LA TRADUZIONE DELLA BIBBIA

Sebbene prima del Concilio di Trento (1545-1563) già esistessero alcune traduzioni della Bibbia nelle lingue volgari, fu solo con la Riforma protestante che la questione sull'opportunità della traduzione della Bibbia nei vernacoli e della sua divulgazione, piuttosto controversa nella Chiesa cattolica, fu affrontata attraverso discussioni talvolta anche aspre e vivaci.
Il Concilio di Trento confermò il primato della Vulgata come versione ufficiale della Chiesa cattolica e, se non proibì esplicitamente le traduzioni dal latino ai vernacoli, tuttavia assunse un atteggiamento estremamente cauto che non le favorì affatto, impedendo la diffusione della Bibbia tra il popolo per timore di interpretazioni private o della diffusione delle idee protestanti, scoraggiandolo al contatto diretto con la Scrittura, che rimase ancora per lungo tempo un privilegio del clero.
La questione della traduzione della Bibbia fu definitivamente affrontata e risolta in una nuova prospettiva grazie alle decisioni prese nel Concilio Vaticano II (1962-1965): “È necessario che i fedeli abbiano largo accesso alla Sacra Scrittura… La Chiesa ha sempre in onore le altre versioni orientali e le versioni latine, particolarmente quella che è detta Volgata. Poiché, però, la parola di Dio dev'essere a disposizione di tutti in ogni tempo, la chiesa cura con materna sollecitudine che si facciano traduzioni appropriate e corrette nelle varie lingue, a preferenza dai testi originali dei sacri libri. Che se queste, secondo l'opportunità e col consenso dell'autorità della Chiesa, saranno fatte in collaborazione con i fratelli separati, potranno essere usate da tutti i fedeli” ( Dei Verbum ).
Le traduzioni della Bibbia si possono distinguere in due tipi a seconda del tipo di traduzione:
- letterali/letterarie, cioè fatte in base al principio di “equivalenza formale”, che enfatizza la corrispondenza letterale e formale del testo tradotto al testo-base da cui è tradotto.
- in lingua corrente, cioè fatte in base al principio di “equivalenza dinamica” o “equivalenza funzionale”, che mira più alla trasmissione e comprensione da parte del lettore del contenuto e del messaggio del testo di partenza, che alla sua riproduzione formale, secondo un nuovo concetto di traduzione per il quale la “fedeltà” può essere una caratteristica sia di una traduzione letterale, sia di una traduzione funzionale. In virtù di accordi tra l'Alleanza Biblica Universale e il Segretariato Pontificio per l'Unità dei Cristiani, firmati nel 1968 e rivisti nel 1987, molte traduzioni in lingua corrente sono interconfessionali, cioè fatte insieme da cattolici e protestanti.

LA BIBBIA DELLA CEI

È tradotta dai testi originali ebraico, aramaico e greco. Per l'Antico Testamento, la traduzione è fatta dal testo masoretico, ma quando questo presenta delle difficoltà insormontabili, si è fatto ricorso ad altri manoscritti ebraici (ad es. quelli di Qumran) o a versioni antiche, principalmente quelle greca, siriana e latina. Per i libri greci dell'Antico Testamento (“deuterocanonici”) e per il Nuovo Testamento, viene usato il testo greco quale è stabilito dagli studiosi di critica testuale verso il 1960. Quando la tradizione manoscritta offre diverse possibilità per uno stesso testo, viene scelta la lezione più sicura, ma vengono riportate in nota le varianti di un certo rilievo o ritenute probabili.
Nella trascrizione dei nomi propri, i traduttori hanno tentato di riprodurre il più esattamente possibile la forma e la pronuncia degli stessi in lingua ebraica e greca, ma per quelli entrati nell'uso corrente hanno conservato la forma italianizzata ormai tradizionale e familiare ai fedeli.
È una traduzione preparata secondo le direttive date dalla Cei nel 1965: fedeltà al testo originale, precisione teologica, eufonia della frase e cura del ritmo. Utilizza la lingua letteraria italiana della seconda metà del XX sec. È stata pubblicata per la prima volta nel 1971 ed è stata scelta come versione ufficiale e liturgica della Chiesa cattolica italiana. Il Nuovo Testamento è stato rivisto recentemente in una nuova edizione (1997). Una ulteriore revisione è in corso ed è attesa la sua pubblicazione definitiva, unitamente alla nuova edizione dell'Antico Testamento.

BIBBIA DI GERUSALEMME

La Bibbia di Gerusalemme è la traduzione italiana dell'edizione 1973 de La Bible de Jerusalem. La Sainte Bible traduite en français sous la direction de l'École Biblique de Jérusalem , Paris, 1973 (un rifacimento integrale di essa, che molte polemiche ha suscitato in Francia, è apparso solo di recente e, quindi, l'edizione italiana non ne tiene conto). Già la prima edizione del 1955 rappresentava il frutto del lavoro di una équipe formata dai migliori esegeti di Francia, sotto la direzione dei domenicani della celebre Scuola Biblica, l'Ecole Biblique, sorta presso la Basilica di S.Stefano a Gerusalemme, ad opera del p.Lagrange, nel 1890. Per l'edizione del 1973 traduzioni e note sono state rivedute e verificate. Hanno collaborato tra gli altri R.de Vaux, P.Benoit e Mons.L.Cerfaux. Nella Bibbia di Gerusalemme grande importanza hanno le note di critica testuale, che si propongono di ristabilire il testo biblico originale e le varianti principali conosciute, in maniera da permettere al lettore di prenderne coscienza. Le sigle TM (testo masoretico), LXX (Septuaginta), Volg (Vulgata), Q (Qumran) ed altre indicano le differenti lezioni presenti nei diversi testi antichi. L'edizione italiana della Bibbia di Gerusalemme non ha voluto ritradurre in italiano il testo biblico tradotto dalle lingue originali in francese, ma ha scelto di riprodurre semplicemente il testo della CEI, curato dalla Conferenza Episcopale Italiana, secondo la “editio princeps” del 1971. Quando nelle note non si trovano le sigle BJ (Bible de Jerusalem) o BC (Bibbia della CEI) vuol dire che le due versioni (francese ed italiana) coincidono. Quando invece compaiono le due sigle vuol dire che le due versioni adottano diverse traduzioni ed i motivi dell'una e dell'altra sono spiegati in nota. In questi casi le note della BJ sono state adattate alla versione BC.
Ogni libro o gruppo di libri è preceduto da introduzioni generali molto dettagliate. Le referenze marginali sono riprodotte fedelmente dalla BJ. Un sistema di segni aiuta la comprensione del testo, rinviando di volta in volta ad altri passi biblici, utili per la comprensione di un versetto.

LA BIBBIA TOB

La Bibbia TOB (Traduction Oecuménique de la Bible) riprende la traduzione della Bibbia a cura della Cei, mentre le note e i commenti sono tradotti dalla II edizione francese del 1987, revisione della precedente presentata ufficialmente alle Chiese di Francia nel 1975. Questa traduzione costituisce una tappa fondamentale e irreversibile nel cammino ecumenico e, più attenta alla fedeltà letterale rispetto alla “Traduzione Interconfessionale in Lingua Corrente”, è corredata di introduzioni generali, di introduzioni ai singoli libri e di note di carattere filologico, storico e dottrinale, redatte da traduttori cattolici e protestanti in collegamento con la commissione teologica ortodossa.
I libri biblici non sono riportati nell'ordine della Bibbia Cei, ma seguono la Bibbia ebraica: dopo i protocanonici dell'Antico Testamento, seguono i libri deuterocanonici, quindi i libri del Nuovo Testamento. Questa scelta ha indotto gli editori a presentare una doppia traduzione del libro di Ester, una secondo l'ebraico, l'altra secondo il greco.
L'Antico Testamento è tradotto sul testo masoretico, salvo quei passi che vengono indicati nelle note come varianti importanti degli altri manoscritti, specialmente quelli della versione greca dei “Settanta”. I casi relativamente rari in cui ci si allontana dal testo masoretico sono segnalati in nota.
Per i nomi propri di persona e i toponimi è stata mantenuta la trascrizione adottata nella Bibbia Cei.

LA NUOVISSIMA VERSIONE DAI TESTI ORIGINALI

A partire dagli anni '70 le Edizioni San Paolo hanno pubblicato, in 46 volumetti, una nuova traduzione della Bibbia, denominata "Nuovissima versione dai testi originali".
I diversi testi sono stati poi raccolti in un unico volume, a partire dal 1983.
Questa traduzione si caratterizza per la sua aderenza al testo originario, rispettandone anche le relative asperità, senza venire, quindi, incontro, alla scorrevolezza della lingua. Alla preoccupazione di una immediata comprensione è, insomma, preferita la lettera del Testo Sacro.
I traduttori sono tutti biblisti italiani e, fra essi, P.Rossano, C.M.Martini, U.Vanni e molti altri.
Numerose note, segnalazioni di passi utili alla comprensione del testo, oltre ad ampie introduzioni ed approfondimenti, arricchiscono le edizioni recenti. Tutto questo apparato critico è stato rivisto, rispetto alla prima edizione in volumetti separati, da A.Girlanda, P.Gironi, F.Pasquero, G.Ravasi, P.Rossano, S.Virgulin.

LA TRADUZIONE INTERCONFESSIONALE

Si tratta di una traduzione a "equivalenza dinamica" o “equivalenza funzionale”, che si distingue dalle altre perché cerca di rendere il testo ebraico e greco con parole e forme della lingua corrente, abitualmente usata nei rapporti interpersonali. Essa cerca di rendere i testi biblici accessibili ai principianti e comprensibili al lettore di oggi, privilegiando la trasmissione del contenuto rispetto alla conservazione degli aspetti formali delle lingue originali. Nonostante questa costante attenzione, la traduzione non è mai una parafrasi, ma resta fedele ai testi originali e rispetta le caratteristiche della lingua italiana e si sforza di non aggiungere né togliere alcuna informazione rispetto ai testi originali. E', però, evidente che questo tipo di traduzione talvolta impedisce al lettore di rendersi conto delle sfumature delle singole parole che sottostanno alla traduzione. Inoltre, questa traduzione tenta di colmare il divario culturale tra la realtà del tempo e del contesto in cui la Bibbia è stata scritta e quella dell'uomo contemporaneo, sebbene non sia trascurata la distanza tra queste realtà lontane e vengano mantenuti tutti i riferimenti al mondo palestinese e greco-romano. Dopo quattro anni di lavoro, nel 1976 è stato pubblicato l'intero Nuovo Testamento, mentre l'intera Bibbia è apparsa nel 1985 insieme alla seconda edizione del Nuovo Testamento. I libri Deuterocanonici sono collocati tra l'Antico e il Nuovo Testamento, preceduti da apposita introduzione che in particolare dichiara: “Il valore di questi libri fu ufficialmente riconosciuto dalla Chiesa romana nel secolo IV d.C. Essi sono stati poi dichiarati canonici dalla Chiesa cattolica nel Concilio di Trento (1546). Da allora divenne comune il nome di libri Deuterocanonici (appartenenti al secondo canone o elenco). I Protestanti li chiamano generalmente Apocrifi, parola che originariamente significava “nascosti”. I Riformatori del secolo XVI non li hanno riconosciuti come canonici. Li hanno però considerati utili per l'edificazione personale e li hanno messi in appendice alla Bibbia. Così, ad esempio, la confessione di fede detta “La Rochelle” (1559) dichiara a questo proposito: “benché utili, non è possibile fondare su di essi alcun articolo di fede”. Le Chiese ortodosse, anche se non hanno mai preso alcuna decisione ufficiale li includono nelle loro Bibbie”.

LA BIBBIA EBRAICA
A CURA DI RAV DARIO DISEGNI

Il Rabbino Dario Disegni (1878-1967) ha tradotto in quattro volumi il Tanak. La parola Tanak designa per gli ebrei la Bibbia e deriva da TNK, le iniziali di Torah (la Legge, il Pentateuco), Neviim (i Profeti) e Ketuvim (gli Scritti o Agiografi).
Nel 1960 uscì la traduzione del primo volume Torah e Haftaroth, seguita nel 1962 da quella dei Profeti Anteriori, nel 1964 dai Profeti Posteriori e infine, nel 1967, a pochi mesi dalla scomparsa di Rav Disegni, il volume degli Agiografi.
La Torah o Pentateuco è la prima parte della Bibbia. Si divide in 5 parti che prendono il nome dalla prima o da una delle prime parole con cui hanno inizio.

Il contenuto della Torah è duplice: narrativo e legislativo. La parte narrativa è fondata sia su avvenimenti storici che su racconti. La Torah narra, dopo i racconti di creazione, in quale modo si creò un legame speciale tra il Signore ed Abramo, come tale patto fu rinnovato con i discendenti di Abramo via via fino alla generazione di coloro che uscirono dall'Egitto e ricevettero il decalogo e la promessa della terra di Canaan.
La parte legislativa comprende nell'interpretazione rabbinica oltre ai sette precetti cosiddetti “dei figli di Noè” cioè obbligatori per tutta l'umanità, 613 precetti (Mizvoth) dei quali 248 positivi e 365 negativi. Tale parte ha lo scopo di insegnare agli Ebrei quale sia il comportamento cui debbono attenersi per conformarsi alla volontà divina. La tradizione ebraica attribuisce la Torah a Mosè che l'avrebbe scritta sotto ispirazione divina. Gli ultimi versetti che parlano della morte di Mosè, sono attribuiti a Giosuè.
E' uso antichissimo nelle comunità ebraiche di leggere pubblicamente a brani successivi tutta la Torah consecutivamente, da Bereshit a Devarim. A tale scopo la Torah è stata divisa in 54 parascioth, tale essendo, secondo il calendario ebraico, il numero massimo di sabati non corrispondenti a giorni di festa solenne (mo'ed) o di mezza festa (chol hammo'ed) dell'anno.
Le paraschiot prendono il nome dalla prima o da una delle prime parole con cui hanno inizio. La prima (Bereshit) si legge nel sabato successivo a Simchat-Torah (in Erez Israel a Sceminì'Atsèreth), la festa della “gioia della Torah”.
Col nome di Haftarà (plurale Haftaroth) si intende un passo tratto dai libri dei Profeti che si legge dopo quello del Pentateuco (parascià) le mattine dei sabati e dei giorni di festa solenne. L'etimologia del nome haftarà è incerta. Probabilmente il significato è “(lettura) che rende esente”, dato che, in tempi di persecuzioni in cui era stata vietata la lettura pubblica della Torah, si leggeva l'haftarà (che esentava dalla lettura della parascià).


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