Henri Matisse dinanzi all'oggettività del cristianesimo: la Cappella delle domenicane di Vence
di d.Andrea Lonardo


Il mio lavoro consiste nell'imbevermi delle cose. E dopo, tutto questo rifluisce fuori.

Io sono fatto di tutto ciò che ho visto.

H.Matisse, commentando la Cappella di Vence


Uno studio approfondito permette al mio spirito di prender possesso del soggetto della mia
contemplazione e d'identificarmi con esso, nell'esecuzione della mia tela

H.Matisse alla radio, nell'inverno 1942


Indice


Monique Bourgeois. Una suora e Matisse

Infermiera di Matisse, poi modella dei suoi quadri, poi suora [1], colei senza la quale “la cappella di Vence non è completa” [2], secondo le parole stesse di Matisse. Monique Bourgeois è la giovane donna che, nel settembre del 1942, a Nizza, divenne infermiera del maestro Henri Matisse, appena operato di tumore all'intestino [3].

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H.Matisse, Monique

Monique prese servizio presso il maestro francese il 26 settembre. Non aveva mai sentito il suo nome, prima di allora. Le notti trascorse insieme - il malato e l'infermiera - trascorsero prima noiose, poi sempre più cariche di dialogo e scambi intellettuali. Matisse le raccontava la sua vita e sosteneva le decisioni della giovane donna. Il pittore volle vedere un giorno i disegni della Bourgeois e, apprezzatili, desiderava che la giovane si applicasse alle arti. Dopo 15 notti di guardia, l'infermiera abituale tornò al suo lavoro e Monique interruppe il suo servizio presso Matisse, ma il maestro, salutandola, le disse che l'avrebbe chiamata ancora, quando avrebbe avuto bisogno di lei. La giovane, nel frattempo, poté riprendere gli studi infermieristici, grazie ad una borsa di studio, mentre di tanto in tanto lavorava presso altri malati. Matisse la chiamava, saltuariamente, in assenza dell'infermiera regolare.
Così Monique ricorda di avergli detto un giorno, man mano che il rapporto fra i due si intensificava: “Voi sapete che, mio signore, io non vi considero semplicemente come un malato. Voi siete per me come un nonno. Io non ho conosciuto i miei, ma li immagino così” [4].
Improvvisa un giorno la telefonata di Matisse: “Volete venire da domani pomeriggio per delle sedute di posa, remunerate, ben inteso?”. Monique divenne, così, nel 1942, modella del maestro [5].

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H.Matisse, L'idole

Monique ricorda di avergli un giorno domandato: “Perché mi avete scelta? A casa mi dicevano sempre di essere brutta. Talvolta avevo paura anche di uscire”. Matisse le rispose: “Ma chi vi ha detto questo? I vostri parenti? Credete voi che la bellezza greca sia il solo tipo di bellezza? Ciò che io guardo è il volume, l'espressione, la vostra fronte che è come una torre, la massa splendida dei vostri capelli, l'ovale del viso, l'espressione dello sguardo, il décolleté, le braccia affusolate, delle quali non si vede l'articolazione, le mani. E' qualcosa di vivo e non di freddo” [6].
Nell'estate del 1943 Matisse si trasferì ad abitare a Vence con la segretaria Lydia Delectorskaya [7]presso la villa presa in affitto detta Le Rêve, per evitare i possibili bombardamenti od una evacuazione di Nizza. Le Rêve rimase la residenza primaria di Matisse fino all'inizio del 1949, quando il pittore si trasferì nuovamente all'Hôtel Régina in Cimiez.

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H.Matisse, La Robe verte e les Oranges

Monique, che continuava a posare per il maestro come modella e che era, di tanto in tanto, chiamata a vegliarlo come infermiera di notte, maturava intanto pian piano la scelta della vocazione religiosa. Pensò dapprima alle suore clarisse di Cimiez, ma, poi, un padre domenicano la incoraggiò a conoscere meglio le domenicane. Il 7 dicembre 1943 partì per Monteils, per visitare il convento delle domenicane di Notre-Dame du Très Saint-Rosaire. Voleva “il dono totale di sé, senza possibilità di tornare indietro” [8].
Monique non sapeva come comunicare questo desiderio ad H.Matisse. Quando prese la decisione di entrare in convento chiese consiglio alla Delectorskaya, che le rispose di dire, per il momento, che si recava a lavorare altrove, senza informare ancora il pittore delle sue intenzioni. Fu lui, un ora dopo che si erano salutati, appena saputa la verità dalla Delectorskaya, a chiamarla al telefono e a dirle: “Come avete potuto avere una simile idea? Avevo intenzione di farvi esercitare al disegno ed, in particolare, negli schizzi per dei pannelli a carattere educativo. Avevo tanto ammirato le illustrazioni da voi fatte nei quaderni di infermiera! [9]”.
Monique raccontò poi di aver saputo che, per mesi, il pittore non riuscì a trovare l'ispirazione per nuove opere.

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H.Matisse, Tabac royal

A fine febbraio Monique entrò a Monteils, a marzo divenne novizia e l'8 settembre 1944 divenne suora con il nome di sr. Jacques-Marie.
Matisse, dopo alcuni mesi, decise di scriverle. La sua lettera è firmata il 12 febbraio 1945. Matisse voleva essere rassicurato sullo stato di salute di Monique, sulle sue condizioni nella nuova vita. In un passaggio scriveva: “Noi abbiamo delle vie che corrono l'una a fianco dell'altra nella stessa regione spirituale”. Monique, ormai sr. Jacques-Marie, decise di rispondere per contestare questa frase, per mostrare al pittore un punto di profonda divergenza fra lei e lui: l'appartenenza alla Chiesa.
La risposta di Matisse fu una lettera di dodici pagine che, fra l'altro, recitava:

Voi vivete la vostra vita spirituale nella luce. Ed io? Io non vivo che per la luce e sono stato a cercarne una nuova sfumatura agli antipodi [10]... La sottomissione, l'ho anch'io, è per questo che ho potuto essere insultato da tutti i critici d'arte per più di 20 anni, poiché io ero sottomesso alla volontà divina, piuttosto che ai gusti di un pubblico che si basava su delle abitudini meccaniche indegne di una creatura d'origine divina o abitata da una particella divina donata ad ogni essere. Il Signore ha detto: “Fuori della Chiesa non c'è salvezza” [11]. La mia strada non si è precisata così. Io sono stato condotto (molto modestamente) pertanto ed io l'ho constatato solamente in questi ultimi anni, guardando a ritroso il mio cammino, a considerarmi come destinato dall'Altissimo a risvegliare nello spirito degli altri uomini la visione delle cose, che conduca ad una elevazione dello spirito, fino a giungere al Creatore. Io obbedisco – io lo credo fermamente – al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo. La mia contemplazione non può essere soltanto di ammirazione ma deve essere attiva, mettendo in moto tutte le risorse dello spirito per creare il mezzo più diretto per elevare lo spirito dei miei simili verso una regione che li faccia uscire dalla loro bassa condizione umana – soprattutto dall'interesse “del guadagno per il guadagno” con il quale si pensa di poter tutto comprare. Voi pregate per me. Ve ne ringrazio. Domandate a Dio di donarmi nei miei ultimi anni la luce dello spirito che mi tenga in contatto con Lui, che mi permetta di far giungere la mia carriera lunga e laboriosa allo scopo che io ho sempre cercato; rendere la Sua gloria evidente ai ciechi per un nutrimento esclusivamente terrestre... Il bisogno di rispondervi mi ha obbligato a trovare, nel mio più profondo, delle cose che io non formulo mai con pensieri, che non provo il bisogno di comunicare agli altri... Io vado in questo momento, come tutte le mattine, a fare la mia preghiera, con la matita in mano, davanti ad un melograno coperto di fiori nei diversi stadi della fioritura e spio la loro trasformazione, facendo questo non con uno spirito scientifico, ma compenetrato di ammirazione per l'opera divina Non è questo un modo di pregare? Ed io non faccio che (ma, in fondo, io non faccio niente, perché è Dio che conduce la mia mano) rendere evidente per gli altri l'intenerimento del mio cuore [12].

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H.Matisse e sr.Jacques-Marie

In quel periodo la salute di sr. Jacques-Marie non è buona e le sorelle si vedono costrette a trasferirla in una casa migliore di quella di Monteils. Sr. Jacques-Marie domanda allora di poter andare a Vence dove il clima è sicuramente migliore. Il 7 dicembre del 1945 avviene il trasferimento. Dopo poco Matisse è da lei, per visitarla, carico di doni e di ricostituenti per la sua salute. Il maestro esclama: “Sì, se è il vostro ideale, io voglio che voi siate felice”. A Vence, sr. Jacques-Marie prende dimora presso il foyer Lacordaire delle domenicane della sua comunità, la casa riservata alle suore in pensione. Nel settembre 1946 è ancora a Monteils, per la prima professione religiosa, ma, dopo poco è di nuovo a Vence, ormai con l'abito religioso. Matisse, andandola a trovare, vuole che si rigiri tutta intorno, per vederla con l'abito. Così commenta sr. Jacques-Marie: “Mi ritrovava un po' – disse – ma il velo lo infastidiva” [13].
Così commenta H.Matisse il rapporto con Monique, ora sr.Jacques-Marie: “Ho appena ricevuto la visita della mia religiosa, quella che ha posato per il quadro chiamato “L'idolo”. E' una domenicana, è sempre una persona magnifica. Noi chiacchieriamo delle cose e degli altri con un certo tono, ci punzecchiamo dolcemente. Quando se n'è andata, Madame Lydia mi ha detto di essere sorpresa dal nostro modo di conversare. Io so cos'è che la colpisce: è che si avverte una certa tenerezza, anche inconsapevole. Io ho sintetizzato ciò che pensa Lydia dicendo che si tratta di una sorta di flirt , a me piacerebbe scrivere fleurt , perché è un po' come se noi ci lanciassimo l'un l'altro dei fiori sul viso, dei petali di rose. E perché no? Niente vieta questa tenerezza che fa a meno delle parole e che va oltre le parole [14]”.

La genesi dell'idea della cappella di Vence nel racconto di sr. Jacques-Marie

A fianco del foyer di Vence, esistevano le antiche fondazioni preparate per sostenere una cappella fino allora mai realizzata. Il progetto era stato, infatti, abbandonato, poiché le suore avevano ritenuto che la nuova costruzione avrebbe tolto luce ad alcune delle stanze della residenza.
Sr. Jeanne del Santo Sacramento, la sacrestana, aveva più volte espresso a sr. Jacques-Marie il desiderio di una nuova cappella. Prima di morire, per una grave malattia, il 7 agosto 1947, aveva detto: “Quando sarò là in alto, mi occuperò io della cappella e voi l'avrete ben presto”. Sr.Jacques-Marie, vegliando il suo corpo in quella notte, decise di mettersi a disegnare la bozza di una vetrata di una finestra con l'Assunzione di Maria, omaggio alla sacrestana appena morta.
Nei giorni che seguirono, Matisse vide il disegno. Gli piacque. Cominciò a sostenere presso sr. Jacques-Marie l'idea che le suore avrebbero fatto bene a costruire una cappella che comprendesse la vetrata disegnata.

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La vetrata disegnata da sr.Jacques-Marie nella notte di veglia per la morte di sr.Jeanne del Santo Sacramento

Verso la fine dell'anno un giovane frate domenicano, fr.Louis b. Rayssiguier, passò per il foyer Lacordaire e, saputo casualmente che una suora conosceva Matisse, chiese di poterlo incontrare. Le suore decisero, poiché il pittore riceveva difficilmente senza motivo, di presentare il frate come persona incaricata della realizzazione della nuova cappella. Infatti, nel frattempo, sr. Jacques-Marie aveva parlato più volte della cosa con la superiora, sebbene quest'ultima non ne volesse assolutamente sapere.
La superiora accettò, invece, che la cappella fosse usata come pretesto per l'incontro del frate e del pittore francese - era convinta che la cappella non si sarebbe mai fatta.
I due passarono insieme il pomeriggio e, in quel colloquio, Matisse decise di divenire l'artista della nuova cappella. Fidandosi delle parole del domenicano e della realtà delle intenzioni della realizzazione di una nuova cappella parlò subito alla stampa del progetto. Subito l'eco della notizia fu grande.
Nel dicembre 1947, fr.Rayssiguer disegnò la pianta della cappella. Già nel gennaio dell'anno successivo, Matisse presentò i primi progetti relativi ad essa.
Un plastico di cartone fu poi realizzato dalla stessa sr. Jacques-Marie, nel febbraio, e trasportato nell'abitazione del pittore.
All'inizio dell'estate, stimolato dalla notizia della progettazione della cappella, il canonico Devémy commissionò a Matisse un affresco che rappresentasse S.Domenico, per la Chiesa Notre-Dame-de-Toutes-Grâces di Assy, nell'Alta Savoia. Anche il padre domenicano Marie-Alain Couturier [15], uno degli iniziatori de l'Art sacré, cominciò a muoversi per appoggiare il progetto della cappella presso la madre generale della congregazione, che risiedeva a Monteils.
Matisse decise, liberamente, di pagare di tasca propria i lavori di progettazione e realizzazione dell'opera. Non volle alcun onorario, anzi, si impegnò economicamente, tanto si era appassionato all'idea della cappella. Solo a fatica, la madre generale, convinse la madre superiora di Vence ad accettare la realizzazione della cappella. Ma, nel corso del lavoro, numerose furono le tensioni fra la madre superiora, che ogni volta sembrava voler tornare indietro, da un lato, fr.Rayssiguier, dall'altro, che nel corso dei lavori fu ordinato prima diacono e poi sacerdote e che, come consulente liturgico, teneva i rapporti anche con p.M.-A.Couturier ed, infine, H.Matisse. Sr.Jacques-Marie fu colei cui tutti si riferivano per esprimere i loro propositi ed i loro malumori. Cercò di difendere in ogni momento il progetto di Matisse e si adoperò per convincerlo a continuare, ogni volta che qualche sua idea era rifiutata.
Sul clima generale pesarono anche i media dell'epoca che, con insistenza morbosa, cercarono di costruire illazioni sull'amicizia fra il pittore e suor Jacques-Marie, infastidendo le autorità ecclesiastiche.
Vogue [16]scrisse un articolo dal titolo His old friend, ripreso da un giornale francese, con un disegno del pittore e di una modella in atteggiamento romantico. Match titolò, mesi dopo, “Matisse sacrifica 800 milioni per suor Jacques, una domenicana” [17]. Sempre Matisse si scusava presso la sua amica suora e la invitava a non scoraggiarsi. La madre che accompagnava sr.Jacques-Marie come madre spirituale, sr.Anastasia, la invitò da parte sua a continuare in questa difficile opera di mediazione: “E' tutto nell'ordine delle cose: i costruttori di chiese non hanno mai edificato niente di bello e di buono se non sulla croce. La disperazione è una cosa anticristiana. La vostra anima deve passare sopra ciò che accade. Il Signore è il nostro sostegno ed Egli è sempre là. Creda sempre che la madre generale comprende bene la vostra situazione e comprende ancor meglio che solo voi potete essere il legame fra i diversi attori di questa opera magnifica” [18].
Ogni volta sr.Jacques-Marie era accusata di dare troppo retta all'uno o all'altro di coloro che intervenivano nella costruzione della cappella che procedeva [19].
Ma, soprattutto, il pittore diventava sempre più anziano e malato e dovette superare numerose crisi fisiche.
In alcuni momenti, durante il giorno, a sr.Jacques-Marie era concesso di stargli vicino e lui le confidava della sua fatica.
“Durante le notti di veglia, per calmarsi e trovare sonno, recitava dei Pater e delle Ave Maria, l'Imitazione di Cristo era uno dei libri che teneva sul comodino. “Per addormentarmi” diceva sorridendo” [20].
Con tenerezza, più volte, come un nonno con la nipote, lui le chiedeva di abbracciarlo. Una volta, offrendole un the, alla risposta della suora che diceva di non essere autorizzata a bere niente fuori dal convento, il pittore rispose che avrebbe allora potuto portare il the con tutta la tazza in convento, berlo lì e poi riportare indietro la tazza!
La prima pietra della cappella fu posta il 12 dicembre 1949 ed il 25 giugno 1951 il vescovo di Nizza, mons. Remond, la benedisse, ormai terminata. Matisse continuò a lavorare ad alcuni oggetti liturgici ancora a lungo; solo il 31ottobre del 1952 sarà pronta la casula nera per i funerali.
Voleva che tutto fosse perfetto, che ogni piccolo particolare fosse curato.
Disse una volta: “La cappella sarebbe inutile, se non fosse perfetta!” [21].
Dopo la consacrazione della cappella, sr.Jacques-Marie poté partire finalmente da Vence per prepararsi ai voti perpetui. Fu la madre generale a comunicarlo al pittore. La liturgia dei voti fu celebrata a Monteils l'8 settembre 1951. Sr.Jacques-Marie aveva maturato il desiderio di non tornare più a Vence in pianta stabile, per non essere più sottoposta a continue tensioni, all'interno ed all'esterno alla sua comunità, per la notorietà della cappella.
Quando, nel settembre dell'anno successivo, nel 1952, casualmente si ruppe una gamba, approfittò della circostanza per non tornare più ad abitare nella comunità domenicana di Vence.
Matisse, ignaro del fatto che il trasferimento non era avvenuto solo per obbedienza, ma, anche, per una decisione autonoma della suora, cominciò a chiedere ripetutamente alle superiore domenicane che fosse concesso a sr.Jacques-Marie di tornare sulla Costa Azzurra. Intuiva, però, qualcosa dell'accaduto, comprendendo l'imbarazzo in cui la sua amica aveva vissuto tutti quegli anni, sottoposta a continue esternazioni della stampa [22].
Nel giugno del 1954 sr.Jacques-Marie fu obbligata dalla priora generale a scrivere una lettera per presentare a Matisse un'idea concepita da p.Couturier: che il pittore, alla sua morte, fosse seppellito nella cappella di Vence [23].
Rispose per lui m.me Lydia. Se così fosse stato disse - Matisse sarebbe stato accusato di mancanza di modestia e di ricerca di gloria.
Poco dopo sr.Jacques-Marie ed il pittore francese si incontrarono per l'ultima volta, in occasione di una visita a Nizza della suora. Parlarono ancora da amici, mano nella mano [24].
Nel febbraio di quell'anno era già morto il p.Couturier.
Matisse morì poco dopo il 3 novembre 1954. Li seguì da presso anche il p.Rayssiguier il 4 dicembre 1956. Sr.Jacques-Marie non fu autorizzata ad andare ai loro funerali.
“Non poter partecipare a quello di M.Matisse fu duro da accettare” [25].

Matisse credente negli ultimi anni di vita?

La dedizione che Matisse ebbe per la realizzazione della cappella generò le reazioni più diverse in tanti che lo conoscevano. Le interpretazioni più diverse furono sollevate a motivare la cura maniacale con cui il maestro curò tutti i particolari, non solo della cappella ma anche degli arredi e addirittura degli abiti liturgici. Il confessionale, le acquasantiere, i portacandele dell'altare, il Tabernacolo, il leggio, le casule del sacerdote celebrante, con i vari colori dei tempi liturgici, tutto porta il segno indelebile della sua arte. E questo nonostante le forze si indebolissero ogni mese di più, nonostante fosse costretto per un opera di tali dimensioni a scendere e salire su scale e seggiole per disegnare e ridisegnare le vetrate e le ceramiche della Via Crucis, della Vergine, di S.Domenico, opere ben più grandi di quelle abitualmente curate da un pittore.
Picasso [26]criticò molto il fatto che il maestro francese, suo amico, avesse accettato l'incarico per un edificio cristiano.

Picasso era furioso che facessi una chiesa - Perché non fate piuttosto un mercato? Potreste appendervi dei frutti, dei legumi. - Ma non me ne importa nulla: ho dei verdi più verdi che le pere e degli arancioni più arancioni delle zucche.

Altri, all'opposto, cercarono di vedere nelle parole di Matisse l'approdo alla fede cristiana. In effetti, Matisse, più volte, si espresse in maniera ambigua, parlando di una forza superiore che lo aveva guidato, come nella seguente dichiarazione al momento della conclusione dell'opera [27]:

“Non mi ringraziate, non ne ho il diritto, io non ho fatto che il mio dovere: io sono stato forzato a fare questo, sono stato spinto”. E i suoi occhi si riempiono di lacrime [28].

La sua segretaria personale Lydia Delectorskaya volle smentire la lettura orientata a sostenere una fede autentica professata dal maestro, dichiarando, piuttosto, la lontananza di Matisse da ogni riferimento religioso [29]:

Era un cliché, una risposta maliziosa che Matisse usava sempre, per rispondere ai complimenti eccessivi, convenzionali... La parola stessa Dio non aveva, in se stessa, peso per Matisse. Matisse era ed è restato fino all'ultimo un libero pensatore. Qualche cosa esiste al di sopra di noi. Qualche cosa. E nel corso del suo lavoro, Matisse pensava che qualcuno si sostituiva a lui. Ma questo qualcuno non era per forza un dio; era un altro che me... Persone di un differente punto di vista vorrebbero convincere tutti che con l'età, avendo paura della morte, Matisse si fosse convertito al cattolicesimo e si fosse occupato di una cappella “per aprirsi la porta del Paradiso con una chiave d'oro”, come dissero certuni. Non è vero niente. Matisse non aveva paura di morire, ma aveva paura di soffrire per morire, soffrire fisicamente. Poco avanti la sua morte, le suore di Vence avevano tentato di insistere perché egli facesse la “sua Pasqua”. Il suo rifiuto fu categorico: Tutto quello che dovevo fare, io l'ho già fatto nella maniera migliore, tutto il resto è poca cosa.

Non vogliamo essere noi a sciogliere questo dilemma [30]. Vogliamo piuttosto porre la questione dell'opera d'arte che si misura con l'oggettività del cristianesimo. E' indifferente all'opera d'arte il suo contenuto? E' solo forma? Oppure il vertice artistico viene raggiunto proprio nell'espressione di un contenuto che trascende l'opera stessa che viene realizzata, rimandando al motivo oggettivo della sua creazione?

Sintesi della ricerca pittorica di tutta una vita

Non possiamo innanzitutto trascurare, ad un livello solo apparentemente formale e stilistico, il fatto che, come lo stesso Matisse dichiarò, la sua ricerca pittorica giunge a compimento nella cappella di Vence perché tale edificio gli consente non la giustapposizione, ma piuttosto il reciproco esaltarsi di elementi apparentemente separati, come la linea ed il colore. Così, infatti, scrisse in La Chapelle du Rosaire [31]:

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Interno della cappella di Vence

Per tutta la mia vita ho subito l'influenza dell'opinione corrente all'epoca dei miei inizi, nella quale si accettava solo di registrare le osservazioni fatte sulla natura, dove tutto ciò che proveniva dall'immaginazione o dal ricordo era chiamato “artefatto” e considerato senza valore al fine della costruzione di un'opera plastica. Gli insegnanti delle Belle Arti dicevano ai loro allievi: “Copiate supinamente la natura”.
Durante tutta la mia carriera io ho reagito contro questa opinione alla quale non potevo sottomettermi e questa lotta è stata all'origine delle varie trasformazioni affrontate nel corso della mia strada, durante la quale ho cercato delle possibilità di espressione al di fuori della copia letterale, come il Divisionismo e il Fauvismo.
Queste rivolte mi hanno portato a studiare separatamente ogni elemento di una costruzione: il disegno, il colore, i valori, la composizione, il modo in cui questi elementi possono combinarsi in una sintesi senza che l'eloquenza di uno di loro sia diminuita dalla presenza degli altri e come costruire con questi elementi, non sminuiti nella loro qualità intrinseca dalla loro unione, cioè rispettando la purezza dei mezzi.

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Interno della cappella di Vence

Ogni generazione di artisti vede in modo diverso dalla generazione precedente la produzione. I quadri degli Impressionisti, composti con dei colori puri, hanno mostrato alla generazione successiva che questi colori, se possono essere usati per descrivere delle cose o dei fenomeni naturali, hanno in essi stessi, indipendentemente dagli oggetti che vogliono esprimere, un effetto importante sul sentimento di colui che li guarda.
E' così che dei colori semplici possono agire sull'intimo con tanta più forza tanto più sono semplici. Un blu per esempio, accompagnato dall'irraggiamento dei suoi complementari, agisce sul sentimento come un energico colpo di gong. Lo stesso avviene per il giallo e il rosso e l'artista deve poterne usare secondo necessità.
Nella cappella il mio scopo principale era creare un equilibrio tra una superficie di luce e di colore ed un muro pieno, decorato con disegni neri su fondo bianco.

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Interno della cappella di Vence

Questa cappella è per me il compimento di tutta una vita di lavoro e la fioritura di uno sforzo enorme, sincero e difficile. Non è un lavoro che io ho scelto, ma un lavoro per il quale sono stato scelto dal destino sul finire della mia strada, che io continuo secondo le mie ricerche, visto che la cappella mi dà l'opportunità di fissarle riunendole. Io ho il presentimento che questo lavoro non sarà inutile e che potrà restare l'espressione di un'epoca dell'arte, forse superata - ma io non lo credo. E' impossibile saperlo oggi, prima che i nuovi movimenti abbiano trovato la loro realizzazione.
Gli errori che questa espressione del sentimento umano può contenere cadranno da soli, ma resterà una parte viva che potrà unire il passato con l'avvenire della tradizione plastica.
Mi auguro che questa parte, che io chiamo “le mie rivelazioni”, sia espressa con forza sufficiente da essere fertile e da tornare alla sua sorgente.

Cenni per una lettura iconografica della cappella di Vence

Questa ricerca sulla linea e sul colore, che si allontana coscientemente dalla mera imitazione naturale, interpreta un soggetto cristiano, una Chiesa, riproponendo tutta l'iconografia dell'edificio cristiano, così come la tradizione ecclesiale è andata strutturandola nei secoli.
Nelle parole di Matisse stesso o di sr.Jacques-Marie o dei consulenti che lo coadiuvarono nella progettazione, intravediamo spesso, il cosciente richiamo a questa storia, alla tradizione cristiana che da forma alla bellezza.
Il reciproco rapporto fra linea e colore viene, nella cappella di Vence, volutamente utilizzato ad esprimere il rapporto fra la creazione e la salvezza, fra l'opera di Dio nella natura e nella incarnazione di Cristo, opera rinnovata continuamente nell'evento liturgico della celebrazione che avviene in un edificio sacro.
Le finestre che riportano all'interno della cappella di Vence la natura circostante, fungono insieme da limite, da cesura, proprio perché lo spazio vibri della natura, ma possa vederla trasfigurata nel suo reale significato. La linea nera sulle ceramiche bianche, riproponendo le figure cristiane di S.Domenico, della Madonna, e soprattutto del Cristo che sale la via della croce, diviene, invece, il luogo espressivamente più significativo dell'edificio, pur nel continuo rimando al colore che dalle finestre viene proiettato sul bianco e nero delle pareti. Così, ancora nelle parole di Matisse [32]:

Le ceramiche della cappella del Rosario di Vence hanno suscitato stupori che vorrei tentare di dissipare.
Questi pannelli di ceramica sono costituiti da grandi quadrati di terracotta smaltati di bianco e sono decorati da sottili disegni neri che li lasciano tuttavia molto chiari. Ne risulta un insieme nero su bianco, nel quale il bianco domina, con una densità che costituisce un equilibrio con la superficie del muro opposto, costituita da vetrate che vanno dal pavimento al soffitto e che esprimono, con delle forme simili, un'idea di una pianta caratteristica della regione, il cactus dalle pale ricoperte di spine, dai fiori gialli e rossi.
Queste vetrate sono composte da vetri di tre colori ben definiti che sono: un blu oltremare, un verde bottiglia e un giallo limone, uniti in ogni parte della vetrata. Questi colori sono del tutto ordinari per quanto riguarda la qualità; essi esistono nella realtà artistica solo in rapporto alle loro quantità che li esalta e li spiritualizza. Alla semplicità di questi tre colori costitutivi si aggiunge una differenziazione nella superficie dei differenti vetri. Il giallo è smerigliato e diviene così, solo, traslucido, mentre il blu ed il verde restano trasparenti, dunque completamente limpidi. Questa assenza di trasparenza del giallo blocca lo spirito dello spettatore e lo trattiene all'interno della cappella, formando così il primo piano di uno spazio che inizia nella cappella per andare a perdersi attraverso il blu e il verde fino ai giardini circostanti. E' così che quando si scorge dall'interno, attraverso la vetrata, una persona che va e viene nel giardino, ad una distanza di un solo metro dalla vetrata, essa sembra appartenere ad un altro mondo rispetto a quello della cappella.
Scrivo a proposito di queste vetrate – l'espressione spirituale dei loro colori non mi sembra contestabile – semplicemente per stabilire la differenza tra i due lati della cappella, che, decorati in modi diversi, si sostengono opponendosi. Da uno spazio di sole chiaro senza ombra che avvolge il nostro spirito a sinistra, passando a destra noi troviamo i muri di ceramica. Essi sono l'equivalenza visiva di un grande libro aperto, nel quale le pagine bianche recano dei segni che spiegano la parte musicale costituita dalle vetrate. Insomma le ceramiche sono l'essenziale spirituale e spiegano il significato dell'edificio. Così divengono, malgrado la loro apparente modestia, il punto importante che deve precisare il raccoglimento che noi dobbiamo provare, e credo di dovere precisare, insistendo, il carattere della loro composizione. Nella loro esecuzione l'artista si è rivelato in tutta libertà. E' così che avendo dapprima previsto questi pannelli come una illustrazione di queste grandi superfici, nel momento della realizzazione egli ha dato un senso diverso ad uno dei tre: quello della Via Crucis...
Vorrei aggiungere a questo testo che ho inserito il nero e il bianco degli abiti delle suore come uno degli elementi della composizione della cappella e, per la musica, ho preferito ai suoni assordanti – esplosivi, benché piacevoli – degli organi, la dolcezza delle voci femminili che può insinuarsi in canti gregoriani nella luce fremente e colorata delle vetrate.

Seguire la storia, per quanto è oggi possibile, delle tre diverse versioni delle vetrate e, parallelamente, della Via crucis della cappella, getta ulteriore luce sulle dichiarazioni di Matisse appena riportate.
Fu innanzitutto il p. Rayssiguier a suggerire che le vetrate che proiettano la luce ed il colore sull'altare rappresentassero la Gerusalemme celeste di Apocalisse 21. Matisse accolse l'idea. Cercando il materiale da utilizzare dichiarò:

Pensando a questo “vetro cattedrale” ho rivisto il passaggio della Gerusalemme celeste: un fiume d'acqua viva, chiara come il cristallo, che sgorga dal trono di Dio e dell'Agnello. [33]

L'idea che sovrana si impose lui è quella dell'Albero della vita, quell'albero perso da Adamo ed Eva, quell'albero che solo resta alla fine dell'Apocalisse, quando, con la scomparsa del peccato, non ha più posto l'albero della conoscenza del bene e del male, ma solo la vita continuamente donata e rinnovata da Dio [34]. Matisse chiamò così la vetrata “L'albero della vita”:

La vetrata l'Albero della vita porta sempre sovranamente la mia idea [35]

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H.Matisse, L'albero della vita

Esso viene espresso attraverso la forma della pianta, tipica della Costa azzurra, che resiste all'avversità del caldo e continuamente rifiorisce, portando i suoi frutti:

Infine, prese come tema l'immagine della Barbaria, la pianta grassa del paese, della quale parla l'Apocalisse: “Essa vive e fiorisce anche sul terreno arido del deserto e vi porta i suoi frutti” [36].

Le vetrate inseriscono così chi entra nell'aula di preghiera all'interno della Gerusalemme celeste, lo pongono dinanzi all'Albero della vita.
Le restanti vetrate, lungo la navata, con foglie gialle e azzurre su fondo verde, sono pensate per ripresentare lo splendore della realtà creata che circonda la cittadina di Vence, per ricordare a chi viene a pregare nella cappella l'ambiente naturale in cui è inserito. Matisse volle anche che fossero percepibili dall'interno le figure di chi passa all'esterno:

Ma quando si sarà nella cappella, attraverso le sue vetrate si vedrà l'esterno...
Certo, sorella mia, voi non dovrete essere tagliate fuori dal mondo esterno, bisogna che voi preghiate per quelli che sono al di fuori [37].

Queste vetrate lasciano passare la luce all'interno, proiettando i colori sulle maioliche che portano impresse l'immagine della Madonna con il Bambino e su quelle che recano i tratti della Via crucis. Inizialmente Matisse aveva pensato, come spesso avviene, di rappresentare separatamente le differenti stazione della via della croce. Maturò, invece, l'idea di un'unica parete che le contenesse tutte. L'unico pannello doveva, altresì, dare maggior rilievo all'evento della crocifissione, perché questo si ergesse al di sopra degli altri. Così le parole dello stesso Matisse:

Se avessi messo tutti questi studi sotto forma di Via crucis, voi avreste quattordici piccole tavole, l'una a fianco dell'altra, senza continuità, mentre la Via Crucis è un dramma dove tutto è concatenato. Le stazioni sono consequenziali le une alle altre, voi non potete separarle. Tutto è centrato sulla croce: “Gesù muore in croce”. E' per questo che io l'ho fatta più grande delle altre. E' il culmine principale.
Bisogna muoversi per seguire la Via crucis; così io l'ho fatta come un cammino che sale a serpentina. [38]

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H.Matisse, Via crucis

La Vergine è rappresentata due volte, una volta all'interno dell'edificio ed una all'esterno.
Così sr.Jacques-Marie commenta le discussioni che prepararono il disegno della Madonna che è all'interno:

Il p.Rayssiguier avrebbe voluto la Vergine vestita con abiti moderni, seduta con i due gomiti sulle ginocchia, il mento tra le mani. Matisse replicò: La Vergine sarà vestita come si ha l'abitudine di vederla ed avrà un bambino fra le braccia, perché senza il bambino ella non avrebbe ragione di essere... Per la Vergine voleva la purezza di una bambina. [39]

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H.Matisse, La Vergine con il Bambino

La Madonna è rappresentata nel gesto di presentare il suo bambino al mondo. Il Bambino ha le braccia distese, in un gesto che già richiama la crocifissione. Entrambi sono immersi tra fiori sbocciati, a ricordare, forse, la radice di Jesse che è fiorita.
Il medaglione esterno ci mostra, invece, la Vergine che si nasconde dietro suo figlio adolescente e lo consegna al mondo. Matisse così ne parlò:

Mi domandavo dove avevo trovato questa idea. Poi, mi sono ricordato di una foto dove mia madre mi presentava al fotografo, cercando di nascondersi il più possibile [40].

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H.Matisse, Il tondo con la Vergine ed il Bambino all'esterno della Cappella

E', nuovamente, la Madre del Signore che desidera sia accolto il suo Bambino.
Nella sua ricerca pittorica, Matisse aveva già sperimentato, a partire dagli anni '30, la rappresentazione di figure umane senza i lineamenti degli occhi e del naso, ma solo con i contorni del viso. Dopo esitazioni – possediamo i disegni preparatori della Vergine e del Bambino con i lineamenti delineati – si decise per la stessa soluzione per le figure della cappella.

Se si mettono degli occhi, un naso, una bocca, questo non è di grande utilità, al contrario questo paralizza l'immaginazione dello spettatore e obbliga a vedere una persona di una certa forma, una certa rassomiglianza, ecc. mentre se voi date delle linee, dei valori, delle forze, lo spirito dello spettatore inizia il suo combattimento nel dedalo di questi elementi multipli... e allora... l'immaginazione è liberata da ogni limite [41].

Ed espressamente sui volti della cappella di Vence disse a Paule Martin [42]:

E' sufficiente un segno per evocare un viso, non c'è alcun bisogno di imporre alla gente degli occhi, una bocca... bisogna lasciare il campo libero al sogno dello spettatore.

Proprio questo modo di rappresentarli, li caratterizza. E' la proposta di quei volti e non di altri ad aprire gli occhi ed il cuore di chi entra nella Cappella di Vence. Sono i volti dell'Incarnazione che continua a stupire, in ogni epoca, gli uomini.
Questa identità non è minimamente modificata dalla libertà espressiva dell'artista che arrivò a dichiarare al p.Couturier, parlando del medaglione della Vergine con il Bambino [43]:

Io sono talmente dominato da ciò che è in me che non ho fatto il sesso al Bambino Gesù. E' una piccola. Spero che questo non sia scioccante.

Per i disegni preparatori della figura di S.Domenico, Matisse fece posare lo stesso p.Couturier, utilizzando la stessa tecnica del volto che non reca segni particolari, all'interno dell'ovale del viso [44].
Ma, come Matisse stesso scrisse e come abbiamo già visto, è nell'immagine dell'Uomo dei dolori sulla via della Croce, che la commozione umana raggiunge il suo culmine. Questo è il motivo dell'apparente disordine della composizione delle diverse stazioni della Via Crucis di Vence, non più poste semplicemente l'una dopo l'altra in una sequenza lineare [45]:

Il pannello di S.Domenico e quello della Vergine e del bambino Gesù hanno lo stesso livello di spirito decorativo, e la loro serenità ha un carattere di tranquillo raccoglimento che è loro proprio, mentre quello della via della Croce è animato da uno spirito diverso. E' tempestoso. E' l'incontro dell'artista con il grande dramma di Cristo che fa riversare sulla cappella lo spirito appassionato dell'artista. Avendolo dapprima concepito nello stesso spirito di quello dei due primi pannelli, ne aveva fatto una processione costituita dalla successione delle scene. Ma, essendo stato afferrato dalla passione di un dramma così profondo, egli ha sconvolto l'ordine della sua composizione. L'artista ne è divenuto il principale attore; invece di riprodurre questo dramma, egli l'ha vissuto e l'ha espresso così. Egli è perfettamente cosciente dell'effetto sullo spirito che questo passaggio dalla serenità al drammatico provoca nello spettatore. Ma la Passione di Cristo non è forse il più commovente tra questi tre soggetti?

E ancora, alla superiora del Convento:

La Via Crucis non è una processione. E' il dramma più profondo dell'umanità. Di fronte a quel dramma, l'artista non può rimanere soltanto uno spettatore. Deve impegnarsi.

Per la costruzione dell'altare fu scelta la pietra di Rognes, un villaggio della Provenza, per la sua rassomiglianza con il pane [46].
All'esterno una guglia, con la croce, si solleva verso il cielo:

La guglia ha la leggerezza di un uccello posato sul tetto. E' come la preghiera, come il fumo di un camino che sale, che sale nella tranquillità dell'aria della sera, senza che si desideri vederla arrestarsi, poiché vi trascina con lei [47]

Numerosi testimoni parlano delle lacrime che dipingevano il volto del pittore ogni volta che si toccavano alcuni temi della cappella, in particolare il tema della morte e dell'eternità della persona. Matisse disegnò le casule – la casula è l'ampio abito sacerdotale che si indossa sopra il camice bianco – con i colori dei differenti tempi liturgici, il bianco, il rosso, il verde, il rosa, ecc. ecc. [48]. Solo su quella nera (nella liturgia post-conciliare sostituita abitualmente da quella viola), quella per i funerali cristiani, volle, oltre ai disegni, anche delle parole. Scrisse in dialetto provenzale Esperlucat, che vuol dire “con gli occhi aperti”, “svegliato” [49].
Il padre Couturier riferì di un colloquio avuto con Matisse, proprio a questo proposito [50]:

Parliamo della casula nera: gli dico che non è una casula triste, ma una casula di resurrezione. Mi risponde: “E' questo di cui c'è bisogno, non è vero?” La morte non è la fine di tutto, è una porta che si apre”. Immediatamente i suoi occhi si riempirono di lacrime.

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H.Matisse, Studio per la casula nera per la Cappella di Vence

Pensare una Chiesa. L'arte che da forma e che riceve forma dall'oggettività della fede

A questo punto siamo ben oltre la questione precedentemente posta se Matisse abbia o meno aderito alla fede cristiana.
Cosa rende spirituale la Cappella di Vence? L'incontro della linea bianca sul nero con i colori che si esaltano a vicenda? O, più profondamente, l'indissolubile intrecciarsi di tutto questo con il contenuto della fede cristiana? A noi sembra indubitabile che l'incontro con l'oggettività della fede cristiana e con la realtà dei suoi “segni” – proprio l'incarnazione di Cristo apre la strada alla capacità di manifestare tramite “segni” la vita di Dio - sia ciò che ha potuto esaltare e rendere, al massimo grado, spirituale tutta la ricerca di Matisse.
Da un lato, il maestro francese ha voluto quasi dissimulare questa consapevolezza, come ci riporta il p.Couturier [51]:

Questo mattino egli ha insistito sull'unità di sentimento in tutta la sua opera, sul sentimento religioso nel quale ha sempre dipinto. “Anche le odalische”, ha detto.

o come ci appare nella lettera scritta a mons. Rémond, vescovo di Nizza, che il p.Couturier lesse nel giorno dell'inaugurazione della Cappella [52]:

Io considero (la Cappella di Vence), malgrado tutte le sue imperfezioni, come il mio capolavoro. Che l'avvenire voglia ben giustificare questo giudizio per un interesse crescente, al di là anche del significato superiore di questo monumento.

Dall'altro è chiaro nelle sue parole – ma ancor più nell'evidenza dell'opera realizzata – che proprio la realtà oggettiva di un luogo di preghiera cristiano, abitato da monache e per loro pensato, è ciò che crea le condizioni perché l'arte di Matisse raggiunga il suo vertice spirituale (potremmo affrontare il problema dalla questione simmetrica: quale altro luogo, diverso da una cappella, potrebbe esprimere allo stesso grado ciò che è spirituale?).
Ecco innanzitutto il desiderio di realizzare uno spazio che parli di immensità:

Ho creato uno spazio religioso… Prendere uno spazio chiuso, di proporzioni ridottissime e dargli col solo gioco delle luci e delle linee dimensioni infinite [53].

L'interesse è certamente – come nella pittura in generale – di donare, attraverso una superficie molto limitata, l'idea dell'immensità. E' questo che ho fatto nella cappella di Vence. E' una cappella di un convento e, malgrado tutto, le ho donato, mi sembra, l'idea di una immensità che tocca lo spirito e anche i sensi. Il ruolo della pittura, credo, il compito di tutta la pittura decorativa, è di ingrandire le superfici, di fare in modo che non si avvertano più le dimensioni dei muri [54].

Nelle parole di Matisse questo sentimento di immensità che la Cappella deve far provare non deve opprimere. Deve piuttosto portare l'animo a sentirsi leggero. La fede cristiana sa che l'uomo può perdersi, naufragare al pensiero dell'infinito. Quando questo Infinito ha il volto del Cristo, la persona può invece sentire di essere accolta in un mistero ricolmo di un senso più grande di lei. Così si espresse Matisse:

Bisognava decorare l'altare in modo leggero… Questa leggerezza da il sentimento di liberazione, di affrancamento, così bene che la mia cappella non è: “Fratelli bisogna morire”. E', al contrario: “Fratelli bisogna vivere!” [55].

Una Chiesa piena di gaiezza – uno spazio che renda la gente felice... Che tutti coloro che visitano questo luogo lo lascino gioiosi e riposati [56].

Io voglio che quelli che entreranno nella mia cappella si sentano purificati e scaricati dai loro pesi [57].

Noi avremo una cappella nella quale tutti potranno sperare. Quale che sia il carico dei peccati, li si potrà lasciare alla porta, come i maomettani lasciano la polvere delle strade sulla suola dei loro sandali alla porta delle moschee. [58]

Tutta la tensione che ogni epoca ripropone tra l'arte cristiana che ci ha preceduto e quella che una nuova epoca esprime è presente così in Matisse. In una occasione egli si è così espresso, misurandosi con la tradizione degli antichi edifici cristiani [59]:

Uscendo da Notre-Dame mi sono detto: “Eh bene! Di fronte a tutto questo cos'è la mia cappella?”… Allora mi sono detto: “E' un fiore. Non è che un fiore, ma è un fiore”.

“Si è condotti, non si conduce affatto”

Come comprendere allora tutte le espressioni nelle quali Matisse parla di una guida che lo ha condotto e lo ha preso per mano, nel realizzare la Cappella del Rosario di Vence? Cosa pensare delle opposte posizioni dei critici che hanno voluto leggervi una fiducia - in lui nata nel corso degli anni - nella Provvidenza e di coloro che, al contrario, per difendere la laicità di Matisse, hanno interpretato questi passi semplicemente nell'ordine di una ispirazione artistica, senza voler ammettere alcun riferimento al cristianesimo?
La risposta vera ci sembra vada in un'altra direzione. E' il tentativo di penetrare l'oggettività di ciò che è la fede cristiana, per poterla poi esprimere nella realizzazione della Cappella di Vence, che trasforma l'occhio dell'artista francese. Così rispose a Picasso che, come abbiamo visto, lo criticava aspramente [60]:

Io medito e lascio penetrare in me ciò a cui do inizio. Io non so se ho o no la fede. Potrebbe darsi che io sia piuttosto buddista. L'essenziale è di lavorare in uno stato di spirito, prossimo a quello della preghiera.

Potremmo riprendere qui il concetto di circolo ermeneutico, elaborato dalla filosofia moderna. Colui che pensa, non è una tabula rasa, parte da una pre-comprensione della realtà che cerca di conoscere. Incontrandola, affina il proprio pensiero della cosa conosciuta, proprio perché la incontra nella sua oggettività, nella sua esistenza.
Matisse fa riferimento più volte alla sua esperienza del cristianesimo, vissuto da bambino, come quando risponde a Picasso [61]:

Ho detto, a Picasso: Sì, io faccio la mia preghiera, e voi anche, e voi lo sapete molto bene: quando tutto va male, noi ci gettiamo nella preghiera, per ritrovare il clima della nostra prima comunione. E voi lo fate. Voi anche. Non mi ha detto di no.
Quei disegni là, bisogna che vi escano dal cuore.

E ancora, sempre raccontando il fatto al p.Couturier [62]:

In fondo, Picasso, non dobbiamo fare i maligni. Voi siete come me: ciò che noi tutti cerchiamo di ritrovare nell'arte, è il clima della nostra prima comunione.

Questa esperienza, già incontrata da bambino, diviene ora il cosciente atteggiamento dell'artista che si pone al servizio - con tutta la propria creatività che non solo resta immutata, ma anzi si esalta - del segno cristiano:

Come è curioso. Si è condotti, non si conduce mica. Io non sono che un servitore [63].

Il mio lavoro consiste nell'imbevermi delle cose. E dopo, tutto questo rifluisce fuori [64].

Io sono fatto di tutto ciò che ho visto [65].

Noi non sappiamo se l'artista francese abbia creduto. Certo è che, chiamato - da persone che aveva conosciuto ed amato - ad essere artista del “fatto” cristiano, si mise a servizio di esso in quegli anni. E realizzò così ciò che, altrimenti, non gli sarebbe stato possibile esprimere:

Questa opera mi ha domandato quattro anni di un lavoro esclusivo ed assiduo, ed essa è il risultato di tutta la mia vita attiva... Lo considero, malgrado tutte le sue imperfezioni, come il mio capolavoro… uno sforzo che è il risultato di tutta una vita consacrata alla ricerca della verità [66].

Matisse sapeva bene che quell'edificio era fatto per vivere. Così racconta ancora sr.Jacques-Marie:

Una domenica, Matisse mi telefonò per domandarmi se poteva venire alla cappella alle 17.00:
-Sì, mio signore, ma ci sarà la preghiera corale, la benedizione con il Santissimo, Sacramento, seguita dall'ufficio.
-Io vi disturbo?
-Per niente, l'ho detto per voi.
-Bene, allora io vengo.
Venne. Volle assistere alla preghiera corale, alla benedizione con il Santissimo e all'ufficio recitato dalle suore. Ogni tanto gli domandavo se preferiva uscire, ma mi faceva segno di no. Quel giorno se ne andò felice; aveva visto la cappella “in servizio”, la sua opera associata alla vita tal quale doveva essere da allora in avanti [67].


Per altri articoli e studi sui rapporti tra arte e fede presenti su questo sito, vedi la pagina Arte nella sezione Percorsi tematici


Note

[Nota 1] Nel 2003 è stato pubblicato il volume di Soeur Jacques-Marie, Henri Matisse. La chapelle de Vence , Grégoire Gardette Editions, Nice, 2003, che permette di conoscere dalla viva testimonianza di una delle protagoniste gli eventi che hanno portato alla nascita della cappella di Vence. Siamo venuti a conoscenza, prima di terminare questo articolo, della produzione del film Un modèle pour Matisse: histoire de la Chapelle du Rosaire à Vence , di B.F.Freed (Stati Uniti, 2003), tratto proprio dal volume appena citato. Non ci è stato ancora possibile visionarlo, non essendo il film ancora apparso in Italia.

[Nota 2] Lettera di H.Matisse del 2 settembre 1953 a sr.Jacques-Marie, in Soeur Jacques-Marie, Henri Matisse. La chapelle de Vence, Grégoire Gardette Editions, Nice, 2003, p. 196.

[Nota 3] Scrivendo al pittore Albert Marquet in 1942, così Matisse dichiarò: “La mia terribile operazione mi ha completamente cambiato e ha fatto di me un filosofo. Sono così pienamente preparato ad uscire dalla vita, al punto che mi sembra di essere in una seconda vita" (citato in J. Cowart et al., Henri Matisse: Paper Cut-Outs , exh. cat., St. Louis Art Museum, 1977, p. 43). Così disse all'amico Jedlicka: “Ciò che ho fatto prima di questa malattia lo sento come nato da uno sforzo eccessivo; prima di questa ho sempre vissuto con una cintura troppo stretta. Ciò che ho creato dopo mi rappresenta veramente: libero e distaccato” (citato in ibid. , p. 43).

[Nota 4] In Soeur Jacques-Marie, Henri Matisse. La chapelle de Vence , Grégoire Gardette Editions, Nice, 2003, p.31.

[Nota 5] Oltre a numerosi disegni, il maestro la ritrasse in quattro tele, Monique il 4 dicembre 1942, L'Idole , terminato nel dicembre 1942, La Robe verte et les Oranges nel gennaio 1943 ed, infine, Tabac royal lavorato a lungo nel marzo 1943.

[Nota 6] In Soeur Jacques-Marie, Henri Matisse. La chapelle de Vence , Grégoire Gardette Editions, Nice, 2003, p.56.

[Nota 7] Lydia Delectorskaya, nata a Tomsk in Siberia (Russia) nel 1910 e morta a Parigi nel 1988, iniziò la sua collaborazione con Matisse a Nizza nel 1932, quando il maestro cercò una assistente per il suo grande dipinto La danse , richiesto dalla Fondazione Barnes di Filadelfia. Divenne successivamente dama di compagnia, poi modella ed, infine, segretaria del pittore, fino a1954, anno della morte di Matisse.

[Nota 8] In Soeur Jacques-Marie, Henri Matisse. La chapelle de Vence , Grégoire Gardette Editions, Nice, 2003, p.57.

[Nota 9] In Soeur Jacques-Marie, Henri Matisse. La chapelle de Vence , Grégoire Gardette Editions, Nice, 2003, p.60.

[Nota 10] Qui Matisse fa riferimento al suo viaggio a Tahiti.

[Nota 11] Matisse cita la lettera scrittagli da sr.Jacques-Marie.

[Nota 12] In Soeur Jacques-Marie, Henri Matisse. La chapelle de Vence , Grégoire Gardette Editions, Nice, 2003, p.222-223.

[Nota 13] In Soeur Jacques-Marie, Henri Matisse. La chapelle de Vence , Grégoire Gardette Editions, Nice, 2003, p.79.

[Nota 14] Lettera di Henri Matisse del 27 aprile 1947 ad André Rouveyre, in Soeur Jacques-Marie, Henri Matisse. La chapelle de Vence , Grégoire Gardette Editions, Nice, 2003, p.82.

[Nota 15] P. Marie-Alain Couturier è una delle figure di spicco della vita culturale francese di quegli anni. Oltre a tessere i rapporti fra la Chiesa cattolica francese e gli artisti moderni di quel periodo, è noto per essere il religioso a cui Simone Weil indirizzò la Lettera ad un religioso (traduzione italiana S.Weil, Lettera ad un religioso, Adelphi, Milano, 1996). I due, infatti, ebbero una intensa frequentazione culturale in Francia ed a New York, dove entrambi trascorsero un periodo durante la seconda guerra mondiale.

[Nota 16] In Soeur Jacques-Marie, Henri Matisse. La chapelle de Vence , Grégoire Gardette Editions, Nice, 2003, p.119.

[Nota 17] In Soeur Jacques-Marie, Henri Matisse. La chapelle de Vence , Grégoire Gardette Editions, Nice, 2003, p.151.

[Nota 18] In Soeur Jacques-Marie, Henri Matisse. La chapelle de Vence , Grégoire Gardette Editions, Nice, 2003, p.174.

[Nota 19] Fra le traversie che occorsero ci fu anche un ricovero in clinica di sr.Jacques-Marie e, soprattutto, l'evento drammatico dell'incendio che distrusse il convento di Monteils nell'ottobre 1950. Matisse commentò in una lettera: “Io sono desolato di questa sventura. Potete voi sondare la volontà del cielo? Abbiamo bisogno di un dono di rassegnazione poco comune per non perderci d'animo. Ma non siete voi sulla terra per subire delle prove, per le quali voi siete state designate, voi e le vostre sorelle, ma per la gloria di Dio? Non sarà forse la nostra cappella, che noi consideriamo una perla ancora prima di averla terminata, troppo orgogliosa, questa cappella della quale parla il mondo intero, che noi consideriamo spesso come un dono del cielo che è fiorito a Vence, presso le domenicane? Io sono colpito che, proprio nello stesso momento queste domenicane, così fiere, siano colpite così fortemente dal cielo. Io so che le vostre sorelle sono coraggiose. Lo sono assai per dire. “Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, che la sua volontà sia benedetta”? (in Soeur Jacques-Marie, Henri Matisse. La chapelle de Vence , Grégoire Gardette Editions, Nice, 2003, p.159). Sr Jacques-Marie si stupì di come il pittore chiamasse « nostra » la cappella riferendosi a sé ed a lei e di come si interrogasse se nell'incendio era da vedere la mano di Dio (sempre in Soeur Jacques-Marie, Henri Matisse. La chapelle de Vence , Grégoire Gardette Editions, Nice, 2003, p.159). Anche una vacanza invernale di fr.Rayssiguier, sembrò metterci lo zampino per rovinare tutto. Il frate si fratturò una gamba, sciando, e dovette essere a lungo assente dai lavori.

[Nota 20] In Soeur Jacques-Marie, Henri Matisse. La chapelle de Vence , Grégoire Gardette Editions, Nice, 2003, p.108.

[Nota 21] In Soeur Jacques-Marie, Henri Matisse. La chapelle de Vence , Grégoire Gardette Editions, Nice, 2003, p.158.

[Nota 22] Così scrive, ad esempio, in una lettera del 2 settembre 1953: “Cara sr.Jacques-Marie, io vi ho richiesto alla madre generale, quando è venuta a visitarmi. Non mi ha detto né sì, né no, per questo penso che vi farà venire. Io le ho detto chiaramente che la cappella, senza sr.Jacques-Marie non è completa... Ma voi... sarete contenta di tornare? (in Soeur Jacques-Marie, Henri Matisse. La chapelle de Vence , Grégoire Gardette Editions, Nice, 2003, p.195-196).

[Nota 23] In Soeur Jacques-Marie, Henri Matisse. La chapelle de Vence , Grégoire Gardette Editions, Nice, 2003, p.202.

[Nota 24] In Soeur Jacques-Marie, Henri Matisse. La chapelle de Vence , Grégoire Gardette Editions, Nice, 2003, p.205.

[Nota 25] In Soeur Jacques-Marie, Henri Matisse. La chapelle de Vence , Grégoire Gardette Editions, Nice, 2003, p.213.

[Nota 26] Ora in H.Matisse, Ecrits et propos sur l'art , a cura di Dominique Fourcade, Herman, Paris, 1972, p.268.

[Nota 27] Ora in H.Matisse, Ecrits et propos sur l'art , a cura di Dominique Fourcade, Herman, Paris, 1972, p.272.

[Nota 28] Troviamo numerose espressioni simili di Matisse, come ad esempio quella riportata da p.Couturier: Io gli dissi: “Voi potete essere fiero di voi”. Lui mi rispose: “Io sono contento, ma io non sono stato mai fiero di ciò che ho fatto. Ogni volta che io ho fatto tutto ciò che ho potuto con le mie dieci dita, qualche cosa veniva a compierlo, che non dipendeva da me, che veniva d'altrove. Bisogna fare tutto ciò che si può, e nel momento in cui tutto è finito, qualche influenza celeste viene a terminare tutto... Ma questo non vi servirà per la volta successiva. Abbiate fiducia, camminate, e questo verrà a ruota” (ora in H.Matisse, Ecrits et propos sur l'art , a cura di Dominique Fourcade, Herman, Paris, 1972).

[Nota 29] Citazione in L.Aragon, 1971, Que l'un fut de la chapelle .

[Nota 30] La fede cristiana ci insegna a lasciare il giudizio sulle reali intenzioni dei suoi figli a Dio, loro Padre. Sarà il giudizio finale che rivelerà ciò che ognuno ha portato nel cuore durante la vita. sarà il momento della piena nudità dove ognuno apparirà nei suoi veri pensieri per essere giudicato da Dio.

[Nota 31] Riportiamo integralmente il testo, per la sua importanza e chiarezza, nella traduzione curata da Giulia Balzerani per L'Areopago. Il testo apparve in La Chapelle du Rosaire des Dominicaines de Vence, Vence, 1951). Ora in H.Matisse, Ecrits et propos sur l'art , a cura di Dominique Fourcade, Herman, Paris, 1972.

[Nota 32] Riproponiamo anche questo testo, per la sua bellezza, in forma integrale, nella traduzione curata per L'Areopago da Giulia Balzerani. Il testo è tratto da La cappella di Vence, compimento di una vita ed è apparso in France-Illustration, Natale 1951, ora in H.Matisse, Ecrits et propos sur l'art , a cura di Dominique Fourcade, Herman, Paris, 1972.

[Nota 33] In Soeur Jacques-Marie, Henri Matisse. La chapelle de Vence , Grégoire Gardette Editions, Nice, 2003, p.105.

[Nota 34] Così il testo di Ap 22, 1-2: Mi mostrò poi un fiume d'acqua viva limpida come cristallo, che scaturiva dal trono di Dio e dell'Agnello. In mezzo alla piazza della città e da una parte e dall'altra del fiume si trova un albero di vita che dà dodici raccolti e produce frutti ogni mese; le foglie dell'albero servono a guarire le nazioni.

[Nota 35] In Soeur Jacques-Marie, Henri Matisse. La chapelle de Vence , Grégoire Gardette Editions, Nice, 2003, p.125.

[Nota 36] In Soeur Jacques-Marie, Henri Matisse. La chapelle de Vence , Grégoire Gardette Editions, Nice, 2003, p.115. Fu invece accantonata l'idea di inserire nelle vetrate elementi che, nel colore, richiamassero l'abito bianco e nero delle suore. Il disegno preparatorio delle vetrate, noto come Les abeilles, Le api, è ora esposto al Musée Matisse di Nizza e fu realizzato compiutamente, solo successivamente, nella scuola materna di Cateau-Cambrésis, cittadina natale di Matisse.

[Nota 37] In Soeur Jacques-Marie, Henri Matisse. La chapelle de Vence , Grégoire Gardette Editions, Nice, 2003, p.101.

[Nota 38] In Soeur Jacques-Marie, Henri Matisse. La chapelle de Vence , Grégoire Gardette Editions, Nice, 2003, p.152.

[Nota 39] In Soeur Jacques-Marie, Henri Matisse. La chapelle de Vence , Grégoire Gardette Editions, Nice, 2003, p.103.

[Nota 40] In Soeur Jacques-Marie, Henri Matisse. La chapelle de Vence , Grégoire Gardette Editions, Nice, 2003, p.154.

[Nota 41] In un dialogo con Georges Charbonnier, ora in Henri Matisse, Ecrits et propos sur l'art , Hermann, Paris, 1972, p.273.

[Nota 42] Ora in Henri Matisse, Ecrits et propos sur l'art , Hermann, Paris, 1972, p.274.

[Nota 43] 24 giugno 1951, ora in Henri Matisse, Ecrits et propos sur l'art , Hermann, Paris, 1972, p.272.

[Nota 44] Matisse – ci racconta lui stesso – fece posare il p.Couturier per S.Domenico, perché all'inizio, “sotto l'effetto di un complesso freudiano, l'avevo fatto come una domenicana!”, in Soeur Jacques-Marie, Henri Matisse. La chapelle de Vence , Grégoire Gardette Editions, Nice, 2003, p.115.

[Nota 45] Da La cappella di Vence, compimento di una vita , apparso in France-Illustration, Natale 1951, ora in H.Matisse, Ecrits et propos sur l'art , a cura di Dominique Fourcade, Herman, Paris, 1972.

[Nota 46] In Soeur Jacques-Marie, Henri Matisse. La chapelle de Vence , Grégoire Gardette Editions, Nice, 2003, p.170.

[Nota 47] In Soeur Jacques-Marie, Henri Matisse. La chapelle de Vence , Grégoire Gardette Editions, Nice, 2003, p.167.

[Nota 48] La casa editrice Bernard Chauveau di Parigi sta pubblicando – sono apparsi i primi due testi sulla casula bianca e su quella rosa – nella collezione Cahiers et couleurs, dei piccoli libri d'arte sulle casule di H.Matisse, dal titolo Les gouaches découpées de la chapelle de Vence .

[Nota 49] Così il glottologo italiano Daniele Baglioni ci ha scritto: "Esperlucat" è una parola dell'occitanico (provenzale moderno) e vuol dire 'a occhi aperti, sveglio'. Questa è la definizione del "Tresor dou Felibrige", un vocabolario ottocentesco del poeta provenzale Frédéric Mistral che è ancora insuperato: esperlucat: part. et adj. Qui a les yieux bien ouverts, éveillé -ée, gai, vif, ive. Si tratta del participio passato del v. esperluca (esperluga, espeluga), che è a sua volta una forma contratta del v. esparpeluca e che deriva da parpela 'palpebra'. Il suo valore originario è quindi quello di 'aprire le palpebre', da cui si arriva facilmente a 'svegliarsi'.

[Nota 50] 15 marzo 1952, ora in Henri Matisse, Ecrits et propos sur l'art , Hermann, Paris, 1972, p.273.

[Nota 51] Appunto del 29 dicembre 1949. Da Marie-Alain Couturier, Se garder libre , Paris, Editions du Cerf, 1962, ora in Henri Matisse, Ecrits et propos sur l'art , Hermann, Paris, 1972, p.270.

[Nota 52] Lettera a mons. Rémond, vescovo di Nizza, ora in Henri Matisse, Ecrits et propos sur l'art , Hermann, Paris, 1972, p.257.

[Nota 53] 17 luglio 1951, a p.Couturier, ora in H.Matisse, Ecrits et propos sur l'art , a cura di Dominique Fourcade, Herman, Paris, 1972, p.270. E' curioso vedere come, se da un lato, probabilmente il p.Couturier, nel riportare le parole di Matisse, cerchi di portare acqua al suo mulino, cioè di accentuare ciò che orienti ad una conversione del maestro, la segretaria di Matisse, Lydia Delectorskaya, cerchi, altrettanto inopportunamente, di attirare nella direzione opposta, come se niente di cristiano fosse inteso nell'opera, proponendo di correggere quel dialogo sostituendo “spazio religioso”, con l'espressione “spazio spirituale”; per lei sarebbero queste le parole di Matisse in quella circostanza e p.Couturier avrebbe inconsciamente travisato il loro significato (le due posizioni appaiono nella nota al testo citato).

[Nota 54] Frasi riportate da Georges Charbonnier ora in Henri Matisse, Ecrits et propos sur l'art, Hermann, Paris, 1972, p.266. E' lui a riportare il commento di Matisse ad un altro elemento dell'opera – che abbiamo già incontrato - che esprime la stessa dimensione di immensità, attraverso il senso dell'altezza, la croce che svetta sulla cappella: “Io ho anche dotato questa cappella di una guglia che ha più di 12 metri di altezza. E questa guglia – in ferro battuto – che ha più di 12 metri non stona con la cappella, ma le dona il senso dell'altezza. Perché questa guglia io l'ho fatta come un disegno – un disegno che farò su un pezzo di carta – ma che è un disegno che sale”, ora in Henri Matisse, Ecrits et propos sur l'art , Hermann, Paris, 1972, p.266.

[Nota 55] Frasi riportate da Georges Charbonnier ora in Henri Matisse, Ecrits et propos sur l'art , Hermann, Paris, 1972, p.266.

[Nota 56] Parole del maestro riportate in un articolo di R.Bernier, Vogue, n.131-132, 15 febbraio 1949, ora in H.Matisse, Ecrits et propos sur l'art , a cura di Dominique Fourcade, Herman, Paris, 1972, p.262.

[Nota 57] Frase riportata da p.Couturier (1951) ora in Henri Matisse, Ecrits et propos sur l'art , Hermann, Paris, 1972, p.267.

[Nota 58] In Soeur Jacques-Marie, Henri Matisse. La chapelle de Vence , Grégoire Gardette Editions, Nice, 2003, p.101.

[Nota 59] 8 marzo 1952, al p.Couturier, ora in H.Matisse, Ecrits et propos sur l'art , a cura di Dominique Fourcade, Herman, Paris, 1972, p.272.

[Nota 60] Riferito da F.Gilot (1965), ora in H.Matisse, Ecrits et propos sur l'art , a cura di Dominique Fourcade, Herman, Paris, 1972, p.268.

[Nota 61] 29 marzo 1949, ora in H.Matisse, Ecrits et propos sur l'art , a cura di Dominique Fourcade, Herman, Paris, 1972.

[Nota 62] Aprile 1950, ora in H.Matisse, Ecrits et propos sur l'art , a cura di Dominique Fourcade, Herman, Paris, 1972.

[Nota 63] Marzo 1951 a p.Couturier, ora in H.Matisse, Ecrits et propos sur l'art , a cura di Dominique Fourcade, Herman, Paris, 1972.

[Nota 64] 3 febbraio 1949 a p.Couturier, ora in H.Matisse, Ecrits et propos sur l'art , a cura di Dominique Fourcade, Herman, Paris, 1972.

[Nota 65] 28 agosto 1949 a p.Couturier, ora in H.Matisse, Ecrits et propos sur l'art , a cura di Dominique Fourcade, Herman, Paris, 1972.

[Nota 66] A mons. Rémond, ora in H.Matisse, Ecrits et propos sur l'art , a cura di Dominique Fourcade, Herman, Paris, 1972, p.257.

[Nota 67] In Soeur Jacques-Marie, Henri Matisse. La chapelle de Vence , Grégoire Gardet te Editions, Nice, 2003, p.185.


[Arte e fede]