Capitolo VII - LA BASILICA DI SAN LORENZO FUORI LE MURA

1. L’origine del luogo

La grande venerazione per la figura di San Lorenzo inizia subito dopo il suo martirio avvenuto nel periodo delle grandi persecuzioni dei cristiani, nel III secolo dopo Cristo. Nel 254 salì al trono l’imperatore Valeriano. In un primo momento sembrò tornata la pace dopo la persecuzione di Decio (250). "La casa dell’imperatore è piena di cristiani", ci riporta Dionigi, allora vescovo di Alessandria d’Egitto. Poi, improvvisa la svolta, che portò all’arresto di Dionigi (che sarà poi liberato da una sommossa popolare); alla morte per decapitazione di Cipriano; vescovo di Cartagine, in Africa; e a nuovi martiri romani.
Con un primo editto, del 257, si condannavano all’esilio, tutti i membri della gerarchia ecclesiale, se non avessero compiuto le cerimonie romane, l’ossequio alle divinità dell’Impero.
Vengono inoltre confiscati i beni, e, si afferma che i cristiani "non debbono riunirsi per il culto, non debbono usare i loro cimiteri".
La persecuzione si rivolge agli honestiores, ai cristiani di alto rango, ormai molto presenti nella società. È infatti nel III secolo che i cristiani cominciano ad essere molto presenti nelle classi alte della popolazione. Se non venerano le divinità pagane debbono essere esiliati, dopo la confisca dei beni.
A Roma vengono martirizzati prima papa Sisto II con 4 diaconi, il 6 agosto 258, sorpresi in un cimitero. Il 10 agosto è la volta del martirio del diacono Lorenzo. Fu sepolto sulla via Tiburtina, nel luogo in cui Costantino farà erigere la basilica di San Lorenzo.
Un documento che precede di pochissimi anni il martirio di san Lorenzo, una lettera di Cornelio, papa subito dopo la persecuzione di Decio – lettera conservataci da Eusebio di Cesarea – ci informa della presenza a Roma di 46 preti, 7 diaconi, 7 suddiaconi, 42 accoliti, 52 fra lettori ostiari ed esorcisti, e 1500 fra vedove e poveri aiutati dalla comunità. È uno dei rarissimi documenti che quantifica la gerarchia ecclesiale presente a Roma nei primi secoli del cristianesimo.
Dunque, nel giro di pochi giorni, 5 dei 7 diaconi della chiesa di Roma vengono uccisi per il nome del Signore.
Dalla storia della Chiesa emerge l’importanza del diaconato. Lorenzo e gli altri diaconi avevano la responsabilità della cura dei 1500 fra poveri e vedove aiutati dalla comunità cristiana. Per questo era affidata loro anche la responsabilità dell’amministrazione dei beni e dei cimiteri. Non è casuale che alcuni papi di questo periodo siano scelti non fra i presbiteri, ma direttamente dal gruppo dei diaconi, quindi ordinati presbiteri e consacrati vescovi. È un segno della rilevanza assunta da questo ministero.
Una tradizione successiva, riassunta nella medioevale Legenda Aurea di Jacopo da Varazze mostra, come in un simbolo, il motivo della venerazione popolare immensa che la figura di Lorenzo suscitò a Roma, subito dopo il martirio:

Giunsero al tribunale, e lì riprese l’interrogatorio sul tesoro; Lorenzo chiese una sospensione di tre giorni, e Valeriano gliela concesse, ponendolo sotto la custodia di Ippolito. Lorenzo approfittò dei tre giorni per raccogliere poveri, zoppi e ciechi e li presentò all’imperatore al palazzo sallustiano e disse: "Ecco questi sono i nostri tesori: sono tesori eterni, non vengono mai meno, anzi crescono. Sono distribuiti a ciascuno, e tutti li hanno: sono le loro mani a portare al cielo i tesori".

La tradizione arricchisce il dato certo del martirio, descrivendone la modalità. Lorenzo fu arso vivo su di una graticola e, nell’iconografia successiva, è sempre rappresentato con tale graticola al suo fianco, segno della sua testimonianza suprema.
È perciò la caritas nel suo pieno significato teologale che viene testimoniata da Lorenzo. Lorenzo muore, con il papa e gli altri diaconi, confessando che la caritas stessa è il Dio di Gesù Cristo, quella stessa carità che aveva condiviso in ogni giorno del suo ministero, nel servizio dei poveri.
Pochi anni dopo nel 260, Valeriano, sarà preso prigioniero dai persiani. Gallieno emanerà il cosiddetto "editto di restituzione", probabilmente nel 262, che restituità cimiteri e luoghi di culto ai cristiani. Ne abbiamo testimonianza, per Alessandria nel 264. Da allora, fino all’ultima persecuzione in cui cadranno martiri Cecilia, Agnese, Sebastiano, martiri importantissimi, ma di cui non c’è rimasta una memoria storica attendibile, il cristianesimo sarà religio licita, nell’impero romano.
Un ultimo particolare aiuta a comprendere la forza della testimonianza della Chiesa di Roma, in quei duri anni. Proprio nello stesso anno 258, solo alcune settimane prima del martirio di Sisto e dei suoi 5 diaconi, fu fissata e celebrata – la notizia è della Depositio martyrum, documento degli anni 320/30, che tratta di una trentina di martiri e della loro venerazione nella liturgia – per la prima volta in Roma la festa dei santi Pietro e Paolo fissata per il 29 giugno. Il calendario la chiama la festa dei Santi Pietro e Paolo ad catacumbas, perché celebrata probabilmente alle catacombe di San Sebastiano, dove erano state traslate e riunite le reliquie degli apostoli Pietro e Paolo. Essa entrerà, da allora, nel calendario liturgico della Chiesa.
Lorenzo fu sepolto in crypta nel cimitero su cui ora sorge la basilica. Per primo Costantino fece erigere una piccola chiesa – poi ampliata e infine distrutta – a fianco del cimitero, a monumentalizzare il luogo. Papa Pelagio II (578-590) sbancò il colle su cui si trovava il cimitero, che stava per franare, e costruì una basilica con scale interne per permettere l’accesso diretto alla tomba del martire. Papa Onorio III (1216-1227) ne aggiunse un’altra a quella di Pelagio, ma comunicante con essa, per cui, entrando oggi, attraversiamo prima la basilica medioevale e giungiamo poi a quella pelagiana. Onorio invertì anche l’orientamento basilicale, per cui per vedere l’arco trionfale pelagiano dobbiamo recarci dietro l’altare maggiore.

2. Motivi di un pellegrinaggio giubilare

La bolla Incarnationis Mysterium è la prima in cui compare la proposta di recarsi in pellegrinaggio alla basilica di San Lorenzo, anche se da sempre è stata meta di pellegrinaggio. Soprattutto la visita alle Sette Chiese, promossa da San Filippo Neri, ha conservato in epoca moderna la centralità di questo luogo. Ma, come abbiamo già notato, il pellegrinaggio filippino non è mai entrato a far parte integrante della proposta giubilare.
Lorenzo ha vissuto, come ministro ordinato, come diacono, quella carità che è segno centrale nella proposta del Giubileo dell’Anno 2000, ed ha testimoniato col sangue del martirio la sua fede nel Signore. In Lorenzo è possibile contemplare quella unità teologale indissolubile di fides e charitas, la "fede che opera per mezzo della carità" (Gal 5, 6). Il martirio di san Lorenzo non è un aggiunta esteriore al suo ministero di servizio, come se la fede si aggiungesse alla carità. L’amore è tale proprio nella sua valenza teologale di testimonianza del vangelo del Signore Gesù, che solo permette una visione nuova dei fratelli, che trasfigura sia lo sguardo di chi si rivolge al povero sia la persona stessa che è nel bisogno rendendola quasi un sacramento del Figlio di Dio. L’offerta della stessa vita nel martirio è dono ultimo che corona il dono quotidiano degli attimi della vita nella fede e nell’amore.
La Tertio Millennio Adveniente ha così mostrato l’unità della vita morale del cristiano, indicando insieme alcuni atteggiamenti e proposte che ne divengono lo stimolo e la verifica:

La carità, nel suo duplice volto di amore per Dio e per i fratelli, è la sintesi della vita morale del credente. Essa ha in Dio la sua scaturigine e il suo approdo. In questa prospettiva, ricordando che Gesù è venuto ad "evangelizzare i poveri" (Mt 11, 5; Lc 7, 22), come non sottolineare più decisamente l’opzione preferenziale della Chiesa per i poveri e gli emarginati? Si deve anzi dire che l’impegno per la giustizia e la pace in un mondo come il nostro, segnato da tanti conflitti e da intollerabili disuguaglianze sociali ed economiche, è un aspetto qualificante della preparazione e della celebrazione del Giubileo. Così, nello spirito del Libro del Levitico (25, 8-28), i cristiani dovranno farsi voce di tutti i poveri del mondo, proponendo il Giubileo come un tempo opportuno per pensare, tra l’altro, ad una consistente riduzione, se non proprio al totale condono, del debito internazionale, che pesa sul destino di molte Nazioni. Il Giubileo potrà pure offrire l’opportunità di meditare su altre sfide del momento quali, ad esempio, le difficoltà del dialogo fra diverse culture e le problematiche connesse con il rispetto dei diritti della donna e con la promozione della famiglia e del Matrimonio.

La lettera del papa fa riferimento anche agli aspetti sociali e strutturali inerenti alla carità e alla povertà. La basilica di San Lorenzo ci ricorda la presenza sacramentale del diaconato che caratterizza strutturalmente la chiesa nell’animazione della carità. A tale testimonianza ci richiamano i documenti recenti sul diaconato, dal Concilio Vaticano II in poi. Alla figura di san Lorenzo, come poi vedremo, la basilica unisce la testimonianza del diacono e protomartire della stessa santo Stefano le cui spoglie sarebbero state traslate a Roma e riunite a quelle del diacono romano, la testimonianza di San Giustino filosofo animato dalla carità intellettuale e martire, anche lui sepolto in età antica nella basilica. Persino un grande statista italiano, Alcide De Gasperi riposa qui.
In questo luogo siamo invitati ad accogliere l’invito del papa nella bolla Incarnationis Mysterium, a quel "segno della misericordia di Dio, oggi particolarmente necessario, quello della carità, che apre i nostri occhi ai bisogni di quanti vivono nella povertà e nell’emarginazione".

Altresì a livello personale la proposta giubilare di annunziare "un anno di grazia e di misericordia" si traduce, per la prima volta nella storia, nella proposta di compiere pellegrinaggi ad personam come vie per ottenere l’indulgenza. Il giubileo può essere celebrato, come scrive la bolla,

in ogni luogo, se si recheranno a rendere visita per un congruo tempo ai fratelli che si trovino in necessità o difficoltà (infermi, carcerati, anziani in solitudine, handicappati, ecc.) quasi compiendo un pellegrinaggio verso Cristo presente in loro (cfr. Mt 25,34-36).

3. Visitando la basilica

Introduce alla chiesa il portico opera dei Vassalletto, una delle più importanti famiglie dei marmorai romani, detti anche Cosmati, attivi a Roma e nel Lazio nel XII e XIII secolo. Sopra l’architrave corre un fregio cosmatesco con mosaici in gran parte distrutti nel bombardamento del quartiere di san Lorenzo durante la seconda guerra mondiale nel 1943. Sono sopravvissuti solo l’Agnello entro un clipeo, simbolo del Cristo che offre se stesso, e la scena della presentazione a san Lorenzo di Pietro da Courtenay, incoronato nella basilica imperatore latino di Costantinopoli dal papa Onorio III nel 1217.
Il nartece, il cui accesso è scandito dal ritmo sereno delle colonne, è decorato da affreschi duecenteschi. La tradizione vuole che, essendo imperatore Giustiniano I, le reliquie di santo Stefano, ritrovate a Gerusalemme nel 415, siano state traslate in Roma e deposte a fianco di quelle di san Lorenzo. I due corpi dei santi diaconi riposerebbero così l’uno a fianco dell’altro. Gli affreschi dipingono, in parallelo, le storie dei due martiri, a sinistra quella di Lorenzo e, a destra, quella di Stefano. Le parti iconografiche leggendarie si basano sul racconto della Leggenda Aurea, che già abbiamo incontrato più volte.
Sulla parete frontale, a destra della porta di ingresso alla basilica, troviamo dipinta la storia del martire Lorenzo in tre file ognuna con sei riquadri. Nella prima in alto vediamo:

Nella seconda, la fila centrale, troviamo:

Nella terza linea, in basso, vediamo:

Sulla parete frontale, a sinistra della porta d’ingresso, in parallelo alla storia di san Lorenzo troviamo la storia del diacono e primo martire cristiano Stefano. Anche questa storia è presentata in tre linee di sei riquadri.
Nella prima in alto vediamo:

Nella seconda fila, al centro, troviamo:

Nella terza linea, in basso, notiamo:

Nella due pareti laterali sono, invece, descritti miracoli – attribuiti a santo Stefano dopo la sua morte – in favore dell’imperatore Enrico II (1002-1024) e di papa Alessandro II (1061-1073).
Nel nartece, a sinistra, è situata la tomba di Alcide De Gasperi, opera dello scultore Giacomo Manzù. Sostare dinanzi alla tomba del grande statista italiano, che diede un contributo decisivo nel condurre l’elettorato cattolico a scegliere la democrazia, nel referendum sulla forma istituzionale, e poi a guidare l’intero Paese nel difficile cammino della ricostruzione fisica e morale, dopo la seconda guerra mondiale, ci permette di ricordare, proprio nella basilica di San Lorenzo, che, come si espresse Paolo VI, "la politica è una delle forme più alte di carità".
Nella navata incontriamo i due amboni, tra i più belli conservati a Roma, opera dei maestri cosmati nella prima metà del XIII secolo. Quello di sinistra, detto dell’Epistola perché riservato alla lettura dei testi biblici non evangelici, è semplice, in marmo chiaro, con una lastra di porfido da un lato. Quello che lo fronteggia, adibito alla proclamazione del Vangelo, affidata, dove possibile al diacono, appare più ricco ed ornato di marmi colorati. Accanto all’ambone e sostenuto da due leoni ruggenti si trova il bellissimo candelabro per il cero pasquale, ornato da un mosaico a spirale. Alla luce del cero pasquale appena acceso dal nuovo fuoco benedetto nella notte di Pasqua, il diacono canta l’Exultet, l’annuncio della resurrezione del Signore Gesù.
Oltre gli amboni alcuni gradini conducono al presbiterio. Nella cripta sottostante troviamo, al centro, un altare dietro il quale vi è la tomba dei Santi Lorenzo, Stefano e Giustino. È questo il centro della basilica, idealmente punto di unione delle due chiese, quella onoriana e quella pelagiana, da cui è costituita quella attuale.
Qui la Chiesa fa memoria, secondo la tradizione, oltre che di Lorenzo e Stefano anche di san Giustino martire e della sua "carità intellettuale". Giustino nacque in Samaria, agli inizi del secondo secolo. In gioventù frequentò maestri appartenenti a diverse correnti filosofiche e cercò presso ciascuno di loro la verità. Giunse infine al cristianesimo, "la sola filosofia degna". Stabilitosi a Roma si dedicò alla stesura delle sue Apologie, indirizzate all’imperatore Antonino Pio, e del Dialogo con Trifone. Nei suoi scritti racconta la celebrazione dell’eucarestia nel secondo secolo dopo Cristo, scrivendo come la partecipazione al nutrimento eucaristico sia lievito all’aiuto reciproco dei cristiani. Infatti, dopo la spartizione del cibo sacramentale, sono raccolte le offerte. Così testimonia la Prima Apologia: "Ciò che è raccolto è consegnato a colui che presiede ed egli assiste gli orfani, le vedove, i malati, i poveri, i carcerati, gli stranieri di passaggio, insomma soccorre tutti coloro che sono nel bisogno".
Ma soprattutto Giustino si definì, e fu, filosofo, e questa sua proclamazione ha una grande importanza nello sviluppo del pensiero cristiano. Quest’ultimo da una parte, a partire da lui, prenderà dalla riflessione profana gli strumenti concettuali necessari per chiarire la dottrina cristiana; dall’altro presenterà il messaggio evangelico come la risposta agli interrogativi dell’intelligenza umana, come punto d’arrivo alla sete di conoscenza. Giustino non disprezzerà la filosofia, ma pretenderà di rivelare alla filosofia la verità propria della filosofia stessa. "La filosofia è realmente un bene molto grande e prezioso agli occhi di Dio, al quale solo essa ci unisce e conduce, e sono veramente uomini di Dio coloro che si dedicano alla filosofia".
Giustino fu il primo a formulare una teologia della storia cristocentrica. Solo in Cristo si trova la pienezza della verità:
"La nostra dottrina supera ogni insegnamento umano perché noi abbiamo il Logos in tutta la sua interezza in Cristo".

Le verità oscure e incomplete dei filosofi precedenti erano, invece, semi del Logos:

Tutto ciò che di buono in ogni tempo hanno affermato e trovato filosofi e legislatori, è stato realizzato dalle loro ricerche e intuizioni grazie a una porzione di Logos… poiché non conobbero il Logos nella sua interezza. Infatti ciascuno di loro, secondo la porzione di Logos divino seminale, parlò bene vedendo ciò che aveva affinità con quello.

Giustino darà la sua testimonianza estrema con il martirio avvenuto a causa di un imperatore, pure lui filosofo, Marco Aurelio, tra il 163 e il 167.
Nel presbiterio alle spalle dell’arco (verso l’interno) possiamo osservare il mosaico dell’arco trionfale che va cronologicamente situato verso il VI secolo. La scena fu voluta da papa Pelagio II (579-590). L’unica parte superstite dell’antica decorazione musiva rappresenta il tema della Maiestas. Cristo benedicente e con la croce è al centro su un globo azzurro, il mondo; alla sua destra san Paolo che introduce santo Stefano con il libro aperto, e sant’Ippolito, il quale offre la corona del martirio con le mani coperte. Alla sinistra del Cristo vediamo san Pietro che introduce san Lorenzo con il vangelo aperto alle parole del Magnificat, "disperse i superbi, dette ai poveri" ed il pontefice Pelagio che offre la basilica. In basso, ai lati, Gerusalemme e Betlemme, dalle mura gemmate. Di fronte alla ieraticità delle figure del Cristo e dei Santi, il papa Pelagio viene rappresentato con caratteri di maggiore evidenza naturalistica e più piccolo, perché più "moderno" rispetto ai santi raffigurati.
In fondo alla navata destra sta la cappella di San Tarcisio, nella quale è sepolto Papa Pio IX.
Nei sotterranei sono conservate le fondamenta della basilica Costantiniana, le cui epigrafi e i cui resti sono posti nel chiostro databile all’XI secolo, che sorge sul fianco destro dell’attuale basilica. Esso è, insieme con il campanile e un’altra torre retrostante, l’ultimo resto di quello che era l’aspetto della Laurenziopoli medievale, una vera e propria fortezza sorta in difesa delle reliquie custodite nella basilica.


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