. Secondo me sarebbe sbagliato, riduttivo, pensare che S.Francesco sia stato prima un godurioso, uno che si godeva la vita, e poi dopo sia intervenuto il dovere. Così alcuni leggono il crescere: finché sei un pischello, un adolescente, un vitellone, te la godi... poi subentra il dovere, la moglie, il marito, i bambini, il lavoro e allora diventi uno serio, ossessionato, che si affatica, ecc. Chi dicesse queste cose, non capirebbe niente di S. Francesco. Lui è uno a cui prima piaceva una cosa e poi gliene piace un'altra. Non è passato dal piacere al dovere, ha cambiato quello che gli piace. E' un modo diverso, profondamente diverso, di comprendere dove sta la dolcezza, la bellezza, il piacere. Provate un po' a pensare se voi avete mai sperimentato un momento di conversione del piacere, in cui prima vi piaceva una cosa e poi non vi piace più. Se sapete spiegare come mai succede questo, allora siete pronti per sposarvi. Vuol dire che avete capito come funziona la realtà, come una persona cresce, come mai delle cose che prima riteneva fondamentali, per le quali avrebbe dato l'anima e la vita, divengono poi inutili, stupide, brutte e non danno più piacere. Invece cose che danno veramente piacere, dolcezza, sollievo all'anima, al corpo sono queste altre. Questo è un elemento molto grande, molto importante: è la prospettiva del crescere, dell'apprendere l'arte di amare.
Questa è la prospettiva che cercheremo di approfondire. Quando una persona è pronta per il matrimonio? Non quando ha trovato il tipo giusto (la tipa giusta). La mezza mela che combacia esattamente con te non esiste. La cosa meravigliosa e terribile del matrimonio è che l'altro è una mela intera. Questo è il grande problema! Quando mi accorgo che l'altro è intero e che sta in piedi da solo e che ha i suoi pallini, le sue bellezze e le sue stranezze - e ce le ha tutte, non per metà, ed io altrettanto - allora si comincia a capire che il problema non è riuscire a combaciare perfettamente, ma piuttosto porsi nella prospettiva di cosa si vuole fare della vita, capire cosa vuol dire crescere. Sono proprio due prospettive diverse. Perché mi sposo? Perché quella è la persona adatta? Le persone sono adatte a seconda di come noi cresciamo, di come noi cambiamo!

Gruppetti sulle diverse forme d'amore

Al termine di questo primo incontro, voglio proporvi un semplice lavoro di gruppo. Servirà sia ad iniziare a conoscervi fra di voi, ma soprattutto ad esprimervi ed a toccare con mano quanto siamo analfabeti nel parlare dell'amore!
Le persone che con me guidano questi incontri faranno da segretari e scriveranno le vostre riposte che saranno comunque – non vi preoccupate! – rigorosamente anonime. Vi dividete in gruppetti di quattro coppie e provate a rispondere insieme a due domande, apparentemente facilissime.
La prima: quanti e quali oggetti d'amore conoscete? E' evidente che potete amare il vostro futuro marito o moglie, così come potete voler bene al vostro gatto o cane. Quale altre “categorie” di amore conoscete oltre a queste due?
Seconda domanda, ancora più difficile: una volta messe una dopo l'altra le differenti relazioni d'amore, provate a dire cosa è specifico di ognuna di esse, quale caratteristica è tipica di una forma, ma non di un'altra. Qual è la caratteristica dell'amore per un animale, ad esempio, che è, invece, assente nell'amore per la mia fidanzata (e viceversa)?
Avete solo 15 minuti per rispondere insieme. Prendetelo come un gioco, come un esercizio, che ci servirà poi per parlare insieme, a partire da ciò che, d'istinto, avrete risposto.

II incontro
Crescere: contro l'infantilismo

Partiamo in questo secondo incontro dalle risposte che avete dato e che ho messo per iscritto sul foglio che vi è stato distribuito. Provo a farne una valutazione, per mostrarvi quanti problemi ci sono dietro le vostre risposte (so bene che avevate pochissimo tempo e che, forse, con più tempo, le risposte sarebbero state diverse, ma ritengo ciò che avete scritto comunque significativo).

Vediamo innanzitutto la prima parte delle risposte, quella relativa alla elencazione delle relazioni di amore .

Qualcuno ha scritto che esiste “l'amore per la vita”. Una cosa interessante è accorgersi che, se è vero che l'amore è innanzi tutto per la vita, però è anche vero che va specificato in forme diverse. In realtà, se fossi stato più preciso (ma volutamente non lo sono stato nelle domande, per vedere se vi accorgevate del problema!) l'amore ha delle caratteristiche che sono costanti, immutabili, nelle diverse forme d'amore, mentre altre sono tipiche solo di alcune di esse e, se sono presenti in altre forme, sono addirittura delle negazioni dell'amore!
Per esempio: nelle risposte voi dite che una caratteristica del rapporto uomo-donna è il rispetto. Secondo me il rispetto non è tipico del rapporto uomo-donna, ma è tipico dell'amore in se stesso. Il fatto che una persona che sa amare abbia rispetto, è una caratteristica universale. Questo sembra una banalità, ma è una cosa fondamentale. Guardate per esempio i nostri ragazzi: se non hanno rispetto per l'autobus, per il bene comune, ecc., non sanno amare. Il rispetto è una caratteristica radicale della maturità della persona. Rispetto viene dal latino respicere [1] : guardare, capacità di saper guardare, saper essere di fronte ad un altro, sapendo che hai di fronte un'altra persona. La capacità di rispettare i tempi, la vita, le cose, le persone è qualcosa in cui si cresce (o si decresce a seconda se uno cresce bene o male). Io non credo a chi dice, per esempio: io rispetto la mia fidanzata, ma me ne frego del giardino pubblico. Questo è falso: in realtà la vita dimostrerà che quella persona non rispetta nemmeno la sua fidanzata. Il rispetto è una caratteristica radicale dell'amore. Invece esistono delle caratteristiche che esistono solo in alcune forme d'amore e non in altre.
Ecco, allora, una prima provocazione. Una persona sa o non sa amare, possiede o non possiede quest'arte. Al di là della relazione specifica di coppia o di parentela o di amicizia. Prima di dire se ama me, posso dire se ama.

Vediamo, invece, sempre fermandoci alla prima parte delle vostre riposte, le singole relazioni. Capite subito che, se una persona è persona per la quale l'amore ha valore, questo si manifesterà in relazioni diverse. Ecco allora alcune osservazioni che mi sembrano interessanti, per evidenziare a cosa fate attenzione e cosa trascurate.

Nelle risposte date sono molto presenti le forme d'amore che riguardano i parenti stretti, ma, fra queste relazioni, è un po' meno presente il rapporto di fratellanza. Qualcuno lo ha compreso nell'amore per la famiglia. Siete più attenti ai rapporti genitori-figli che non a quelli, altrettanto decisivi per la vostra formazione, con i vostri fratelli e sorelle. Li sottovalutate!

E' abbastanza evidente dalle vostre risposte che non avete pensato chiaramente all'amore che è quello del cristiano, verso il Signore. Qualcuno ha posto l'amore per Dio, fra le diverse forme d'amore, ma non tutti. E, soprattutto, nessuno ha parlato di amore per Cristo, una cosa fondamentale per i cristiani. Nessuno di voi ha scritto che Cristo può essere amato! Non è sufficiente che una persona voglia amare Dio. Siete cristiani, però non vi viene spontaneo dire che voi amate Gesù Cristo, il Vangelo.

Nessuno di voi ha scritto che ama la Chiesa. Non emerge affatto l'amore per la Chiesa. Non solo la chiesa edificio, ma la comunità cristiana, il popolo che trasmette i sacramenti, la fede, ecc. Ne parleremo meglio, ma fin da ora notate che venite a chiedere di sposarvi in Chiesa (non tanto nell'edificio fisico che sono le Chiese cristiane), ma non sapete dire se amate la Chiesa!

Invece è molto presente nelle vostre risposte – lo è nell'atteggiamento del nostro tempo – l'aspetto naturalistico. Vi siete soffermati a dire che amate la natura, lo sport, gli animali.
E', invece, evidente che non fate parte di una generazione sessantottina: non vi viene spontaneo amare ciò che è pubblico, la politica, il bene comune, la giustizia, lo Stato. Nessuna di queste realtà è stata da voi indicata come oggetto d'amore. C'è poca sensibilità per ciò che è pubblico. Dicevamo nel primo incontro che nel matrimonio le persone basano tutto su: “Io scelgo te, tu scegli me”. Ecco che vi ripongo la domanda a partire dalle vostre risposte: il matrimonio riguarda solo me e lei o ciò avviene in un contesto della trasmissione di valori che sono più grandi di noi, cioè di un popolo che si impegna a trasmettere una cultura di valori a una generazione nuova che nascerà nelle nostre famiglie?

Ancora dalle vostre risposte: non vi viene spontaneo pensare all'amore verso chi è in difficoltà, verso il povero (attenzione, ripeto ancora una volta, non sto dicendo che voi non abbiate questo, non vi sto giudicando! Sto solo dicendo che in questo piccolo lavoro di gruppo non vi è venuto spontaneo l'affermarlo, il rimarcarlo, il notarlo con forza). Solo alcuni di voi hanno aggiunto alle forme di amore familiari ed amicali un generico riferimento all'amore “per il prossimo”.

Abbiamo detto – cerchiamo ora di approfondire – che c'è una capacità dell'uomo di amare, che c'è l'amore in quanto tale, e ci sono delle forme di questo. Io non credo ad una persona che ama senza avere la capacità di amare. Per esempio, vi dicevo che è importante che voi guardiate la disponibilità a rispettare l'altro. Ci sono delle persone che dicono: “Il mio fidanzato è misogino, disprezza tutte le donne, ma a me mi tratta benissimo”. Oppure: “Quello ce l'ha con tutto il mondo, è sempre inviperito, arrabbiato, depresso, però con me è diverso!!!” La vita dimostra che queste sono grandi baggianate. Se io amo la mia donna, ho anche stima della realtà femminile in sé, se io amo il mio uomo, ritengo la realtà maschile capace di valori. Se io amo una persona, non posso odiare o disprezzare ogni altra persona.
C'è, allora, un primo punto fondamentale: che l'amore è rivolto verso l'uomo, verso la vita. Una persona che ama realmente, esprime questo amore in tante “versioni” perché lo ha nel cuore. Non capisco come uno possa amare solo una persona ed essere indifferente agli altri.
Il secondo punto è altrettanto importante: proprio per ciò che stiamo dicendo, se voi avrete più passione, per esempio, per il bene comune, crescerà anche l'amore tra di voi come uomo e donna. L'amore è dimostrato sia dal fatto che esiste un atteggiamento di amore verso la realtà, verso la vita - e verso Dio, non dimentichiamolo! - sia dal fatto che esistono delle forme specifiche. Lo stesso vale se vediamo le diverse “forme” d'amore l'una a fianco dell'altra. Prendiamo, per esempio, l'amicizia: io non credo ad una persona che non abbia amici, non credo ad uno che mi dice: “So amare te, fidanzato/a, ma non credo nell'amicizia”. O, proseguendo il filo dei pensieri, una persona che mi parli di amore per gli amici, ma non di quello per i figli, per i fratelli. Una persona che ama ha delle differenziazioni di amore. Quanti maschi, per esempio, hanno tanti amici, ma non hanno mai un amico che gli darebbe un consiglio sul loro matrimonio, non hanno mai il coraggio di chiedere all'amico: “Che ne pensi della mia vita? Mi vedi bene sposato? Mi vedi bene padre, madre?”
Secondo me questa è una povertà. Una persona che ama non è pronta per il matrimonio solo perché ha trovato la persona con cui sposarsi, ma questa cosa è inserita in un contesto dove ama i suoi amici, ama la natura, ama la Chiesa, ama il Signore.
In un testo di C.S.Lewis, uno scrittore anglicano, amico di Tolkien, l'autore del Signore degli anelli, lui, sposato con bambini, dopo aver perso la moglie dopo 4 anni di matrimonio, scrive [2] :

“Con mia moglie abbiamo provato l'amore in tutte le sue forme: fisica, sessuale, spirituale, culturale, ecc… ed ora posso dire tranquillamente che Dio non è un surrogato dell'amore umano, perché se realmente lo fosse, con tutto quello di bene che ho provato, avrei perso interesse per Dio, invece io e mia moglie non abbiamo mai smesso di cercare Dio. Tanto varrebbe dire ad una persona che siccome ama un uomo o una donna, non ha più bisogno di leggere un libro o di fare una passeggiata in mezzo alla natura, ecc…”

Le forme di amore coesistono insieme ed esprimono la maturità della persona nell'amore. Una persona è matura nell'amore sia perché possiede le qualità dell'amore in sé, ma anche perché le sa vivere, coniugare nei vari aspetti.
Altro esempio: io non credo ad una persona che non sa stare in silenzio. Se è così non sa amare. Uno dei problemi dei nostri bambini è proprio questo: parlano sempre! Hanno bisogno di rumore! Dinanzi ad un cielo stellato, non sanno stare cinque minuti in silenzio, in chiesa non sanno ascoltare uno che parla, anche se dice cose interessanti. O all'opposto una persona può non essere capace di parlare, ha paura di dire cosa pensa. Nell'amore non si sta sempre in silenzio, nell'amore non si parla sempre. Entrambe queste due cose sono qualità dell'amore perché il silenzio vuol dire interesse, attenzione, vuol dire il desiderio dell'ascolto, la parola vuol dire, invece, il desiderio della comunicazione.
Altra considerazione (ma è sempre la stessa, vista diversamente!): per amare te, io devo avere stima di me stesso. Non credo ad una persona che non si stima, che ha un disperato bisogno di complimenti. Tutti abbiamo bisogno di complimenti (soprattutto le donne!). Però questa cosa si deve radicare su una stima profonda che noi abbiamo accresciuto negli anni della nostra vita, nella fede, nel cammino di noi stessi, altrimenti la persona sarà un mendicante, sarà una persona continuamente in crisi, che elemosina, che seduce. E' importante che una persona dica: “Io valgo!”. Anche in un momento di crisi. Una persona che ama veramente, deve essere convinta che l'altro, lasciandoci, sta perdendo qualcosa. Se tu non ti stimi, se non hai una convinzione profonda del valore della tua vita… Questo è molto importante. E questo ha un riflesso nelle cose: gli studi moderni psicologici, ma anche la fede cristiana, insegnano che tante forme anche fisiche, a volte manifestano un malessere nei confronti della nostra stessa vita. Sapete che tante forme a livello somatico a volte manifestano una paura – che non è una colpa morale, non confondiamo il livelli – una fatica di vita. Pensate all'anoressia, alle persone anoressiche. Coloro che non capiscono il problema si limitano a dire: “Devi mangiare!” In realtà tante ragazze (cominciano ad aumentare anche i casi di ragazzi) hanno paura di crescere - a volte dinanzi ad un padre che non le ha mai accarezzate, non ha mai parlato loro, non ha mai valorizzato il loro essere - hanno quasi paura di diventare donne. E quel loro essere magre non è un problema fisico semplicemente, ma porta dietro una paura, una non serenità, una non accettazione. Ed è stupido chi continua a dire solo: “Devi mangiare!” Quella persona è convinta di essere grassa! Diverso è aiutarla dicendo: “Cosa ti manca? Perché non stai bene? Perché soffri?” L'amore di noi stessi si manifesta nella realtà fisica, somatica, riguarda anche le cose. Un esempio ancora: nel fare una famiglia - lo scoprirete, se già non lo sapete - non si può amare se stessi e l'altro se non curando gli oggetti. Non è solo una perdita di tempo la litigata sulle piastrelle rosa o bianche della nuova cucina (spero rosa no!!!), ma è una cura che è la cura della nostra vita – e, in futuro, della vita dei bambini. Chiaramente facendo i conti con la disponibilità di soldi, di tempo, ma, senza mai dimenticare, che non esiste un amore a se stessi o all'altro che non sia anche un'attenzione, per esempio, alla casa, al cibo. Non si possono sposare due persone che non vogliono impegnarsi ad imparare a cucinare. Non è una stupidaggine, questa che dico! Conosco un monaco che si arrabbia moltissimo quando i suoi monaci cucinano male, perché in questo si manifesta che non amano. Anche questo, il cucinare, è un modo di accogliere con amore l'altro. Sottolinea come l'amore abbia una carnalità, una concretezza.

Domanda di un partecipante al corso : Ma tu vuoi dire che dobbiamo essere perfetti su tutti i fronti, per poterci sposare?

Ovviamente il mio è un modo di parlare per esagerazioni. Sto aprendo dei problemi, indicando che c'è un cammino, una meta verso cui noi cresciamo. Nessuno di voi ama il suo fidanzato/a alla perfezione, questo è fondamentale. L'amore esiste sebbene ognuno di voi non sia del tutto capace di amare. Ciò che voglio dire è che c'è una maturazione della persona, che è il cammino che noi facciamo, in cui le varie parti, se sono in armonia, si aiutano fra di loro. Su alcune cose resto irremovibile, per esempio che una persona deve imparare a rispettare. Però è vero che poi esiste il peccato, noi non sempre rispettiamo tutti. Anche la persona più santa, più in gamba, può avere le sue cadute, i suoi peccati. Però c'è un maturare della persona che ti aiuta a vivere questa realtà globale. E poi resta vero che esistono delle profonde differenze, che non ci devono scandalizzare: esistono persone che amano più timidamente, altre che amano in maniera più loquace. Però queste cose maturano nelle persone negli anni.

Vediamo, infine, la seconda parte delle vostre risposte. Passiamo dal generale al particolare. Queste diverse forme di amore – per il fidanzato, per i genitori, per i fratelli, per gli amici, per la Chiesa, per Cristo, ecc, ecc. - hanno delle caratteristiche diverse , oltre ad averne alcune in comune.

Vediamo ancora un altro esempio: qualcuno di voi ha detto che l'amore per gli animali è un amore senza parole. Questa è una cosa molto importante. Sapete che con gli animali c'è un punto fondamentale da avere ben chiaro: noi gli animali li possiamo amare, ma loro non amano noi. Solo una persona molto povera di affetti dice che il cane lo ama. In realtà l'amore ha una caratteristica fondamentale che è la libertà. Perché l'amore sia vero amore, io devo poter non amare. Questa è un'affermazione cristiana fondamentale. Dio ha fatto l'uomo capace di amare, nella libertà che si esprime nella parola. L'animale non è libero ed, in questo, non è simile all'uomo - a differenza di ciò che cerca di affermare una mentalità presente anche in alcuni programmi televisivi divulgativi che tendono sempre più ad avvicinare l'animo umano alla realtà animale. Provate a dare da mangiare per qualche settimana ad un cane e diventerà il vostro migliore “amico”, ma non perché vi ama, non perché ama proprio voi. Con un'altra persona farebbe la stessa cosa. L'uomo è un essere che può essere curato, amato e, comunque, disprezzare chi lo ama. Non è perché voi amate un uomo/donna, che lui vi riama. Voi potete fare di tutto, per una persona, nel bene, ma quella persona può rifiutare il vostro amore. A volte si sentono delle persone dire: “Mi ha lasciato perché ho sbagliato”. Può darsi, però non è detto. Tu puoi anche fare tutto bene, ma l'altro ti lascia. Non è perché tu fai bene che l'altro non ti lascia, ma perché l'altro è talmente grande nella sua libertà! La libertà è l'unico vero motivo per cui si dice: “Grazie”. Chi non dice “grazie”, in realtà non sta amando, perché non riconosce la libertà dell'altro. La profonda gratitudine è segno della libertà. E' una delle cose più belle: la scoperta che l'altro potrebbe non amarmi. E, se mi ama, non è che lo fa perché io sono il più amabile, il più bello, ecc… L'altro sbaglierebbe ad amarmi se io fossi un truffatore, una persona finta, ma non è perché io sono bravo che l'altro mi ama. Se fosse così vuol dire che l'altro non è una persona libera, indipendente, creata da Dio libera. Io non dico grazie ad una persona che è obbligata ad amarmi. Quando percepisco il brivido del fatto che l'altro potrebbe fare tranquillamente una cosa diversa, nasce la gratitudine. La gratitudine è proprio l'esperienza della libertà [3] .
Molte persone scelgono per il loro matrimonio il famoso brano di Genesi 2. La Bibbia è chiarissima in questo. Quando Adamo da' il nome a tutti gli animali (dare nome nella Bibbia vuol dire proprio avere un potere su un altro essere) - dice il testo - Adamo “non trovò nessuno che gli stesse di fronte”, che gli fosse veramente simile, e allora il Signore creò la donna. Il testo sapienziale di Genesi esprime la convinzione che nessun altro rapporto con le realtà create naturali è simile al rapporto che si crea tra gli uomini fra di loro. Solo in questo caso c'è lo stupore di Adamo che dice: “Ma veramente questa qui è come me, è ossa delle mie ossa, carne della mia carne!” Il fatto della costola – come ben sapete - è un fatto simbolico: noi non abbiamo una costola in meno. E' un testo sapienziale che dice che solamente gli uomini fra di loro - gli uomini e le donne - hanno comprensione di essere due esseri che si corrispondono (e si oppongono anche!) nella loro libertà. Hanno una tensione paritaria di rapporto.

Facciamo un passo ulteriore.
Uno dei punti fondamentali che – già ve lo abbiamo detto – vogliamo affrontare con voi è la dimensione del crescere. La chiesa cattolica cristiana difende questa profonda realtà: che l'amore non è l'inizio del cammino dell'uomo, ma ne è il compimento. Io rifiuto profondamente l'idea, data sovente come cosa scontata - ma se uno ci pensa sa che non è vero - che il bambino sappia amare e l'adulto sia cattivo. Quando si parla di un bambino appena nato una delle frasi abituali, ma banali, è: “Questo bambino è un angelo. I bambini sono angeli! Guarda poi come si rovinano diventando grandi” L'idea che passa è che il bambino, man mano che entra nel mondo dei seri, dei grandi, degli adulti, si rovina. In realtà la profonda comprensione della fede cristiana, che è legata, poi lo vedremo, al problema della grazia e del peccato originale, è che l'uomo ha bisogno di un lungo cammino per amare veramente. Il bambino appena nato è una persona adorabile, ma non sa amare. Per esempio non sa dire “grazie”. Questo è vero anche dal punto di vista psicologico. Ed è bene che sia così! Non voglio, infatti, criticare i bambini. Gli studi moderni di psicologia dicono che il bambino, finché è molto piccolo, non riesce a separare il seno della madre dal suo stesso corpo. Lui non ama la madre, non sa che c'è un altro essere che gli da' il latte e che fa una fatica immensa per darglielo. Il bambino sente il corpo della madre come il suo stesso corpo, come se si autonutrisse. Noi insegniamo ai bambini a dire “grazie”. Essi lo fanno all'inizio “per buona educazione” - il bambino pian piano impara a dire “grazie” perché gli viene ripetuto mille volte dalla mamma, dal papà, dalla nonna… In realtà solamente nel cammino che lo farà diventare grande il bambino arriverà ad esprimere la gratitudine. Pensate a cosa vuol dire assumersi una responsabilità: voi siete molto più in grado di amare di quanto lo siano i bambini. Quale bambino potrebbe davvero dire (e poi farlo davvero!): “Io ti prometto di amarti, di essere fedele ai tuoi bisogni. Io cucinerò per te. Io partorirò un altro figlio e ne avrò cura?” Dio ha fatto l'uomo come l'essere che non ha una realtà istintuale, ma come colui che è profondamente segnato dall'educazione, segno della libertà. Il nostro cammino è profondamente segnato dalla storia che noi viviamo. Il cucciolo d'uomo ha bisogno di tantissimo tempo per arrivare ad essere protagonista della sua storia. Deve essere educato, per poter sopravvivere ed aiutare altri a vivere. Non sa queste cose per istinto, a differenza di molte specie animali.

Uno schema che vi può essere utile, per approfondire ulteriormente è questo: ci sono tre parole per descrivere come è il bambino all'inizio del suo cammino. Sono tre aspetti complementari che descrivono la stessa realtà infantile.
Il bambino nella sua infanzia è “egocentrico”, “narcisista”, “instabile”. Premetto che nel dire queste cose, come sempre, esagererò, calcherò i toni per farmi capire. Notate, inoltre, che queste cose non vogliono suddividere il mondo in “buoni” e “cattivi”, ma nascono dalla coscienza che ognuno di noi ha dei tratti che debbono ancora maturare più pienamente perché possiamo crescere nell'amore. Descriviamo un bambino, per poter parlare più liberamente di noi. Ognuno riconoscerà, forse, se stesso in qualcuna di queste caratteristiche.

Egocentrico. Vincere l'egocentrismo vuol dire riconoscere che il centro dell'esistere non sono io, ma è da un'altra parte. Ringraziare la moglie o il marito che sta lì e mi dà un bacio, vuol dire riconoscere che c'è un'altra vita. Per il bambino questo richiede un lungo cammino ed è bene che sia così. Notate che, per come Dio ha fatto la vita, l'essere al centro del mondo è, inizialmente, necessario al piccolo, perché dà sicurezza al bambino. Se il bambino non fosse egocentrico morirebbe. E' bene che i genitori dicano al figlio: “Sei il bambino più bello del mondo” (anche se sappiamo benissimo che non è la verità!).
Sapete quante persone vivono nell'insicurezza perché non sono state accolte come realtà preziose all'inizio della loro vita. Dio vuole che voi siate dei genitori che, quando la vita arriverà, facciano capire al figlio la bellezza della sua esistenza, genitori che non rinfaccino la fatica che fanno. E' importante che un bambino sappia che i genitori sono felici di averlo, che lui è il centro della loro vita. Poi, per fortuna, Dio ha fatto la vita in modo che anche chi non ha sentito questo nella sua casa, nella sua prima infanzia, lo possa poi recuperare in tanti modi, nel fidanzamento, nel lavoro, nell'amicizia… Però è fondamentale l'amore per se stessi, che nasce all'inizio dal fatto che qualcun altro ci ha amati, ci ha messi al centro! Poi, man mano che diventiamo grandi, questa cosa deve modificarsi. Il dramma è se uno a 30 anni è egocentrico! La tragedia è se uno, a cinquanta anni, non ha imparato a dire “grazie” e vive ancora come se l'esistenza dell'intero universo dipendesse da lui! Questa crescita, infatti, non è automatica, non dipende dal passare degli anni. E' necessaria una “conversione”, un cambio di atteggiamento, per cui io mi accorgo che la vita è fatta di tanti centri, di tante libertà, di tante persone. Proprio il non dire mai “grazie” di cuore ad un altro è segno abbastanza univoco di una esistenza autocentrata.

Narcisista. Questa espressione è ormai molto usata anche dalla pedagogia e dalla psicologia e fa riferimento all'antica figura mitologica di Narciso. Egli è il personaggio che si ritiene talmente bello da cercarsi continuamente negli specchi, nell'acqua, ecc..., per rivedere sempre la propria immagine, ma anche per una profonda insicurezza. Narciso arriva ad uno specchio d'acqua, si perde talmente nel contemplare la propria immagine che alla fine ci casca dentro e annega. Nel mito di Narciso c'è un altro aspetto complementare molto interessante che riguarda il mito della ninfa Eco (il riecheggiare delle proprie parole!).
Il bambino ha bisogno di essere continuamente guardato, ha bisogno che gli altri gli dicano: “Sei bellissimo, sei bravo, ecc…”
Come per l'egocentrismo, questo diventa invece problematico, quando questa realtà persiste da grandi. Pensate per esempio alle frasi che spesso diciamo tutti noi. Parliamo, facciamo una cosa, e poi diciamo: “Ma tanto io non sono capace di parlare!” E' un modo indiretto per dire: “Dimmi che non è vero, che invece so parlare!” Nell'insicurezza noi continuamente lanciamo un messaggio che chiede una conferma. Per fare un altro esempio, pensate ad un contesto come questo, il corso di preparazione al matrimonio. Noi abbiamo un atteggiamento narcisista verso la vita, quindi egocentrico, quando non siamo capaci di preoccuparci degli altri. Uno può arrivare qui pensando tra sé e sé: “Chissà che figura ho fatto, cosa penseranno queste persone di me!” Un atteggiamento autocentrato, preoccupato dell'immagine che si è data agli altri. Non mi pongo minimamente il problema di chi sono gli altri, di come stanno. L'atteggiamento narcisista è un atteggiamento che non ha un interesse reale per ciò che avviene, per la vita degli altri. Parlo anche per esperienza. Ricordo quando, da adolescente, entravo in una casa di amici dove c'era una festa e non avevo come prima domanda: “Ma gli altri sono felici? Come stanno? Cosa pensa il festeggiato?”, ma piuttosto se gli altri si erano accorti che ero arrivato, se mi avevano manifestato il loro amore, e così via! Ci ho messo del tempo anche solo a capire che c'era qualcosa che non andava in questa priorità di preoccupazioni. Notate, infine, che il narcisismo può derivare da eccessivo orgoglio, dal fatto di ritenersi i migliori e dal non avere considerazione della bellezza della vita degli altri, ma può nascere anche da qualcosa di opposto, dal non avere a sufficienza stima di sé e dall'avere quindi continuo bisogno di conferme di amore. Vedete atteggiamenti di persone che, pur essendo state amate molto e da molto tempo, ogni volta che si trovano dinanzi ad una non conferma, pongono domande che azzerano tutto il passato: “Ma allora non mi ami più, ma allora non mi hai mai amato?” Sembrano ricominciare ogni volta da zero, dimenticando tutto ciò che già c'è stato di bello, di donato.

Instabile. Il bambino non ha ancora una maturazione, un equilibrio e, proprio per questo, è continuamente preda del momento, dell'emozione. Si può usare l'espressione tecnica “ipertrofia” - che vuol dire “troppo nutrimento” - nel senso psicologico del termine. Quando c'è un pallone gonfiato, che occupa troppo posto, se si buca, scoppia e va tutto per aria. Pensate a come un bambino passa dalla rabbia, dal pianto, alla gioia più totale, al riso. E viceversa. In un istante può cambiare totalmente atteggiamento. Perché è ancora talmente preda della realtà esterna, della critica o del complimento, della cosa che gli manca, che ha un comportamento emotivo simile ad sinusoide molto ampia. Può avere altissime emozioni positive, di piacere, e, un secondo dopo, precipitare nel baratro del pianto dirotto. Basta una cosa storta, una frase detta male, e tutto salta per aria. Basta un complimento od un oggetto comprato e tutto il dolore può passare d'incanto. Questo è anche lo schema del meccanismo di un tipo di depressione. Una persona depressa, alterna dei momenti di stasi, in cui non esce di casa, non fa niente, vuole sempre dormire, rifiuta qualsiasi proposta, a momenti in cui improvvisamente è iperattiva, fa mille pazzie. Si può pensare, in questo secondo momento, che sia guarita, ma è semplicemente nell'altra fase della malattia, che può anche essere più pericolosa.
Invece, una persona che pian piano matura - ed è una cosa molto difficile maturare, crescere - impara ad avere un equilibrio, un'armonia. Viene colpita nel bene e nel male da ciò che avviene, ma non è distrutta o esaltata dai fatti. Mantiene l'equilibrio. Per un bambino questo non è possibile.
Prendete ancora l'esempio dell'essere criticati. Una persona instabile non sopporta le critiche. Va in crisi. Per lei una disapprovazione è segno di un rifiuto totale. Se vengo criticato, ecco che non sono più amato. O tutto o niente! Una persona più matura nell'amore, sa di essere amata anche se l'altro si accorge dei limiti e degli sbagli (e dei peccati). Cerca di capire la critica che riceve, senza mettere in dubbio l'amore. Chi non sa accettare critiche, ma va subito in affanno, è ancora infantile.
Questo terribile meccanismo viene a volte adoperato anche nella forma del ricatto affettivo. In alcune regioni italiane si afferma che “I panni sporchi si lavano in casa”. Se io parlo male di alcuni atteggiamenti della mia famiglia d'origine, ecco che ho tradito per sempre il loro amore, ecco che non amo più i miei genitori e mi sono messo contro di loro, ecco che – addirittura! – li ho rinnegati. Niente di più sbagliato! Un figlio che si accorge dei problemi che ci sono in casa, può avere bisogno di confrontarsi con qualcuno fuori di casa, con amici, con altri, per imparare a capire bene quello che succede nella sua famiglia. Ma questo non vuol dire che non ama più i suoi genitori. Li può amare e criticare insieme. Può avere grande affetto alle loro persone e non condividere alcune loro scelte. La persona stabile sa che coesistono l'amore e la differenza di posizioni. Non pone sempre dinanzi ad un aut aut: o con me o contro di me!
Il bambino per diventare un uomo che ama ed è libero ha una lunga strada da percorrere. E noi portiamo in noi stessi degli atteggiamenti ancora infantili, che sono normali, che esistono, che non sono da drammatizzare, ma che ci rallentano, ci fanno amare di meno, ci fanno creare problemi, fanno diminuire la nostra “arte di amare”. Invece più noi da questa realtà iniziale, infantile - che ci deve essere, da bambini! - cresciamo, più l'amore diventa una cosa possibile, armonica, bella!

III incontro
La verità, misura del crescere

Partiamo in questo terzo incontro da un ulteriore approfondimento delle cose che avete scritto sulle varie forme di amori con le loro caratteristiche.
Avete scritto che una caratteristica tipica dell'amore di coppia è l'esclusività. Questo è vero! Un uomo non può stare con due donne contemporaneamente (naturalmente questo vale anche per la donna) e dire di amarle: non può essere vero.
Accenno qui ad un aspetto della comprensione della vita che è decisivo e verissimo: la distinzione fra sincerità e verità . Forse qualcuno potrebbe usare altre parole per questa distinzione – mi sta benissimo lo stesso – ma quello che mi interessa è la sostanza del problema. Prendete ad esempio quegli uomini che tradiscono la moglie dicendo: “Io amo mia moglie e non tolgo niente alla mia famiglia, se sto anche con un'altra. Le amo entrambe! Quando incontro la seconda, lo faccio sempre in momenti in cui non starei comunque con la mia famiglia!” Non è vero!!! In realtà quell'uomo fa del male alla moglie, tradendola lei e la famiglia – e quando la cosa salterà fuori e scoppierà un macello terribile, come spesso avviene, se ne accorgerà! Ma non bisogna omettere di dire che quell'uomo fa del male anche all'amante, non permettendole di avere una vita normale, un rapporto d'amore vero, esclusivo. Spesso mi è capitato di confessare persone che avevano atteso per anni una decisione dell'altro, già sposato, che continuava ad affermare di voler loro bene, decisione che non era mai arrivata perché la persona continuava a tenere il piede in due scarpe. Così l'amante arrivava all'età di quarant'anni, ormai tardi per fare una propria famiglia , per avere dei bambini, ecc. e si trovava così a vivere da single tutto il resto della sua vita. Nella “verità” l'uomo non le aveva “voluto bene”, non aveva cercato il bene di questa persona, ma, “sinceramente”, le aveva rovinato la vita. Io chiamo “sincerità” – e non le do un eccessivo peso – la rivelazione dei sentimenti di una persona. Questi sentimenti sono spesso contraddittori e altalenanti. Veramente uno “sente” qualcosa, “sente” un emozione, un'attrazione. Penso sia addirittura abbastanza normale che ci siano periodi in cui uno possa sentite “attrazioni” per persone diverse. Un manifesto di Folon, un grafico francese, rappresenta l'uomo come un essere da cui partono moltissime frecce in direzioni opposte ed attorcigliate e tutte compresenti. Alessandro Manzoni usava l'espressione “guazzabuglio” per descrivere il cuore umano, da questo punto di vista. La “verità” è, invece, la coerenza con il bene oggettivo. E' bellissima l'espressione “volere bene” – la commenteremo poi ancora – che indica il sapere cos'è il bene di una persona ed il perseguire questa meta. L'uomo che ha tradito la moglie non ha neanche “voluto il bene” dell'amante, condannandola a perdere il suo futuro (e di certo anche l'altra parte ha le sue colpe!). Nell'illusione di essere “sincero”, di portare avanti tutti i diversi sentimenti che provava, in realtà ha voluto il male di due persone, preparando la strada a due fallimenti esistenziali. La Chiesa sa bene che i sentimenti, le emozioni anche forti che nascono dal nostro intimo, possono essere voce dello Spirito Santo o tentazioni del male. Invita a fare questa distinzione delle mozioni interiori (l'opera di questa distinzione viene chiamata “discernimento degli spiriti”, parola completamente dimenticata nell'analfabetismo degli affetti!).
Quello che prova quell'uomo è solo un'emozione. E' normale che un uomo, sposato da molti anni con una persona ormai di una certa età - e così una donna - provi emozioni di fronte ad una persona bella, giovane, sensibile, ecc… questo non è ancora peccato, per la Chiesa. Diventa peccato quando su quell'emozione comincio a costruirci sopra, comincio ad “indugiare”, a “consentire” (così si esprimeva il linguaggio), invitando la persona ad uscire, a parlare, a stare soli, ecc. ecc.
Ecco che, allora, a partire da un'emozione faccio qualcosa che non fa più il bene, ma fa del male, qualcosa che non è voler bene, ma che è volere il male dell'altro, sotto l'alibi della sincerità del sentimento provato.

Invece l'esclusività non può essere pretesa ad un altro livello dell'amore. Vedrete quante tensioni ci sono riguardo questo! Voi vivetele tranquillamente.
E' chiaro che una persona non può dare il primo posto al lavoro, se vi sposa, però è chiaro che il lavoro sarà anche importante. Una famiglia deve mettere in relazione vari tipi di amore. Deve escluderne per forza alcuni, ma altri non può non prenderli in considerazione. Pensate al rapporto con i famosi suoceri. I “benedetti” suoceri sono, però, i genitori di mio marito/moglie. Conosco degli uomini o donne che dicono al coniuge: “Tu non devi più parlare con tuo padre, perché mi ha offeso profondamente!”. Questo non può esistere! Se anche quel suocero fosse la persona più imbecille del mondo - perché esistono dei padri sbagliati, o solamente rovinati – ma, lo stesso, quello è “mio padre” ed io devo poterlo incontrare. Nostro figlio è suo nipote. Io accetto che a te stia antipatico, però tu devi accettare che ci incontriamo. Questa è una forma diversa di amore. Chiaramente l'uomo/donna deve saper gestire questi rapporti, nella giusta misura. Però non si può pretendere, come alcuni fanno, che siccome quello ha trattato male me, nuora/genero, allora tu non lo vedi più. Anche se mi ha fatto la cosa più brutta di questo mondo, quello è tuo padre o tua madre. E alla fine, se sa amare, l'uomo deve saper gestire questo rapporto. Nessuno può impedire di far incontrare i propri figli con i nonni (che sono poi i “nostri suoceri”). Non è legittimo un ricatto al marito/moglie su questo (a meno che non ne vada di un pericolo reale e grave per i bambini stessi); io devo essere superiore al risentimento che provo e devo capire che due forme diverse di amore devono coesistere.

Questo ci fa capire ulteriormente come certi atteggiamenti in una specifica forma d'amore siano assolutamente necessaria, invece in altre non lo siano. Se in un rapporto affettivo fra uomo e donna non c'è almeno un minimo di gelosia, c'è qualcosa che non va! Io non posso pensare di vedere mio marito, mia moglie, tra le braccia di un altro, restando indifferente! Se due amici, invece, hanno gelosia l'uno dell'altro, questo è un segno che la loro amicizia non è ancora matura. Io sono felice se il mio amico sta con altre persone, se ama anche altre persone. Un amico in più non toglie niente all'amicizia che ho con quella persona.

Ancora: è evidente che certi rapporti di coppia pretendono di uccidere la tua vita. Questo non può esistere. Un rapporto vero di coppia ti apre all'interesse per la vita. Non può essere che una persona, siccome sta con me, non ha più bisogno di nessun altro. Neanche Dio vuole che noi amiamo solo lui. Il Dio dei cristiani dice: “Ama me con tutte le forze, ma ama il prossimo tuo. Se tu ami me, devi amare anche gli altri”. Ogni uomo e ogni donna deve chiedere questo all'altro: “Se tu ami me, cerca di guardare un po' anche agli altri”. Questa è la differenza con il terrorismo suicida! Lì si afferma: “Io amo talmente Dio, che allora posso anche uccidere gli altri!” Questo non può esistere nel cristianesimo. Dio non ti può chiedere di amare solo lui. E' un punto centrale della dottrina cristiana. C'è una esclusività nell'avere una sola donna, un solo uomo, ma non nel voler bene solo a quella persona!

E' interessante anche che, nel dare le risposte, qualcuno di voi ha diviso i vari tipi di amore in rapporti che si scelgono e rapporti che non si scelgono. Senza pretendere che uno sia perfetto, però una persona deve poter stare bene sia con persone che si sceglie, sia con persone che trova, che incontra senza averle scelte. Una persona non è matura nell'amore se gli manca una di queste due categorie. Prendiamo l'esempio di una famiglia, quella di origine: pensate all'importanza del rapporto fra fratelli. E' un rapporto difficilissimo! A parte alcuni casi fortunati in cui i fratelli/sorelle si amano alla follia, in realtà fra fratelli ci sono molte difficoltà. Ed è per questo che è così importante!
E voi amerete molto i vostri bambini se non li lascerete figli unici, se saranno tre o quattro. Guardate che un bambino, se ha dei fratelli, cresce molto meglio. Ma non solo perché va d'accordo! Anche se non dovesse andare d'accordo, si deve misurare con degli altri che non ha scelto lui. Pensate cosa vuol dire che tu non scegli. Tu devi stare con uno che ha un'età diversa dalla tua. Questo è difficile. Ma è fondamentale, perché tu devi dividere la vita, devi metterti d'accordo. Una volta una mamma mi disse una cosa bellissima: “Adesso voglio un terzo figlio, perché fa bene agli altri due che ho, non perché lo desidero io”. Il rapporto fra fratelli non si sceglie, un po' come il rapporto fra fratelli nella chiesa. I parrocchiani di S. Melania non mi hanno scelto, né io ho scelto loro, avendoli prima conosciuti. Abbiamo imparato a volerci bene, quando altri avevano deciso il nostro incontro. Il Cardinal Ruini mi ha detto: “Don Andrea vai lì!” e loro mi devono sorbire!!! Questa però è una prova di maturità. Una persona potrebbe dire: “Non me ne importa niente. E' arrivato don Andrea o don Francesco, io vado avanti lo stesso per la mia strada ignorando la loro presenza”. Oppure può dire: “Questa è un'occasione, qualcosa imparerò”. A volte si impara più da chi è nemico che non da chi è amico. A volte una persona con cui abbiamo delle visioni diverse ci fa molto più crescere – anche se non è detto che sempre sia così. L'esperienza della comunità cristiana, dell'essere fratelli in un gruppo, ha anche questa caratteristica. Devo vivere bene con coloro che non ho scelto uno per uno, ma Dio ha scelto e mandato qui. “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi”.
Però una persona deve anche saper scegliere. Uno non può dire: “Beh, sto con quella persona da sette anni. Che devo fare oramai? O ci lasciamo o ci sposiamo!” Molti ragionano così. Una persona deve scegliere l'unico uomo/donna della sua vita! Non si può dire: io mi sposo perché stiamo insieme! Serve un po' di affinità, serve di avere gli stessi valori, mi deve piacere come vive, come pensa la vita ecc… Così un amico: uno non può sempre essere scelto dagli altri. Una persona che sa dire: “Quella persona mi piace, voglio avvicinarmi, voglio conoscerla, invitarla…” E' segno di un'intelligenza grande, una persona che si avvicina proprio a quella e non a quell'altra. La capacità di amare non è mai perfetta, però vive sempre nella tensione fra ciò che si deve scegliere e ciò che si deve accettare. Voi vedrete che il matrimonio è fatto anche di questo. Per esempio quando uno diventa vecchio, non è che sceglie tante cose che succedono! Quando avrete dei figli, non ve li sceglierete voi. Così tanti problemi che esistono. Però altre cose sì. Il matrimonio è una realtà dove uno è messo alla prova in alcune cose che non può scegliere e in altre cose che deve scegliere e non può pensare che lo faccia qualcun altro.
Una battuta scherzosa è classica: è la tipica frase che ascoltiamo quando il marito propone varie cose da fare e la donna risponde: “Decidi tu!” Poi appena il marito decide, la moglie mette il muso per una settimana, perché non le va bene! E' importante che uno dica: “Voglio fare questa cosa, lo desidero! E' una cosa bella!” Bisogna avere il coraggio di dire: “Mi piacerebbe questo!” Poi a volte non si può fare, ma che c'è di male a dire che desidero una tale cosa? E poi, se anche non è come dico io, va bene lo stesso.
Questo vi aiuta a capire ancor più come il crescere nell'amore ha più dimensioni. Crescere dicendo: “Io devo amare mio padre, mia madre, i miei fratelli, i miei amici, i professori, il mio prete, la gente che incontro per caso, il mio lavoro, ecc…” E dentro queste cose saper vedere delle cose che si scelgono e delle cose che non si scelgono, delle cose che sono esclusive e delle cose che non lo sono. Noi non saremo mai perfetti in tutto questo, però ci fa bene sapere che l'amore non è un imbuto, ma è una cosa che apre.

Vorrei sottolineare un altro aspetto che mi sembra importante: il discorso del crescere vi fa capire come le scelte belle o brutte non accadono mai all'improvviso. Questo è un elemento fondamentale della morale cristiana. Molti pensano che una persona all'improvviso tradisce il matrimonio o all'improvviso commette un omicidio, o all'improvviso diventa santo. In realtà la chiesa dice che, sia nel bene che nel male, c'è una gradualità: o scendiamo pian piano nel male oppure pian piano impariamo a fare il bene. Partiamo dall'esempio più diretto: la mia esperienza di confessore è che tante persone arrivano a tradire il matrimonio perché in realtà pian piano non lo curano più. E poi arrivano a dire: “Ho sbagliato persona!”, mentre in realtà non hanno il coraggio di dire: “Mi sono comportato male”. Se uno comincia a stare sempre fuori per il lavoro, a tornare a casa quando gli pare, sempre più tardi, a non parlare più... E, per la donna, se c'è un figlio e si comincia a non stare mai soli con il marito a tu per tu, ecc. La realtà della vita va curata! Uno si trova a fare un gesto profondamente grave, ma perché pian piano ha disceso una china. Fromm di cui abbiamo già parlato a proposito de “L'arte di amare”, ha scritto un altro libro, meno famoso, “Il cuore dell'uomo”, dove descrive come un uomo fa il male. Lui dice che una persona è libera di non tradire sua moglie/marito. Se però comincia a dire: “Vado a cena da quell'amica/o da solo, poi resto fino alle undici di notte, poi prendiamo un po' di whisky, poi mettiamo un po' di musica soft… Alla fine, all'una, forse non sarà più libero di non tradire. La fede cristiana parla di una virtù che è la prudenza: sistemare la vita in maniera tale che tu ti accorgi che qualcosa, che di per sé non è una cosa sbagliata, è però qualcosa che mette in pericolo l'armonia della tua vita. Se invece non sistemo la vita in modo che sia in armonia - a volte la vita è come un piano inclinato, in cui si scivola nel male – a volte io mi ritrovo che non ho più la forza di dire di no.
Altro esempio relativo alla storia del nazismo: C'è un libro che si chiama “In quelle tenebre” in cui una giornalista anglosassone è riuscita ad intervistare per settanta ore un uomo che era condannato all'ergastolo, il capo di uno dei campi della morte della Shoah, Treblinka. Il suo nome era Stangl, uno delle SS naziste. Era uno dei peggiori campi di concentramento esistenti, la gente veniva uccisa con il gas poche ore dopo essere arrivata, senza che ci fosse una selezione che ne avrebbe potuto salvare almeno alcuni. Si calcola che in questo posto siano morte tra 700.000 e 1.200.000 persone. Stangl era il comandante di Treblinka. Pensate cosa vuol dire per una persona avere sulla coscienza tutti quei morti. Lui ovviamente diceva di non avere delle responsabilità: “Facevo parte delle SS ed obbedivo semplicemente a degli ordini”. La giornalista, con molta intelligenza, non comincia subito parlando di colpevolezza, ma chiedendogli di raccontarle la sua storia. Lui racconta tutta una serie di progressivi cedimenti di coscienza. Per esempio racconta che era cattolico, ma ad un certo punto per essere SS dovette firmare un esplicito atto di abiura della fede cattolica, rifiutando quindi l'obbedienza al Papa, ai Vescovi. Racconta come lui, che era un poliziotto austriaco, avendo paura di perdere il posto di lavoro, diventato nazista e avendo rinunciato alla fede cattolica, pian piano fu inserito nel programma di sterminio degli handicappati (il cosiddetto “programma T4”)... E' terribile vedere come lui arrivi ad essere il capo di Treblinka attraverso una serie progressiva di cedimenti di coscienza. Alla fine la giornalista gli domanda: “Ma lei si sente colpevole?” e lui risponde: “Se mi sentissi colpevole non potrei vivere. Come può una persona vivere sentendosi colpevole della morte di tanta gente?” Morì d'infarto quella notte stessa, dopo aver implicitamente ammesso la sua responsabilità. Sapeva che in realtà avrebbe potuto chiedere di essere trasferito da quel campo; solo, sarebbe stato mandato in prima linea e questo era più pericoloso! Le SS venivano accontentate se chiedevano di essere spostate, ma rischiavano di essere inviate poi al fronte russo.
Quest'uomo ha fatto una serie di passi di progressiva abiezione. Il suo gravissimo peccato è al culmine di una serie di atti.
Ma è ancor più vero il contrario: se voi cominciate un cammino di bene questo sarà progressivo e sarà sempre più bello. Le persone, per esempio, non si accorgono che il cominciare ad andare a messa insieme è una cosa che sostiene la vita di coppia. Il fatto, ad esempio, di venire qui, non vi aiuta soltanto a sentire quello che dico io, ma l'aiuto enorme è che vi aiuta a parlare tra di voi, a confrontarvi sui temi di cui si discute qui. Ecco un cammino di bene. I sacramenti sono un cammino di bene!

Così è della proposta ecclesiale di vivere la confessione almeno una volta l'anno.
Una persona che si confessa periodicamente, apparentemente non ha alcun cambiamento immediato! Ma pian piano, anno dopo anno, questo ti rende più libero, più misericordioso con l'altro, ti fa diventare migliore, ecc. ecc. Il cammino di bene è un cammino reale che si fa passo dopo passo. All'inizio uno dice: “Non ho voglia di alzarmi per andare a messa. Sono stanco della settimana. Tanto la messa cosa aggiunge?” Invece man mano che si vive la messa ci si accorge di quanto bene porti nella vita: “Che bella questa cosa, questo canto, questa parola, aver incontrato quella persona, ecc. ecc.” Così per tutte le altre cose: se voi cominciate un cammino di carità, per esempio accorgendovi che per il matrimonio non volete pensare solo a voi - vi fate fare dei regali, ma poi volete pensare anche ai poveri - questa cosa pian piano segna nel bene la vostra vita. Se prendete qualcosa ogni mese dal vostro stipendio e lo cominciate a mettere da parte per regalarlo, questa cosa pian piano vi farà arrivare a delle vette molto alte! Non sappiamo esattamente quali, ma... Come l'esempio che facevo di S.Francesco. Lui non cambia di botto: comincia ad avvicinarsi a un povero, ad andare in chiesa, ad ascoltare un prete. Comincia ad amare il Papa, a stare bene con i fratelli… È una crescita graduale. E' raro che nella vita le cose accadano di botto. Sono tanti piccoli passi che poi diventano un tesoro molto grande.

(Intervento di un partecipante al corso sulla morte, per droga, del ciclista Marco Pantani)

Esatto! Tutti parlano di un aspetto, peraltro verissimo, il fatto del doping. Però pochi hanno il coraggio di dire che una persona non può vivere solo perché vince le gare… e se gli si rompeva una gamba? Una persona ha bisogno di un senso della vita e questa cosa si costruisce pian piano… Pensate proprio allo sport: tu non puoi diventare un campione all'improvviso. Devi fare tanti passi. Questo è bellissimo, lo sport è veramente un'immagine della vita. Un campione ha bisogno di tanto allenamento… Così è nel bene: uno deve costruire una famiglia, avere il riferimento a Dio, la speranza, la giustizia. E' chiaro che se tu hai solamente un obiettivo e tutto il resto viene trascurato, se ti crolla quello ti trovi con niente, nel nulla. Alcuni genitori sono convinti che se il figlio entra nella Roma e diviene un grande calciatore, sarà felice! Ma non è vero, non puoi pensare una cosa del genere!

Intervento di un partecipante : Sia nella fase di discesa che in quella di salita hai fatto come delle tappe. C'è una gradualità di cui ci dobbiamo rendere conto facendo il confronto con qualcosa di oggettivo, cioè c'è una visione soggettiva che è quella che mi fa cercare delle giustificazioni e c'è una visione oggettiva che mi fa capire che sto salendo/scendendo di grado?

E' verissimo: noi tendiamo a puntare tutto sul soggettivo, mentre si trascura il misurarsi con l'oggettivo, con i valori, con la realtà, con la fede. E questo non lo si fa mai una volta per tutte! La mia esperienza è che, ad esempio, durante questi corsi di preparazione al matrimonio si crea un po' di stima per il cristianesimo, per la serietà e la bellezza della visione cristiana, ma dopo raramente le persone hanno il coraggio di venirti a parlare di un problema per tempo, di una difficoltà, di un pensiero che non quadra loro, con il desiderio di misurarsi ancora con questa oggettività…. A volte qualcuno viene a parlarti di un problema quando la frittata è già fatta! “Va bene io ti ascolto, ne parliamo. Però perché non me lo hai detto prima?” Gli amici veri dovrebbero essere quelli che non ti dicono: “Ma che te ne importa? Rifatti una vita!” ma piuttosto quelli che ti dicono: “Parliamone, vediamo un po', cerchiamo di capire come si può migliorare, perdonarsi, crescere…” Guardate che la maggior parte delle persone consiglia al minimo problema matrimoniale: “Ma lascia perdere, ma chi te lo fa fare?”

Intervento di un partecipante : Proprio perché capita così di frequente penso che sia difficile fare questa distinzione fra ciò che io vedo, sento e ciò che è. Cos'è che ci può aiutare a capire che questo è quello che io sento e quello invece è ciò che è veramente? Perché in questo camino a volte ci si autoinganna! Come faccio a stabilire ciò che è vero e ciò che è - come tu lo hai definito - sincero?

Provate a rispondere voi: “Come facciamo a capire?” Questo è il punto che mi interessa. Noi sentiamo delle cose. C'è un “sentire”, che è una cosa importante. Però è importante che abbiamo chiaro che ciò che sentiamo può essere anche profondamente cattivo, sbagliato, superficiale. Noi umani non sentiamo solo il bene. Come facciamo a capire se ciò che sentiamo è una cosa soggettiva oppure è proprio una via di bene?

Intervento di un partecipante : Io penso che una persona debba avere anche l'umiltà di chiedere consiglio agli altri. Penso che a volte si è troppo coinvolti in una situazione per vederla oggettivamente. Se hai la fortuna di trovare una persona, un amico, qualcuno che veramente ti vuole bene e che oggettivamente vede la situazione dall'esterno, questa persona ti può anche indirizzare. Molte volte credo che non lo facciamo perché siamo troppo orgogliosi e pensiamo di poter risolvere tutto da soli. Come l'esempio che dicevamo prima, di quelli che parlano di un problema, solo dopo aver divorziato.

Questo è giusto. Il confronto con gli altri è sicuramente un modo per vedere da una prospettiva diversa, da un'altra angolatura, quello che uno già vede o crede di vedere. Però ho paura che uno rischi di cadere in illusione anche in questo. Io sento due persone e mi danno due versioni completamente diverse della stessa realtà che io ho mostrato loro - e mi sembra che noi siamo tendenzialmente portati a scegliere quello che ci fa più comodo! Io vi chiedo come avere un parametro di confronto che non sia relativo, cioè troppo legato a chi sento, a quando lo sento…

Intervento di un partecipante : Io non ho capito se ti riferisci al bene in generale oppure all'esempio dell'innamoramento, che è una cosa molto soggettiva.

Intervento di un partecipante : E' generale. Rientra nel discorso che faceva don Andrea sul fatto che uno può sia fare del male che fare del bene e che comunque c'è una gradualità. Quindi per stabilire se oggi ho fatto in più o ho fatto in meno, vuol dire che sto facendo un confronto con qualcosa… questo confronto ce l'ho nella coscienza... Ma mi sembra troppo poco!

Vi ascolto. E' molto interessante. Vorrei che ci pensaste al problema; è un modo per farvi ragionare. Fate attenzione! Noi usiamo questa parola: “Mi sento”. Questa corre il rischio di essere una espressione troppo soggettiva. Conosco tante persone che “si sentono” una certa cosa, ma quella cosa è profondamente male, a volte proprio perché non sono formati. Mi viene in mente l'esempio di alcune mamme possessive al punto da rischiare di essere mamme castratrici: dicono di amare il proprio figlio come nessun'altra madre fa. Solo loro amano il loro bambino con una intensità vera. In realtà lo imbrigliano, cioè non gli permettono di svilupparsi come persona. Addirittura sono proprio teutonicamente convinte: “Io lo amo talmente! Tutte le altre mamme che conosco non amano il loro figlio con l'intensità con cui lo amo io!” E quell'intensità è, invece, proprio il segno del loro non amore, della loro possessività, della loro incapacità di amare il figlio al punto da aiutarlo a staccarsi da loro, generando in lui la fiducia nella propria capacità di amore! In realtà quel loro sentire, proprio perché non si misura con una verità, con una misura oggettiva, a volte corre il rischio di sviare. Con questo non voglio togliere la bellezza del fatto che una persona, se cresce, ha la capacità con la sua coscienza di dire: questo è bene. Dio ci ha fatti dotati di coscienza. Ma ancora non riuscite a risolvere la domanda che ci stiamo facendo.

Intervento di un partecipante : Io penso che alla base di tutto ci sia il discernimento. La mia esperienza personale è che più una persona possiede discernimento più riesce a capire se una cosa è bene o è male. Ci sono periodi di alti e periodi di bassi. Nei momenti migliori sono più vicino a Dio ed ho più discernimento, riesco a capire meglio cos'è bene e cos'è male. Invece nei periodi bui, quelli nei quali sono più lontano da Dio, il discernimento cala e di conseguenza non riesco più a vedere bene la differenza tra bene e male.

Affronti un aspetto importante con questo intervento. Noi cristiani usiamo una parola che dovreste imparare a capire, ma che la maggior parte delle persone non usa, perché non la conosce: “discernimento”, una parola che ha un'antichissima tradizione cristiana. Discernere vuol dire proprio avere quello sguardo preciso - è di questo che stiamo cercando di riflettere - che non si appoggia tanto e solo su una regola generale, ma - lo vedrete ancora più chiaramente quando avrete un figlio, quando bisognerà capire proprio in quel preciso momento lì che cosa è bene per lui; ed una cosa è che abbia 5 anni ed un'altra che sia adolescente, per discernere quando è il momento di tirare la corda e quando bisogna invece lasciarla - sa che, dati dei valori chiari, non è però stabilito a priori come arrivare ad essi, cosa fare, ma bisogna capire il momento. Il discernimento è quell'atteggiamento per cui tu alla fine dici: “Va bene così. Devo fare così”. Ed è una cosa faticosa, perché appunto, non si trova su un libro. Bisogna avere una tale capacità di ascoltare i valori, la realtà, il figlio, la situazione, i rapporti fra tutte queste cose, da dire: “Oggi questo è importante per te!”. Ma, come vedete, ancora non riuscite a rispondere!

Intervento di un partecipante : Secondo me se uno tiene in considerazione la globalità degli eventi, quello che succede, e non solo quello che tu senti e la tua contingenza, riesci ad essere più obiettivo e anche a capire il bene o il male di un'azione. Il personaggio del libro sulla Shoah, si è trovato angosciato del fatto che poteva perdere il lavoro, avrà avuto dei figli. Ma se tu ti poni nell'ottica: “Se faccio questo, chi coinvolgo? Cosa coinvolgo?”, allora il discorso diventa più ampio. La tua azione non è più scollegata, fine a se stessa. Anche una cosa fatta senza che nessuno ti veda, probabilmente non rimane lì.

Il tema di una sana valutazione dei sentimenti è problema di cui raramente si parla. Già solo per questo è importante porre il problema. E' chiaro poi che dobbiamo anche trovare una soluzione. Ma soffermiamoci ancora sul problema, dato che la soluzione non viene fuori. La fede cristiana dice: “Attenzione! Del sentimento, qualche volta, devi anche dubitare!” Per la Chiesa il “sentimento” non è un assoluto. Questa è anche una affermazione liberante perché a volte persone molto scrupolose possono pensare che solo aver provato un turbamento sia un enorme peccato! Un sentimento cattivo – dice la morale cristiana - di per sé non è ancora un peccato. Tante volte consolo delle persone che sono state trattate male ed hanno avuto un “sentimento” di odio, di ribellione. Dico loro: “State tranquille. E' sacrosanto il fatto che voi sentiate fastidio. E' una cosa bella, sana, altrimenti sareste dei masochisti!” Questione diversa è cosa fare di questo sentimento, come non farlo radicare nel cuore, come non dargli modo di creare una barriera fra me e l'altro, ecc. ecc. Lì si pone il problema serio del peccato, non prima. Il fatto che io provi fastidio dinanzi ad una persona che ha fatto il male, non implica la mia vendetta od il mio serbare rancore. Lì si passa da una dimensione ad un'altra! Lo stesso per i rapporti uomo-donna. Dio ha fatto gli esseri umani sessuati, tali che si accorgano delle diversità sessuali e sentano le provocazioni che questo comporta. Se un uomo di 70 anni vede una ragazza di 30, è chiaro che la sua emozione fisica possa essere per un istante – o anche per più di un istante! - più forte di quella per la moglie anch'essa settantenne.
Il nostro mondo dà, così, troppa importanza all'emozione. Non molti giovani sono educati a non consentire sempre e comunque all'emozione, a saperla relativizzare! L'emozione, il sentimento, divengono così un assoluto, qualcosa di indiscusso ed indiscutibile. Se “sento” e “provo”, in nome della “sincerità” debbo andare avanti. Ma tutto questo è un mito, invece, profondamente falso.
Pensate al grande racconto del peccato originale. E' – questo sì - una cosa di un'importanza assoluta. Anche alcuni autori cosiddetti “laici”, per esempio Kant - che era un cristiano - ha scritto il suo ultimo libro, La religione nei limiti della pura ragione , proprio su questo tema. In esso argomenta a partire dal fatto che è indiscutibile che esista qualcosa di simile a ciò che la Chiesa chiama il peccato originale!
Nel racconto della Genesi, ai capitolo 2 e 3 - penso che voi sappiate che non c'è nessuna mela, ma si tratta invece del frutto dell'albero della conoscenza del bene e del male - in realtà cos'è che fanno Adamo ed Eva? Mangiano il frutto della conoscenza del bene e del male, cioè scelgono di decidere loro stessi cos'è bene, rifiutando quello che pensa Dio. Come fa il serpente a farli mangiare? Dio – possiamo immaginare - aveva detto loro: “Voi fidatevi di me, io sono vostro padre, io vi guido per la via del bene, per la felicità”. Il serpente, quando sono soli, dice loro: “Ma non sarà che Dio ha paura che voi mangiate il frutto di quell'albero, perché se voi lo mangiaste voi diventereste come Dio?” E allora, dice il testo della Genesi, l'albero apparve desiderabile alla donna. Notate l'inganno. L'inganno del peccato è di far sembrare bella la cosa più brutta del mondo. Questo, che è un testo di una profondissima saggezza - anche un ateo dovrebbe avere un profondo rispetto di questi testi e del loro significato - ha al suo interno l'annuncio di un profondo stravolgimento che talvolta si manifesta nella storia e nella vita: ti fa apparire bene il male e male il bene. Questa è la cosa su cui bisogna fare discernimento. E, nel testo di Genesi, Dio ti appare come un nemico. In realtà Dio, dice la fede cristiana, vuole che tu diventi come Lui: tutto il cammino della fede è la divinizzazione dell'uomo. Dio vuole che l'uomo diventi come Lui ed il serpente insinua il contrario.
Pensate al meccanismo della pubblicità: per vendere una cosa che è grassa (come la mozzarella), questa deve sembrare magra. Per vendere una cosa piena di grassi ti mostrano persone in forma che danzano, saltano… La patinatura della realtà! C'è tutto un lavorare sulle immagini perché una cosa appaia bella, solare, piena di passione, mentre in realtà non ha niente di tutto questo.
Noi veniamo da una cultura, nata nel '68, che ha teso a decostruire qualsiasi cosa. Il tentativo di quella cultura fu quello di dire: “La verità non esiste, tutto è soggettivo. Chi ti propone la verità in realtà ti vuole dominare”. Prendiamo il tema dei segni. Ecco l'affermazione che i segni esterni non servono a niente, che conta solo il cuore. Se credi in Dio, lo sa il tuo cuore e non contano né il battesimo, né la messa, né la Chiesa, né la preghiera, né il matrimonio cattolico e così via! E' come una cipolla: togli il matrimonio e la convivenza gli è uguale, sposarsi in chiesa e battezzarsi non contano niente, leggere Dante a scuola, studiare bene l'italiano non serve, l'arte non è importante, è soggettiva... E' un tentativo di dire: “L'oggettivo non esiste!” Questa cosa da un lato ha avuto aspetti positivi, aprendo alla dignità della singola persona, al rispetto per ogni posizione individuale, dall'altra ha veramente decostruito la fiducia nella possibilità di raggiungere una verità che, invece, come dice la Scrittura, non è lontana da ciascuno di noi.
Vedete il gran parlare del problema del crocifisso che si è fatto proprio in questi giorni: è problema, perché è espressione di un atteggiamento globale. Io ritengo che sia fondamentale mantenere il crocifisso nei luoghi come le scuole per dei motivi che vanno espressi semplicemente:

  1. Perché in classe, come negli altri luoghi non di culto, nessuno adora il crocifisso. Non è lì perché gli alunni vi preghino dinanzi. Non è che se io vado in una classe e vedo il crocifisso faccio una preghiera. Faccio un esempio stupido. Anche l'esistenza in ogni città di una via che si chiama via Garibaldi o via Cavour non è a motivo del fatto che io debba necessariamente essere d'accordo con loro, con ciò che hanno detto e fatto. Però sta lì e ci deve stare!
  2. E' importante perché le persone devono conoscere la religione. Molti non sanno che l'Islam rifiuta il crocifisso, non solo perché è un segno cristiano. Questo non sarebbe sufficiente per rifiutarlo, perché, apparentemente, il Corano afferma che Gesù è un profeta e quindi dovrebbe amare ciò che è di Gesù. Il fatto è che per l'Islam Gesù non è mai morto in croce! Il Corano afferma che la crocifissione è un'invenzione di un fatto mai accaduto, perché Gesù, essendo un vero profeta ed essendo veramente giusto, non poteva morire ucciso, ma è, invece, asceso direttamente in cielo, senza prima morire. Il crocifisso deve stare lì perché le persone devono confrontarsi con il fatto che la storia d'Italia dice il contrario. La scuola deve insegnare che Gesù è morto in croce e che questo è stato un evento che ha avuto delle conseguenze culturali decisive. E' un elemento culturalmente fondamentale.
  3. Sapete, inoltre, che la tradizione ebraica ed islamica è aniconica. Siccome Dio è assoluto, è infinitamente più grande dell'uomo e della creazione, non può essere rappresentato. Rappresentarlo è proibito. Sapete che non esiste una storia della pittura figurativa nel mondo islamico. Oltre a Dio, nemmeno l'uomo è rappresentabile. Esistono architetti, intarsiatori, pittori e mosaicisti di elementi vegetali, ma della figura umana e della storia sacra no. Tu puoi restare musulmano o ateo quanto vuoi, però la scuola ti deve insegnare che l'esistenza del cristianesimo, cui tu puoi non credere, ha di fatto generato la storia dell'arte così come noi la conosciamo. Se non ci fosse stato il cristianesimo non sarebbero esistiti Giotto, Michelangelo e Caravaggio. La croce è un elemento di questa tradizione iconografica.
  4. Infine l'eliminazione di quel segno sarebbe semplicemente l'apice di un atteggiamento che sottrae continuamente i riferimenti. Il crocifisso è lì come un riferimento che dice che esiste un amore di questo tipo. Sapete che il crocifisso non rappresenta l'amore per la sofferenza, come dicono gli stupidi, ma è il segno di un Dio che ama quando non è amato. Dio ama una persona anche se quella non va a messa, anche se quella gli sputa in faccia. E' per il crocifisso che noi crediamo che Dio salva anche altri che non sono cristiani, non perché tutte le religioni sono uguali. Questa ultima affermazione è una boiata! Le religioni non sono uguali, non possono essere tutte ugualmente vere. Ma la salvezza può essere donata anche a chi in terra cristiano non è stato, per la misericordia di Dio, perché Dio offre la vita anche per chi lo rinnega! Questo è il punto fondamentale del cristianesimo. L'altro si salva perché Cristo lo ama e, se Cristo non lo amasse, il suo ateismo lo porterebbe ad essere perduto per sempre. Quel crocifisso è espressione di un riferimento con cui si misura chi crede e chi non crede: pone la domanda se esiste e se ha senso un amore che ama, non essendo amato e ricambiato. E la scuola non può non insegnare l'esistenza di questa questione e di come essa nasca a partire da quella storia particolare, di quell'uomo crocifisso.

Il tema della verità è un tema educativo fondamentale. Se io dico: “Ognuno ha la sua verità, ognuno la pensi come vuole” ecco che ho dissolto l'idea di verità. Qual è il dramma che ne consegue? Prendiamo un papà, una mamma ed il loro bambino. Se non c'è la verità ne consegue che esiste solo l'accordo temporaneo delle persone. Se il bambino è d'accordo ecco che una cosa è vera, ma se il bambino non è d'accordo, quella cosa non è più vera. Un genitore che non sa sostenere il pianto di un bambino non può educarlo. Ma lo può sostenere solo perché sa che la verità esiste e resta vera anche se il bambino non la capisce e piange perché vorrebbe avere ragione. L'educatore è sostenuto dalla certezza della verità e può così sostenere il rifiuto infantile del suo bambino. Non aspetta che il bambino gli dia ragione per sapere di averla! Perché un educatore può accettare che il bambino pianga, quando gli dice che una certa cosa non si fa? Perché l'educatore sa che la verità è più grande di lui. Perché un educatore può sostenere il rifiuto dell' “allievo” che non vuole fare i compiti? Perché l'educatore sa che studiare è importante. Anche se in quel momento non ti va di farlo, non per questo non è vera quella realtà. Pensate quanto è forte questo: la verità resta vera. Se voi un giorno farete un grosso peccato, voi non sarete esonerati dall'insegnare la verità a vostro figlio. Perché voi non dite a vostro figlio: “Io sono bravo!”, ma indicate la verità (cercando certo di essere anche coerenti con essa, ma sostenendola anche se qualche volta la vostra coerenza non è stata sufficiente). Prendiamo il caso di un genitore separato. Non è che un genitore separato non ha più il diritto di dire che bisogna studiare o imparare ad amare. E' chiaro che lui ha commesso un errore, ma deve continuare a dire: “Questa è la verità, tu questo cammino lo devi fare! Io ti chiedo perdono perché non ci sono riuscito. Ma non è perché io non ci sono riuscito, che questa non è più la verità!” Non è perché uno divorzia, che il matrimonio non è più indissolubile! Il problema è vedere se il matrimonio è indissolubile. Questa è la grande questione. Di questo parleremo presto. Se la verità c'è - ed è chiaro che c'è - esiste un metro più grande di noi. C'è il Bene, c'è l'oggettività. Se non ci fosse sarebbe un bel problema.

Sono venute fuori tante cose, ma non abbiamo ancora risposto alla domanda! Come facciamo a dare una giusta valutazione di ciò che sentiamo? Come possiamo accorgerci di quando ciò che proviamo è ingannevole e di quando ci conduce, invece, a scelte vere? E' tardi, però. Continueremo ancora la prossima volta.

IV incontro
Educare la coscienza: un apparente paradosso. Innamorarsi, voler bene, sposarsi: equivocità dell' “io ti amo”

Per rispondere alla domanda che abbiamo lasciato aperta nell'ultimo incontro – come dare una giusta valutazione di ciò che “sentiamo”, di ciò che “proviamo”? - prendiamo oggi un brano della Bibbia, dal libro del Siracide. Vi è stata distribuita una Bibbia dai nostri animatori: provate a cercare da soli il capitolo 37, ai versetti 7-15. Vediamo se siete capaci di trovare un brano della Bibbia. E' un brano dell'Antico Testamento. Si abbrevia così: Sir 37,7-15.

(Dinanzi all'evidenza che pochissimi sanno trovare un testo biblico, all'interno della Bibbia...)

Vedete quanta strada abbiamo da fare! Non vi spaventate, ma, almeno, rendetevi conto di quanto momenti formativi come questo che stiamo vivendo insieme, ci aiutano veramente!!!
Dunque, alcune indicazioni per trovare il Siracide.
La Bibbia è divisa in due parti: Antico Testamento (AT) e Nuovo testamento (NT). Il Siracide è un libro dell'Antico Testamento. Sta quindi nella prima parte della Bibbia.
I libri più importanti dell'Antico Testamento sono quelli che sono raggruppati nel Pentateuco, che è all'inizio dell'Antico Testamento - sono i 5 libri che si chiamano, nell'ordine: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio. Seguitemi sull'indice. Vengono poi i libri storici e sapienziali, poi i libri dei profeti. Ecco, fra i sapienziali potete trovare il Siracide.
Se andate più avanti – seguite sempre l'indice – trovate i libri più importanti del Nuovo Testamento (i più importanti in assoluto!). Sono i 4 Vangeli: Matteo, Marco, Luca e Giovanni.
“Bibbia” vuol dire, etimologicamente, “i libri”, dal greco “biblios”, “libro” che, al plurale, diviene “ta biblia”, “i libri”.

Leggiamo allora il testo del Siracide:

7 Ogni consigliere suggerisce consigli,
ma c'è chi consiglia a proprio vantaggio.
8 Guàrdati da un consigliere,
infòrmati quali siano le sue necessità
- egli nel consigliare penserà al suo interesse
- perché non getti la sorte su di te
9 e dica: «La tua via è buona»,
poi si terrà in disparte per vedere quanto ti accadrà.

Il Siracide è un libro che appartiene appunto ai “sapienziali”. Raccoglie tutta la sapienza degli antichi, portandola al cospetto di Dio. Questo libro riflette su come si fa a trovare la verità. Dice che esistono tanti consiglieri, persone che ci consigliano: amici, maestri… Però bisogna fare attenzione perché alcuni consiglieri in realtà sono interessati. Seguono, nel libro, alcuni esempi: se voi chiedete ad una persona che ha un suo interesse, dovete stare attenti, perché quello che dice potrebbe non essere la verità. Poi c'è un altro tipo di consigliere: uno che ti dice cosa devi fare, ma poi si mette in disparte e sta a guardare. Se poi arriva un problema, non ti aiuta. Un vero consigliere è uno che è disposto a dare il suo aiuto, a compromettersi dopo aver dato un parere. Non uno che dice le cose a casaccio e, se poi la via è sbagliata, non ne paga anche lui le conseguenze.
Tante persone, quando gli si chiede un parere, rispondono subito, senza ascoltare, senza meditare … Hanno la risposta pronta ed è una risposta imbecille, a casaccio. Io amo molto le persone che in alcuni momenti hanno il coraggio di dire: “Non lo so! Fammici pensare un po', fammi riflettere. Ci penso un po' su e poi ne parleremo meglio”. Una persona in gamba non ha tutte le risposte sempre pronte (ogni tanto sì, però! Guai a quella persona che è talmente confusa che non ha mai un'idea chiara!). Però, in alcuni momenti, una persona in gamba ci deve pensare, ha bisogno di capire, di ascoltare. Il Siracide dice: alcuni gettano la sorte per dare una risposta e poi si mettono in disparte a vedere che ti capita. Poi, se va male, sono cavoli tuoi. Loro tagliano la corda, se la svignano. Il testo continua:

10 Non consigliarti con chi ti guarda di sbieco,
nascondi la tua intenzione a quanti ti invidiano.
11 Non consigliarti con una donna sulla sua rivale,
con un pauroso sulla guerra,
con un mercante sul commercio,
con un compratore sulla vendita,
con un invidioso sulla riconoscenza,
con uno spietato sulla bontà di cuore,
con un pigro su un'iniziativa qualsiasi,
con un mercenario annuale sul raccolto,
con uno schiavo pigro su un gran lavoro;
non dipendere da costoro per nessun consiglio.

Sta spiegando una serie di casi… per esempio, quante ragazze sono innamorate dello stesso ragazzo e si danno consigli fra di loro. L'autore, che è molto saggio, dice che questa è una cosa assolutamente stupida. Non ha senso fare una cosa del genere. Oppure consigliarsi con uno che ha paura, se si deve combattere. Addirittura arriva a dire: “Non consigliarti con un pigro, qualsiasi cosa ci sia da fare”. Ovviamente se uno è pigro e tu gli chiedi se vale la pena o no fare un qualsiasi lavoro, lui ti dirà di lasciare perdere. A seconda di come l'altra persona è, tu devi stare attento. Pensate a quello che si può chiamare “il sorriso del commerciante”. Ovviamente uno che ti vuole vendere una cosa deve dirti che quella cosa è la migliore che c'è. Il Siracide dice: “Attenzione: quello non è un consiglio disinteressato, per il bene!” Chi accetta un consiglio deve capire che persona ha davanti, per poter trovare la verità. Il Siracide continua ancora:

12 Invece frequenta spesso un uomo pio,
che tu conosci come osservante dei comandamenti
e la cui anima è come la tua anima;
se tu inciampi, saprà compatirti.

Il libro del Siracide, come tutti i libri sapienziali, dice che nonostante i rischi che tutti i consiglieri hanno, ogni persona intelligente deve avere dei consiglieri. Vi ricordate? Avete detto quanto vi aiuta nel trovare la verità un amico in gamba, una persona che ci dice quello che pensa veramente. I libri sapienziali dicono chi è una persona in gamba. E con chi ti devi consigliare? Con una persona che è buona, che è pia, che osserva i comandamenti. Deve essere, però, anche saggia. La persona deve essere retta, onesta, deve avere dei grandi valori morali.
La parola “pio” non si usa più nel linguaggio odierno, ma vuol dire questo: una persona che ha dei valori morali. Questo è un primo grandissimo elemento per cercare la verità: avere dei bravi consiglieri.
Vi dicevo all'inizio dei nostri incontri proprio questo: i maschi, secondo me, parlano poco tra di loro. E' raro avere delle amicizie così libere dove un amico ti dice veramente: “Ti ci vedo sposato, padre, marito. Ne hai la forza, starai bene, se lo farai”. Oppure dove si abbia il coraggio di dire: “Non è il caso. Non lo fare perché non è la persona adatta. Non sei adatto tu. Non sei ancora maturo”, ecc. Le frasi generiche che si sentono dire - “Ma chi te lo fa fare?” – non significano niente, sono delle frasi con le quali ci si nasconde per non dire cosa si pensa veramente! Quando si sente quell'espressione tremenda: “Non gli posso dire quella cosa, se no rovino l'amicizia”... Quell'amicizia è già rovinata! Un amico è per eccellenza quella persona a cui tu puoi dire tutto quello che pensi. Puoi anche fargli una critica e lui non si arrabbierà, se è un amico.
Con un amico c'è molta libertà - abbiamo visto le caratteristiche di ogni forma d'amore. Con un parente c'è meno libertà (ad esempio, con un fratello) anche se lo si ama, talvolta, di più. Sono forme diverse di amore.
La mia esperienza di prete è che troppo tardi le persone hanno il coraggio di venire a chiedere un consiglio. E' rarissimo che una persona che ha un problema matrimoniale venga per tempo a chiedere un consiglio e dica: “Ho un problema, che posso fare?” Anche perché è molto difficile ammettere di avere un problema. Il nostro mondo tende a farci credere che noi dobbiamo essere perfetti. In realtà i problemi sono la cosa più normale di questo mondo, nessuno è perfetto. Se uno ammettesse di avere un problema sarebbe la cosa più naturale del mondo. Si potrebbero così cercare soluzioni, cercare di dare delle possibilità, cambiare atteggiamento, ecc.
Invece la presenza di un problema viene letta come se fosse una ferita mortale dell'amore: se io mostro un problema allora non amo… Non è vero! Dio ha fatto la vita con tanti problemi. Per risolverli, per andare avanti. L'intelligenza dell'uomo è di non nascondere i problemi. Per trovare la verità questo è molto importante.
Un amico prete faceva questo esempio: “La nostra vita è come una di quelle biglie ricoperte di vernice argentata con cui si gioca al mare. Quando ci giochi, le biglie si urtano. Piano piano la vernice si screpola un po', si scrosta e si comincia a vedere quello che c'è dentro. Quello è un momento di grazia purché non la ripitturiamo subito. Se uno si ferma un attimo a vedere qual è quel problema, a parlarne, è un grande aiuto. Se uno invece vuole subito mostrare la faccia perfetta, mostrare che tutto va bene, questo corre il rischio di coprire tutto. Ma poi quella ferita interna si aggrava, non guarisce”.
Continua il Siracide:

13 Segui il consiglio del tuo cuore,
perché nessuno ti sarà più fedele di lui.
14 La coscienza di un uomo talvolta suole avvertire
meglio di sette sentinelle collocate in alto per spiare.

Ecco un ulteriore passo avanti che ci fa fare questo testo. Ci dice che ci sono i consiglieri, che chi cerca la verità deve avere buoni consiglieri, però attenzione! C'è la tua coscienza, c'è il consiglio del tuo cuore. Questo è ancora più importante. Non toglie l'importanza dei consiglieri, ma queste due cose – i consiglieri e la coscienza - sono in tensione fra di loro, sono in un dialogo. Una persona che veramente vuole capire la vita, ascolta i consiglieri, però poi non dipende da loro, non è succube del loro punto di vista ma, avendo ascoltato i consiglieri, ascolta poi la propria coscienza.
Vedete questa è una affermazione di grandissima importanza. Noi cattolici diciamo che la coscienza è un principio grande per la conoscenza della verità. La coscienza va seguita, ma per trovare la coscienza serve silenzio, attenzione, perché a volte la voce molto forte del “tutti fanno così”, la voce della moda, della mentalità di un certo tempo storico, sembra più forte della voce della coscienza. Pensate a quanto oggi si ragiona con le statistiche. A me non importa sapere quanti matrimoni si rompono o meno per sapere se il matrimonio è o non è indissolubile.
E' la coscienza che te lo deve dire: ha senso amare un uomo/donna dicendo: “Io ti amo, ma non so se ti amerò domani?” Che cosa vuol dire questo? Questo te lo deve dire la tua coscienza.
Questo è principio di conoscenza. La coscienza è uno dei luoghi dove Dio parla, purché tu la ascolti veramente. Perché tu sai che nel tuo cuore c'è anche il peccato che può parlare. Però, nonostante questo rischio, la coscienza va ascoltata. E' fondamentale.
Vi faccio due esempi su questi temi enormi: le persone bombardano gli adolescenti dicendo che i rapporti sessuali si possono avere quando si vuole, anche se si hanno a 14 anni e non c'è nessun problema. Invece la Chiesa dice che è una boiata enorme, che se noi cresciamo una generazione abituata così, ci saranno dei danni enormi a livello umano e psicologico.
Pensate ad una frase serissima, tipica di quando uno tradisce il marito/moglie: “Ma tu ci sei andato a letto?” Perché noi facciamo questa domanda? Noi sappiamo che c'è un momento in cui il tradimento è diventato totale. Dentro la nostra coscienza c'è una punta di verità che ci dice: “Se tu sei arrivato fino a quel punto, vuol dire che veramente hai rotto l'amore, lo hai tradito” - sebbene l'amore si sia rotto già in altri modi, col pensiero, con il cuore. E' interessante come non sia un portato di una vecchia ed antiquata tradizione il pensare che i rapporti completi sono strettamente legati al dono del matrimonio, alla fedeltà e definitività. Quando noi siamo traditi ci accorgiamo che veramente la sessualità è segno di un dono totale! Noi veramente e giustamente stiamo male a immaginarci il nostro marito/moglie con un altro. Si sta veramente male, è una cosa che non si può pensare. La balla che si dice: “Tanto io non tolgo niente a mio marito/moglie”!!! Ma altro che! Prova a vedere come lo vivresti tu, mentalmente nel tuo cuore, immaginandoti questa cosa, immaginandoti il tradimento dell'altro, immaginandolo a letto con un'altro/a.
La nostra coscienza sa questa cosa. E' una cosa così profonda l'atto coniugale che è donato a quella persona e non è donato a chiunque.
Altro esempio: abbiamo fatto un incontro per presentare la nuova legge sulla fecondazione assistita al nostro centro culturale L'Areopago. Sapete che è stata votata questa legge e che la Chiesa ne ha dato una valutazione globalmente positiva anche se non è una legge cattolica, non è una legge che tiene in conto tutti i punti di vista cattolici, perché la morale cattolica dice altre cose che non sono contemplate nell'attuale legge votata e approvata. Però all'interno della legislazione italiana, rispetto al far west che c'era prima su questa materia, questa legge ha posto dei punti fermi. In gioco c'è questo: l'embrione è o non è portatore di diritti umani? L'embrione è semplicemente una cosa o un essere umano? Si può tenere lì, metterlo in un congelatore per decenni e decidere poi di farne qualsiasi cosa? La Chiesa dice che se noi ci abituiamo a considerare l'embrione come un essere non umano, apriamo una via a delle conseguenze terribili.
Questa dottoressa che ha tenuto la conferenza lavora al Gemelli. Ci raccontava che c'era un papà che aveva fatto la fecondazione artificiale, fatta in provetta. Aveva avuto così 11 embrioni congelati e diceva: “Ogni tanto mi sveglio di notte e penso che ho 11 figli che stanno morendo di freddo!” E' chiaro che questa affermazione non va presa sul serio e che è espressione di una visione ingenua. Ma è altrettanto vero che proprio una persona che fa di tutto per avere un embrione da impiantare - per avere un figlio! - sa esattamente, in maniera ancor più chiara di qualsiasi altro, che quell'embrione è vita umana. E' proprio per quello che attende da una vita! Ecco che la legge dice che, se sono stati concepiti embrioni, bisogna poi impiantarli. E' in accordo con la coscienza! Altrimenti si corre il rischio che rimangano lì. E poi dopo cosa ci si fa? Quando nasce il bambino al primo, al secondo tentativo, cosa si fa con gli altri embrioni?
Questa dottoressa ci diceva che la persona che cerca questo tipo di metodi è esattamente la persona che sa quanto è importante la vita! Sa che fare quell'operazione è esattamente compiere il gesto di originare una vita umana. Perché allora bisogna andargli a dire, con dei “consiglieri dai consigli sbagliati”, che quella non è vita umana e quindi ci si può fare quello che si vuole? Se noi teniamo desta la sua coscienza, se non l'addormentiamo, lui sa che è così.

15 Al di sopra di tutto questo prega l'Altissimo
perché guidi la tua condotta secondo verità.

C'è un elemento ancora più grande che noi cristiani accogliamo e lo proponiamo con forza anche a chi non è credente: è la presenza di Dio e il fatto che Lui si riveli, che parli. La rivelazione di Dio! Egli spiega a noi uomini la verità. Per sapere cos'è il bene, la verità, non pensare che ti basta sentire cosa dicono gli altri e cosa dice la tua coscienza, ma chiedilo a Dio, perché Dio lo sa. Lui ti dirà che cos'è la verità. Questo è un terzo elemento molto grande: cominciare ad ascoltare la parola di Dio, la Chiesa, i comandamenti. La realtà di Dio ti darà luce.
La Chiesa - questo è un punto apparentemente non facile da capire, ma in realtà chiarissimo ed importantissimo - da un lato afferma che la coscienza di una persona va sempre rispettata, dall'altro, con altrettanta forza, dichiara che la coscienza deve essere educata e che, quindi, esiste una coscienza erronea ed una immatura! Se uno di voi, dopo aver fatto una seria riflessione, arriva a dire che deve comportarsi in un certo modo, la Chiesa dice che bisogna seguire ciò che la coscienza detta. Però la Chiesa dice anche: “Attenzione, devi anche ascoltare la voce esterna del Cristo e del Vangelo, come la voce della stessa Chiesa!”. Questo è sempre legato al discorso del crescere. Se non educhi la coscienza, o la educhi male, questa è meno attenta. Essa può addormentarsi e dimenticare la verità.
Pensate a cosa si fa in alcuni sistemi dittatoriali, quando si prende un bambino e fin da piccolo lo si obbliga a crescere senza genitori, con l'ideologia del capo. Si può educare magari a sparare, alla violenza. Vi ricordate l'esempio del capo nazista del campo di sterminio? La sua coscienza invece di crescere è stata pian piano spenta. E lui solo alla fine si accorge che poteva benissimo non uccidere, e che era un meccanismo che cercava di fargli credere di essere solamente una pedina di un gioco deciso da altri, quindi di non essere colpevole.
Che ne pensate?

(Interventi vari)

Noi dobbiamo ascoltare la coscienza. Dobbiamo amare molto questo mondo, ma anche avere coscienza che questo mondo in alcuni momenti ci è molto ostile.
La Chiesa sa bene che appena prova a dire alcune cose viene immediatamente derisa. C'è subito una specie di critica –“Queste cose non sono moderne”, si dice. Coltivare la coscienza vuol dire coltivare una grande libertà di spirito. Ad esempio non fidarsi mai della prima cosa che dice un giornale. Vuol dire avere una profonda passione ed interesse per capire un problema, per informarsi. Vuol dire anche coltivare il silenzio. Per esempio voi dedicate molto tempo a parlare fra di voi, ma c'è un altro aspetto che deve essere coltivato: la bellezza del silenzio e della meditazione. Una delle cose che, se non facciamo attenzione, perdiamo facilmente, è il raccoglimento di cui la coscienza ha bisogno. Abbiamo bisogno di dire delle preghiere, abbiamo bisogno della riflessione e del silenzio.
Siamo in un tempo che ci fa continuamente sentire rumori: musica, televisione. Guardate che in alcune famiglie - questa è una cosa molto grave - in qualsiasi momento una persona arriva in casa, subito accende la televisione, la radio… Non c'è mai un momento in cui uno fa una passeggiata. Dinanzi ad uno spettacolo come un cielo stellato di notte, una persona deve saper stare 10 minuti zitto. E' molto grave che un uomo dinanzi alla meraviglia del mare, dell'oceano, non riesca più a contemplarla, ma solo a farci il bagno dentro.
Molti dicono: “Mi occuperò della mia coscienza o di Dio, quando avrò tempo libero”. In realtà il tempo libero, se non lo cerchi, non lo avrai mai, perché i consiglieri probabilmente sbagliati ti invadono la casa. Pensate a come è cambiato il calcio: fino a 10 anni fa si vedeva solo la domenica pomeriggio. Adesso, siccome il calcio vuol dire anche soldi (possiamo amare molto lo sport, il calcio, ma dobbiamo sapere che dietro c'è anche la pubblicità, ci sono anche i soldi), è suddiviso in maniera tale che ogni spazio possibile sia occupato: martedì e mercoledì la coppa dei campioni, giovedì la coppa uefa ecc…, gli anticipi ed i posticipi del campionato. Se tu non decidi che una sera vuoi fare una cosa diversa, vuoi stare in silenzio, fare una passeggiata da solo con tua moglie, ecc., non ci sarà mai questo momento. Se aspetti che capiti, se una persona non sa dire di no al calcio, non arriverà mai questo momento.
Per altre persone valgono altre cose. Il mondo della pubblicità ti cerca. Il tempo cosiddetto libero, in realtà non è tale. Non è che se tu non lo dedichi a Dio resta libero. In realtà qualcun'altro se lo prende.
Coltivare dei tempi stabiliti di silenzio, di preghiera, di dialogo fra due persone, di passeggiate, non è una cosa semplice. Se voi guardate come sono fatte le vacanze, sono completamente organizzate, piene di attività. Se non ci imponiamo di prenderci del tempo, non ne avremo mai. Coltivare la coscienza non è cosa da poco, richiede una scelta ben precisa. Saper dire di no a certe cose, pur soffrendoci un po'. Poi dopo mi accorgo che vale più la pena.

Da quando sono a S.Melania ho la responsabilità degli adulti, delle famiglie e sto imparando che la tradizione - che è una cosa bellissima mentre il mondo la ritiene una cosa stupida - vuol dire la trasmissione, che è un fatto oggettivo. Perché un bambino abbia un'interiorità, tu gli devi dire delle parole, insegnare dei segni: questo è un punto fondamentale.
Mentre nella nostra cultura - diciamo dal '68 in poi – il messaggio che si è imposto è quello della distruzione dei segni, della tradizione.
Sembra quasi una parola d'ordine, ma, se ci riflettete, è veramente senza senso. Tutti si precipitano ad affermare che conta solo l'intenzione, il cuore, che ciò che è esterno, pubblico, ecclesiale, non conta niente! Si afferma: battezzare o no un bambino non è importante, deciderà da grande, la cresima non serve, la comunione non serve, io in chiesa ci vado da solo, quando non c'è nessuno e solo allora sento Dio, mentre se ci sono gli altri è più difficile, la Bibbia non serve, Dante non serve, il crocifisso non serve, ecc... Togli tutto e alla fine ti illudi che ci sia ancora tutto! Tutti tolgono tutto, dicendo che non serve. Invece, se vi domandate perché conoscete il cristianesimo, voi ricostruite che vi è stato raccontato dai nonni, dai genitori, dal prete, nel camino del gruppo scout, ecc... Vi accorgete che quelle cose – a volte troppo poche! - che conoscete del cristianesimo, vengono dalla catechesi. dalla scuola, dalla tradizione della trasmissione della fede. I nostri bambini oggi sanno il Padre nostro? Chi lo insegna loro? I nonni? Quando un bambino vede un adulto che prega? In alcuni ceppi familiari sono stati così sradicati i segni che alcuni bimbi non sanno l'ABC della fede cristiana. La nostra coscienza – continuiamo a sostenere che la coscienza vada formata e che uno non se la trova bella e fatta fin dall'inizio! - è legata anche ai valori, alle parole, ai comandamenti, ai sacramenti, alla messa, al Papa, alla nonna cristiana, al nonno che va al cimitero e mette una croce… In che maniera ho ricevuto qualcosa che mi piace e che adesso io posso riprendere dal passato per ridonarla a mia volta? Gli altri fanno sicuramente il loro lavoro distruttivo, ma io non mi arrendo, io combatto, le cose belle le tiro fuori.
Dobbiamo arrestare qui il discorso su questo, lo riprenderemo a tu per tu.

Facciamo ora un passo avanti.
Vi pongo una ulteriore domanda a cui risponderete di nuovo in piccoli gruppetti. Il fine è quello di riflettere sull'equivocità del modo con il quale usiamo le parole, se non accettiamo di chiarirle. Provate a dire quali frasi si dicono due che si lasciano, dopo un po' che sono stati insieme, che sono stati fidanzati. Quando uno vuole lasciare un altro cosa gli dice? Scrivete ciò che vi viene in mente, anche le espressioni divertenti, insieme a quelle serie. Le analizzeremo poi insieme. Vi aiuterà sempre un segretario, che scriverà di seguito, in forma anonima, le espressioni venute in mente a tutto il gruppo.
Allora: che parole si dicono due persone che si lasciano?

(Di seguito, con il trattino, le frasi emerse dai gruppetti, dopo dieci minuti di lavoro)

Primo commento immediato, quando la frase viene scritta alla lavagna:
E' perché non ti riconosco adesso o perché non sono stato capace di conoscerti fin dall'inizio? Siamo in un tempo in cui le persone sono molto immature nel conoscersi, nel capirsi. E' molto diverso scaricare tutta la responsabilità sull'altro, dicendo che non è più lo stesso, oppure, invece, ammettere che l'altro era così esattamente anche prima, solo che io ancora non me ne rendevo conto! La domanda susseguente sarebbe, infatti: Come mai io non mi accorgo di chi è l'altro? Certo serve il tempo che è sempre amico dell'amore – e molti sono abituati a bruciare le tappe, senza voler ascoltare nessuno! - ma il tempo non basta!!!

Commento:
Questa frase sì, potrebbe essere sincera!

Commento:
Questo tipo di affermazione, in linea di massima, la leggo come molto negativa, nel senso che, come uomo e come cristiano, io difendo la libertà di lasciare una persona, soprattutto nel fidanzamento, ma non nel momento in cui si è già trovato un altro. Il dramma è che spesso una persona trova il coraggio di lasciare l'altro solo quando c'è la “pezza d'appoggio”. E' in gamba una persona che, se è confusa, sta da sola. Ci sono delle persone profondamente convinte che il loro rapporto non va, ma non lo mollano finché non ne trovano un altro, perché non sanno stare da soli. Con un sacerdote savonese, vedendo come i giovani si lasciavano, mettendosi subito con un altro, ci eravamo inventati la “teoria di Tarzan” o “della liana”. Tarzan non lascia mai una liana, finché non ne afferra un altra, altrimenti si ritrova a terra! Che dignità, invece, quando uno lascia il fidanzato, senza aspettare e tergiversare, con il motivo sufficiente che le cose non vanno.

Vediamo di analizzare più in profondità, al di là delle reazioni che vi ho manifestato, mentre scrivevamo queste frasi alla lavagna, tutto ciò che avete detto e scritto. Vorrei farvi riflettere sulla nostra povertà di linguaggio – nostra nel senso della nostra generazione che è come analfabeta in amore - che è conseguenza di una povertà nel comprendere il mistero grande dell'amore. Questa povertà fa sì che noi quando diciamo ad una persona: “Ti amo!” intendiamo delle cose molto diverse.
Pensate per esempio all'innamoramento, che è il momento iniziale di tutto il cammino che voi fate. Un ragazzo anche dopo un'ora sola che ha visto una - e gli batte il cuore e gli batte forte! – le dice: “Ti amo”. Di per sé, questo non è sbagliato. Ma cosa significa questa espressione?
Il nostro tempo brucia molto le tappe: dopo un istante è tutto fatto, apparentemente. In realtà non è vero proprio per niente. Per esempio, non è infrequente sentire storie di persone che un'ora dopo la mezzanotte di capodanno – hanno bevuto un po' di champagne!!! – verso l'una e cinque già si baciano e casomai tre ore dopo vanno a letto insieme.

Esiste allora un primo significato dell'espressione: “Ti amo”. Può essere equivalente a “Mi sono innamorato di te”. Qui c'è un aspetto molto positivo: l' innamoramento è una di quelle grandissime realtà che Dio ha inventato, perché anche persone molto razionali, fredde, riescano ad uscire un po' da loro stesse, riescano ad incontrare l'altro. Questa è una grande realtà. Noi cristiani non solo non disprezziamo, ma anzi diciamo grazie a Dio che ci ha fatti così. Veramente alcuni ragazzi/e non si darebbero mai una mossa - di dialogo, di apertura agli altri - se non scattasse questo fatto, che è molto fascinoso, misterioso. Nessuno di noi ne conosce il meccanismo, perché è proprio una cosa che prende l'emozione, che rovescia la nostra vita. Ecco che noi diciamo che “amiamo”, quando scatta questa emozione!
Usiamo perciò la stessa parola al negativo, quando lasciamo una persona, intendendo che non siamo più innamorati: “Non ti amo più”. A quella persona però – diciamo – “vogliamo bene”. “Ti voglio bene, ma non ti amo più!”.
E' certo questo! Se non sono una bestia, dopo che sono stato insieme ad una persona tanto tempo, la conosco, abbiamo vissuto dolori, gioie, viaggi… Certo che anche la amiamo! E allora: la amiamo e non la amiamo?
Paradossalmente io posso amare di più una persona di cui sono meno innamorato. Un esempio che è abbastanza ovvio lo avete davanti a voi nel nostro corso di matrimonio: se voi prendete Nicola e Lena [4] , vedete subito che non sono innamorati come lo siete voi. Hanno una certa età! Sono sposati da 49 anni. Non gli batte il cuore come quando si incontra una persona le prime volte! Però si amano più di voi – lasciatemelo dire, in verità! - si vogliono molto più bene. Dopo che uno è stato 49 anni insieme, non prova le emozioni nella stessa maniera in cui le provava quando ha cominciato. Spesso una delle falsità più grandi è quando una persona dice: “Io ti lascio perché non sono più innamorato” Dovrebbe dire piuttosto: “Io ti lascio perché sono stato SOLO innamorato di te, ma quando ti ho conosciuto veramente ho capito che non ti voglio bene” Perché l'innamoramento finisce sempre, almeno da un certo punto di vista. Il problema è verificare se, durante l'innamoramento e attraverso di esso, matura una realtà più grande che chiamiamo nuovamente “amore”, ma intendendo una cosa diversa. La parola è sempre la stessa, ma non la realtà!!!
In realtà l'innamoramento DEVE diventare una forma d'amore diversa. Per questo io sono un po' sospettoso quando una coppia si vuole sposare subito, dopo un mese che si è conosciuta, perché in realtà siamo ancora in una fase iniziale, dove la persona non ha ancora capito bene chi è l'altro, ma soprattutto non sa ancora bene cosa vuole.
Notate - nelle altre lingue non è così - ma in italiano ci aiuta una osservazione straordinaria. In italiano il verbo “innamorarsi” è un verbo riflessivo. Cioè sono io che MI innamoro. Il che – ripeto - è una grazia di Dio, perché se non trasfigurassi l'altro (nell'innamoramento l'altro non ha limiti, è bellissimo, è perfetto), spesso niente nascerebbe. Ma l'innamoramento è veramente “soggettivo”: non c'è una presa diretta con la realtà dell'altro.
Un esempio letterario molto divertente: il gruppo teatrale della parrocchia ha messo in scena una commedia bellissima - e terribile anche - Una dozzina di rose scarlatte. Nella commedia ci sono un marito e una moglie che non si sopportano, si odiano. Ad un certo punto lui comincia a tradire lei, ha un'amante, e comincia a comprare per l'amante mazzi di rose con dei biglietti bellissimi, appassionati. Un giorno compra questi fiori, per poi portarli all'amante, però la moglie torna a casa prima e trova questo mazzo di rose e legge il biglietto. Il marito non può dire che le rose le ha comprate lui, altrimenti la moglie scoprirebbe il tradimento, e allora comincia a farle credere che c'è un amante segreto che è innamorato di lei. Quindi lei comincia a coltivare questo sogno, ad innamorarsi di questo “amante”. E lui è costretto a comprare tutti i giorni queste rose da mandare alla propria moglie con tanto di biglietto. Lei odia suo marito come persona reale, ma è innamorata di suo marito che compra le rose come persona immaginaria.
E' paradossale, ma interessante, nel senso che fa capire cosa succede nella vita. Come a noi può battere il cuore per una persona che abbiamo visto una sola volta, per il fascino che ha, per l'odore, per come si muove, per la situazione particolare… Dio ha fatto l'uomo e la donna capaci di provare un'emozione, anche molto forte, per una persona di cui non sappiamo assolutamente nulla. Possiamo provare questa emozione per una persona vista, come si dice, in autobus o, come nella commedia, per una persona che nemmeno esiste!!!
Noi chiamiamo “amore” questo, come chiamiamo “amore” qualcosa di molto diverso.
La mia sensazione è che il nostro tempo è focalizzato su questo punto. Per esempio, una persona dice: “Se sono innamorato di una donna/uomo che ho conosciuto – cioè se mi batte il cuore verso un'altra persona - allora vuol dire che non voglio più bene a mia moglie/marito”. Non è vero proprio per niente: la tentazione esiste, posso provare un grande fascino, ma, se la tengo a distanza e resto nella mia famiglia, perché questa decisione è molto più forte - e, soprattutto è il senso della mia vita – quella emozione resta ciò che è e non prende un posto importante.

A me piace molto che si usi al posto dell'espressione “Ti amo”, l'espressione “ Ti voglio bene ”. In italiano la grammatica differenzia questo verbo, dal riflessivo “innamorarsi”. Per dire “ti voglio bene” devo farci entrare il “tu”, perché dire “ti voglio bene” implica un entrare nella realtà, nella verità. Ti voglio bene vuol dire: “voglio il bene tuo”. Per vivere a pieno questo, devo sapere qual è il tuo bene.
Torniamo all'esempio già fatto: quando un uomo sposato dice ad una ragazza giovane: “Io ti amo” si illude – e la illude – dicendole: “Ti voglio bene. Stai con me in segreto ed io però resto a casa con mia moglie, con i miei figli, ecc…” In realtà le sta volendo male. Lei si troverà, più in là con gli anni, quando ormai non se la prende più nessuno, figli non ne potrà più fare... e si troverà con un pugno di mosche in mano. Questo non può essere il suo bene!
Chi tradisce deve ammettere che non solo non vuole il bene della sua famiglia, ma non realizza neanche il bene di persone che, per poter crescere e trovare il senso della loro vita, dovrebbero essere, piuttosto, lasciate andare alla ricerca della loro vocazione. Allora io posso dire “Ti amo”, però deve essere chiaro a che livello dico questa cosa. Intendo parlare di voler bene o di innamoramento/emozioni? Sono due cose legate, ma anche diverse.

Una cosa ancora diversa è dire: “Ti amo, voglio sposarti , voglio costruire una famiglia con te”. Che non è semplicemente “Cerco il bene tuo”, ma piuttosto: “Sono convinto che il bene tuo e il bene mio, sia costruire una famiglia insieme”. Dopo che uno è stato vari anni con una persona, è chiaro che, almeno un po', gli vuole bene, che è disposto a giocare qualcosa per il bene dell'altro, ma la questione è un'altra: gli voglio quel bene che è costruire una famiglia insieme?
Ecco perché si può dire, lasciando una persona: “Ti voglio bene, ma ti lascio!”. Se volete un consiglio, io preferirei che, in un momento come questo, non lo diceste, non indoraste la pillola, dicendo: “Certo sei unico, sei unica, certo restiamo amici”, proprio mentre state lasciando l'altro. Proprio per aiutarlo/a, se decidete di lasciare il fidanzato – ricordatevi sempre che è legittimo questo! – dite che lo lasciate e basta. Sarà poi il tempo a dire se, quando sarà passato l'innamoramento a tutti e due, potrà esserci un'amicizia. Non è certo quello il momento in cui si può stabilire se ci sarà o no un'amicizia o se sarà meglio che i due non si vedano più!
Allora da un lato posso essere triste, lasciando quella persona, ma, d'altro canto, posso essere anche contento che finalmente chiariamo, mettendo così una pietra per costruire differentemente la vita. Chiudiamo questa storia e ne possiamo aprire delle altre.
Alcune persone per lasciare un fidanzato pretenderebbero di odiarlo. Dicono: “Ma in fondo io ancora gli voglio bene!” e continuano a starci, finché non ne trovano un altro (vedi la teoria di Tarzan). Ma è sbagliato: se tu arrivi a capire che gli vuoi bene, ma è un bene che non vuole costruire una famiglia – o vedi che l'altro non vuole questo! - allora questa storia deve finire.
Di nuovo quando io voglio dire ad una persona “Ti voglio sposare”, posso dire “Ti amo”. Usiamo ancora la stessa espressione, ma intendiamo una cosa ancora diversa dalle precedenti.

Torniamo alla realtà del “crescere” di cui stiamo parlando dall'inizio. “Ti amo” lo dice un dodicenne, un trentenne, un ottantenne. Lo dice chi si è appena innamorato, chi cerca il bene dell'altro, chi vuole vivere l'amore di una famiglia. Ma ciò che significa è diverso in queste situazioni!
Permettetemi di insistere ancora su un particolare. Consigliate ai vostri amici di non dire mai, lasciando un altro: “Ti voglio bene, restiamo amici”. E' possibile essere amici dopo che ci si è lasciati, solamente se a entrambi è passato l'innamoramento. Se a uno dei due non è passato, io posso sentirmi amico suo, ma quello/a appena mi vede con un'altra/o, sta veramente male. L'amicizia non è possibile se non dopo che entrambi hanno superato l'innamoramento. Deve essere passato un po' di tempo. Non c'è gelosia nell'amicizia, mentre la gelosia è tipica del rapporto di coppia. Non esiste amicizia possibile se uno delle due persone è innamorata. Il rapporto non sarà mai quello di una vera amicizia.

Quanto detto ci aiuta a vedere perché succede spesso un fatto che sentiamo raccontare: ci sono tantissime coppie di ragazzi che vanno in crisi nel loro rapporto di amore quando cominciano a laurearsi, a trovare lavoro. Non perché non si vogliono bene, ma perché non vogliono fare una famiglia insieme. Volersi bene non è la stessa cosa che voler fare una famiglia. Non ci si sposa perché ci si vuole bene, ma perché si vuole fare una famiglia insieme. Volersi bene è importante, molto bello, ma quando mi accorgo che voglio fare un salto di qualità, non è detto che io lo voglia fare con quella persona, anche se le/gli voglio bene (e non è neanche detto che io lo voglia proprio fare o che ne sia capace!). Se, invece, noi due insieme ci riconosciamo in un valore che è più grande di noi che è l'idea di fare una famiglia, celebrare un matrimonio, ecco che la qualità dell'amore è diversa. Prima di cominciare a lavorare, io ti voglio bene e basta. Dopo, comincio a sentire che l'altro comincia ad aspettarsi da me qualcosa di diverso, di più grande. E' un'altra realtà che si presenta ai nostri occhi.
Noi diciamo “Ti amo” anche quando chiediamo ad una persona di poterla non solo sposare, ma di farlo in Chiesa, nel Signore. Cosa caratterizza questo? Sarà l'argomento delle prossime “puntate”.

V e VI incontro
Tre elementi che crescono insieme: il piacere, la relazione, la fecondità

Non ha senso che voi vi vogliate sposare in Chiesa senza chiarire a voi stessi che cosa sia la fede, cosa voglia dire credere in Cristo. Parleremo anche della Chiesa, perché voi domandate di sposarvi in Chiesa, non semplicemente in un edificio cristiano cattolico, ma in comunione con la Chiesa cattolica.

Il matrimonio per la Chiesa ha tre aspetti fondamentali, senza i quali esso non esiste. Se qualcuno rifiuta una sola di queste tre dimensioni rifiuta il senso stesso del matrimonio. E la Chiesa sa che la sua proposta non è un appendice, un'aggiunta, una sovrapposizione alla vita, ma è la vita stessa, così come Dio la ha creata e così come è!

Primo elemento del matrimonio è il PIACERE .
Molti pensano che il piacere sia una cosa rifiutata dalla Chiesa. E' una affermazione profondamente sbagliata. La Chiesa dice che due persone che non vogliano scambiarsi questo dono, il piacere, non vivono un vero matrimonio. E' un elemento costitutivo. Noi siamo uomini e donne non solo perché abbiamo gli organi genitali o abbiamo degli organi sviluppati differentemente. Una persona non è donna solo perché ha il seno, e l'uomo perché non lo ha. Ogni cellula che costituisce la donna (una cellula di capello, di un'unghia, una cellula cerebrale, ecc...) è diversa da quella di un uomo, ogni cellula è di donna o è di uomo, è maschile o è femminile. Le persone pensano, sbagliando, che la caratteristica dell'essere uomo e donna sia in alcuni aspetti esterni. Per questo si stupiscono poi quando ci si accorge che una donna pensa diversamente da un uomo e viceversa.
Uno dei grandissimi problemi del matrimonio è che uno pensa che l'altro ragioni come lui e segua lo stesso filo mentale, abbia la stessa sensibilità. A volte si dice: “E' lei/lui che è così!” Non ci si accorge che talvolta quell'aspetto dell'atteggiamento è di tutte le lei/lui del mondo. E' diverso affermare che un certo modo di percepire la vita fa parte di un modo maschile/femminile di pensare. Le persone dicono che un prete o una suora rinunciano alla sessualità, ma sbagliano profondamente, perché un prete o una suora decidono di non vivere la genitalità, l'uso corporeo esterno, ma ognuno di noi (preti o suore) è profondamente maschio o femmina - e se non lo fosse non potrebbe fare il prete o la suora!
Questo essere uomo o donna, non è una cosa che è dovuta al caso, ma è una cosa che ha voluto Dio. Noi attribuiamo - ed è una cosa stupenda - questa attrazione che proviamo per l'altro sesso, al pensiero di Dio. E' Dio, è il Creatore che l'ha voluto. A Dio piace che sia così. Gli piace talmente tanto che uno che rifiuta questa attrazione del maschile e del femminile non può sposarsi, secondo il pensiero della Chiesa. E' talmente fondamentale che non esiste un matrimonio senza questa realtà.
Pensate: ci sono persone molto timide, intellettuali, che fanno fatica ad aprirsi, che vivono come in una torre di avorio. Per fortuna, esiste almeno questa realtà, la sessualità, che Dio ha donato, che ti fa sognare l'altro. Questa per noi cristiani è una grazia. Quando un adolescente si risveglia, comincia a sentire “le primavere”, tutti gli ormoni vanno in circolo, è un grande momento! Talvolta i genitori hanno paura di questo, ma guai se non avvenisse! Certo sappiamo che quel ragazzo/a dovrà crescere nel cuore e nella mente per vivere bene quell'attrazione, ma è grazie a Dio che esiste questo richiamo che è fisico e cerebrale che lo porta ad aprirsi all'incontro con l'altro. Per certi aspetti, addirittura, questo richiamo fisico può essere più sano della mente. A volte siamo così cerebrali, che con la mente pensiamo solo a difenderci… Per fortuna, Dio ha fatto anche la corporeità. Molte persone vivrebbero sole per tutta la vita, passerebbero tutto il tempo a difendersi dall'incontro con l'altro, se non sentissero il desiderio di un'altra persona dell'altro sesso. Sapete quanto in un adolescente l'innamoramento è legato alla crescita ed allo sviluppo neurologico e corporale: l'emozione ti sveglia, ti fa accorgere che esiste l'altro. Ti sblocca per poter uscire dalla solitudine, dalla timidezza, dalla paura di dire qualcosa, quando tu riesci finalmente a dire che desideri parlare con l'altro, che desideri comunicare.
Questo è un primo grandissimo elemento che c'è nel matrimonio cristiano ed è fondamentale. Se non c'è, se non è donato, la Chiesa ritiene il matrimonio nullo. Quel matrimonio è come se non ci fosse. Non c'è mai stato. Questo per spiegare quanto è importante questa cosa. E' così decisiva che fa parte del cuore del matrimonio. “Matrimonio nullo” è un termine giuridico canonico. E' sbagliato dire “annullare un matrimonio”, la Chiesa non può annullare nessun matrimonio. La Chiesa può dire che quando quel matrimonio è stato celebrato, c'erano i due sposi, c'era il prete, c'erano i testimoni… però mancava qualcosa di così fondamentale. Anche se, in apparenza, il matrimonio è stato celebrato, in realtà nulla è avvenuto, in verità il matrimonio non c'è stato, ed è quindi “nullo”. Non è che una persona potrà risposarsi. Semplicemente, poiché non si è ancora spostata, nonostante l'apparenza, deve ancora celebrerà il suo matrimonio. Se si sposerà con una nuova persona, rispetto a quella del matrimonio dichiarato nullo, sarà il suo primo ed unico matrimonio. Se si è sposata, in apparenza, ma aveva deciso di rifiutare il piacere – il termine canonico è: “se non aveva intenzione di consumare il matrimonio” – quel matrimonio mancava, fin dalla sua celebrazione, di un elemento costitutivo ed era quindi “nullo”.
Questa è una realtà profondamente importante: Dio ha fatto il nostro corpo in modo che si accorga degli altri, si apra, cerchi, desideri… Questo noi lo riteniamo una grazia, una cosa molto importante.

Il secondo elemento è la RELAZIONE .
Le persone pensano che provare piacere sia sbagliato, sporco, brutto. Invece non è così: la morale cristiana ha capito che il piacere è come un indicatore di trascendenza. Il piacere, proprio perché finisce, porta una domanda con sé. Tu sei stato bene con il piacere, ma, finendo, il piacere è come se ti domandasse: “Oltre me, che cosa c'è?” Se c'è qualcosa che va oltre il piacere, che prolunga il piacere in felicità, in amore, tu stai bene anche dopo. Se non c'è niente dopo il piacere vissuto, tu stai male.
Questo è il rapporto fra il piacere e la relazione d'amore, un rapporto che il Creatore ha voluto. Perché il piacere non basta a se stesso! Pensate, per esempio, agli spinelli, la droga, l'alcool …. Molti affermano che queste cose danno piacere. Qual è però l'inganno, la cosa problematica di queste realtà? Che ti illudono di stare bene, ma poi dopo, quando torni alla realtà, stai male. Per esempio esistono degli amici che non sanno stare bene insieme se non si fanno le canne, o se non sono un po' ubriachi. In realtà non sono veramente amici; parlano liberamente tra loro solo se sono brilli, alticci. In alcuni gruppi giovanili è molto frequente, così anche alcuni professionisti affermati dei quartieri bene di Roma hanno bisogno di sostanze che alterano il loro stato normale. Non sanno gioire della vita, di una serata, di una amicizia, se non c'è una alterazione “provocata”. Si annoiano a condividere la vita così com'è. Perché non riescono più a godere la vita così come è veramente. Alcune bande giovanili il sabato sera devono fare la “mattata” se no non si divertono, se no non hanno “svoltato”. In realtà in questa maniera il piacere muore. Il piacere è bello, ma ha questa legge intrinseca, che non è una costrizione esterna. Il piacere ti dice, ti domanda: “Quando il piacere, dopo il suo picco, inizia la sua normale curva discendente, tu, uomo che l'hai provato, hai costruito qualcosa, sei andato avanti? E' ora più bella la tua vita?” Se questo di più esiste e permane dopo il piacere, allora tu ti godi ancora di più il piacere.
Pensate proprio alla sessualità: perché delle volte l'uomo si sente “sporco” dopo aver provato il piacere? Non perché è sbagliato il piacere, ma perché se noi abbiamo ingannato l'altro, o siamo stati ingannati, o non siamo sicuri che l'altro ci ami veramente... Se non sappiamo niente della fedeltà dell'altro, del domani del rapporto di amore, se l'altro si vergogna di parlare di noi ai suoi cari, se nasce un bambino... abbiamo paura. Il piacere è come una freccia, come un indice, che indica sempre qualcosa d'altro dopo di sé e dice: “Io arrivo fino a qui, poi finisco. E quando sono finito che c'è?” Se non c'è niente, noi stiamo male. Se invece c'è un contesto che avvolge il piacere, allora esso raggiunge la sua pienezza, il suo scopo. Questa è una cosa fondamentale per capire la vita, ed è il modo con cui noi credenti riteniamo proprio di capire cos'è il piacere e cos'è la vita. Ed è fondamentale. Se hai provato e donato il piacere e poi puoi riposare tranquillamente nelle braccia dell'altro, perché sai che esiste il suo ed il tuo amore, la sua e la tua fedeltà, sai che se nascerà un bimbo sarà una gioia, ecco che la sensazione del piacere si prolunga in gioia e felicità e non si muta subito nel suo opposto. Il rapporto fra piacere e matrimonio non è estrinseco, come di una cosa che si sovrapponga ad un'altra, ma, anzi è il matrimonio che chiede di vivere il piacere ed è il piacere che sa che senza una definitività d'amore è destinato a mutarsi in tristezza e a non raggiungere il suo scopo.
Questa legge interna del piacere che chiede di trascendere se stesso è così vera che, anche dove questo non avviene, vediamo le tracce di questa non esaustività del piacere provato. Se non si trascende in qualità, il piacere sprofonda lo stesso in una legge del “di più”, ma in una perversa progressione quantitativa e non più qualitativa.
Pensate quant'è diverso, per esempio, mangiare e cucinare bene per stare con degli amici, dall'aprire il frigorifero quando si è depressi! C'è chi mangia la Nutella, chi si compra un vestito... Sono dei meccanismi che ci danno al momento soddisfazione. Il problema è che poi quella cosa, dopo, non dà realmente un senso a quello che faccio. Allora diventa poi un comportamento coattivo: lo devi fare sempre.
Il piacere ha così bisogno di crescere, che o cresce verso, aprendo ad un significato della vita o cresce in una spirale di morte. Sapete che di droga se ne prende sempre di più. Dopo un anno che sei stato ad un livello, poi quel livello non ti soddisfa più, devi andare avanti. Così anche l'alcool. La cosa importante diventa il quantitativo, al punto che la qualità perde il suo valore.
Ma la dinamica è sempre questa; c'è una dinamica di crescita. La Chiesa annunzia, con tanta semplicità e forza, che come è fondamentale nel matrimonio il desiderio di dare, di offrire e di ricevere il piacere, così è fondamentale il desiderio di avere una relazione bella e che sia unica e fedele. Una persona che si sposasse, ma in realtà nascondesse di non essere capace di essere fedele, avendo tradito più volte l'amore durante il fidanzamento, celebrerebbe un matrimonio nullo.
Il secondo grande elemento del matrimonio, quindi, è proprio la relazione di amore fra le due persone. Che è una relazione unica, fedele, totale. Mentre, come abbiamo già visto, ad un altro livello, ognuno ama anche i suoi genitori, i suoi fratelli, il gruppo della parrocchia, gli amici, il lavoro, la politica, il Signore (e guai se tutto questo non è vero!), però la sua relazione è unica a livello affettivo. Se ne ha due, tre, dieci… ecco che il matrimonio non può nascere. Quando farete il giuramento vi chiederemo: “Sei veramente libero? Vuoi essere fedele? Desideri che questo amore sia per tutta la vita?” E le vostre risposte sono fondamentali.

Il terzo elemento fondamentale e coessenziale è la FECONDITA' .
Per la Chiesa non c'è mai amore che possa chiudersi nelle due persone. Se due persone vogliono amarsi solamente loro, ma non sono disposte ad amare insieme la vita, questo matrimonio non è vero: è nullo. Ecco allora l'altro elemento importantissimo che vogliamo approfondire insieme.
La Chiesa dice che i tre elementi che stiamo considerando non sono in opposizione. Certe persone dicono che il piacere è sporco, la relazione così così, ma queste due cose si accettano per avere dei figli. Non è vero! Tutte e tre le cose sono belle! La Chiesa dice che più queste tre cose sono vere, più si aiutano a vicenda, crescono insieme.
La fecondità, pensatela già nel rapporto tra fidanzati.
Pensatela innanzitutto nella Trinità. Nella Trinità non sono solo il Padre ed il Figlio che si amano l'uno con l'altro, ma entrambi, insieme, amano ed è il dono dello Spirito Santo. Si donano e ricevono l'amore uno dall'altro, ma insieme, amano l'uno a fianco dell'altro una terza Persona divina! E' stupendo questo! L'amore non consiste solo nel fatto che due persone si guardino negli occhi…
Ricordo sempre una stupenda frase dell'autore del Piccolo Principe, Antoine de Saint-Exupéry, che, nella sua opera autobiografica Terra degli uomini, scriveva: “Amare non è guardarsi negli occhi l'un l'altro, ma guardare insieme nella stessa direzione”. E' una frase molto significativa. Le persone pensano che amare vuol dire annegare “nei tuoi occhi”, tuffarmi, perdermi in essi… Questo in parte è vero - io guardo i tuoi occhi e tu guardi i miei. Se fosse però solo questo, mancherebbe qualcosa. Non dimentichiamo, comunque, mai anche il contrario: non ci si ama solo perché si ama insieme una terza persona, ma bisogna proprio amarsi, io e te! Voi sapete che alcune persone, in realtà, non stimano il proprio coniuge, ma vogliono dei figli, vogliono solo essere madri o padri ed usano il matrimonio per questo. Dicono o pensano talvolta: “Mi serve uno che mi dia un figlio”. Poi, come la mantide religiosa, una volta che me l'ha dato, posso pure fare a meno dell'uomo o della donna che ho sposato! Non dimentichiamo mai che noi insegniamo ad un figlio ad amare, ad essere maschio o femmina, non solo perché lo amiamo, ma perché ci amiamo come marito e moglie. Un figlio vede come il proprio padre ha stima della propria donna ed impara così anche lui a stimare l'altro sesso. Un figlio vede come la madre dialoga sul serio con il marito ed impara così il dialogo con la donna, e così via. Noi educhiamo non solo quando direttamente insegniamo qualcosa ad un piccolo, ma anche quando lui vede come noi per primi viviamo la nostra relazione d'amore tra adulti!
Ma torniamo alla fecondità. Già lo si vede negli adolescenti, quando un rapporto di coppia aiuta a crescere, o li rende più pigri, più mosci, chiusi… Un amico che vi vuole bene può dire: “Da quando sei fidanzato, sei più aperto alla vita, sei più interessato a quello che succede, sei più disponibile. Non solo non ti sei chiuso, ma quella persona ti sta aiutando a vivere. Non solo ti vuole bene, ma poiché ti vuole bene, ti sta aiutando a volere bene anche ad altri!” Ecco la fecondità già in atto prima del matrimonio! Questo è evidente già da piccoli. Bisogna stare con persone che ci fanno crescere, è fondamentale, con persone che vogliono che tu maturi, che tu vai avanti, che tu faccia delle cose, che tu ti occupi un po' degli altri. Non posso dire: “Io ti basto e ti devo bastare!” E lo stupore complementare: “Ma come non ti basto?”!!! “No non mi basti! Questo rapporto con te è importantissimo, ma deve essere e diventare un amore che ci apre alla vita”.
C'è una differenza sottile, ma grandissima fra la fecondità e la fertilità. In molti contesti culturali (non solo in paesi sottosviluppati, ma anche in paesi economicamente sviluppati, ma con altre categorie morali e religiose) se uno non può avere figli, il suo matrimonio non è valido. Se la donna è sterile – poveraccia, sembra sempre che sia sempre colpa sua in alcune culture, se non si hanno un po' di conoscenze mediche, scientifiche e psicologiche, dato che la causa di infertilità spesso è psicologica e, spesso, è maschile! – viene ripudiata, anzi, deve essere ripudiata (tratta questo argomento un recente film israeliano del regista israeliano Amos Gitai, Kadosh, che vuole rappresentare gli ambienti ultra-ortodossi di Mea Shearim a Gerusalemme, ma lo stesso si potrebbe dire di altri ambienti religiosi e culturali). Per la Chiesa non è così.
Per la Chiesa - il suo discorso è veramente grande, libero, bello - c'è un modo di vivere la fecondità che non è necessariamente la fertilità. Una coppia può avere una grande disponibilità alla vita ed il suo matrimonio è vero anche se non riescono ad avere figli. Sapete che in Italia è in aumento il numero delle coppie che non riescono ad avere figli (siamo forse al 10%), anche per ciò che mangiamo, per l'inquinamento, per lo stress. Ed anche perché si ritarda tantissimo l'età della generazione (ci si sposa tradissimo) e poi si pretende che in un piccolissimo lasso di tempo, carico di tensioni emotive per la paura che poi sia troppo tardi, si cerca di avere il proprio bambino.Come che siano le statistiche, la non fertilità è in aumento rispetto al passato. La Chiesa dice che, se anche non si possono avere figli, non è un problema, non va vissuto come un dramma - sebbene poi ognuno debba stare vicino a chi questo dramma esistenzialmente lo vive. Ma la cosa fondamentale, che non può mancare, è che le persone realmente amino, proteggano e sostengano la vita. Se però le persone realmente hanno la possibilità di avere bambini, questo deve essere desiderato e donato, altrimenti il matrimonio è nullo. Dove una persona si sposasse dicendo che non vuole avere bambini, per la Chiesa il matrimonio non è vero, non è mai stato fatto. Il matrimonio non è fatto solo perché due persone si vogliano bene fra di loro, ma è stato pensato da Dio perché due persone siano anche disponibili ad accogliere la vita che Dio dà, perché amano la vita e insieme hanno imparato ancora di più quanto è bello vivere.
Quando celebro i matrimoni ripeto sempre da un po' di tempo: “Almeno tre bambini!” E' bello, è fondamentale, in un tempo come questo, far vedere che le cose che sembrano impossibili, invece sono naturali.
Questo della fecondità è proprio uno dei punti dei quali tutti parlano a sproposito, attaccando a priori la Chiesa e difendendo a priori qualsiasi posizione le si opponga. Ma è proprio sano tendere sempre a dire che è bene, che è normale, non avere figli, fare di tutto per non averne e poi, solamente quando si decide all'improvviso, sempre più tardi, di averne, andare in crisi se non arriva ed essere disposti a fare di tutto per averne? E' paradossale come viviamo, anche se cerchiamo di farlo apparire normale. Quando la Chiesa prova a dire che c'è qualcosa che non va in questo modo di fare, ecco le polemiche. Tutta la cultura in cui viviamo tende a fare un lavoro negativo in questo senso, nella prospettiva di una maggiore fecondità e poi, dinanzi ad un caso di infecondità se ne fanno di tutti i colori! È paradossale! Pensate che noi costruiamo anche la cultura del domani, quella che avranno i nostri figli: bisogna avere il coraggio anche di mettere in dubbio queste cose.
La Chiesa - e questo è un punto molto importante - ritiene la legge che è stata approvata recentemente in Parlamento sulla cosiddetta fecondazione assistita (e che non è una legge cattolica!) una legge che rappresenta un buon compromesso. C'è un punto fondamentale: noi riteniamo non solo come credenti, anzi pensando che questo possa essere condiviso anche da chi è ateo, che avere un bambino non è un diritto. Per questo non qualsiasi metodo è buono. Noi diciamo che proprio colui che non riesce ad avere un bambino, proprio lui sa meglio di tutti che l'embrione è vita umana. Proprio perché lo sa, fa di tutto perché sia concepito! Proprio chi lo desidera, sa ancora meglio di noi, che, anche se fatto in provetta, è l'embrione di una persona umana. La Chiesa dice che allora che la vita umana va protetta. Non se ne può abusare, in vista di un presunto diritto ad avere un figlio. Non è un diritto dar vita ad un embrione umano, ma, una volta che esiste, deve essere difeso.
E' un atteggiamento che è anche un aiuto per chi non riesce ad avere dei figli. Stai tranquillo: la vita come Dio l'ha fatta possiede mille modi di amare. Non è necessario avere un bambino per essere felice. Però è importante che quando questa creatura viene concepita, sia aiutata, tutelata. Non si possono mettere lì 10/15 embrioni – proprio tu sai esattamente cosa sono, tu che ti sei ammazzato per tirarli fuori - e poi quegli embrioni li butti via, o ci fai delle cellule per guarire chi sta male… Non si può, è una cosa disumana. Una società non può costruirsi su questo.
E' un punto molto importante: un figlio è un dono, è uno dei punti fondamentali della concezione della vita: la vita è un regalo, un dono. Noi l'abbiamo ricevuta in dono e noi la doniamo. Ma non la pretendiamo.
Voglio ancora citare l'importantissimo discorso del papa Giovanni Paolo II, al Parlamento italiano, che ha avuto il coraggio di indicare come il problema demografico, il problema delle nascite sia uno dei problemi chiave del nostro tempo e del nostro Paese. Così si espresse in quell'intervento divenuto un punto di riferimento:

Non posso sottacere, in una così solenne circostanza, un'altra grave minaccia che pesa sul futuro di questo Paese, condizionando già oggi la sua vita e le sue possibilità di sviluppo. Mi riferisco alla crisi delle nascite, al declino demografico e all'invecchiamento della popolazione. La cruda evidenza delle cifre costringe a prendere atto dei problemi umani, sociali ed economici che questa crisi inevitabilmente porrà all'Italia nei prossimi decenni, ma soprattutto stimola - anzi, oso dire, obbliga - i cittadini ad un impegno responsabile e convergente, per favorire una netta inversione di tendenza.
L'azione pastorale a favore della famiglia e dell'accoglienza della vita, e più in generale di un'esistenza aperta alla logica del dono di sé, sono il contributo che la Chiesa offre alla costruzione di una mentalità e di una cultura all'interno delle quali questa inversione di tendenza diventi possibile. Ma sono grandi anche gli spazi per un'iniziativa politica che, mantenendo fermo il riconoscimento dei diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, secondo il dettato della stessa Costituzione della Repubblica Italiana (cfr art. 29), renda socialmente ed economicamente meno onerose la generazione e l'educazione dei figli.
In un tempo di cambiamenti spesso radicali, nel quale sembrano diventare irrilevanti le esperienze del passato, aumenta la necessità di una solida formazione della persona. Anche questo, illustri Rappresentanti del popolo italiano, è un campo nel quale è richiesta la più ampia collaborazione, affinché le responsabilità primarie dei genitori trovino adeguati sostegni [5] .

Spesso, quando battezzo dei bambini, mi soffermo a pensare agli amici coetanei dei genitori, da loro invitati per la festa del battesimo. Mi domando cosa pensino dei loro amici divenuti genitori, dato che tanti degli invitati moriranno, invece, senza aver dato alla luce un figlio. Ogni celebrazione di un sacramento è, infatti, anche un'occasione per domandarmi se io farò la stessa cosa, è un' interrogativo aperto, dalla vita stessa, sul mio futuro. Allora li difendo, da un lato, e li attacco, dall'altro, per provocarli a pensare, nell'omelia. Mi piace dire loro che la generazione dei giovani di oggi non è egoista, come molti pensano. Non è questo il vero motivo per cui esitano ad avere bambini. E', piuttosto, perché non sono convinti che la vita sia bella! Perché non amano la vita a sufficienza. Per far vivere un altro, per essere con-creatore con Dio, devi esser convinto che sia bello vivere, che sia una grazia avere la vita. Se questo è vero, ecco che desideri che anche un altro abbia la tua stessa grazia e gioia. I giovani sono spaventati, non hanno fiducia e speranza: ecco perché non nascono bambini! Ma, in fondo, non è forse necessaria la fede, per chiamare un altro a vivere? Io rispondo che è proprio così. Se l'uomo fa i conti solo con le proprie forze, non chiamerà mai nessuno a vivere. Cosa possiamo garantire noi, del futuro, ad una nuova creatura? Ecco ancora l'annuncio cristiano. Quel bambino è voluto e desiderato anche da Dio. E' lui a garantire che la vita ha senso e che far nascere un bambino sarà grazia e non disgrazia. Fra l'altro: noi crediamo alla vita eterna non solo perché non vogliamo morire e non vogliamo che muoiano i nostri cari – e, soprattutto, perché abbiamo incontrato la resurrezione di Cristo - ma anche perché crediamo che Dio è il Creatore ed è presente in ogni nuova generazione umana (è lui a dare l' “anima”!). Se la nascita di un piccolo d'uomo fosse solo un evento della materia, dell'evoluzione della specie, se avesse ragione il materialismo che afferma non esserci niente altro che la materia, ecco la certezza che quel bimbo non avrà vita eterna. E', invece, perché Dio vuole quella vita umana, perché quella vita è da lui pensata fin dall'eternità, che noi crediamo anche nella vita eterna che gli è promessa!
Una delle frasi più belle che sottolineano la coscienza latente di una presenza diversa da quella dei genitori, nell'origine di ogni vita umana è l'espressione che tante volte ho sentito dire da papà e mamme: “Come è possibile che l'abbia fatto io?”
Lo hai in braccio e percepisci che non è solo opera tua, non è solo un incrocio di due patrimoni genetici, ma ha una dignità più grande, nasce da una volontà più grande, quella divina. Non “assomiglia solo al papà o alla mamma” – una delle questioni più ricorrenti: a chi assomiglia di più?!!! – ma è “immagine di Dio”.

Verso la fine di questo incontro, l'ultimo quarto d'ora, viene proposto un nuovo lavoro di gruppo, che servirà poi ad iniziare l'incontro successivo, oltre a permettere a tutti di esprimersi e di accrescere ancora la conoscenza reciproca. Vengono poste due domande ed i partecipanti, a piccoli gruppi, rispondono, con l'aiuto di segretari che trascrivono gli interventi. Le due domande poste sono questa volta: 1/ Perché credi in Dio? 2/ Quali sono gli aspetti positivi e negativi che attribuisci alla Chiesa? Le due domande, volutamente provocatorie, tendono a far emergere, a verbalizzare, contenuti per poterli poi sottoporre ad analisi e a critica.
Il VI incontro è guidato da un ginecologo che accompagna i fidanzati a conoscere maggiormente tutte le problematiche relative al concepimento ed alla gravidanza (ed alla visione cristiana di esse) servendosi di un montaggio VHS che illustra tutte le tappe di sviluppo del nascituro, fino al momento del parto.

VII incontro
Essere cristiani: alle radici dello sposarsi in Chiesa

Anche questa sera inizieremo con dei gruppetti, guidati da un segretario. Dovrete rispondere a questa domanda: perché credete in Dio? Quale motivo sapreste dare della vostra decisione di chiedere la benedizione di Dio per il matrimonio, se un non credente vi interrogasse? Anche questa volta il tempo che avrete è poco, dovete essere sintetici, proprio come si fa quando le domande sono a bruciapelo. Poi ci rifletteremo sopra più distesamente.

Segue, per quindici minuti, il lavoro nei gruppetti. Poi i segretari leggono ad alta voce le risposte, che vengono scritte su di una lavagna.

Partiamo dalle risposte che avete dato alla domanda nei gruppetti: Perché credete in Dio?
Le vostre risposte possono essere, forse, così sintetizzate e raggruppate:

Vediamo di analizzarle insieme per vedere il detto ed il non detto, ciò che è cristiano e ciò che non lo è, ciò che è significativo e ciò che disorienta, nelle vostre risposte!

Ci sono tante cose vere, tra quelle che sono state dette, alcune invece sono da rifiutare, altre sono da superare per essere più chiari. Vedrete che le risposte più importanti le avete solo sfiorate! Partirei dalla parola forse più semplice che avete usato, ma che è interessante: la parola “bisogno”. Avete detto che credere è un bisogno. “Avere bisogno di Dio” è un'affermazione di grande sanità mentale. Non è la fede ancora, ma che una persona senta di avere bisogno di Dio è considerazione vera e degna dell'uomo. Il problema che resta aperto è se la cosa di cui ho bisogno, esiste o no. Ma dire “bisogno” è dire che credere è un elemento non solo importante, ma addirittura necessario alla vita. La fede cristiana afferma con grande forza che l'uomo ha bisogno di credere. Credere non è una cosa opzionale, ma è realmente “il” problema radicale della vita umana. L'uomo, se ha veramente coscienza di chi è, si accorge di non bastare a se stesso e invoca la presenza di Dio. Questo prima ancora del cristianesimo. Lo vediamo considerando la storia delle religioni e l'antropologia. E' un elemento grandissimo, importantissimo. Se questo non fosse vero - che credere è un bisogno - se anche Dio ci venisse incontro in persona, noi lo ignoreremmo. Pensate ad un parallelo che può essere fatto considerando il possibile amore tra due persone. Se voi in realtà non avete bisogno dell'altro, può venire a voi la persona più stupenda del mondo, più bella, intelligente, buona, ma voi non ci starete mai insieme. Tante persone si ritengono autosufficienti. Sapete che ammettere di avere bisogno è una cosa che richiede molta maturità, una cosa che possiamo passare una vita intera a negare. Questo vale proprio dei bisogni più elementari. Un esempio dalla psicologia: pensate ad alcune malattie mentali molto gravi – che, intendiamoci bene, non sono colpe. Quando una persona arriva ad ammettere di avere bisogno, si dice che comincia a guarire. Arrivare a dire: “Non ce la faccio, aiutatemi!”, non è un'ammissione da poco. Vi facevo l'esempio delle persone che vengono a parlare di un problema nella loro famiglia quando ormai è troppo tardi, quando già sono andate dall'avvocato… E' molto difficile chiedere una mano per tempo, perché noi vorremmo dimostrare a tutti di saper vincere sempre. Dobbiamo essere quelli che ce la fanno sempre, che sono bravi! Quando una persona ha il coraggio di chiedere una mano, è una cosa grandissima. Conosciamo tutti ragazze anoressiche – lo ripeto, non è una colpa, ma un problema da affrontare – che ripetono: “Io sto benissimo, anzi sto ingrassando”. Quanto è difficile anche a loro chiedere una mano, ammettere una sofferenza. Ma che liberazione e che passo, quando arrivano a dire di stare male e di voler stare meglio! Chi non ha mai bisogno di niente e di nessuno è un piccolo uomo. In realtà tutti noi abbiamo veramente bisogno e l'amore è una delle forme in cui si manifesta proprio il fatto che noi non bastiamo a noi stessi. E questo, che è vero nell'amore di coppia, dell'amicizia, ecc…, è massimamente vero nel rapporto con Dio. L'uomo, se comincia a capire se stesso, ammette le questioni: “Ma io dove vado? Da dove vengo? Dal caso o dal desiderio e dal pensiero di qualcuno? Ma dopodomani che mi succede?” Quando ero piccolo sentivo questo del bisogno come un tema quasi disdicevole, perché avevo sentito spesso queste frasi: “Ah, ma i cristiani cercano Dio solo per paura; uno che invecchia cerca Dio perché sta invecchiando ed ha paura”. Ma meno male che è così! Meno male che c'è qualcosa che ti fa accorgere del bisogno che hai di Dio! Questa è una grazia! Non è una cosa brutta! Certo, sarebbe meglio che se ne accorgesse prima, perché aveva bisogno di Dio anche prima, ma meno male che almeno questa coscienza arriva alla fine della vita. Ho capito che ammettere di avere bisogno della comunione con Dio, della vita eterna, del senso di una vita che sa di non essere nata per caso, è una cosa sacrosanta. Una persona non può vivere solamente per le opere che fa lui stesso.
Il problema è se questo, che è un bisogno, sarà mai soddisfatto, oppure è un bisogno che non sarà possibile soddisfare. La condizione dell'uomo è tale che ha bisogno di Dio. Se Dio c'è, è una gran cosa bella, ma se Dio non c'è, è un gran disastro per l'uomo, perché poi il suo bisogno si trova a non essere corrisposto.

Però, dall'altra parte, c'è un punto che è veramente importante. Non basta che io abbia bisogno e, poiché ho bisogno, allora – come si dice – mi getto nel vuoto e decido di credere. No! Per credere io ho bisogno di conoscere chi c'è dall'altra parte.
C'è un elemento che la fede cattolica annunzia con tanta gioia, con tanta semplicità: noi crediamo, non solo perché abbiamo bisogno di credere, ma perché il Padre ci ha mandato Gesù. Non basta che siamo noi ad essere come una domanda aperta, come una freccia che si indirizza a qualcosa d'altro - da solo non basto. Questo è solo una parte del ponte. Ma il ponte si deve poggiare anche, e soprattutto, dall'altra parte. La fede cattolica dice: Gesù è stato mandato all'uomo, al mistero dell'uomo che non si capisce da solo, Gesù è stato donato dal Padre.
E la Parola non è tanto quello che Gesù ci dice di fare, ma è soprattutto Lui, in ogni suo gesto, nella morte, nella resurrezione, nella sua vita, nella sua incarnazione. E' Lui la parola.
Un termine teologico essenziale è il concetto di “mistero”. Ricordo di averlo imparato fin da adolescente, nella catechesi che il nostro vice-parroco faceva a noi ragazzi. Ci spiegò che la parola “mistero” non ha nel linguaggio nato dalla fede cattolica lo stesso significato che ha nel linguaggio comune. Nel linguaggio comune “mistero” vuol dire una cosa di cui non si capisce niente, che è misteriosa e incomprensibile. Invece nel linguaggio cristiano - San Paolo è il primo ad usare questa parola nelle sue lettere – “mistero” è qualcosa che tu puoi conoscere solo se colui che è nel mistero te la rivela.
Avviciniamoci a comprenderlo con un esempio relativo all'amore tra uomo e donna: ognuno di voi è un mistero. Nessuno dall'esterno sa veramente chi siete, all'inizio. Quando vi siete conosciuti, vedevate nell'altro degli atteggiamenti strani: era timido o aggressivo, si arrabbiava dinanzi ad un certo problema, si esaltava, si deprimeva…. Voi non riuscivate a capire perché. Sentivate che c'era un problema, qualcosa che non era chiaro, ma non capivate. E magari, dopo anni, la persona decide di spiegare all'altro la sua storia, qualcosa che gli è successo, che l'ha fatto soffrire o gioire. Ed è per quel motivo che lei è così. Ma se questa persona non ve lo racconta, voi non lo capirete mai. Non potete indovinare il segreto del cuore dell'altro, se l'altro non ve lo racconta. In questo senso ognuno è un mistero, non nel senso che non ci si capisce niente, ma nel senso che ognuno di noi è un mistero finché non accetta di raccontarsi. A me capita questo nell'esperienza della confessione. Varie volte mi è capitato che delle persone venivano a confessarsi e parlavano di tante cose, ma intuivo che non era la cosa che mi volevano dire. In realtà dicevo: “Però è troppo triste, timido, rabbioso, perché?” Stava maturando nell'altro la fiducia. E magari solo dopo 5 anni quella persona mi ha detto: “Sono 5 anni che vengo a parlare con te, ma quello che ti volevo dire è questo. A me è successo questo e questa cosa mi ha segnato. Adesso tu capisci perché agisco così, perché sono così!” Uno può intuire che c'è un mistero, che c'è un aspetto nascosto, ma non lo può sapere, se l'altro non apre la porta dall'interno. Non è bombardando di domande una persona che lo scopri, ma c'è quella fiducia che deve crescere. C'è un momento in cui l'altro decide di aprirsi.
Noi diciamo che la fede è la nostra risposta al mistero di Dio che si è aperto. Non si poteva essere cristiani prima del Natale dell'anno zero. Se il Padre non ci avesse regalato il suo Figlio, nessuno avrebbe potuto dire: “Io sono cristiano!” La nostra fede nasce sì dal nostro bisogno di Dio, ma nasce da Dio che apre la porta dall'interno, che dice: “Vuoi vedere come sono fatto? Cosa penso? Chi sono? Ecco prendi questo Bambino che viene a te nel Natale, la sua vita, la sua morte, la sua risurrezione! Io voglio farmi conoscere da te” La parola teologica precisa che esprime questo è la parola “rivelazione”. Dio rivela se stesso. Dio, rivelandoci Gesù, si rivela a noi.
Dio era un “mistero”, prima di rivelarsi in Gesù Cristo. Ora “quel mistero” lo ha a noi rivelato, fatto conoscere, dandoci il suo Figlio. Ed è più importante che Dio voglia rivelarsi, che voglia farsi conoscere, delle parole poi con le quali ci indica la via morale sulla quale camminare. Dio non ha voluto, innanzitutto, dirci cosa dobbiamo fare, ma, soprattutto, farsi conoscere ed offrirsi alla possibilità di essere amato. E' Dio che “dice” se stesso, prima di dire che cosa devi fare tu. Chi non crede, può dire che il cristianesimo è perdonare gli altri, è amare gli altri, ma questo non è vero! E', innanzi tutto, scoprire che è Dio che è perdono verso di te! E' questo il grande annuncio cristiano! Poi da questo consegue anche che tu puoi chiedere a Dio l'aiuto per saper perdonare. Ma questo mistero si apre dall'interno, dalla porta. E voi capite, da questo punto di vista, come per noi cristiani è fondamentale non dire solo “io credo”, ma dire “io credo in Gesù Cristo”. Perché se uno dice solo “io credo”, resta aperto il problema: “Ma in chi crede?” E' un'affermazione vuota. Avete detto che ognuno ha un'idea diversa di Dio: e proprio questo è il problema!
La fede cristiana annunzia che è sbagliato credere in Dio, fidarsi di lui, se tu non sai chi è. Come puoi fidarti, se non sai chi è la persona di cui ti fidi?
Così come nell'innamoramento: io mi faccio un'idea dell'altro, gli credo, e poi invece l'altro è esattamente il contrario di quello che avevo pensato! Se io credo all'altra persona è perché un po' conosco come è. Quindi la fede ha sempre un aspetto di conoscenza. Noi diciamo che la fede non è cieca, anzi la fede è la realtà che dice: “Io vedo chi c'è dall'altra parte, perché ho incontrato Cristo, perché Cristo è stato dato al mondo”. In questo senso io mi affido a Lui, anche se non vedo chiaro in alcuni momenti. Perché, avendo compreso che Lui è la parola definitiva di Dio, la resurrezione, la bontà, anche se c'è un momento nel quale non capisco, sono confuso, anche se succede una cosa, anche se faccio un peccato, anche se incontro il male fatto da un altro… io però dico: “Non vedo bene adesso, però ho fiducia in Te”. Non è una cecità totale. Così come voi vi troverete ad avere dei momenti in cui non capite perché vostra moglie in quel momento non vi vuole parlare, perché è in un “momento no”… ma voi avete fiducia, perché conoscete la sua storia, il suo cuore. E allora siete disposti ad attraversare un periodo in cui non tutto è chiaro, ma confermate la fiducia a quella persona che avete scelto, che conoscete, che amate e che vi ama. E non è un atto cieco. Ti credo perché so che sei una persona capace di verità, di bontà e anche se in quel momento non lo percepisco direttamente, io però ti riconfermo la fiducia e so che questa cosa riverrà fuori.
Ma, proprio per questo, c'è la verità che precede la mia fiducia. C'è l'oggettività di Dio che viene incontro a noi. Questo viene prima del mio sentire soggettivo.
Io rifiuto come cristiano e come uomo l'idea di una fede solo emotiva, così come rifiuto l'idea di un amore solo emotivo. Cosa si intende dire con l'affermazione “tu devi sentire una cosa da dentro”? Abbiamo già visto, parlando della crescita dell'amore, come presa di per sé questa espressione possa nascondere una coscienza molto infantile. E' certo vero che ogni scelta deve essere libera e motivata dalla propria interiorità, ma abbiamo imparato a diffidare di questo “sentire”!
Esiste, invece, tutta una galassia di atteggiamenti religiosi che si indirizza proprio e solo a questa soggettività, privilegiando l'aspetto emotivo sugli altri.
Pensate ai temi della New Age. Con questa denominazione si intende non una corrente definita – proprio perché a priori c'è il rifiuto di una definizione, di una chiarificazione! - ma una serie di posizioni, diverse tra loro, portate avanti da diversi opinionisti, scrittori, pensatori (citiamo come appartenenti a titolo diverso a questo mondo spirituale Paulo Coelho, Rosemary Althea [6] ). Il tipo di linguaggio usato è originario delle tradizioni millenarie dell'estremo oriente, ma edulcorato da riletture avvenute in contesto anglosassone, negli USA, e trasportato poi in Europa in forme sempre più banalizzate. E' tipicamente New Age ogni impostazione che affermi che Dio è l' “energia”, la “positività”, una “entità che deve pur esserci”, che io “sento”, un qualcosa che sta in un altra dimensione.
Vedete, se analizziamo con appena un po' di attenzione, ci accorgiamo che c'è una idea non personale di Dio. Ciò è ben più serio e chiaro in alcune dottrine pre-cristiane dell'estremo oriente dove è evidente che è l'individualità ad essere male, è il soggetto ad essere apparenza, mentre esiste solo un tutto sussistente, eternamente identico a se stesso. Invece nelle edulcorazioni moderne di queste posizioni, l'idea che Dio non abbia personalità sta tranquillamente a fianco all'idea che invece la singola persona abbia dignità, proprio nella sua unicità ed originalità (mentre è evidente che sono due cose che fanno a cazzotti fra di loro!).
In qualsiasi caso, la fede cristiana afferma e difende la libertà di Dio, la sua personalità. Dio non è oggetto, non è cosa impersonale, non è realtà senza volto che assume tutti i volti che gli uomini nella storia gli hanno attribuito. E' solo a partire dalla rivelazione di chi è Dio che io posso in verità avere fede in lui ed affidargli la mia esistenza. Per me dire che Dio è energia è una bestemmia; come se io dicessi che “mio marito o mia moglie è un'energia”. Mio marito è una persona, ha una storia, un volto!
Vedete: nessuno di voi ha risposto con la risposta più importante, più vera alla mia domanda. Noi siamo cristiani, abbiamo fede, perché Dio ci ha donato suo Figlio, Gesù. Noi siamo cristiani, perché abbiamo incontrato il Cristo! E' perché Gesù è il Cristo che noi crediamo. Certo noi sentiamo interiormente questo, nell'emozione, nel pensiero, nel cuore, ma questo resterebbe vero anche se noi non lo sentissimo – e resta di fatto vero e noi restiamo credenti anche se in alcuni passaggi della nostra vita noi proviamo meno emozione rispetto ad altri momenti.
Avete detto che la fede non è razionale. Qualcuno afferma talvolta che la fede è irrazionale. Attenzione! Noi cristiani affermiamo che la fede è “ragionevole”. La fede è ragionevole nel senso che tu non puoi fare un calcolo matematico su Dio, però tu puoi ragionevolmente capire chi è Lui, usando la testa, il pensiero, l'ascolto della sua Rivelazione. La ragione dell'uomo è profondamente implicata nella fede.
Il modo più chiaro per esemplificare può essere questo: cosa si intende con l'affermazione che la fede è un dono? Le persone lo intendono abitualmente così: “Io la sento la fede, tu sei sfortunato e non la senti, uno ce l'ha la fede, l'altro no, ad uno Dio l'ha data e all'altro no…” E, quindi, in conseguenza, se si resta coerenti con questa posizione, non c'è alcun dialogo possibile. Io sono così, tu sei all'opposto, io ho il dono e tu no. E non c'è niente da dire e niente da fare. Invece il Natale cristiano ci fa capire che la fede è un dono perché “quel” Bambino, il bambino Gesù, oggettivamente è nato, realmente è dato in dono al mondo, da Dio. Ed è dato anche se tu non lo senti. Non è che se tu non partecipi alla gioia di avere quel bambino, questo non è un dono anche per te. Semmai sei tu che sei non all'altezza della situazione se non partecipi alla festa. Ma quel bambino è un dono anche per te. Il Natale è un dono oggettivo: Gesù, prima di essere soggettivo, è un dono reale. E per questo è per tutti. Allora la ragionevolezza sta nel conoscere questo dono. Non è una riflessione solo sull' “io sento”, ma su quello che Cristo è. E per la fede cristiana dire a questo Cristo “io mi affido a Te”, “io voglio essere tuo discepolo”, “io voglio camminare alla tua sequela” - la risposta soggettiva - è la risposta più saggia, che aderisce alla realtà del Cristo che è. Se quel Bambino c'è, posso io ignorarlo? La fede cristiana ritiene che dire sì a questo Bambino sia la cosa più vera, più reale, più giusta, più ragionevole. Non è solamente un sentire. Così come l'amore: l'amore è un bisogno dell'altro, ma è anche una reale conoscenza di chi è l'altro, pur non essendo mai una conoscenza matematica. Noi non possiamo dimostrare con un teorema che l'altro ci ama e ci è fedele. Noi lo crediamo, ma sappiamo che questo è vero. La nostra conoscenza dell'altro, nata dall'incontro con lui, ci fa certi, nella fiducia, dell'affidabilità dell'altro. Non ci si sposa con chi noi sappiamo non essere affidabile! Così noi veramente conosciamo Gesù. La fede non è “razionale”, come non è “irrazionale”. In tutti i rapporti con persone e non con cose, non si danno deduzioni matematiche, ma vera conoscenza attraverso i segni della vita dell'altro. Ecco perché crediamo.

(intervento di un partecipante sui dogmi della fede)

Il dogma non è mai una semplice affermazione emotiva. Prendiamo la Trinità. L'affermazione del dogma della Trinità nasce dall'ascolto, dalla preghiera, dalla riflessione dell'uomo credente. Perché Gesù parla sempre del Padre? Perché Gesù parla sempre dello Spirito Santo? Non è, innanzitutto, una cosa “sentita” in me. Gesù nella sua vita ha continuamente detto: “Io faccio la volontà del Padre, il Padre è più grande di me”. Ha anche detto: “Io e il Padre siamo una cosa sola”. Gesù ha detto: “Io vi manderò lo Spirito Santo, Lui vi ricorderà quello che io ho detto”. Allora c'è un tentativo di penetrare dentro questo mistero - è il lavoro che la Chiesa nei secoli fa - sia fidandosi, ma anche cercando di comprendere. La Trinità non è inventata dall'uomo. Allo stesso modo, la fede cristiana afferma che nessun uomo si sarebbe mai inventato la croce. Le religioni si dividono in due grandi gruppi. Da un lato quelle che ritengono che l'uomo non debba essere salvato, che si salva da solo, che l'uomo ha bisogno solo di maestri di morale che gli devono dire cosa debba fare. Dall'altro lato, invece, quelle che affermano la necessità di una salvezza operata dalla libera scelta di Dio. Questa è la fede cristiana. Essa afferma che c'è bisogno di uno che ti dia la vita, se no tu la vita non la trovi. Serve un altro che ti dona la vita. La croce, non è una nostra invenzione! Ecco un altro grande dogma: Cristo è il Salvatore. Noi non ci salviamo da soli, ma è Cristo che con la croce ci salva. Questo la Chiesa lo accoglie e cerca di comprenderlo, di contemplarlo. Il dogma non è mai frutto dell'emozione, ma è un tentativo di penetrare questo mistero che si apre, che si rivela. Si parte da Colui che si fa conoscere. Così come nel rapporto con l'altro: nessuno di voi possiederà totalmente l'altro. Chi può dire di sapere tutto dell'altro? Ma, nonostante questa oscurità, noi avanziamo in questa dinamica di conoscenza dell'altro, man mano che l'altro si rivela e si fa conoscere.

(intervento che domanda se ci sono diverse idee di Dio egualmente valide)

Non sono d'accordo. Non è detto che ci siano diverse idee di Dio, solo perché egli è unico e talmente infinito che ogni visione è parziale. Possiamo avere delle idee di Dio diverse, soprattutto perché abbiamo un punto di vista sbagliato.
La fede cristiana dice che Dio si è manifestato in Gesù e le idee diverse ce le abbiamo a volte perché non è chiaro chi stiamo guardando. Non stiamo guardando Lui, ma stiamo guardando da un'altra parte! Molte idee diverse sono sbagliate, bisogna avere il coraggio di dirlo! Diversità non vuol dire sempre ricchezza! Altre diversità possono essere ricchezza. Ognuna va valutata caso per caso.

(intervento che domanda perché il messaggio cristiano non arriva facilmente a tutti)

Cerchiamo di rispondere insieme: perché il cristianesimo è una cosa che può anche non conquistarci?

(interventi)

Proprio perché la fede non è un sentimento, ma è innanzitutto una realtà oggettiva, la fede deve essere trasmessa. Noi non possiamo imputare tutta la colpa sempre e solo a chi non l'accoglie. Quando questo Figlio di Dio si è fatto carne ed è venuto in mezzo a noi, questa persona deve essere raccontata, e questo è il compito della Chiesa, affidatole da Cristo. Siccome è venuto in quel tempo ed è risorto, ma non è presente ora nella carne, se non c'è la Bibbia scritta, i sacramenti, i preti, i laici, le famiglie che battezzano i figli, la Chiesa… Questo anello è un elemento fondamentale. Pensate: se in un paese non c'è nessun cristiano, nessun altro può diventare cristiano. La fede, proprio perché è sempre una risposta all'annuncio del Cristo, ha bisogno di uno che ne parli. Questo è un punto decisivo.
Quando si pone la famosa domanda se i bambini devono essere battezzati, se è giusto che un ragazzo sia invitato a fare la cresima – sappiate che nel giuramento del matrimonio vi chiederemo anche questo, se volete battezzare i vostri figli - la risposta deve essere: “Certo!” E' la cosa più assurda dire: “Deciderà da grande!” Perché uno decide da grande, se tu gli hai trasmesso la fede, ma se tu non gliela trasmetti, sarà solo libero di non essere credente. C'è un punto fondamentale, che avete affermato nelle risposte alla domanda: “Perché credete?”. Avete detto: “Perché la mamma, perché i miei genitori mi hanno fatto conoscere la fede!” Solo gli stolti ridono di questo. Invece, è esattamente così.
La fede è una trasmissione, una tradizione – “tradizione” non è una parola vecchia, è, invece, la coscienza che una realtà mi precede ed io la faccio passare attraverso di me, perché arrivi ad una nuova generazione. Nel battesimo dei bambini avviene come per la vita. Sei tu a dargli la vita. Quel bambino si potrà poi suicidare – Dio non voglia! - ma se tu non gli dai prima la vita, quel bambino non può decidere se accettarla o rifiutarla. Se tu non gli hai data la vita, se non l'hai concepito e partorito, quel bambino non può fare quella scelta. La scelta è successiva all'aver ricevuto il dono. La Chiesa è quella realtà necessaria, che dona la fede, perché poi divenga adesione personale. Voi siete protagonisti nella vita della Chiesa. Io vi domanderò: “Siete disposti a far nascere dei bambini e a battezzarli?”, perché la trasmissione della fede è precedente al fatto che poi loro da grandi dicano: “Sì, questa cosa che mio padre mi ha insegnato, la faccio mia”. Ma è mio padre, prima, che me l'ha insegnata! Deve essere insegnata, è un elemento costitutivo.
A noi preti capita di incontrare talvolta delle persone che non vengono da 15 anni in chiesa -va bene anche così - arrivano e, sfortunati come sono, trovano il prete che quel giorno è storto, non sta bene, e dicono: “Sono andato lì, ho incontrato quel prete, mi ha trattato male ed ho perso la fede!” Io capisco quella persona – noi preti dovremmo essere sempre gentili – ma mi sembra molto emotiva e superficiale nel suo modo di accostarsi a problemi seri e nelle sue conclusioni. Tu leghi la tua professione alla formazione, alla scelta, al cammino di crescita professionale. Così il cammino dei tuoi bambini: la scuola migliore, la palestra migliore, ecc… Vuoi essere altrettanto furbo e non affidare al caso il cammino della fede cristiana? Cercare per tuo figlio un ambiente dove cresca vicino ai valori cristiani, ad una comunità ecclesiale viva, al Vangelo… Io la preparo questa cosa, se ci tengo!

Siamo disposti ad aiutarvi in parrocchia in questa strada. Voi chiedeteci una mano in questo… Che ognuno abbia un quaderno dove scrivere le domande che ha da fare sulla fede, sul cristianesimo. Non dimenticatele e non abbiate paura di chiedere per trovare le risposte.

Un altro motivo per cui le persone possono non credere è perché non hanno capito bene Cristo. Non tanto per cattiveria, ma perché gli è stato presentato Cristo come se fosse il nemico della vita. Questo tra l'altro è il peccato originale. Se voi leggete i testi di Genesi, si dice chiaramente che il tentativo del serpente è di dire: “Ma non sarà che Dio è vostro nemico, che vuole il vostro male, ed ha paura che voi mangiate questo frutto – spero sappiate che nel testo non si parla, mai e poi mai, di una mela, ma, ben più seriamente, dell'albero della conoscenza del bene e del male - perché non vuole che diventiate saggi come Lui?” Perché Adamo mangia il frutto? Perché il serpente gli fa credere che Dio è cattivo: “Se tu obbedisci a Dio – attento, ti insinua il serpente, Dio è invidioso, ti vuole schiacciare – sarà la fine della tua gioia, del tuo piacere, della tua vita, della tua libertà; per questo ribellati a Lui”. Il cristiano che ama la fede, è colui che ha la gioia di mostrare che più è diventato cristiano, più ha trovato la verità della vita.
La fede non è contro la vita, il progresso, la scienza. Molti lo pensano. Invece la fede va avanti, c'è la gioia di andare avanti, di scoprire. Dio ha fatto l'uomo “creativo”.
Vi faccio un esempio di questo atteggiamento: in alcuni posti, soprattutto nel Sud dell'Italia si dice che sia pericoloso dire che si è felici. Questo nasconde un'idea veramente pagana di Dio. Quando si sente una persona che dice: “Che bello questo periodo della mia vita, sono veramente felice, tutto fila liscio”, c'è subito qualcuno che dice: “Non lo dire ad alta voce!” C'è come l'idea che se Dio si accorge che tu stai bene, diventa invidioso, ti schiaccia. Invece Dio è felice se noi siamo felici! E si può dire tranquillamente che si sta bene, dinanzi a Lui! Dio non è invidioso. Ma nella nostra mente esiste questo pensiero, che è l'opera del tentatore, di farci credere che Dio gode dello schiacciarci. Ecco la trasmissione della gioia della fede.

(interventi e risposte)

Molti studiosi dicono che queste dottrine della New Age hanno molto successo, perché in fondo non ti chiedono nulla. In realtà approcciarsi alla serietà del cristianesimo è una cosa che richiede impegno. E' molto meglio, in apparenza, una religione fai-da-te, dove ognuno la pensa come vuole.

Proprio per il fatto che noi abbiamo bisogno di Dio, un bisogno inestirpabile, se noi smettiamo di cercarLo e di metterLo al suo posto, finirà che, prima o poi, attribuiremo a qualche creatura un valore assoluto. Un amico usa questa immagine: dice che è come se noi avessimo nel nostro cuore un tempio, dedicato a Dio. Se ci togliamo Dio, quel tempio non può comunque restare vuoto, ma sarà riempito con un idolo. E noi non riusciremo più ad amare una creatura diventata dio, idolo. Dio va amato come Dio – “amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutte le forze, con tutto te stesso” – e la creatura va amata come creatura - “amerai il prossimo tuo come te stesso”. Ogni confusione di ruoli anche qui rovina tutto! Voi vedete che alcune persone fanno delle follie per un hobby, per un oggetto, per un successo, per una persona… perché comunque qualcosa devi porre al centro della tua vita. Noi tutti siamo capaci di fare delle follie per una cosa che non vale tutto! In realtà… la fede cristiana afferma che quando tu metti Dio al suo posto riesci ad amare meglio le altre cose, hai più equilibrio per vedere chi è una persona, cos'è un libro, una partita di calcio… Non che non li ami più, ma li ami capendo a che posto stanno.
Infatti il comandamento non è: “Ama Dio come te stesso e ama il prossimo con tutte le tue forze” ma: “Tu amerai Dio con tutte le tue forze, con la tua anima e la tua mente e il prossimo come te stesso”. Non vanno amati allo stesso modo il prossimo e Dio. Dio dice:- “Se ami me, devi voler bene agli altri; non ti puoi andare a suicidare contro le due Torri gemelle: questo è per me un abominio! Tu devi amare anche il tuo nemico. Però tu devi amare me, per amare bene gli altri”.
L'amore non consiste semplicemente nell'amarsi degli uomini fra loro. L'uomo che non ama Dio, perde anche un po' la capacità di amare gli altri uomini e le altre cose.

L'ultima cosa: mi piace questa coscienza - e questa è la vostra dignità altissima - per la quale siete insostituibili. Ad esempio: se ai vostri bambini non insegnate alcune cose, non gliele insegnerà nessuno. Questo, in positivo, è stupendo: ognuno di noi può fare delle cose che o saranno fatte da lui o non saranno fatte da nessun altro nella vita. E' evidente. E' compito vostro. Non potete dire che ci penserà il prete. Il prete poi ci penserà, perché anche lui se non fa la sua parte, quella parte non la può fare nessuno, ma ci sono delle cose che solo voi potete fare. Il nostro essere qui è anche per farvi riscoprire la bellezza di questa trasmissione della fede che a voi spetta. Altri possono non trasmetterla, ma noi questo lo vogliamo fare. Lo posso e lo voglio fare. Guai a chi mi toglie la responsabilità di annunziare il Vangelo. E' una cosa grandissima!
Pensate ad alcuni colleghi di lavoro, ad alcune persone, ad alcuni bambini e giovani che noi preti non incontreremo mai, se voi non farete da tramite, come chiesa, con loro. Voi avete un compito grandissimo. A volte basta una parola detta ad un altro. “Ma perché non ne parli con un prete, con una suora, con quella persona che è cristiana, con me?”
Avete un posto incredibilmente importante nella vita.

VIII e IX incontro
Cristo ha amato la Chiesa. La Chiesa è nostra madre. L'indissolubilità del sacramento

Riprendiamo le cose che ci dicevamo l'ultima volta, per parlare oggi della Chiesa, innanzitutto. Passeremo poi a parlare dei sacramenti. Il tentativo è quello di farvi capire che sposarsi in Chiesa ha senso all'interno di una visione della vita e non è un evento che ha senso isolato, a sé solo (è una presa in giro, altrimenti, per usare termini più diretti).
Vedete subito come parlare del sacramento del matrimonio ha senso in relazione agli sacramenti ed ha senso in relazione alla Chiesa che dà i sacramenti.
Ho imparato, in questi anni da parroco di S.Melania, che, nel parlare della Chiesa, bisogna sottolineare due aspetti fondamentali per il nostro tempo.
Il primo è che la Chiesa è nostra Madre . E' sempre stato affermato, ma oggi forse è un punto più sensibile, da vivere con più intensità. Perché amiamo la Chiesa? Perché ci accorgiamo che la Chiesa è colei che ci dà la fede. Come c'è una madre fisica senza la quale noi non avremmo la vita, così è la Chiesa che ci genera alla vita di fede. Pensate ancora alla vita fisica, a quella vita che noi riceviamo prima e che solo dopo possiamo decidere di rifiutare o di amare, pensate a quella vita di figli che, se non ci fosse stata data, non potremmo scegliere. La vita viene prima regalata e poi diventa una nostra scelta.
E' fondamentale. E la vita non viene donata solo dall'ultimo anello della catena, il padre e la madre! Sarebbe bastato che, nei secoli che ci hanno preceduto, nel Medioevo, nel Rinascimento o in un'altra epoca, anche uno solo dei nostri antenati avesse rifiutato di avere figli e la vita non ci sarebbe giunta, e noi non saremmo nati. È una catena in cui io ricevo una cosa che mi viene data da un altro e a mia volta la trasmetto. Basta un anello che si rompa e la catena si interrompe.
Così è l'anello di una fecondità ancora più importante che è quella spirituale. Notate bene – non è inutile sottolinearlo ancora – che, per la chiesa, il matrimonio è valido anche se non c'è un figlio naturale, perché quello che è fondamentale è la fecondità nel suo aspetto più ampio.
Si può essere padri e madri di figli non concepiti fisicamente dalla coppia.
Il matrimonio trasmette nelle generazioni la fede. Scoprire che la chiesa è madre vuol dire scoprire che la fede non me la sono data da solo, ma qualcuno mi ha partorito in essa. Sarebbe interessante che ognuno di voi si domandasse – potreste parlarne ognuno col proprio fidanzato - come siete oggi arrivati alla decisione di chiedere il matrimonio in Chiesa. E' chiaro che è una decisione vostra, però voi avete dovuto incontrare almeno una persona, un nonno, un papà, una mamma, un prete, che vi ha parlato del sacramento del matrimonio, che ve lo ha fatto vedere, che lo ha celebrato, che lo ha vissuto. Voi dovete a quegli incontri il fatto che, in maniera più o meno forte, accettate la fede e volete sposarvi in una chiesa. Voi siete figli della fede. Come una madre può fare tanti sbagli - questo ci tengo moltissimo a dirlo, le madri vanno anche criticate, così sappiamo benissimo che la chiesa ha fatto molti sbagli – ma è importante che, mentre la si critica, insieme la si ami e si riconosca che è da lei che è venuta la vita. La chiesa è la nostra madre, noi non avremmo la fede se non ce l'avesse data la Chiesa. Le critiche vanno benissimo, anche tra marito e moglie. Non bisogna aver paura di dire: “Non sono d'accordo su questo punto concreto”, ma è altrettanto e più importante sapere che c'è una relazione costitutiva. Perché la fede non ce l'abbiamo da soli. Questo punto è un punto molto importante.

Una seconda affermazione che è molto importante, quando si parla della Chiesa, è la consapevolezza che il Concilio Vaticano II ha ripresentato al nostro tempo: la Chiesa è il corpo di Cristo . La visione cristiana della chiesa è questa. La chiesa è fatta anche di uomini, e quindi di uomini che sono anche peccatori, che hanno dei limiti – e fra l'altro è fatta anche da voi peccatori! Non sono solo gli altri, nella Chiesa, ad essere peccatori, ma anch'io lo sono!
La Chiesa non siamo solo io, suor Maddalena, le persone più in vista, ma la Chiesa siete voi; voi vi sposate in chiesa perché siete parte della Chiesa. Ogni battezzato ha il diritto di dire: questa è casa mia, io vengo qui a celebrare il mio matrimonio! E nessun prete si può rifiutare di farlo perché voi non siete degli estranei, è casa vostra. La Chiesa siete anche voi.
Come voi dite, giustamente, che, se quel prete si comporta male, la testimonianza della fede si indebolisce, così noi preti abbiamo il diritto e il dovere di dire che se una famiglia si comporta male, la testimonianza della fede si indebolisce. Noi siamo tutti insieme la Chiesa, quindi tutti quanti insieme, una volta che siamo entrati in chiesa e abbiamo celebrato il matrimonio, accettiamo di dare una testimonianza, e sappiamo che la nostra testimonianza è fondamentale.
Ma c'è una cosa ancora più importante: la Chiesa non è fatta semplicemente da tutti i battezzati - quindi un cristiano che parla con sufficienza della Chiesa sta sputando nel piatto in cui mangia, sta disprezzando il corpo di cui fa parte – ma, soprattutto, la Chiesa è legata a Cristo stesso, perché la Chiesa è una realtà con una dimensione soprannaturale. Proprio San Paolo usa questa immagine fortissima: è come se la Chiesa fosse un unico corpo dove Cristo è il capo - la testa - e noi siamo tutte le sue membra. Lui ha la funzione del capo, noi siamo uniti fra di noi non perché ci siamo scelti, ma perché siamo uniti a Lui. Quando voi la domenica dite nel Credo: “Credo la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica”, voi dite che la Chiesa è santa non solo perché ne fanno parte i santi del cielo, madre Teresa di Calcutta, papa Giovanni, San Francesco, ecc., ma è santa perché c'è Cristo nella Chiesa. Cristo è realmente vivo, perché è risorto. E' Lui che dona lo Spirito Santo in tutti i sacramenti. Pensate: se questo non fosse vero, perché sposarsi in Chiesa? Chi vi dà la forza di Dio, lo Spirito Santo, la grazia? Sebbene il vostro matrimonio possa essere un matrimonio dove c'è un problema, non perfetto, dove i due fidanzati che lo celebrano non sono santi, non sono pienamente risolti, Dio ha scelto di essere presente in quel matrimonio. Il vostro matrimonio non è mai un fatto solo naturale, umano, solo fisico, ma lo Spirito Santo, cioè Dio stesso, ha scelto di abitare nella vostra casa. Questa è una grande grazia: sapere che qualsiasi gesto voi fate, Dio, in qualche modo, ne è coinvolto. Anche nelle cose che sembrano assolutamente laiche, come dormire, per esempio. A me piace molto pensare che quando si dorme, se io sono nel sacramento, Dio è presente vicino a me. Dormire è un atto in cui Dio è presente, Dio vuole che ci riposiamo. Chi non si riposa poi, non riesce ad amare bene! La Chiesa non siamo solo noi che dormiamo, noi che facciamo il caffè, noi che andiamo a lavorare, che facciamo nascere un bambino, ma è Cristo che è legato a noi e che è presente.

Il cristianesimo cade se cade una di queste due affermazioni fondamentali:
-in primo luogo, veramente Cristo si è incarnato nella storia di Gesù. Se il vangelo mente, se Gesù non è veramente il Figlio di Dio, se non ha fatto veramente l'ultima cena, se non è veramente morto in croce, se non è risorto, il Vangelo non ha senso.
-in secondo luogo, se Cristo è risorto, ma non continua a fare oggi quello che ha fatto allora, tutto ciò non serve a niente. E' la realtà della Chiesa e dei sacramenti, come opera di Dio.

La messa non è semplicemente il fatto che noi vogliamo incontrare Cristo, ma è, innanzitutto, il fatto che Cristo vuole incontrare noi. Nella teologia si dice che il principale celebrante della messa non è il prete, ma Cristo stesso. E' Cristo che dice: “Io voglio dare il mio corpo a questo popolo”. Per questo noi siamo invitati alla mensa. Le persone sbagliano quando pensano che la messa la fanno loro. La messa la apparecchia Lui. Gesù ci invita a venire a cena ogni domenica. E' Cristo che ti dice di venire, non il prete, la suora o il laico. Notate: questo è meraviglioso, se no il prete sarebbe un mago che dice delle formule che hanno una energia magica. Il prete è un servo di Cristo ed è il Cristo che vuole essere presente. Allora tutti i sacramenti nascono dalla libera decisione di Dio e di Cristo di santificare quel momento. E' chiaro che poi siamo anche noi a volere che Cristo lo faccia. Ma se tu dicessi: “Io mi voglio sposare con questa persona nella grazia di Dio”, questo non basterebbe, se Dio non fosse contento di essere presente nel tuo matrimonio. Senza il sacramento, voi potreste chiederlo, ma Lui non essere con voi. Ecco che, allora, nel sacramento comprendiamo la realtà divina e non solo umana della Chiesa. Nel matrimonio veramente discende lo Spirito Santo su di voi. Lo Spirito Santo è contento di discendere su di voi! In qualsiasi unione sacramentale vera - non in quelle nulle, chiaramente. Ma se il vostro desiderio è libero, fedele, sincero, indissolubile e disposto alla paternità, lo Spirito Santo è contento di venire. Lo Spirito non è una cosa, è una persona. Quindi è nella sua libera decisione la forza del sacramento.
Quando si battezza un bambino, non sono solo i genitori che lo vogliono, è Dio che vuole che quello sia suo figlio. Se Dio non ci fosse, se non fosse vera l'incarnazione o se Dio oggi non volesse essere Padre – ecco di nuovo i due elementi portanti del cristianesimo, ciò che Dio ha fatto nel passato e ciò che oggi compie - noi faremmo una recita, una bella recita, commovente. Ma non avverrebbe niente.
Sono come due pilastri: c'è l'oggettività - la verità della storia che si è svolta 2000 anni fa - ma c'è anche l'opera di Dio che si rinnova oggi. Se Cristo non è risorto, i sacramenti non hanno senso. Se i sacramenti non sono veri, Cristo è morto e risorto invano. Molti pensano che per essere cristiani basta esser convinti che Gesù sia un grande maestro, uno che ha detto delle cose molto belle, anche se poi ora è morto e sepolto. Allora cosa sarebbe un sacramento? Un sacramento non ti darebbe niente. Se Cristo non è risorto, non può fare niente. E' morto. Invece la fede cristiana dice che Gesù è vivo, per essere presente con te.

(domanda di un partecipante al corso sul rapporto tra il cristianesimo e le altre religioni)

La Chiesa, non solo quella di oggi, ma da sempre, ha affermato che l'opera dello Spirito Santo è più ampia della storia della Chiesa, proprio perché Dio è anche il creatore.
Pensate - questa è un'affermazione grandissima della fede cattolica - lo Spirito Santo non comincia ad esistere quando viene donato da Gesù, ma è già all'opera quando si crea il mondo, perché lo Spirito è una delle tre persone della Trinità. Allora la Chiesa ha sempre riconosciuto che esiste una presenza dello Spirito più ampia dei confini della chiesa visibile.
La Chiesa riconosce che si può salvare uno che non è cristiano, mentre in altre religioni, per esempio nella dottrina ufficiale dell'islam o nei testimoni di Geova è diverso, poiché se non sei di quella fede non ti salvi.

Il matrimonio esiste prima del cristianesimo; la teologia cattolica dice che è “naturale”, nel senso che fa parte dell'opera creativa di Dio. E' per questo che, di per sé, può sposarsi in Chiesa con un cattolico anche un non credente od una persona di un'altra religione, purché creda quello che la Chiesa crede del matrimonio: la fedeltà, l'indissolubilità, la fecondità. Infatti, tutto questo non è vero solo da Gesù Cristo in poi, ma noi cristiani siamo convinti sia proprio già della creazione e della natura umana.

Ma c'è anche un'altra affermazione complementare: la chiesa dice che lo Spirito si manifesta nella sua pienezza in Cristo, perché lo Spirito è lo Spirito di Cristo. Lo Spirito spinge il mondo a diventare cristiani. Nell'eternità, nella vita eterna, nel paradiso, non si potrà essere atei. La chiesa nega queste confusioni, questi sincretismi, come se essere atei, cristiani o musulmani sia la stessa cosa. Sebbene un musulmano si possa salvare, è evidente che, nel paradiso, uno dovrà, per forza, riconoscere Cristo. Se lo ha rifiutato in vita e sarà salvato proprio per la croce di Cristo, dovrà dire di essere stato uno stupido, perché Cristo sarà lì. Non c'è una vita eterna senza Cristo, non esiste. Una vita eterna senza Cristo è l'inferno! Quindi lo Spirito Santo spinge l'uomo ad incontrare il Cristo. Potremmo dire che per noi “spirituale” vuol dire semplicemente “cristiano”, proprio perché lo Spirito è Colui che permette di vivere in Cristo. Però la sua opera è, comunque, più grande della Chiesa. Esistono dei germi di verità – la teologia antica li chiamava i semina Verbi - dei frammenti che sono stati e sono presenti anche in culture diverse da quella cristiana.
Sono discorsi enormi che facciamo in pochi minuti! Ecco che il cattolicesimo rifiuta sia l'integralismo (se non sei dentro, niente di ciò che fai e pensi ha alcun valore), sia un sincretismo pluralista (tutto è uguale, ognuno la pensi come vuole, tanto essere cristiani o meno non conta niente e le varie posizioni religiose in fondo si equivalgono, senza che nessuna possa pretendere la verità).

(domande varie sui sacramenti)

Sapete che esiste un sacramento che è l'unzione degli infermi. Molti la chiamano l'estrema unzione, perché, per un modo tradizionale di parlare, collegano questo sacramento con la morte, ma questa è una stupidaggine. In realtà è un sacramento che va dato nella malattia. Quando uno sta per morire la chiesa, piuttosto, dona il viatico, cioè la comunione. L'unzione degli infermi è il segno che Dio che è presente nella nostra malattia. Non che Lui la voglia, ma è presente perché noi possiamo vivere la malattia non come un tempo perso, ma in modo che anche la malattia diventi una testimonianza dell'amore di Dio. La Chiesa riconosce che la malattia non è un tempo senza Dio. L'unzione degli infermi si può avere più volte. Nei diversi momenti della malattia. La Chiesa ha coscienza che la vita non è solo malattia, ma non è nemmeno solo sanità. Noi vivremo situazioni diversissime nella vita. Per questo nella formula del matrimonio direte: “Prometto di amarti sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia”. Chi dice che Dio è più vicino nella sofferenza sbaglia. Non esiste un primato della malattia. Si offre a Dio tutta la vita, non solo i momenti di sofferenza. Come Dio è presente nel sacramento della gioia, il matrimonio, così Dio è presente nel sacramento che sostiene l'uomo nella malattia.

A cosa serve, invece, la Cresima? Cosa aggiunge a chi è già battezzato? Lo Spirito Santo è presente in tutti i sacramenti. Con il battesimo si riceve lo Spirito Santo. Nel battesimo l'unico Spirito ci rende figli di Dio, fa sì che noi siamo amati come figli, che noi abbiamo la vita divina, che noi abbiamo la vita stessa di Cristo. Nella cresima lo Spirito Santo ci dà la forza di essere fieri di questo essere figli, al punto da poterlo raccontare agli altri, ci dà la forza per essere testimoni di Cristo. La vita di fede è una cosa che cresce come l'amore. Ecco perché lo stesso Spirito è dato più volte. Non lo comprenderemmo questo, se la vita fosse una cosa statica, immobile. Noi già siamo qualcosa, ma la cresima lo accresce, lo rafforza, lo rende nuovo. La Chiesa, con la cresima, ti aiuta a capire che tu partecipi della testimonianza della fede, che tu sei costituito testimone, e ti dà la grazia per questo. I vostri amici, i vostri figli, avranno più o meno difficoltà a credere, a seconda della vostra testimonianza cristiana.

A cosa serve la comunione? Se voi notate ci sono dei sacramenti che si fanno una volta per sempre (il battesimo, la cresima), che non si possono ripetere. Altri sacramenti, come la comunione, si possono ricevere più volte, anzi è un comando partecipare almeno alla messa domenicale e quindi all'eucarestia. Per nutrire e rinnovare la fede. Si può fare un parallelo con il nascere ed il crescere e il mangiare: si nasce una sola volta, ma per rimanere in vita bisogna mangiare tutti i giorni. Il fatto che voi siete vivi non vuol dire che avete la vita nel congelatore per sempre. Dio ha fatto la vita in maniera tale che, una volta ricevuta in dono, deve essere curata curata. Bisogna mangiare e dormire. Dio ha fatto la vita in modo che ci ricordiamo ogni giorno che la vita non ce l'abbiamo come un possesso, ma come un regalo continuo. Ogni volta che mangio, mi accorgo che la vita mi viene data, non è mia automaticamente, per forza. Se la lascio lì e non la curo, la mia vita muore. La comunione manifesta la stessa realtà nella vita spirituale: la vita che mi è stata data, nel battesimo, come figlio di Dio, ce l'ho per sempre, non mi può essere tolta, ma la devo nutrire, la devo curare. E non posso smettere di farlo. Altrimenti è come se non mangio, dopo un po' muoio. Nell'ultima cena Gesù ha istituito l'eucarestia perché noi avessimo sempre questo nutrimento costante. Questo spiega anche perché è fondamentale andare a messa tutte le domeniche. Sapete che la Chiesa non ha mai smesso di dire che chi non va la domenica a messa compie “peccato mortale”. In questa espressione l'accento non è, come alcuni capiscono, sul fatto che Dio ti dà la morte come punizione, se non vivi la domenica cristiana. La Chiesa ti annuncia piuttosto che la morte entra in te, senza la ricchezza del nutrimento della messa domenicale. Dio vuole evitarti la morte, ma essa entra pian piano in te, ti impoverisce. Proprio come se trascuri di mangiare bene, di bere e di dormire, per riacquistare ogni giorno di nuovo le forze!!!
Ed il nutrimento dell'eucarestia non è solo nel momento della comunione. La chiesa, nella sua tradizione, ha capito che anche ascoltare la parola di Dio ci nutre. Anche cantare i canti liturgici, anche pregare con la preghiera dei fedeli e così via. Ma, anche qui, poiché è un sacramento, c'è sempre un elemento esterno, reale, oggettivo, non solo pensato, attraverso il quale la chiesa ci nutre.
Don Francesco a volte ha usato un'espressione forte: se voi non andate a messa, il vostro matrimonio è spacciato! Che cosa intende dire? Il fatto di pregare insieme, di ascoltare la stessa parola, aiuta le persone a condividere la fede, diventa un nutrimento, è un aiuto, un cibo che vi viene dato. Può l'amore vivere e crescere senza questo?
Una volta una persona mi ha fatto questa confessione: “Non ho mai avuto il coraggio di chiedere a mio marito di dire una preghiera insieme, prima di addormentarci. Mi sentirei più nuda, facendo questa domanda, di quando facciamo l'amore! Ma, per fortuna, c'è la messa. Andiamo sempre insieme io e lui. Diviene così il momento della nostra preghiera comune, del nostro dire insieme il Padre nostro, del nostro ascoltare lo stesso vangelo”.
Certo voi potrete anche pregare insieme in tanti momenti familiari, ma l'eucarestia vi aiuta in questo. Appena vi volete bene e, ancor più, non appena avete un bambino, subito vi accorgete come è banale l'affermazione: “Io prego quando sto da solo, anzi, meno gente c'è, più riesco a pregare”. Se così fosse, voi non potreste mai condividere la fede. Essa resterebbe sempre fuori dal vostro rapporto. E non riuscireste a trasmetterla ai vostri bambini. Invece la fede cristiana viene celebrata, è pubblica, e proprio questo vi aiuta a condividerla! Quante volte questa “buona abitudine” permette di riaprire un discorso con il coniuge, di pensare, prima di fare una sciocchezza e così via! Vedete come anche il vostro venire qui, vi sta aiutando a parlare tra di voi. Più volte mi avete detto che, uscendo da qui, parlate a lungo delle cose dette al corso. E' un elemento esterno, è un corso pensato dalla chiesa per voi, ma che vi nutre e vi stimola.
Almeno nella stessa messa, marito e moglie pregano insieme. L'eucarestia aiuta a pregare, a nutrirsi insieme. E questo è importante, è il momento in cui si condivide la fede.

La confessione: sarebbe un regalo bellissimo da fare a voi stessi e l'uno all'altro, se prima di sposarvi voi vi confessaste. A volte uno fa un sacco di resistenze perché si vergogna - tutti quanti ci vergogniamo - però guardate che è una cosa bellissima, dopo, è realmente un momento di grazia.

Vediamo ora ancora un ultimo tema, ma importantissimo: perché il matrimonio è indissolubile? Potremmo dire che è l' “argomento” del corso. Tutto il cammino fatto in queste settimane ci ha permesso di arrivare fin qui. Provate a spiegare voi, come se ve lo chiedesse un amico: perché il matrimonio è indissolubile?

( varie risposte)

L'indissolubilità del matrimonio non è una cosa inventata dalla Chiesa, ma è basata sull'oggettività della volontà di Cristo. All'epoca di Gesù c'erano due rabbini che avevano posizioni diverse, uno era più lassista e l'altro più rigido, in tema di divorzio. Possediamo i loro testi. Si chiamavano Hillel e Shammai. Shammai diceva che l'uomo – era sempre e solo il maschio che poteva chiedere il divorzio, mai la donna – poteva divorziare dalla moglie se la trovava in flagrante adulterio. Hillel diceva, invece, che si poteva divorziare anche se la donna cucinava male, se aveva bruciato l'arrosto. Entrambi commentavano due parole del libro del Deuteronomio dove si usa l'espressione “cosa riprovevole”. “Puoi divorziare se trovi che tua moglie ha commesso una cosa riprovevole” e queste che vi ho detto sono le loro interpretazioni. Hillel e Shammai erano contemporanei di Gesù. E' assolutamente falsa l'affermazione di chi dice che ora i tempi sono cambiati e che ai tempi di Gesù non c'erano i problemi che ci sono oggi. No, è proprio la volontà di Gesù che il matrimonio sia per sempre. “L'uomo non separi ciò che Dio ha unito”. Quando uno dice: “Io non sono d'accordo con la chiesa sul tema del divorzio”, dovrebbe piuttosto dire: “Io non sono d'accordo con Cristo”, perché la Chiesa non fa che ripetere la volontà di Cristo su questo punto!
Ma, detto questo, la domanda resta lo stesso aperta. Perché Cristo ha voluto che il matrimonio sia indissolubile? Qual'è il motivo di questo?
Cosa rispondete a chi pensa che l'indissolubilità sia un'assurdità dei cristiani?

(altre risposte e domande; fra l'altro, nella confusione generale delle risposte, la domanda: se un coniuge viene abbandonato dall'altro, si può risposare?)

No l'indissolubilità è proprio questa. Che io non smetterò di cercare l'altro e di volere il suo amore. Ma dobbiamo capire perché, che senso ha questo. L'annuncio della Chiesa è che, sebbene chi viene abbandonato è molto meno colpevole di chi abbandona, il matrimonio continua ad esistere e questo è manifestato dall'amore della persona ferita che, invece, continua ad amare. Il matrimonio è veramente rotto totalmente, come segno, quando anche l'altra persona non attende più l'altro. Il nostro tempo tende, appena c'è un problema, a dire: “Rifatti una vita!” C'è sempre qualcuno vicino che ti dice questo! La Chiesa ritiene che esista, per quanto sia doloroso, per quanto sia difficile da portare come una grande ferita - essere traditi è una delle più grosse ferite che si possano avere nella vita, la nostra coscienza sa che è una cosa terribile rompere un matrimonio – la possibilità che la persona non amata, possa continuare ad amare.
Se uno mi tradisce, ed io mi rifaccio una vita… questo impedisce la testimonianza del fatto che in realtà io, pur essendo stato profondamente ferito, non ho smesso di amare, di voler perdonare, di attendere.
Vi faccio un esempio di una storia vera che mi ha raccontato una donna, fra le lacrime. Suo marito, mentre il passare degli anni lasciava intravedere l'età della moglie sul suo corpo, con le rughe ed il seno cadente che si manifestavano, si è invaghito di una persona molto più giovane - è chiaro che una giovane è fisicamente più interessante di una di una certa età e, se l'amore si basa sull'aspetto fisico, è chiaro che con il passare del tempo siamo tutti a rischio. Dopo un po' lui se ne è andato con la più giovane. La cosa straordinaria è che lei, pur essendo stata malissimo, è rimasta lì a pregare per lui, a cercare di curare bene i figli, a non portargli rancore, ad attenderlo. Non ha voluto “rifarsi una vita”. Dopo un po' di anni lui, tragicamente, si è ammalato di tumore e, man mano che la malattia avanzava, la seconda donna lo ha abbandonato. La vera moglie pian piano si è riavvicinata e di fatto è stata poi l'unica che gli è stata vicino nella malattia, fino alla morte. Mi ha detto, piangendo: “Veramente lo piango come mio marito! Siamo stati marito e moglie in questa malattia, fino alla fine”. Per me è stata una testimonianza bellissima. La sua fedeltà l'ha portata realmente ad un amore molto grande, molto bello. Lui alla fine l'ha amata veramente, ha compreso veramente cosa fosse l'amore.

Ma non avete ancora risposto alla domanda centrale: perché è indissolubile il matrimonio? Qual è il senso e la bellezza di questo?
Secondo la proposta della Chiesa di Cristo la risposta è proprio “elementare” ed oggi è ancora più bella perché è di questa elementarità che tanti hanno proprio bisogno. Il matrimonio è indissolubile, perché l'amore degli sposi, se non è indissolubile, non è amore! Paradossalmente noi cerchiamo di dimostrare una cosa che è evidente. Sebbene tutti si divertano a dir male di questa realtà – “voi cristiani, che credete ancora a queste cose!”, “il matrimonio è la tomba dell'amore”, ecc, ecc. – non si rendono conto di cosa dicono!
Pensate cosa sarebbe la vita se l'amore fosse dissolubile? Cosa vorrebbe dire? Che nessuno di voi si può fidare dell'altro! Se l'uomo cancellasse l'indissolubilità, vorrebbe dire che voi non credete nell'altro. Cadrebbero le promesse ed il loro fondamento: la fiducia! L'amore indissolubile è la fiducia: io so che tu domani mi amerai. Non lo posso provare con la matematica, però conoscendoti, non mi fido solo di me, ma confido in te. Il mistero dell'amore è una fiducia nell'altro: io ti credo, tu mi ami veramente, tu non mi farai del male! Ma l'amore indissolubile è anche la fiducia in me stesso: se io adesso ti amo e domani ti faccio del male, cosa vuol dire che ti amo? Guardate che se crolla l'indissolubilità dell'amore crolla il senso stesso della vita... per questo la Chiesa ci tiene così tanto. Vuol dire che io non credo più che sia possibile amare. In realtà, se così fosse, non credo più che l'altro mi ama, fingo solo che sia vero.

E questo non è minimamente intaccato dal fatto che qualcuno non ci riesca! L'amore o è indissolubile o non è amore, punto e basta. Mi è capitato più volte di controbattere a chi diceva nel giuramento matrimoniale: “Non credo che il matrimonio sia indissolubile, ma io amo talmente lei che farò di tutto perché il nostro lo sia”. Non sono per niente d'accordo! E' perché il matrimonio è indissolubile, che io posso decidere di fare di tutto perché anche il mio lo sia. E la realtà del matrimonio sarà indissolubile, anche se io non dovessi riuscirci! Maledizione del nostro tempo, quella di partire dai singoli casi e di non porre mai la questione della verità, che viene prima e dà un senso alla mia scelta personale. E' proprio questo partire sempre dal singolo caso e mai dal valore che rende talvolta impossibile un serio confronto fra generazioni, una seria possibilità di aiutare a vedere chiaro, che rende incapaci di un confronto!

Vedete, al cuore dell'amore c'è una verità straordinaria: non è che l'altro mi ama, perché io sono amabile. Sembra sottile, ma è profondissima la differenza. Se io spiegassi l'amore, se io dicessi che sono tale che l'altro non può non amarmi, lo avrei già distrutto. Perché l'amore è un atto sommamente libero. Un grandissimo teologo, von Balthasar, lo chiama “miracolo” - lo abbiamo già visto - proprio perché l'amore è talmente libero da non essere riducibile ad una spiegazione (e, come abbiamo visto, non nel senso che è una emozione, una passione!). Certo per aver scelto te fra mille donne, fra mille uomini, tu sei particolare; ma, ad una lettura più profonda, non è qui il motivo. Io ti amo perché ho deciso di amarti e questa mia scelta eccede, è più grande di quanto tu meriti, così come l'amore che io ricevo da te è più grande di quanto io meriti!
Il mistero dell'amore è che tu dici grazie all'altro, perché l'altro non è obbligato ad amarti. L'altro ti ama perché ti ama. E' un gesto libero! Sono due gesti liberi che si incontrano. Abbiamo già visto che chi non dice grazie, chi non è stupito della grandezza di ciò che fa l'altro per noi, non sta amando! E' solo un egocentrico che riduce tutto il mondo a sé.
Ma se in realtà nessuno dei due crede né a se stesso, né all'altro, se non crede che amerà con il cambiare del tempo, delle situazioni, del corpo, anche nella presenza del male… E se non crede che sarà amato, nonostante la rivelazione di tutti i limiti ed i peccati, ecco che l'amore è ridotto nuovamente solo a me stesso. Sono io che lo devo tenere vivo, che devo sempre sedurre, conquistare, ma mai mi fiderò dell'altro e l'altro mai si fiderà di me. Ogni limite, ogni vecchiaia, ogni peccato, cambiando ciò che io “vendo” e “compro”, renderà tutto sempre precario!
Vedete che se l'amore non è indissolubile, l'uomo è un disperato. Ridere dell'indissolubilità vuol dire ridere della vita. Vuol dire aver perso ogni speranza. Si presterà un po' di vita, un po' di tempo, ma non si crederà più né in sé, né nell'altro.
Io non ti amo, perché non fai degli sbagli – pensare questo è un errore gravissimo - io non ti amo perché sei la persona giusta. E' chiaro che non sposo una persona qualsiasi, è chiaro che devi essere una persona particolare per me, buono, intelligente, generoso… Però non è che io ti amo perché tu sei così e basta; e poi se tu cambi, io non ti amo più. Perché allora non sono io che amo te, sono io che ho scelto un buon oggetto sul mercato e appena l'oggetto cambia lo butto via e ne prendo un altro.
Il sacramento ti aiuta in questo, ti dice che non sei solo. Tu sai che se il matrimonio fosse dissolubile tu saresti disperato, saresti un accattone di amore, saresti uno che non ha mai amato veramente, ma ha commerciato e stai pensando l'altro come un commerciante. Ma la forza di capire che questa cosa è bella, è giusta ed è l'unica, viene da Dio che ti aiuta a capirlo!

Dio ti fa capire la bellezza di tutto questo. Veramente è un tesoro così prezioso. E Lui ti dà la forza, se ti affidi a Lui, se ti fidi. Tu abbi pazienza, anche nella difficoltà parlane, fatti aiutare e la grazia di Dio ti sostiene. Il matrimonio è il senso ma è anche l'aiuto. Realmente Dio dice: “Vai tranquillo ti aiuto io!” Il sacramento conferisce una grazia che è più grande delle nostre forze. Non è perché noi siamo maturi psicologicamente, che tutto va bene – anche se dobbiamo fare di tutto per essere sani, nel corpo e nella testa! – ma la grazia, la presenza di Dio viene in nostro aiuto. Il sacramento conferisce la grazia, viene in aiuto alla debolezza dell'uomo. E' proprio nella coscienza della nostra debolezza che noi invochiamo la presenza di Dio nel sacramento.
A me piace molto paragonare l'indissolubilità dell'amore tra l'uomo e la donna a quella tra i genitori e i figli. Pensate cosa vuol dire quando un genitore dice ad un figlio (o non lo dice, ma lo lascia intendere): “Io ti amo, ma non so se ti amerò domani”. Alcuni genitori lanciano questo tipo di messaggio: se tu non fai quello che io penso sia meglio per te, io non ti amo più! In realtà l'amore di un genitore deve essere un amore indissolubile - poi purtroppo a volte non è così. E anche l'amore del figlio per un genitore - il che non vuol dire che il figlio condivida per forza tutto quello che fa o dice un genitore. La Bibbia dice: anche se tuo padre perdesse il senno - per esempio quando si diventa anziani - tu compatiscilo, ti ha dato la vita!
Noi siamo talmente fatti a immagine di questo amore che realmente un amore di un padre per un figlio che sia un amore condizionato, che sia un amore dissolubile, noi non lo chiamiamo più amore.

Infine: se Dio dice una cosa, se ci dà delle “regole”, lo fa per il nostro bene, perché noi impariamo a conoscere meglio la vita e a viverla. Il primo amore che è indissolubile non è tanto quello di una coppia qualsiasi, ma è innanzi tutto quello di Cristo per l'uomo e per la Chiesa. E' il suo amore che è così, che è indissolubile. Pensate se Dio ci trattasse secondo il consiglio di chi gli dice: “Quell'uomo ti ha tradito, non viene in chiesa la domenica, ha bestemmiato, ha peccato… tu, Dio, rifatti una vita con un altro, smetti di amarlo!” Il cristianesimo è segnato da questa consapevolezza profonda, di enorme portata e dalle incalcolabili conseguenze: noi viviamo al cospetto di un Dio che ama chi è peccatore. Cristo ama non amato. Pensate appunto a quando noi gli voltiamo le spalle con il peccato, l'infedeltà, l'indifferenza verso di Lui, la mancanza di carità. S.Agostino era colpito proprio da questa realtà. Si domandava: ma come è possibile che Cristo non sia amato? Una domanda bruciante! Noi andiamo in crisi se qualcuno non ci guarda, non ci apprezza, non ci stima, ma cosa pensare di chi non muove un passo dinanzi al pensiero dell'amore di Cristo per noi, dinanzi al mistero della croce vissuta per i nostri peccati? E' proprio dinanzi al non amore dell'uomo che si manifesta la realtà dell'amore divino della croce e della resurrezione di Cristo. E' il suo amore che non si tira indietro, che non si raffredda. Ecco che il matrimonio è ad immagine dell'amore di Cristo per l'uomo, per la Chiesa. Ecco che è “segno”. Proprio per la sua indissolubilità, ci parla dell'amore di Cristo per l'uomo, di quell'amore che non si arrende al peccato.

Preparare la liturgia del matrimonio

Nel nono incontro – spesso a metà del cammino – viene illustrata la liturgia del matrimonio. L'incontro non avviene nel consueto orario serale, ma la domenica, con la partecipazione di tutti i fidanzati all'eucarestia domenicale e con il pranzo o la cena in comune. In questa occasione viene distribuita la lettera sulla celebrazione del matrimonio che potete leggere, sempre sul sito www.gliscritti.it, alla sezione Lettere.
Fra gli altri temi che vengono talvolta affrontati, nel corso degli incontri, quello dei “segni” che Dio da per comprendere la vocazione al matrimonio (vedi su questo, sempre nel nostro sito, alla sezione Approfondimenti, il commento a Genesi 24, Isacco che trova la moglie “giusta”) e quello della ricapitolazione della propria storia familiare con tutte le sue ferite e le sue gioie (vedi, sempre nella sezione Approfondimenti, i due commenti alla storia di Giuseppe ed i suoi fratelli, nel libro della Genesi).


Note

[Nota 1] Un brano ulteriormente esplicativo sul senso del “rispetto” è a disposizione nella sezione Antologia di Testi, alla voce “Responsabilità e rispetto”, sul nostro sito www.gliscritti.it

[Nota 2] Un commento al bellissimo Diario di un dolore, lo scritto autobiografico in cui C.S.Lewis descrive i suoi sentimenti alla morte della moglie, è disponibile on-line alla sezione Approfondimenti del nostro sito www.gliscritti.it con il titolo Letture da Diario di un dolore.

[Nota 3] Il teologo H.U.von Balthasar lo chiama il “miracolo” dell'amore. Lo splendido testo in cui cercando di descrivere come la rivelazione di Dio non sia deducibile dalla vita umana ma possa solo essere accolta come un evento che ci raggiunge è a disposizione nella sezione Antologia di Testi, alla voce “Credibilità del cristianesimo”, sul nostro sito www.gliscritti.it

[Nota 4] Partecipano come animatori del corso, oltre al sacerdote, una suora e tre coppie di differente età: due giovani appena sposati, due sposati da circa 10 anni e due che sono sposati, appunto, da 49 anni.

[Nota 5] Giovanni Paolo II, discorso al Parlamento Italiano del 14 novembre 2002.

[Nota 6] Per un approfondimento del tema vedi i testi del prof. Alessandro Olivieri Pennesi presenti nella sezione Approfondimenti:
Sette e New Age
Gesu' Cristo e il New Age, la nuova era
Sai Baba


[Approfondimenti]