Capitolo VIII - IL SANTUARIO DEL DIVINO AMORE

1. L’origine del luogo

È la prima volta che il Santuario del Divino Amore, che sorge sull’Ardeatina, a 12 Km dal Domine quo vadis?, viene proposto come meta di pellegrinaggio giubilare.
È una storia semplice quella che è alla sua origine, all’origine della devozione alla Madonna del Divino Amore. Siamo nel 1740. Il protagonista è un pellegrino, di cui non conosciamo il nome, che vuole arrivare a Roma, in San Pietro, ma non è molto pratico dei sentieri. Si smarrisce, chiede indicazioni ad alcuni contadini, ma un branco di cani affamati lo aggredisce. Mentre si guarda intorno atterrito vede un’immagine della Madonna dipinta sulla torre di Castel di Leva e la invoca. Maria subito interviene e i cani inferociti vengono messi in fuga e il pellegrino può giungere sano e riconoscente alla tomba di san Pietro.
Il ricordo di quel fatto prodigioso fa accorrere pellegrini sempre più numerosi. Vengono anche da lontano, ma soprattutto da Roma. Si affezionano all’immagine posta sulla torre del primo miracolo.
Presto sorgeranno il Santuario, la casa dei sacerdoti custodi e le strutture, minime ma dignitose, per l’accoglienza dei poveri e degli orfani e per le merende per rifocillare le vivaci folle romanesche.

La Madonna del Divino Amore e la seconda guerra mondiale

Negli ultimi mesi della seconda guerra mondiale, un bombardamento si abbatté sulla zona. Fu deciso di trasferire l’affresco della Vergine in Roma perché potesse essere più facilmente protetto. L’immagine fu esposta nella chiesa di Sant’Ignazio. Dinanzi ad essa, il 4 giugno 1944, i fedeli romani insieme a papa Pio XII pregarono Maria perché, per la sua intercessione, Roma potesse uscire salva dalla guerra.
Nella notte stessa i tedeschi evacuarono la città, ritirandosi. Lungo la via Cassia, uccisero senza pietà gli ultimi prigionieri delle carceri di via Tasso, ma la città non dovette subire l’assedio degli Alleati e le sue conseguenze.
L’11 giugno lo stesso papa Pio XII celebrò, in Sant’Ignazio, l’eucarestia per ringraziare il Signore e la Vergine. Così disse nell’omelia:

Noi oggi siamo qui non solo per chiederLe i suoi celesti favori, ma innanzitutto per ringraziarLa di ciò che è accaduto, contro le umane previsioni, nel supremo interesse della Città eterna e dei suoi abitanti. La nostra Madre Immacolata ancora una volta ha salvato Roma da gravissimi imminenti pericoli; Ella ha ispirato, a chi ne aveva in mano la sorte, particolari sensi di riverenza e di moderazione; onde, nel mutare degli eventi, e pur in mezzo all’immane conflitto, siamo stati testimoni di una incolumità, che ci deve riempire l’animo di tenera gratitudine verso Dio e la sua purissima Madre.

Il ritorno dell’immagine al Santuario fu accompagnato dalla presenza di tanti fedeli, che esprimevano tutta la gratitudine. Si accrebbe, da allora, ancor più il pellegrinaggio alla Madonna del Divino Amore.

2. Motivi di un pellegrinaggio giubilare

Giovanni Paolo II in pellegrinaggio al Santuario ha detto:

Anch’io sono venuto in pellegrinaggio in questo luogo benedetto ai piedi dell’immagine miracolosa raffigurata seduta in trono con in braccio Gesù Bambino e con la colomba discendente su di lei quale simbolo dello Spirito Santo che è appunto il divino amore.

Il titolo di Madonna del Divino Amore proclama il rapporto fra Maria e lo Spirito Santo, che è il Divino Amore. Da studi recenti sembra che il titolo possa risalire alle Compagnie del Divino Amore, che fiorirono in Roma agli inizi del ‘500. Una Compagnia del Divino Amore esisteva certamente per venire in soccorso dei poveri che abitavano fuori le mura della città. Sarebbero stati i membri di una tale Compagnia a raccogliere i contadini, servi dei loro padroni, a pregare dinanzi all’immagine di Maria e ad insegnare loro a chiamarla Madonna del Divino Amore.
L’immagine, come ci appare ora dopo i recenti restauri, è una icona laziale medioevale bizantineggiante, originariamente ad affresco su parete, poi staccata e trasferita su tavola di legno. Anche a distanza è evidente che la colomba dello Spirito Santo che discende su Maria è una aggiunta successiva, forse della metà del settecento, quando fu dedicato il primo santuario. Un altro simbolo iconografico ci ricorda però, fin dall’inizio, la presenza dello Spirito Santo. Su una spalle della Vergine è visibile una delle tre stelle con cui la tradizione orientale rappresenta Maria. Le tre stelle rappresentano la verginità prima, durante e dopo il parto di Maria. Nella comprensione che la Chiesa ha del mistero di Maria, la sua verginità non ha primariamente un rilievo morale, quanto teologico. Esprime la verità del concepimento di Gesù per opera dello Spirito Santo.
Maria è la "piena di grazia" perché è stata concepita senza peccato per libera scelta di Dio, prima ancora del suo assenso, in previsione della grazia di Cristo; perché ha vissuto senza peccare, in continuo ascolto e obbedienza allo Spirito Santo; perché Dio ha portato a compimento in Lei la Sua opera con l’assunzione; ma soprattutto perché in Lei, per opera dello Spirito Santo, la pienezza della divinità, la pienezza della grazia, il Figlio di Dio ha assunto la carne umana, come ha scritto nella Tertio Millennio Adveniente Giovanni Paolo II:

Maria, che concepì il Verbo incarnato per opera dello Spirito Santo e che poi in tutta la propria esistenza si lasciò guidare dalla Sua azione interiore, sarà contemplata e imitata come la donna docile alla voce dello Spirito, donna del silenzio e dell’ascolto, donna di speranza, che seppe accogliere come Abramo la volontà di Dio "sperando contro ogni speranza" (Rom 4,18). Ella ha portato a piena espressione l’anelito dei poveri di Jahvé, risplendendo come modello per quanti si affidano di tutto cuore alle promesse di Dio.

Quando è cresciuta la venerazione della Madonna del Divino Amore – dopo il primo miracolo del 1740 – probabilmente per opera del cardinal Guadagni, allora vicario di Roma, è stata aggiunta la raffigurazione dello Spirito Santo, in forma di colomba, che discende su Maria e sul Bambino Gesù. Fu lui a legare, da allora, la festa del santuario al giorno di Pentecoste , alla solennità che celebra il compimento della Pasqua.
Venire in pellegrinaggio al Divino Amore vuol dire sì chiedere le grazie, per le quali Maria intercede, ma vuol dire soprattutto chiedere, per sua intercessione, "la grazia", la presenza del Divino Amore nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia. È Lui che penetrando nei cuori ci unisce al Figlio. Come ha scritto Paolo VI, nella solenne professione di fede a chiusura dell’anno della fede del 1968:

Noi crediamo nello Spirito Santo, che è Signore e dona la vita; che è adorato e glorificato col Padre e col Figlio. Egli ci ha parlato per mezzo dei profeti, ci è stato inviato da Cristo dopo la sua risurrezione e la Sua ascensione al Padre; egli illumina, vivifica, protegge e guida la Chiesa, ne purifica i membri, purché non si sottraggano alla Sua grazia. La Sua azione che penetra nell’intimo dell’anima, rende l’uomo capace di rispondere all’invito di Gesù: "Siate perfetti com’è perfetto il Padre vostro celeste" (Mt 5, 48)…

Noi crediamo che Maria è la Madre, rimasta sempre Vergine, del Verbo Incarnato, nostro Dio e Salvatore Gesù Cristo, e che, a motivo di questa singolare elezione, Ella, in considerazione dei meriti di Suo Figlio, è stata redenta in modo più eminente, preservata da ogni macchia di peccato originale e colmata del dono della grazia più che tutte le altre creature. Associata ai misteri dell’Incarnazione e della Redenzione con un vincolo stretto e indissolubile, la Vergine santissima, l’Immacolata, al termine della Sua vita terrena è stata elevata in corpo e anima alla gloria celeste e configurata a suo Figlio risorto, anticipando la sorte futura di tutti i giusti; e noi crediamo che la Madre santissima di Dio, nuova Eva, Madre della Chiesa, continua in cielo il suo ufficio materno riguardo ai membri di Cristo, cooperando alla nascita e allo sviluppo della vita divina nelle anime dei redenti.

Maria ha creduto nella sua vita terrena che non c’è amore più grande di quello della Trinità ed ora, in cielo, bussa continuamente alla porta di quest’amore per intercedere per noi viandanti e pellegrini in questo mondo.

3.Visitando il santuario

La Madonna del miracolo era stata dipinta da ignoto, nel secolo XIV, su una torre del Castel di Leva (nome che deriva probabilmente dall’antico nome Castrum Leonis), fortezza degli Orsini e poi dei Savelli, edificata nel XII secolo.
Distrutto il castello nel secolo XV, era rimasta in piedi la sola torre dove era dipinta la Madonna. A quell’immagine il pellegrino rivolse la sua preghiera.
In breve tempo fu edificato, nel 1744, sui ruderi del castello, il santuario che ancora oggi possiamo ammirare, per custodire l’immagine della Madonna. La modesta architettura della chiesa è dovuta, sembra, a F. Raguzzini.
L’affresco della Madonna fu rimosso dalla torre, torre che è ancora oggi in piedi all’esterno della chiesa, e solennemente intronizzato nell’altare maggiore, dove attualmente si trova. Dopo periodi di grande devozione, la venerazione del santuario conobbe nei primi decenni del nostro secolo una progressiva decadenza fino ad essere quasi abbandonato, quando nel 1931 un giovane sacerdote, Umberto Terenzi, dopo essere sopravvissuto ad un pauroso incidente stradale proprio in quel luogo, consigliato dal beato Luigi Orione, ne divenne il rettore e lo fece rifiorire, già prima della seconda guerra mondiale. Don Terenzi era sacerdote romano e fu il promotore della devozione alla Madonna del Divino Amore fino al 1974, anno della sua morte. Per lui è ora in corso il processo di canonizzazione.

La nuova chiesa

Pio XII pensò di costruire un santuario più vasto di quello antico, durante il rettorato di don Terenzi, per sciogliere il voto fatto in occasione della preghiera alla Vergine perché Roma fosse risparmiata dai bombardamenti, di cui abbiamo già parlato. Papa Pacelli aveva anche incaricato del progetto uno dei maggiori architetti di quegli anni e ne aveva pure benedetta la prima pietra. Ma il progetto non fu poi realizzato.
I nuovi architetti hanno deciso, con sapienza, che la nuova chiesa, più grande della precedente per accogliere i tanti pellegrini, non dovesse turbare il poggio e le mura che accolgono ancora il santuario settecentesco. Esso è rimasto, così com’era, a disegnare con la sua sagoma il paesaggio, custodendo l’immagine della Vergine e del Bambino.
Fuori delle mura, vicino alla torre del primo miracolo, il prato ad un tratto finisce e diventa scarpata. Gli architetti hanno pensato di continuarlo creando una grande zolla che si rialza. Sopra vediamo un bel prato verde pieno di fiori di campo e sotto una grotta azzurra, cioè il nuovo santuario.
Il papa ha parlato di Maria, colei che è beata perché ha creduto, come tappa di sosta e di riposo sulla strada che porta a Cristo. Per questo, al Divino Amore, si è pensato di creare un’oasi dell’anima, accessibile a tutte le persone che vi accorreranno per adorare Cristo e venerare Maria Sua madre, in letizia e in amicizia.
Al Divino Amore si verrà ancora, come accade da sempre, non solo per pregare la Madonna, ma anche per stare con gli amici, per vivere l’allegria cordiale di una scampagnata. Non è anche per questo che, da secoli, il Divino Amore è diventato il santuario per eccellenza dei Romani? Pure la cornice festosa che circonda il pellegrinaggio e l’incontro propriamente religioso e liturgico, dice che è buono, che è sacro, che è di Dio, tutto l’umano dell’uomo e che tutto va vissuto e celebrato in festa.
Pregando, conversando e facendo merenda con gli amici, ricorderemo ciò che affermava don Terenzi: "Il Divino Amore è uno spazio di bellezza e anche uno spazio ideale per ogni festa della vita".


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