S.Teresa di Lisieux


Indice


L’Arca e Teresa
di Jean Vanier

Conferenza di Jean Vanier, tenuta al Colloquio Internazionale di Lisieux nel settembre 1996 (traduzione di Marta Silli, dall’originale francese, per il Centro Culturale L’Areopago)

Vorrei iniziare raccontando una piccola storia. Qualche anno fa ero a Calcutta per visitare la nostra comunità dell’Arca nella quale abbiamo accolto alcuni uomini con un handicap mentale. Ero alloggiato per la notte in una piccola camera in fondo al giardino, un po’ separata dalla casa. Ero solo. Nel bel mezzo della notte ho sentito dei rumori in giardino. Ho guardato attraverso la finestra e ho visto due uomini con delle sbarre di ferro. Non mi sentivo molto al sicuro. Mi dicevo che poteva essere che i due uomini cercassero del denaro e che sapessero che io ero là, da solo, lontano dalla casa. Più tardi ho scoperto che stavano rubando delle sbarre di ferro nel cimitero a fianco! In un momento, quando mi sono accorto di poterlo fare, sono uscito dalla mia camera e sono fuggito in strada. Erano circa le quattro del mattino. Mi sono diretto verso la cappella delle suore di Madre Teresa, poiché sapevo che là sarebbe stata celebrata l’eucarestia alle cinque. Ma mi sono perso per le vie di Calcutta. Era ancora notte e c’era tanta gente, delle intere famiglie che dormivano sui marciapiedi. Finalmente mi sono trovato davanti ad una chiesa. Sono entrato. Un prete diceva la messa in bengali ed era tutto solo. Io non capivo niente, ma al momento della consacrazione del pane e del vino nel corpo e sangue di Gesù, ho avuto voglia di piangere, dicendo grazie a Gesù di essersi fatto crocifiggere. C’è qualcosa di intollerabile per me nell’idea di un Dio là in alto, lontano da tutta questa sofferenza umana! Volevo dire grazie a Gesù per essere stato così debole e così piccolo e di averci preceduti sul cammino della sofferenza e della povertà.

Oggi vorrei dire grazie anche a Teresa. Curiosamente io non la vedo come una grande santa. La vedo come povera, allo stesso tempo molto bella e molto fragile e angosciata. Da questa sua debolezza è scaturita la fiducia. Per me è qui il mistero e la bellezza di Teresa. Ed io l’amo come povera ed ho bisogno di lei come povera.

Un abisso sembra separare Teresa dagli uomini e dalle donne con un handicap mentale con i quali ho il privilegio di dividere la mia vita all’Arca. Teresa è fine, audace. E questo dall’età di 18 mesi! Fin dalla sua prima infanzia è stata vezzeggiata, amata, ammirata. Teresa ha un’intelligenza perspicace e utilizza le parole con finezza, trovando sempre la parola giusta.

Teresa all'eta' di 8 anni, nel 1881

Teresa all'età di 8 anni, nel 1881. Particolare di una foto in cui Teresa tiene in mano una corda per saltare ed ha al fianco sua sorella Céline.

Le persone accolte all’Arca sono, al contrario, ferite nel cuore e nell’intelligenza; non sono mai state ammirate, hanno rappresentato una delusione per i loro genitori. Molte di loro non sono mai state neanche amate o accolte. Queste persone sono state portate, lontano dalle loro famiglie, in un istituto o in un ospedale psichiatrico. Spesso si esprimono con difficoltà e raramente trovano la parola giusta.

Tuttavia se si esamina più da vicino la vita di Teresa, si scopre una ragazza fragile e sensibile, molto vicina all’angoscia. Ha vissuto una forma di abbandono quando è stata mandata in un collegio ed affidata ad una nutrice. Poi, in seguito alla morte della madre e alla scelta del Carmelo fatta da colei che Teresa chiamava la sua seconda mamma, la sorella Pauline, l’angoscia ha raggiunto un tale grado di intensità che Teresa è sprofondata in quella che ci appare come una forma di psicosi. Teresa si è sentita in un’insicurezza spaventosa. Molte persone con le quali vivo hanno conosciuto delle situazioni simili. E voi sapete che, prima di essere una malattia, la psicosi è una protezione contro l’angoscia, un’angoscia che può diventare così forte che la persona ne muore. Teresa è stata guarita grazie al sorriso di Maria, una visione allo stesso tempo interiore e visibile che le ha rivelato in modo spirituale e sensibile, quanto ella fosse amata dalla sua mamma celeste e come, lungi dall’essere abbandonata, ella fosse vezzeggiata in maniera speciale dalla Madre di Dio.

La camera del miracolo

La camera del miracolo del "sorriso della Madonna", nel quale Teresa trovò pace dopo la morte della madre.

Questa rivelazione l’ha guarita. Durante l’ultimo anno di vita Teresa ha nuovamente vissuto delle angosce estreme, ma questa volta aveva la forza, grazie a un dono speciale di Gesù, di viverle senza fermarvisi. Teresa ha potuto viverle in unione con l’agonia di Gesù come un mistero di offerta.

D’altra parte Teresa ha tanto sofferto della malattia del suo "amato re", come lei chiamava il suo papà. Mi sono commosso quando ho letto l’ultimo colloquio di quest’uomo così povero e così bello con le sue tre figlie carmelitane. Con le lacrime nella voce, disse loro alzando il dito: "Nel cielo!". Teresa era a quel tempo familiare con la sofferenza. Ed io la sento vicina a coloro che accogliamo. I poveri hanno bisogno di lei. Leggendo la sua autobiografia, le sue poesie, vedo che ci sono molte somiglianze tra lei ed il mio popolo.

Teresa, come il mio popolo, aveva un bisogno estremo di amare e di essere amata. Era qualcosa che scaturiva dalla sua intimità più profonda. E lei sapeva che non c’era che Gesù solo che potesse donarle tutto l’amore di cui aveva bisogno.

La seconda somiglianza, è costituita dalla sua grande semplicità. C’è una grandissima semplicità nella vita di Teresa. C’è una grande libertà in lei. Le persone con un handicap mentale sono meravigliosamente semplici e libere. Nessuna sovrastruttura. Una volta siamo andati in pellegrinaggio a Roma e siamo stati ricevuti in udienza privata dal Papa Giovanni Paolo II. Fabio, un giovane accolto nell’Arca a Roma, è andato a sedersi sul seggio papale, mentre noi ascoltavamo il Papa che ci parlava! Trovava tutto ciò normale! Ci sono delle persone nell’entourage del pontefice che non hanno trovato ciò normale! Nessuno di noi avrebbe osato sedersi sul seggio pontificio! Il nostro popolo è libero dalle convenzioni. Guarda la persona. Il rango, la posizione, la funzione non contano. In un’altra occasione a Roma, Giacomo dell’Arca di Parigi ha accolto il Cardinale Pironio abbracciandolo e dicendogli: "Cardinale, siete splendido!". Io non avrei mai osato dire questa cosa!

Anche Teresa è incredibilmente libera. La libertà di Teresa è una libertà dell’amore. La sua folle passione d’amore per Gesù le dà una audacia al limite della follia riguardo a Gesù. E lei vuole prendere le parole di Gesù veramente alla lettera. Nessun compromesso! Teresa segue il suo cuore. Vuole il Vangelo in ciò che ha di più intimo, di più puro e di più vero. Vuole prendere le parole di Gesù nel loro significato più intimo e più importante. Teresa amava queste parole: "Se qualcuno vuol venire a me, si faccia piccolo".

Per Teresa Gesù è tutto; lei non è niente. Citava questo testo di Isaia del quale aveva una traduzione particolare: "Come una madre carezza il suo bambino, così io vi consolo" (Is 66, 13). E ancora: "Vi porterò sul mio seno e vi carezzerò sulle mie ginocchia" (Is 66, 12). Ella ha fiducia in quelle parole del Vangelo dove Gesù dice: "Benedetto sei tu Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli" (Lc 10, 21).
Teresa ha capito che bisogna diventare piccoli. Diventare piccoli. Non sono solo parole per Teresa. Questo significava per lei entrare nella sua grande fragilità, una grande povertà nella quale talvolta non si sa cosa fare. Voi conoscete la prima beatitudine, quella della povertà in spirito: "Felice, beato sei tu se vivi l’insicurezza". Teresa è penetrata in una povertà crescente.

Amo molto quel testo in cui, nella sinagoga di Nazareth, Gesù prende il libro di Isaia e annuncia la sua missione: "Lo spirito del Signore è su di me, perché mi ha consacrato con l’unzione per portare la buona novella ai poveri. Egli mi ha mandato ad annunciare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi il ritorno alla vista e a proclamare un anno di grazia del Signore". Il testo di Isaia continua: "…e un giorno di vendetta per il nostro Dio", ma San Luca non dice se Gesù abbia continuato la lettura fin qui. Isaia descrive questa vendetta di Dio. Non si tratta di "colpire" i malvagi ma "di consolare tutti gli afflitti, donando loro un diadema invece di ceneri, l’olio della gioia invece di un abito da lutto, un mantello per la festa invece di uno spirito abbattuto" (Is 61).

Io credo che Teresa sia la "vendetta" del nostro Dio. Dio incorona Teresa. Invece di ceneri sulla testa, le mette un diadema. Le dona un mantello della festa e l’olio della gioia invece di uno spirito abbattuto. Questa fanciulla, così fragile per tanti aspetti, Gesù la incorona. Teresa è allora la gloria di Dio. E Teresa dice a ciascuno di noi: "Se entri nella tua povertà, scoprirai la gloria di Dio perché la gloria di Dio è la misericordia".

Teresa ha detto: "Ho capito che per entrare in questa fornace ardente dell’amore, era necessario che io diventassi molto piccola e molto povera". Non è facile per noi accogliere le nostre debolezze, le nostre povertà ed accettare di essere piccoli e talvolta di non sapere cosa fare. Ma il genio di Teresa è proprio qui. Non ha paura della sua povertà. Lei ha fiducia in Gesù. Teresa è la gloria di Gesù e lei vuole che ciascuno di noi divenga la gloria di Gesù. Poiché Teresa non è là perché noi la mettiamo su di un piedistallo, benché non sarebbe male. Lei è là perché noi siamo come lei. E’ la sua preghiera è che ci sia una moltitudine di piccole anime che accettino di entrare nella loro fragilità e nella loro piccolezza e che credano alla misericordia di Dio.

Ma la misericordia di Dio non può essere operante se noi non prendiamo coscienza della nostra miseria, se non accettiamo di entrare nella nostra miseria, se non ci rendiamo conto che anche noi ci rinchiudiamo spesso in noi stessi e entriamo in collera contro gli altri, addossando a loro tutte le colpe. Nel cuore di ciascuno di noi c’è una angoscia enorme. Siamo tutti molto piccoli. Il problema è di sapere come ammettere ed accogliere questo.

Permettetemi di parlarvi di Antonio che è morto solo da qualche mese. Aveva ventisei anni. L’abbiamo accolto all’Arca all’età di vent’anni. Aveva trascorso gli anni precedenti in un ospedale. Antonio era piccolo in tutti i sensi del termine. Non parlava, non camminava, non poteva utilizzare le mani. Il suo corpo era piccolo. Viveva la sua giornata in una sorta di sedia a sdraio. Antonio era totalmente dipendente dagli altri. Durante gli ultimi anni della sua vita aveva la maschera dell’ossigeno e doveva essere nutrito attraverso un tubo nello stomaco.

Ma Antonio aveva degli occhi espressivi e vivaci. Quando lo si chiamava con il suo nome, gli brillavano gli occhi e il viso gli si illuminava con un sorriso che faceva sciogliere il cuore più duro. Non c’era nessuna depressione in lui. Si era accettato perfettamente. Se aveste parlato con degli assistenti che hanno avuto il privilegio di vivere nel suo stesso foyer, sareste rimasti meravigliati di sentirgli dire: "Antonio ha trasformato la mia vita. Io vengo da un mondo competitivo nel quale è necessario primeggiare a tutti i costi sia negli studi che nello sport; bisogna riuscire, salire di grado, avere sempre più potere ed influenza; guadagnare più denaro e salire nella scala sociale. Antonio mi ha guidato in un altro mondo, il mondo della tenerezza, dell’ascolto reciproco, della comunione dei cuori. Ha davvero cambiato la mia vita!".

Questi assistenti, come molti altri all’Arca, scoprono queste parole di Gesù, forse le più sorprendenti del Vangelo. Gesù prende un bambino in braccio e dice: "Colui che accoglie uno di questi piccoli nel mio nome, accoglie me" (Mt 18, 3) e "Colui che accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato" (Mt 10, 40). E’ stupefacente! Chi accoglie Antonio accoglie Gesù! Se questo è vero, è rivoluzionario! Questo cambia tutto. Se accogliere il povero, cioè qualcuno che non può trarsi d’impaccio da solo, è accogliere Gesù, è stupefacente!

La trasformazione di cui parlano gli assistenti non deriva forse dal fatto che Gesù è nascosto in Antonio? Ecco il mistero del cuore del Vangelo. Se tutti noi entrassimo in questo mistero, il mondo e la Chiesa sarebbero trasformati! Gesù è realmente nascosto nel povero. La debolezza di Antonio rivela la piccolezza di Dio che elemosina il nostro amore. Gli assistenti scoprono che Antonio li libera da qualcosa e li fa entrare in un altro mondo, il mondo della tenerezza del Vangelo. La scoperta della persona di Gesù. E’ tutto qui: chi è Gesù per noi?

Ciò che colpiva in Antonio era che non poteva essere generoso; non poteva fare nulla per gli altri; non aveva niente da dare. Ma viveva una forma particolare di amore: l’amore-fiducia. Là si raggiunge nuovamente Teresa. Antonio guardava con fiducia quelli che lo lavavano e lo vestivano. Noi, invece, abbiamo spesso perduto questo amore-fiducia, perché siamo stati feriti nella nostra fiducia. Siamo più generosi che fiduciosi. La fiducia è un dono del cuore e dell’intelligenza; la fiducia è un modo di donare se stessi; ci si abbandona nelle mani dell’altro. Non sono proprio la fiducia e l’abbandono che caratterizzano Teresa? Lei si è donata totalmente a Gesù con una fiducia radicale.

Così scopriamo che l’amore non è principalmente fare qualcosa per qualcuno. Amare è rivelare all’altro attraverso gli occhi, il tono della voce, il modo di toccare: "Tu sei bello, sei prezioso; tu sei unico, sei importante, tu sei un valore per me". E’ questo ciò di cui Antonio ha bisogno; è questo ciò di cui ha più necessità chiunque abbia un handicap. Quando io parlo di handicap, intendo tutti quelli che hanno degli handicap fisici visibili, come quelli che vivono nel mondo dell’Aids, della prostituzione o della malattia mentale. Questi hanno bisogno di qualcuno che li guardi e dica loro: "Tu sei mio fratello, mia sorella e io ti amo". Tutti quelli che sono stati considerati come il rifiuto del mondo, che sono stati messi in disparte, cosa possono aspettarsi? Lo sguardo di Gesù. Lo sguardo di Gesù, ma attraverso il nostro sguardo. Perché per rivelarsi ad Antonio, Gesù ha bisogno dei nostri occhi e delle nostre mani. Amare non è dire delle belle parole ma è uno sguardo che conduce ad un impegno.

Allora sto per dire qualcosa che risuona qui a Lisieux. Antonio, così piccolo com’era, poteva dire: "Nel cuore della Chiesa, io sarò l’amore". E’ in questo la vocazione di Antonio, come quella di Teresa: essere nel cuore della Chiesa. In Antonio non c’era niente altro. Non aveva delle conoscenze, nessun potere, nessuna possibilità di azione. Lui era una piccola luce d’amore che chiamava all’amore. Chiunque fosse vicino ad Antonio era toccato nel cuore e nella propria fede. Scopriva che quello era un fanciullo di Dio, prezioso per Dio.

San Paolo ha sentito questo quando, nella sua prima lettera ai Corinzi, descrisse la Chiesa come un corpo umano. Ogni parte di questo corpo è composta da uno di noi. Ogni parte è diversa dall’altra, l’occhio dall’orecchio, l’orecchio dal piede, ma ciascuna è importante. Paolo continua dicendo che quelle parti del corpo che sono più deboli, meno presentabili, quelle che spesso si nascondono sono tuttavia "necessarie" e "devono essere onorate".

Di cosa aveva bisogno Antonio? Di denaro? Non avrebbe saputo come utilizzarlo. Di conoscenze? Di un corso di teologia? Non capiva. Di un impiego, di potere o di un ruolo all’interno della comunità? Tutto ciò non gli interessava. Allora, di che cosa aveva bisogno? Di una cosa sola: l’amore, la presenza. Con tutto il suo essere Antonio diceva: "Dammi il tuo cuore". Attraverso la sua piccolezza e la sua fiducia, Antonio destava l’amore, la compassione, la misericordia. Se Antonio avesse potuto parlare, avrebbe detto esattamente ciò che Gesù disse a Pietro. "Mi ami tu? Mi ami?". E’ la domanda di Antonio: "Mi ami? Mi ami veramente?". Questo ci obbliga a domandare: che cos’è l’amore? Qual è questo amore di Gesù?

Antonio, e molti altri come lui, ci fanno vedere la differenza che esiste tra la generosità e l’amore. La generosità scaturisce da una certa superiorità: si dona del denaro, del tempo o delle conoscenze a qualcuno che ne ha bisogno. Gli si fa del bene dall’alto di un piedistallo, ma non se ne riceve nulla in cambio, soltanto la gloria di aver fatto del bene. La generosità è importante, ma Gesù ci fa scoprire la comunione che è l’andirivieni dell’amore, un cuore a cuore: si dà e si riceve.

Possiamo essere molto diversi, ma ci amiamo tra noi. C’è una fiducia reciproca; siamo vulnerabili gli uni nei confronti degli altri. Non esiste una superiorità; due cuori ne formano uno solo. Tutte le mamme sanno di cosa sto parlando. Quando una madre porta il suo figlioletto in braccio, si guardano, la mamma gli fa il solletico dicendo "ghiri, ghiri" e il bimbo ride. Chi riceve di più, la madre o il bambino? Esiste uno scambio di amore tra madre e figlio; è questa la comunione. Nella comunione, si è là l’uno per l’altro. Non c’è possesso. La comunione crea libertà. Nella comunione ciascuno dice: "Non voglio possederti, voglio che tu sia te stesso - tutto qui - con le tue fragilità e i tuoi doni. Ti accolgo come sei e tu accogli me come sono". C’è un dono reciproco.

Teresa aveva scoperto questo rapporto di comunione con Gesù. Bisogna rileggere quel passaggio nel quale invita tutti alle nozze con il suo sposo Gesù. E’ straordinario!

Teresa ha compreso benissimo il cuore del Vangelo. Il sole, che è Dio, è entrato nel fango per avvicinarsi a noi. Mi spiego. Il sole è qualcosa di stupefacente; ci riscalda, illumina, rende feconda la terra. C’è una straordinaria potenza in lui. Ma se ci si avvicina troppo, si può essere bruciati, si può scomparire. E il mistero dell’Incarnazione è che Dio è entrato nel fango e nella carne. Perché? Perché possiamo avvicinarci a lui, toccarlo, perché ci sia una comunione. Il Verbo diviene carne. Dio diventa un bambino, Dio diventa un uomo messo in croce.

Teresa ha sentito molto bene che Gesù è un mendicante dell’amore, e che ha bisogno di essere amato. Entrare in comunione con Gesù vuol dire entrare nel legame intimo tra Gesù e il suo "Abba", il Padre. Questa relazione tra Gesù e il Padre è bellissima. Gesù ci dice che non fa niente senza prima chiedere a suo Padre, che non dice nulla senza che il suo "Papà" gli dica di dirlo. Alcuni potrebbero dire che Egli dovrebbe crescere, separarsi un po’ di più da suo Padre! Ma no!

Il segreto dell’essere umano è quello di essere fatto per la comunione. Ci sono delle persone che non sono mai state amate; non sanno cosa sia la comunione. Essi, allora, cercano l’ammirazione e l’autonomia. Ma il Vangelo ci rivela che noi siamo stati creati per la comunione. E solo l’Amore infinito, la misericordia infinita ci possono far entrare in davvero in questo mondo di comunione, in queste "nozze divine", in questo mistero nel quale Teresa ci invita, dove non c’è altro che amore. Teresa è ben consapevole che per riceverlo, bisogna essere molto piccoli. Come può lei amare Gesù come deve essere amato, se non ha il cuore del Padre in sé? Come amare Gesù, se Lui non dona questo amore? Dunque bisogna creare il vuoto.

Vi racconterò un’altra storia. Un ragazzo di undici anni con un handicap mentale ha fatto la sua prima comunione. Dopo la liturgia eucaristica, durante la successiva festa in famiglia, lo zio ha detto alla mamma del ragazzo quanto la cerimonia fosse stata toccante. E poi ha aggiunto: "La cosa triste è che lui non ha capito nulla!". Sentendo queste parole il ragazzo, con le lacrime agli occhi ha detto alla sua mamma: "Non preoccuparti, mamma, Gesù mi ama come sono". Quanti di noi – che abbiamo un’intelligenza sviluppata – oserebbero dire una cosa simile? Piuttosto non diremmo qualcosa come: "Gesù mi amerebbe se andassi più spesso a messa o se fossi più gentile con mia moglie e i miei bambini, etc.". Quando prendiamo coscienza che "Gesù mi ama come sono", allora abbiamo voglia di pregare e di vivere l’amore.

Sento degli echi di questo in Teresa che ha detto delle cose sorprendenti. Mi piacerebbe leggervi un brano che mostra la sua concezione di santità e la realtà della santità: "Davvero io sono lontana dall’essere una santa …dovrei, invece di rallegrarmi della mia aridità, attribuirla al mio scarso fervore e alla mia poca fedeltà. Dovrei disperarmi del fatto che dormo (dopo sette anni) durante le mie preghiere e le mie azioni di grazia; ebbene io non mi dispero …penso che i bimbi piccoli piacciono ai loro genitori sia quando dormono che quando sono svegli …" (Manoscritto A, folio 75 v°). E’ straordinario! Ciò mi consola ora, quando dormo durante la messa, perché spesso, quando sono stanco, ho la tendenza a dormire durante le prediche! Poi, Teresa continua: "Debbo sopportarmi così come sono con tutti i miei difetti" (Manoscritto C, folio 2 v°).

E Teresa diceva di essere lontana dalla santità! Tutto ciò permette a noi di capire un po’ di più cosa sia la santità: accettarmi come sono con tutte le mie ferite e fragilità. Dico spesso che gli assistenti vengono all’Arca per servire i poveri, ma che non ci rimangono se non scoprono essi stessi di essere poveri e che la buona novella di Gesù è annunciata non a coloro che servono i poveri, ma ai poveri!

Potrebbe essere, dopo tutto ciò che ho detto, che voi crediate che la vita all’Arca sia facile e che noi viviamo continuamente delle esperienze toccanti di un Dio nascosto nel cuore dei poveri. In effetti, viviamo un mistero di incarnazione che ci aiuta e ci trasforma. Ma vivere con un povero non è mai semplice.

Uno dei testi fondamentali dell’Arca si trova in San Luca, al capitolo 14: "Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici, né i tuoi fratelli, né i tuoi parenti, né i ricchi vicini perché anch’essi non ti invitino a loro volta e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando dai un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato!" (Lc 14, 12).

Tu sarai beato, benedetto, se mangi con i poveri. Nel linguaggio biblico, mangiare con qualcuno vuol dire diventare suo amico. Se tu diventi l’amico delle persone escluse ed emarginate, tu sarai benedetto. Riceverai la benedizione di Dio. Teresa ha citato questo stesso brano parlando del Carmelo come del luogo nel quale si mangia con i poveri.

Ma non è mai facile diventare amico di un povero, perché in lui c’è rabbia, angoscia e talvolta violenza. Il mondo è terribilmente crudele con i più deboli. Essi soffrono molto per il disprezzo e la diversità. Il mistero è che se divento amico del debole, lui mi farà conoscere i miei stessi blocchi, i miei pregiudizi e la mia angoscia. Se divento l’amico di una persona con un handicap, scoprirò le ferite aperte dentro di me, le mie difficoltà di comunicazione. Di fatto apparteniamo tutti ad un popolo povero e ferito. E Teresa ci invita a scoprire che in tutto ciò che è fragile e ferito dentro di noi, noi siamo amati. "Non preoccuparti, mamma, Gesù mi ama come sono". Non abbiamo bisogno di pretendere di essere migliori degli altri. Io sono come sono, con la mia povertà, le mie fragilità, ma so anche di essere amato da Gesù. Quando si ha questa fede, questa esperienza d’amore, si desidera ancora di più stare con Gesù che solo può appagare i nostri cuori.

Vorrei concludere raccontando la storia di René. A René, nella mia comunità, non piaceva lavorare. Invece di restare in laboratorio, andava sulla strada principale e faceva l’autostop. Poiché si presenta bene, le macchine si fermavano e il conducente apriva il finestrino. René sporgeva la testa dentro e gridava nelle orecchie del guidatore: "Dammi una sigaretta!". Questi, sconvolto, desiderando ad ogni costo che René si allontanasse, per poter riprendere al più presto la propria strada, gli regalava delle sigarette o del denaro per comperarle. Credo che René guadagnasse di più facendo l’autostop che lavorando. Abbiamo indirizzato René verso una delle nostre comunità dove la strada nazionale è un po’ più lontana! Ora sta meglio e inizia a lavorare con impegno.

Qualche tempo fa, René è andato con alcune persone della sua comunità a trascorrere un fine settimana in un monastero trappista. Avevano un incontro per riflettere sulla parola di Dio. Il testo su cui meditare era: "Sto in piedi e busso alla porta. Colui che sente e che apre la porta, io entrerò da lui e cenerò con lui e lui con me" (Ap 3). René ha alzato il braccio immediatamente e ha descritto nei dettagli con tutte le portate, il menù che mangerà quando Gesù verrà da lui. Tutti sono scoppiati a ridere. Quando le risate si sono calmate, René ha detto: "E Gesù mi dirà qualcosa". "Che ti dirà?" ha domandato uno degli animatori. "Mi prenderà nelle sue braccia e mi dirà: Tu sei il mio figlio tanto amato". Il mistero delle persone con un handicap è che esse hanno sete di ciò che è essenziale. Non cercano delle idee su Dio, ma la presenza stessa di Dio.

Mi consolo quando leggo Teresa. Due volte di seguito lei ha detto che ringrazia Dio di averla guidata e fatta entrare "nell’Arca benedetta". Vorrei anch’io allora dire la stessa cosa: ringrazio Dio di avermi condotto all’Arca benedetta, perché Teresa è là. E’ vicina ai poveri. Vi esorto a seguire Teresa, piccola e povera, per scoprire il mistero del povero, per accogliere la vostra stessa povertà e poter dire: "Non preoccuparti, mamma, Gesù mi ama come sono".


Una chiave di lettura per comprendere il messaggio di S.Teresa di Lisieux
di Andrea Lonardo

Che cos’è l’infanzia spirituale? Come interpretare l’espressione evangelica "se non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli"? L’esperienza spirituale di Teresa di Lisieux, recentemente indicata da Giovanni Paolo II come "dottore della Chiesa" e, per questo, luogo di comprensione del senso della vita umana e della fede, ci istruisce.
E’ stupefacente come la piccola Teresa, la santa dell’"infanzia spirituale", descriva la necessità di uscire dall’infanzia per poter veramente amare il Signore. "Infanzia spirituale" non significa, nel suo messaggio, presunta innocenza dell’età infantile (come una valutazione superficiale dell’espressione potrebbe far pensare), o ancora nostalgia di un ritorno ai primi anni della vita intesi come modello tout court – che anzi essi sono visti come età di ipersensibilità ed eccessivo attaccamento a se stessi. Nel descrivere la grazia del Natale che ricevette nel 1886, la grazia della "conversione", la descrive proprio come l’uscita dall’infanzia. Possiamo qui leggere il testo stupendo scritto dalla stessa Teresa che descrive questo momento:

132 - Se il Cielo mi colmava dì grazie, non era già perché io le meritassi, ero ancora tanto imperfetta! Avevo, è vero, un gran desiderio di praticare la virtù, ma lo facevo in un buffo modo, ecco un esempio: poiché ero l’ultima, non ero avvezza a servirmi, Celina faceva la camera ove dormivamo e io non facevo nessun lavoro domestico; dopo che Maria fu entrata nel Carmelo, mi accadeva talvolta, per far piacere al buon Dio, di rifarmi il letto, oppure, in assenza dì Celina, rimettere dentro, a sera, i suoi vasi da fiorì: come ho detto, era per il buon Dio solo che facevo quelle cose, perciò non avrei dovuto attendere il grazie delle creature. Ahimé! Le cose andavano ben diversamente; se per disgrazia Celina non aveva l’aspetto felice e stupito per i miei servizietti, non ero contenta, e glielo provavo con le lacrime... Ero veramente insopportabile per la mia sensibilità eccessiva. Così, se mi accadeva di dare involontariamente un po’ di dispiacere a qualcuno cui volessi bene, invece di dominarmi e non piangere, ciò che ingrandiva il mio errore anziché attenuarlo, piangevo come una Maddalena, e quando cominciavo a consolarmi della cosa in sé, piangevo per aver pianto... Tutti i ragionamenti erano inutili e non potevo arrivare a correggermi di questo brutto difetto.

133 - Non so come io mi cullassi nel pensiero caro di entrare nel Carmelo, trovandomi ancora nelle fasce dell'infanzia! Bisognò che il buon Dio facesse un piccolo miracolo per farmi crescere in un momento, e questo miracolo lo compì nel giorno indimenticabile di Natale
(N.d.T. Notte tra il venerdì 24 e sabato 25 dicembre 1886); in quella notte luminosa che rischiara le delizie della Trinità Santa, Gesù, il Bambino piccolo e dolce di un’ora, trasformò la notte dell’anima mia in torrenti di luce... In quella notte nella quale egli si fece debole e sofferente per amor mio, mi rese forte e coraggiosa, mi rivestì delle sue armi, e da quella notte benedetta in poi, non fui vinta in alcuna battaglia, anzi, camminai di vittoria in vittoria, e cominciai, per così dire, una "corsa da gigante" (N.d.T. Sal 18, 6). La sorgente delle mie lacrime fu asciugata e non si aprì se non raramente e difficilmente, e ciò giustificò la parola che mi era stata detta: "Piangi tanto nella tua infanzia, ché più tardi non avrai più lacrime da versare!".
Fu il 25 dicembre 1886 che ricevetti la grazia di uscire dall'infanzia, in una parola la grazia della mia conversione completa. Tornavamo dalla Messa di mezzanotte durante la quale avevo avuto la felicità di ricevere il Dio forte e potente. Arrivando ai Buissonnets mi rallegravo di andare a prendere le mie scarpette nel camino, quest’antica usanza ci aveva dato tante gioie nella nostra infanzia, che Celina voleva continuare a trattarmi come una piccolina, essendo io la più piccola della famiglia...

Facciata della casa dei Buissonets

Facciata della casa dei Buissonets, a Lisieux, nella quale la famiglia Martin andò ad abitare alla morte di Azelia, madre di Teresa. Qui avvennero il "miracolo del sorriso" e la "grazia del Natale".

A Papà piaceva vedere la mia felicità, udire i miei gridi di gioia mentre tiravo fuori sorpresa su sorpresa dalle "scarpe incantate" e la gaiezza del mio Re caro (N.d.T. con l’espressione "il mio Re" Teresa designava il suo papà) aumentava molto la mia contentezza, ma Gesù, volendomi mostrare che dovevo liberarmi dai difetti della infanzia, mi tolse anche le gioie innocenti di essa; permise che Papà, stanco dalla Messa di mezzanotte, provasse un senso di noia vedendo le mie scarpe nel camino, e dicesse delle parole che mi ferirono il cuore: "Bene, per fortuna che è l’ultimo anno!... ". lo salivo in quel momento la scala per togliermi il cappello, Celina, conoscendo la mia sensibilità, e vedendo le lacrime nei miei occhi, ebbe voglia di piangere anche lei, perché mi amava molto, e capiva il mio dispiacere. "Oh Teresa! - disse - non discendere, ti farebbe troppa pena guardare subito nelle tue scarpe". Ma Teresa non era più la stessa, Gesù le aveva cambiato il cuore! Reprimendo le lacrime, discesi rapidamente la scala, e comprimendo i battiti del cuore presi le scarpe, le posai dinanzi a Papà, e tirai fuori gioiosamente tutti gli oggetti, con l’aria beata di una regina. Papà rideva, era ridiventato gaio anche lui, e Celina credeva di sognare! Fortunatamente era una dolce realtà, la piccola Teresa aveva ritrovato la forza d’animo che aveva perduta a quattro anni e mezzo (N.d.T. al momento della morte della madre), e da ora in poi l’avrebbe conservata per sempre!

134 - In quella notte di luce cominciò il terzo periodo della mia vita, più bello degli altri, più colmo di grazie del Cielo. In un istante l’opera che non avevo potuto compiere in dieci anni, Gesù la fece contentandosi della mia buona volontà che non mi mancò mai.

Il caminetto della casa di Teresa

Il caminetto della casa di Teresa, dinanzi al quale avvenne "la grazia del Natale", la "grazia di uscire dall'infanzia".

Come i suoi apostoli avrei potuto dirgli: "Signore, ho pescato tutta la notte senza prender nulla"; più misericordioso ancora per me che non per i suoi discepoli, Gesù prese egli stesso la rete, la gettò e la tirò su piena di pesci. Fece di me un pescatore di uomini, io sentii un desiderio grande di lavorare alla conversione dei peccatori, un desiderio che non avevo provato così vivamente... Sentii che la carità mi entrava nel cuore, col bisogno di dimenticare me stessa per far piacere agli altri, e da allora fui felice!
(dal Manoscritto autobiografico A)

Sullo stesso incontro di grazia insiste un altro testo di Teresa, una lettera inviata a p.Roulland, che completa le indicazioni, della Storia di un anima:

La notte di Natale del 1886 fu, è vero, decisiva per la mia vocazione, ma, per essere più esatta, devo chiamarla: la notte della mia conversione. In questa notte benedetta, della quale è scritto che rischiara le delizie stesse di Dio
(N.d.T. Sal 138, 10 Et nox illuminatio mea in deliciis meis), Gesù che si faceva bambino per amore mio, si degnò di farmi uscire dalle fasce e dalle imperfezioni dell’infanzia, Mi trasformò in modo tale da non riconoscermi più. Senza questo cambiamento, sarei dovuta restare ancora chi sa quanti anni nel mondo. Santa Teresa, la quale diceva alle sue figlie: "Voglio che non siate donne in nulla, ma uguali in tutto ad uomini forti" (N.d.T. S.Teresa d’Avila. Cammino di perfezione, 7, 8), santa Teresa non avrebbe voluto riconoscermi per sua Figlia, se il Signore non m’avesse rivestito della sul forza divina, se non m’avesse armata lui stesso per la guerra.
(dalla lettera a p.Roulland dell’1/11/1896)

Quale è allora il cuore del messaggio teresiano? Esso non risiede né nell’amore alle piccole cose, né nell’aspirazione alle grandi opere compiute per Dio. Esso consiste piuttosto nella totale confidenza nella misericordia che Dio ha per Teresa, desideri essa le piccole o le grandi cose. Il punto di riferimento non è interno, ma esterno. E’ la contemplazione dell’immensa misericordia di Dio. E’ questa "speranza cieca" di essere figlia del Padre il punto fermo di tutto un cammino di santità. Così lo descrive la stessa Teresa in un’altra lettera, scritta a sr. Maria del Sacro Cuore:


J. M. J. T.
17 settembre 1896

Gesù

Mia cara sorella,
Non mi trovo per nulla imbarazzata a darle una risposta... Come può chiedermi se può amare il buon Dio come me?... Se avesse capito la storia del mio uccellino
(N.d.T. allude ad un passo del Manoscritto autobiografico B), non mi farebbe una simile domanda. 1 miei desideri di martirio sono un bel nulla e non è di qui che nasce quella fiducia illimitata che sento nel cuore. A dir la verità, son proprio ricchezze spirituali che rendono ingiusti (N.d.T. Lc 16, 11), quando ci si appoggia ad esse con compiacenza e si crede che siano qualcosa di grande.
Questi desideri sono una consolazione che Gesù concede talvolta alle anime deboli come la mia (e queste anime sono numerose), ma quando non dà questa consolazione, è una grazia di privilegio. Si ricordi delle parole del padre
(N.d.T. P.Pichon, S. J., in un ritiro predicato alle Carmelitane di Lisieux, nell'ottobre 1887): "I martiri hanno sofferto con gioia e il Re dei martiri ha sofferto con tristezza".
Sì, Gesù ha detto: "Padre, allontana da me questo calice!".
Dopo tutto ciò, come può dire, sorella cara, che i miei desideri sono il segno del mio amore? Ah! sento bene che non è affatto questo che piace al buon Dio nella mia piccola anima. Quello che piace a lui, è di vedermi amare la mia piccolezza e la mia povertà, è la speranza cieca che ho nella sua misericordia. Ecco il mio solo tesoro, madrina cara. Perché questo tesoro non potrebbe essere il suo?...

Un passo teresiano, in particolare, pensiamo possa essere letto come figura di tutta la teologia spirituale di Teresa di Lisieux e servire come sintesi della sua proposta di "dottore della Chiesa".

Sono veramente lontana dall'essere una santa, solo questo ne è già la prova; invece di rallegrarmi per la mia aridità, dovrei attribuirla al mio poco fervore e fedeltà, dovrei sentirmi desolata perché dormo (da 7 anni) durante le mie orazioni e i miei ringraziamenti, ebbene, non sono desolata... penso che i bambini piccoli piacciono ai loro genitori quando dormono come quando sono svegli; penso che per fare delle operazioni, i medici addormentano i malati. Infine penso che "il Signore vede la nostra fragilità, e si ricorda che noi siamo solo polvere" (Manoscritto "A" cap.8, paragrafo 215).

In questo straordinario passaggio Teresa mostra ulteriormente la sua coscienza di come la piccolezza, l'infanzia proclamata da Gesù nei Vangeli come condizione necessaria per entrare nel Regno, consista allora nell'essere "figli" del Padre. Qualsiasi cosa faccia, un figlio è amato. Vegli o dorma, non è per questo meno figlio. Il Padre conferma ogni desiderio grande di santità, ogni uscita dalla fanciullezza del proprio figlio, ma è anche il Padre della debolezza e del sonno dei momenti nei quali ogni figlio non è neppure cosciente di essere tale. Ciò che conta non è più, allora, l'opera particolare che si compie, che sarà a volte enorme, altre volte piccolissima, ma una vita che è sostenuta dalle braccia del Padre. In questa qualità di rapporto sta il segreto della "piccola" Teresa.


Questi brevissimi appunti sono ispirati dalla lettura dell’importantissimo volume di G.Moioli, L’esperienza cristiana di Teresa di Lisieux. Note introduttive, Glossa, Milano, 1998, a cui rimandiamo.

Teresa nel luglio 1896

Teresa nel luglio 1896, all'età di 23 anni. La foto è scattata da sr. Geneviève del Santo-Volto (sua sorella Céline). Teresa già soffre di una tosse secca e persistente.



Teresa di Lisieux e Roma
a cura di Paola Coali e di Andrea Lonardo

Teresa di Lisieux (Teresa del Bambin Gesù e del Volto Santo, battezzata Teresa Martin, Alecon 1873 - Lisieux 1897) può essere ricordata a Roma, con riferimento ai luoghi in cui ha soggiornato e che ha visitato quando si recò, all’età di 14 anni, dal Papa, per chiedere la dispensa per entrare in clausura, prima dell’età canonica.

Il pellegrinaggio a Roma della piccola Teresa, nel novembre 1887

Teresa poco prima dell'entrata al Carmelo

Teresa poco prima dell'entrata al Carmelo, nell'aprile 1888.

Il primo incontro per i centonovantasette pellegrini in partenza per Roma è fissato per la domenica 6 novembre alle ore 9 nella cripta della basilica di Montmartre. Ma Teresa è partita due giorni prima con il padre, il signor Martin, e la sorella Celina per visitare Parigi. Il suo pellegrinaggio toccherà molte città, in Francia, ma anche in Svizzera e soprattutto le meraviglie dell’Italia: Milano, Venezia, Padova, Bologna, Roma (dieci giorni), Napoli, Pompei, Assisi.....Scriverà più tardi Teresa: "Queste bellezze... profuse così largamente hanno fatto tanto bene all’anima mia! Come l’hanno innalzata verso Colui che si è compiaciuto di profondere tanti capolavori sopra una terra d’esilio destinata a durare un solo giorno!".
Un pellegrinaggio a Roma era allora un avvenimento. Teresa è adolescente e questo sarà l’unico grande viaggio della sua vita.
Di questo viaggio riporterà nuove impressioni, sensazioni e nuove intenzioni nella preghiera, perché le permetterà di conoscere anche gli uomini, i sacerdoti e soprattutto se stessa, prima di entrare per sempre in clausura: "Ah, che bel viaggio fu quello !... Ho capito la mia vocazione in Italia e non è stato andar troppo lontano per una conoscenza tanto utile".
Da questo viaggio riporterà anche alcune reliquie Sappiamo che visitò le catacombe di San Callisto e il Colosseo, la cui terra "arrossata dal sangue dei primi cristiani" viene preziosamente rinchiusa in sacchetti di stoffa. Queste le sue riflessioni dopo la sua visita al Colosseo: "Il cuore mi batteva molto forte nel momento in cui le mie labbra si avvicinarono alla polvere imporporata del sangue dei primi cristiani: chiesi la grazia di essere anch’io martire per Gesù e sentii in fondo al cuore che la mia preghiera era stata esaudita".
Andò pellegrina alla Basilica di Santa Croce in Gerusalemme e alla Basilica di Sant’Agnese. Lei stessa descrive, raccontando della visita a Santa Croce in Gerusalemme, il suo desiderio-bisogno di avere un contatto fisico anche con le tracce del passaggio sensibile del Figlio di Dio incarnato: "Occorreva sempre che io trovassi il modo di toccare tutto: di infilare il mio ditino in una delle aperture del reliquario che conteneva il chiodo che fu bagnato dal sangue di Gesù".
E poi S.Pietro per l’udienza pontificia, domenica 20 novembre, alla presenza di papa Leone XIII. Un giornale francese, L’univers, nella colonna della corrispondenza romana, riporterà questa cronaca: "Fra i pellegrini si trovava una ragazza di quindici anni che ha chiesto al Santo Padre il permesso di entrare subito in convento per farsi religiosa. Sua Santità l’ha incoraggiata ad avere pazienza".
Teresa è una postulante giovanissima e, secondo la testimonianza della sorella Celina, l’udienza con il papa fu un "fiasco". Teresa però è paziente: "Io dormo, ma il mio cuore veglia" (Ct 5, 2) è il versetto che le ricorderà di "abbandonarsi" totalmente alla Provvidenza, perché se Gesù sembra non far nulla per la sua entrata nel Carmelo, il Suo cuore tuttavia non cessa di vegliare su di lei con amore.
La sua pazienza e la sua attesa pacifica saranno premiate. Il primo gennaio arriva la riposta positiva del vescovo e la sua entrata nel Carmelo è fissata per il 9 aprile 1888. Teresa ha quindici anni.
"Quando Gesù mi avrà deposto sulla riva benedetta del Carmelo, voglio donarmi tutta intera a Lui. I suoi colpi non mi faranno paura perché, anche quando le sofferenze sono più amare, si sente sempre che è la sua dolce mano che colpisce. L’ho sperimentato bene a Roma nel momento in cui tutto mi avrebbe fatto credere che la terra fosse lì per sparire sotto i miei piedi... La vita passa così presto che veramente vale di più avere una corona bellissima e un po’ di patire, che averne una ordinaria senza patire".
Teresa sarà canonizzata nel 1925 e proclamata da Pio XI patrona delle missioni e patrona secondaria della Francia. La sua festa è il 3 ottobre.

I luoghi della permanenza romana di Teresa di Lisieux

1/ La sua abitazione
A Roma Teresa dimorò, come ricorda una lapide, in via Capo Le Case 56, nella zona di piazza di Spagna, in quei tempi quartiere dei francesi. Visitò la Chiesa della SS.Trinità dei Monti e si fermò a pregare, all’interno del convento delle suore della Società del Sacro Cuore, nella cappella detta della Mater Admirabilis, affrescata nel 1844. E’ possibile recarsi in questo luogo per pregare, ma bisogna domandare prima l’autorizzazione, non essendo abitualmente aperto al pubblico.

2/ La Chiesa della SS.Trinità al Monte Pincio e la Scalinata di Trinità dei Monti

La cappella della mater Admirabilis fa parte del complesso della Chiesa della SS.Trinità che risale al XIV secolo e fu fatta edificare, su richiesta di S.Francesco di Paola per i Padri Minimi del vicino convento, da Carlo VIII, re di Francia. Fu completamente restaurata nel 1816, dopo i danni causati dai rivoluzionari francesi. La facciata è preceduta da un elegante scalinata (Domenico Fontana, 1587) secondo un ordine tripartito, e fiancheggiata da due campanili che, per volere del duca di Joyeuse, furono fatti costruire nel 1588 sul modello di quelli progettati per la chiesa di S.Atanasio in via del Babuino, da Giacomo della Porta. Un orologio, per suonare le ore "alla francese", fu aggiunto nel 1613.
L’interno ha una pianta a navata unica fiancheggiata da cappelle laterali comunicanti. Ricorda, in questo, le chiese gotiche del Sud della Francia. La parte più antica della chiesa è costituita dalla volta del transetto, decorata con nervatura a rete, caratteristica del tardo gotico.
Segnaliamo, nella seconda cappella a sinistra: la Deposizione, capolavoro di Daniele da Volterra (1541) e nella terza cappella laterale di destra: l’Assunzione, sempre della stessa mano. La figura rappresentata a destra della scena, vestita di rosso, è, probabilmente, il ritratto di Michelangelo, di cui l’artista era grande ammiratore. Sulle pareti laterali: il Massacro degli Innocenti e la Presentazione al Tempio (a destra).

Originariamente la Chiesa della SS.Trinità si collegava alla piazza sottostante attraverso una stradina tortuosa che scendeva dal Pincio. Un primo progetto della scalinata, rimasto sulla carta a causa dei contrasti fra il Governo Pontificio e il Regno di Francia, è del 1568, ad opera di Giacomo Della Porta. La Francia, in questa annosa controversia, sosteneva i diritti di proprietà che, sul terreno davanti la chiesa, accampavano i Padri Minimi francesi della Trinità.
Il problema rimase insoluto per tutto il XVI secolo, in un braccio di ferro fra il monarca di Francia e la Santa Sede. Luigi XIV non solo non intendeva rinunciare alla sovranità sulla collina del Pincio, ma si proponeva addirittura di farne, con il progetto di una maestosa statua equestre che raffigurasse il re, il simbolo della gloria della monarchia francese in Roma.
Arriviamo al 1715, anno in cui il Papa Clemente IX bandisce un concorso per la realizzazione della scalinata. Il bando fu vinto da Francesco de Sanctis. Si impiegarono tre anni per la completa realizzazione di quei 138 gradini, spartiti in tre parti, orizzontalmente e verticalmente per ricordare appunto la SS.Trinità, in una successione di rampe che si allargano, si restringono e si dividono, enfatizzandone l’altezza e creando uno scenario maestoso e fortemente suggestivo.
Il progetto grandioso, inseguito dalle ambizioni di Francia, pur ereditando dal barocco il gusto delle prospettive e dei trompe l’oeil, ne uscì fortemente ridimensionato e i gigli di Francia, all’inizio della scalinata, si trovano accostati alle aquile dello stemma di Papa Innocenzo XIII Conti che, quando si gettarono le fondamenta della scalinata, sedeva sulla sede petrina.


Pensieri di S. Teresa di Lisieux
a cura di Beatrice Lozzi

Teresa un anno prima della sua morte

Teresa un anno prima della sua morte. Foto scattata nel 1896 da sr. Geneviève del Santo-Volto (sua sorella Céline).

"Gesù non chiama quelli che ne sono degni, ma quelli che vuole".

"Ho compreso che l’amore di nostro Signore si rivela tanto nell’anima più semplice, che non resiste affatto alla sua grazia, quanto nell’anima più sublime: effettivamente è proprio dell’amore abbassarsi".

"Come il sole rischiara allo stesso tempo i cedri ed ogni fiorellino come se fosse solo sulla terra, ugualmente nostro Signore si occupa in particolare di ogni anima come se essa non avesse altra simile".

"Vi sono molti gradi nella perfezione ed ogni anima è libera di rispondere alle proposte di nostro Signore, di fare molto o poco per Lui: io non ha paura di soffrire per Te, Signore. Non temo che una cosa: conservare la mia volontà. Prendila, perché scelgo tutto ciò che vuoi".

"Dopo 7 anni dovrei dispiacermi di dormire durante l’orazione ed il ringraziamento: ebbene non mi spiace. Penso che i bambini piccoli piacciano ai loro genitori sia quando dormono, sia quando sono svegli: penso che per eseguire le operazioni, i medici addormentano i loro pazienti".

"Ho notato molte volte che Gesù non vuole darmi provviste, mi nutre ad ogni istante con un cibo freschissimo, lo trovo in me senza sapere in che modo è presente".

"Per giungere alla perfezione non conosco altro mezzo che l’Amore. Amare: il nostro cuore è fatto proprio per questo!".

"Se fossi stata un sacerdote avrei studiato l’ebraico ed il greco, per poter leggere la Parola di Dio con lo stesso linguaggio umano con cui Egli volle esprimersi!".

"Quando la carità ha gettato radici profonde nell’anima si mostra all’esterno: c’è un modo così gentile di rifiutare ciò che non si può dare, che il rifiuto fa piacere quanto il dono".

"La carità perfetta consiste nel sopportare i difetti degli altri e nel non meravigliarsi delle loro debolezze".


Per altri articoli e studi su Roma presenti su questo sito, vedi la pagina Roma (itinerari artistici, archeologici, di storia della chiesa e di pellegrinaggio) nella sezione Percorsi tematici


[Approfondimenti]