Il “divino” Amadeus e la grazia della fede: per Mozart cattolico. Dalla Grosse Messe al Requiem.

di Andrea Lonardo


Indice


Questo articolo raccoglie, disponendoli in una sintesi ragionata e continua, testi autografi mozartiani e considerazioni di biografi-musicologi e di teologi ammiratori della sua musica. Vuole essere un omaggio a lui ed una riflessione sulla oggettività cristiana.
Nel mettere il testo a disposizione on-line abbiamo volutamente conservato le espressioni testuali dell'epistolario di Mozart (e del suo ambiente): anche esse, pur sconcertando, aiutano a comprendere la sua figura.


Ballatoio della casa natale di Mozart, ora Museo, nella Getreidegasse, al numero 9, in Salisburgo

Mozart libertino

Sembra innanzitutto opporsi ad una sincera fede cristiana in Mozart la sua fama di libertino, la sua presunta totale immoralità, riletta come lontananza dalla morale cattolica ed ancor più da una adesione autentica al cristianesimo.
Il linguaggio delle sue lettere autentiche è, in effetti, estremamente libero ed audace. Possiamo scegliere, a questo riguardo, fra le molte a disposizione, una delle lettere a Maria Anna Thekla, cugina di primo grado di Mozart, che fu, probabilmente, la sua prima amante:

Kaysersheim, 23 dicembre 1778 [1]

Ma très cher Cousine!
Con la massima fretta – e con la più perfetta contrizione e dolore, e con fermo proponimento, ti scrivo per informarti che domani parto per Monaco; - carissima cuginotta, non essere leprotta – Ben lieto sarei venuto ad Augusta, te l'assicuro, ma il signor regio prelato non mi ha lasciato andar via, e io non lo posso odiare, perché sarebbe contro la legge di Dio e della natura, e chi non crede è un p-a; quindi le cose stanno proprio così; - forse da Monaco farò un salto ad Augusta; ma non è così sicuro; - se hai tanto piacere di vedermi quanto ne ho io, vieni tu a Monaco, in questa nobile città – Fa' in modo di esserci prima di Capodanno, e allora ti contemplerò nell'avanti e nel didietro – ti porterò in giro ovunque e, se necessario, ti farò un clistere – Una sola cosa mi dispiace, di non poterti alloggiare; infatti non starò in una locanda, ma abiterò presso – e dove? vorrei saperlo anch'io. Bene, scheeeeerzi a parte - proprio per questo è necessario che tu venga – Avresti forse una gran parte al gioco – viene allora di sicuro, altrimenti sei una merda; io allora, nobile personaggio qual sono, ti farò i miei complimenti, ti frusterò il culo, ti bacerò le mani, ti sparerò con lo schioppo nelle terga, ti abbraccerò, ti farò un cristere nel davanti e nel didietro, a te, a te io pagherò i miei debiti per filo e per segno, e farò echeggiare una gagliarda scoreggia, e forse farò persino colare qualcosa – Ora addio – mio angelo, mio cuore
io t'attendo con dolore
Ma scrivimi presto a Monaco Poste restante
una piccola letterina di 24 fogli, ma non scrivermi dove alloggerai, Votre sincere co[usin]
perché io non trovi te, e tu non trovi me;

W.A[madé Mozart]

PS: Cacadubbi, il parroco di Rodemplum, ha leccato nel culo la sua cuoca, agli altri come exemplum;
Vivat – vivat -


Veduta di Salisburgo, sulle rive della Salzach, dall'Hohensalzburg: in evidenza il fianco del Duomo, dedicato ai SS.Ruperto e Virgilio, cattedrale degli arcivescovi al cui servizio Mozart fu assunto. In esso Mozart fu battezzato. Più in alto, a fianco della piazza del Duomo, la Residenz, residenza degli arcivescovi-principi di Salisburgo. Più avanti ancora il fianco della Franziskanerkirche. In basso a sinistra l'abbazia benedettina di S.Pietro, nella quale fu eseguita, nell'ottobre 1769, la Dominicus-Messe di Mozart, scritta per la prima messa del neo-sacerdote Kajetan Rupert Hagenauer, fattosi benedettino col nome di Domenico, amico di famiglia dei Mozart

Ma lo stesso linguaggio, senza eufemismi, troviamo anche nelle lettere più tarde alla moglie [2] . Nella lettera scritta a Constanze da Berlino il 23 maggio 1789, così scrive [3] :

Il 1° giugno dormirò a Praga, e il 4 – il 4? – presso la mia carissima mogliettina; - prepara bello pulito il tuo caro bellissimo nido: il mio ragazzaccio se lo merita in verità, si è comportato benissimo e non desidera altro che possedere quella tua più bella [...]. Immaginati il birbantello, adesso mentre scrivo sguscia sul tavolo e si mostra a me con tono interlocutorio, ma io non esito a dargli un vigoroso biscottino sul naso – il giovanotto non è però [...], adesso anche il birboncello brucia ancora di più e non si lascia quasi tenere a freno. Ma spero che mi verrai incontro alla prima stazione di posta – vi arriverò il 4 a mezzogiorno…
Ora adieu – ti bacio un milione di volte e sono in eterno

il tuo fedelissimo sposo
W.A.Mozart

Il contrasto fra una volgarità - forse, non fine a se stessa, ma mista ad ironia e spensieratezza - e parole di tutt'altro tenore come “il tuo fedelissimo sposo” è stridente.
La domanda si ripropone anche per alcune composizioni: scherzi, anche se grevi, o segni di immoralità?

Tra il 1782 e il 1788 scrisse parecchi canoni su propri testi osceni che la casa editrice Breitkopf & Härtel di Lipsia pubblicò dopo la morte del compositore censurandone i titoli e cambiando completamente i testi. Così il Canone a 6 voci in si bemolle maggiore Leck mich im Arsch K 231 [K 3826 c] (del 1782 ca.), il cui titolo tradotto in italiano è testualmente “Baciami nel culo”, si tramuta in “Lasst froh uns sein” (“Stiamocene allegri”). Mentre il Canone a 3 voci in si bemolle maggiore Leck mir den Arsch fein recht schön sauber K 323 [K 3826 d] (“Leccami il culo e puliscilo per benino”) viene ribattezzato “Nichts labt mich mehr” (“Nulla mi conforta di più”). Con questo titolo e col testo sostituito è stato pubblicato ancora nel 1989 dal Bärenreiter-Verlag [4] .

Per una risposta almeno parzialmente assolutoria di Mozart è elemento da non trascurare lo sfondo storico [5] su cui si staglia la sua figura e la sua vita. Roman Vlad, nella sua introduzione alla selezione delle lettere mozartiane rivolte a donne così commenta:

Così il libertinismo verbale e anche i comportamenti concreti di Mozart vanno prospettati anzitutto nel quadro specifico dei costumi settecenteschi in generale e in quello particolare dell'ambiente in cui egli nacque e si andò formando [6] .

A sostegno di questa tesi ci presenta un episodio avvenuto nella dimora del direttore dell'orchestra della Corte di Mannheim e ci traduce addirittura un passo di una lettera della madre di Mozart:

Illuminante il seguente passo tratta da una lettera di Anna Maria, madre di Wolfgang, al marito Leopold: “Addio, mio caro; stai bene, tìrati il culo in bocca, ti auguro buona notte, caca in letto da schiantarlo”. Il turpiloquio Wolfgang l'ha appreso dunque nella propria famiglia che pur si considerava “onestamente borghese e per bene”. Che si trattasse comunque di un costume generalizzato risulta tra l'altro pure dalle seguenti righe comprese in una gioconda lettera che Wolfgang indirizzò al padre da Mannheim in data 14 novembre 1777: “Io Johannes Chrisostomus Amadeus Wolfgangus Sigismundus Mozart mi dichiaro colpevole di essere tornato a casa solo a notte inoltrata verso le 12, l'altro ieri, pure ieri (e anche parecchie altre volte); e che dalle 10 fino all'ora suddetta, in presenza e in compagnia del Cannabich, della sua consorte e della figlia, dei signori Schatzmeister, Ramm e Lang, spesso e senza difficoltà, anzi con leggerezza, ho fatto rime: per la precisione tutte porcherie, cioè sulla merda, sul cacare e sul leccare il culo. Il tutto con parole, pensieri e... ma non con opere. Non mi sarei comportato in maniera così empia se non fossi stato tanto stimolato e incitato dalla capobanda, la cosiddetta Lisel [Elisabeth Cannabich]; e devo confessare che facevo tutto ciò con vero piacere. Confesso tutti questi peccati e queste infrazioni dal profondo del mio cuore e, nella speranza di doverle confessare più spesso, mi propongo con forza di migliorare sempre questa mia vita peccaminosa che ho iniziato. Perciò chiedo il Santo Perdono, se lo posso avere facilmente; se no, per me fa lo stesso, giacché il gioco avrà comunque la sua continuazione”. Johann Christian Cannabich era il direttore della celebre orchestra della Corte di Mannheim, e anch'egli non riteneva evidentemente che simili giochi licenziosi compromettessero l'onorabilità e la reputazione della propria famiglia. La carica di perversa malizia che potrebbe trasparire dai comportamenti scostumati di Mozart va dunque ridimensionata alquanto alla luce di abitudini diffuse nel Settecento [7].

Ma ciò che sorprende e invita a cercare oltre è di tutt'altro tenore. E' la giustapposizione di momenti di grazia all'ironia nell'affrontare il tema della sessualità. Ecco, infatti, che al linguaggio “da taverna” fa da contraltare il voto fatto a Dio di scrivere una messa – è l'unica, sebbene incompiuta, scritta non su commissione e, quindi, senza alcuna attesa di corrispettivo economico – proprio come voto a Dio per ottenere la guarigione della moglie, un anno dopo il matrimonio. Questa è l'origine della sublime messa in do minore K 427/417°, nota come la “Grande Messa in do minore”. Così si esprime al riguardo uno dei più attenti commentatori della musica sacra di Mozart:

Nell'opera religiosa di Mozart, la Grande messa in do minore appare come un blocco erratico ed, ancor oggi, comporta numerosi problemi irrisolti. L'autografo mozartiano, a lungo perduto, è divenuto nuovamente accessibile alla fine degli anni 1970 e ne è stata annunciata l'edizione in fac-simile, ma si sa che questa partitura è molto meno completa di quella conosciuta dall'editore André ed anche da Koechel, quando redasse il suo catalogo tematico nel secolo scorso. A meno che un giorno non si ritrovino le parti perdute di questo autografo, alcune questioni essenziali rimarranno senza risposta, il che è tanto più spiacevole in quanto si tratta di uno dei monumenti della musica che si situa tra la messa in si di J.S.Bach e la messa in re di L. van Beethoven.
Abbiamo detto che questa messa è un blocco erratico: innanzitutto perché sappiamo con certezza che si tratta della sola opera sacra che non sia stata commissionata a Mozart. La lettera che indirizza a suo padre da Vienna il 4 gennaio 1783 è esplicita: “Riguardo all'obbligo morale niente è più esatto... e anche questa parola è uscita di proposito dalla mia penna. Ho davvero fatta questa promessa nel mio cuore e, invero, spero di tenervi fede. Quando l'ho fatta, mia moglie era ancora sofferente; ma poiché era fermamente intenzionato a sposarla non appena fosse guarita, potevo facilmente fare quella promessa... I tempi e le circostanze, come sapete, ci hanno impedito il viaggio... ma come prova della realtà del mio voto ha la partitura di metà di una messa, che lascia ben sperare”.
I commenti che si fanno su questa messa mostrano che non si è affatto cercato di capire il senso di quella lettera. Ne risulta chiaramente che la messa in questione non è mai stata destinata al matrimonio di Mozart, che era stato celebrato il 4 agosto 1782, né ad una liturgia salisburghese dell'estate precedente, bensì ad una successiva messa votiva: nel gennaio 1783, Mozart lavora a questa messa perché possa essere eseguita realizzando così il suo voto. Rimane da sapere perché questa messa, la cui prima metà dava luogo “alle migliori speranze”, non sia stata portata a termine. Perché sappiamo che Mozart ha scritto il Kyrie, il Gloria, il Sanctus/Benedictus ed ha iniziato il Credo, del quale esiste la prima parte fino al descendit de caelis ed il versetto Et incarnatus est ex Maria Virgine et homo factus est, ma l'orchestrazione di questi due movimenti non è stata ultimata. Esiste infine, nella collezione Malherbe della Biblioteca del Conservatorio di Parigi (oggi Bibliothèque Nationale), l'inizio del Crucifixus un po' più di sei misure di stile ammirevole; la scrittura sembra indicare che questo frammento sia posteriore al resto. Poiché si tratta di una messa votiva legata a sua moglie, Costanza, che aveva una bella voce di soprano, si può esser sicuri che la parte di primo soprano della partitura fosse destinata a lei, e si hanno così informazioni precise sulle possibilità vocali e musicali di Costanza Mozart [8] .

E' lo stesso Mozart! Lo scrittore di lettere così esplicite da non contenere nemmeno “doppi sensi”, ma solo espressioni inequivocabilmente sessuali e l'uomo che prega per la salute della sua donna, per colei che sta per prendere in moglie, componendo in voto a Dio una messa solenne, perché Constanze la possa poi cantare in una liturgia!

Mozart massone

Un secondo elemento parrebbe contrastare con una sincera fede cattolica nella vita del nostro autore: la sua adesione alla massoneria del tempo e la scrittura di opere di presunta chiara confessione massonica, proprio nel momento in cui sembrano scomparire le composizioni per la liturgia cristiana.
Alcuni autori hanno voluto, addirittura, a partire dal dato di fatto incontrovertibile dell'iscrizione di Mozart, nel 1784, ad una Loggia massonica, negare ogni reale partecipazione convinta di Mozart credente alle tante composizioni sacre, uscite dalla sua mente. In tutte avrebbe finto, recitato, usato delle parole della liturgia solo come occasione per produrre musica sublime e per averne la remunerazione necessaria al suo sostentamento.

Ma, di nuovo, una considerazione globale più attenta ci conduce, in primo luogo, a ridimensionare l'interesse mozartiano per una convinta adesione intellettuale alla massoneria. Due dei più accreditati biografi mozartiani, Bernhard Paumgartner e Wolfgang Hildesheimer, ci guidano in un rilettura non ideologica e, perciò, dubitativa di un presunto abbandono – anche se solo momentaneo - della fede cattolica. Citiamo innanzitutto B.Paumgartner che racconta come il passaggio dall'imperatrice Maria Teresa al figlio Giuseppe aprì le porte ad una maggiore libertà politica nei confronto della massoneria:

Per Maria Teresa, fermamente convinta che la massoneria svolgesse un'azione nefasta, l'appartenenza ad essa di suo marito era stata fonte di continue contrarietà; e, morto lui, non aveva esitato un istante a sopprimere la setta. Ma da quel momento suo figlio Giuseppe, coreggente dell'impero, incominciò a favorire l'attività segreta massonica, in quanto essa armonizzava con i suoi ideali liberali e umanitari. E nel 1780, rimasto egli unico sovrano in seguito alla scomparsa dell'imperatrice, parve scoccata l'ora della massoneria [9] .

La successione imperiale fu così gravida di conseguenze:

L'appoggio concesso dall'imperatore alla massoneria provocò l'afflusso di molti nuovi adepti privi di vocazione. Si incominciarono a notare disordini e abusi, tanto che nel dicembre 1785 Giuseppe II si vide costretto a ordinare con decreto imperiale che il numero delle logge viennesi venisse ridotto a due sole – “Alla verità” e “Alla speranza premiata” – e che ogni anno la lista degli affiliati e dei maestri in carica venisse sottoposta all'autorità. Un nuovo campo d'azione si dischiuse all'instancabile Born, quale primo gran maestro della loggia “Alla verità”, cui apparteneva l' “élite” del mondo letterario viennese. Qui Mozart, pur appartenendo alla assai più modesta loggia della “Speranza premiata”, avvicinò molte personalità che ebbero poi qualche parte nei suoi ultimi anni di vita: il buon Puchberg, innanzi tutto, che innumerevoli volte lo trasse da gravi imbarazzi finanziari, e Schikaneder, e perfino quel clarinettista Stadler che non si faceva scrupolo di sfruttarlo indegnamente. Mozart fece certamente del proprio meglio per mostrarsi buono e solidale verso i confratelli. Ma, come dalle sublimi altezze dell'arte discendeva volentieri alle banalità della vita, così anche in massoneria pare tenesse due atteggiamenti diversi, frequentando al contempo, e non certo in veste ufficiale, la “loggia del cantuccio gastronomico” con Schikaneder e la sua brigata di amici “bohémiens” e godimondo. In un certo momento accarezzò persino l'idea di fondare una nuovo società , detta “La grotta”, e ne abbozzò piani e statuti, senza naturalmente andare più in là. Questi appunti non ci sono pervenuti Costanza Mozart lo menziona in una lettera a Breitkopf und Härtel da Vienna (21 luglio 1800): “Le impresto alcune cose ad uso della biografia, con preghiera di rendermele all'occasione, franco di porto... I) Un articolo, per la maggior parte autografo di mio marito, circa un ordine o una società detta Grotta che egli voleva fondare. Non posso darle ulteriori chiarimenti. Il nostro clarinettista di corte, Stadler il vecchio, che ha scritto il resto sarebbe forse in condizione di farlo, ma il dover ammettere di esserne informato lo rende perplesso perché gli ordini o società segrete sono molto malviste”. Voleva Mozart fondare con la “Grotta” una società ispirata ai propri ideali, quale noi ad esempio troviamo nel regno del saggio Sarastro? Oppure un'associazione gradita all'imperatore Leopoldo, di sudditi “buoni e obbedienti”, desiderosi di “dissipare ogni dubbio di mene rivoluzionarie e professare sentimenti di lealtà patriottica” (A.Wandruszka)? In ogni caso è possibile che con tale manovra Mozart si inimicasse alcuni antichi confratelli massoni [10] .

Anche W.Hildesheimer non solo mostra di nuovo l'ironia con cui allora Mozart scherzò sulla “Loggia dei Crapuloni” ed il bisogno economico che spinse probabilmente Mozart verso la massoneria, ma nota la debolezza delle sue composizioni scritte per musicare testi esplicitamente massonici. Fra le composizioni della Musica massonica, solo la Musica funebre si stacca per qualità, ma proprio essa è musica senza testo, senza parole, musica composta per la morte di uomini:

Non sapendo niente circa la partecipazione di Mozart alla stesura del libretto non possiamo nemmeno stabilire se l'ideale massonico qui implicitamente propugnato corrispondesse alle sue reali intenzioni o addirittura fosse un suo desiderio. Mozart come massone è stato molto idealizzato, sicuramente fu coinvolto in un fervore collettivo quando nel dicembre 1784 entrò a far parte della loggia 'Zur Woltätigkeit' di cui divenne più tardi membro anche Karl Ludwig Giesecke, l'altro librettista del Flauto magico (Schikaneder non faceva parte di nessuna loggia). La loggia 'Zur Woltätigkeit' era di rango inferiore a quella 'Zur gekrönten Hoffnung', passava per la “loggia dei crapuloni”, ma non è chiaro chi le abbia affibbiato questa definizione.
L'ideale della fratellanza umana, a suo tempo certo lodevole (anche se si trattava in realtà più di fratellanza maschile), addirittura rivoluzionario nell'intento morale perseguito e nell'atteggiamento etico generale dei suoi rappresentanti, non andava però al di là di una vaga proclamazione di idee. Più fatta di parole che di azioni, celebrata molto, e molto male, la massoneria non ha poi prodotto nessuna teoria, alla quale Mozart non sarebbe stato assolutamente interessato. Il 'senso della vita', il compito dell'uomo sulla terra non rientravano nella sua problematica cosciente. Aveva invece sempre più bisogno di compagnia, e la trovava nella sua loggia. E quando il suo dovere di affiliato musicista gli imponeva di scrivere della musica, in occasioni festive o funebri, allora scriveva della musica. Si serviva in questi casi del proprio stile sacro, del piglio solenne, che gli riusciva male soprattutto là dove si doveva attenere a dei testi tanto enfatici quanto pieni di buone intenzioni ma molto melensi, testi dei vari Ziegenhagen o Ratschky o Petran – persone rispettabilissime, ma poeti dilettanti – oppure di Giesecke. Il messaggio era già tutto nel testo, non c'era bisogno di assolutizzarlo, doveva essere conservato il carattere di annunzio. Mozart poteva al più accentuarne il tono patetico. Si avverte in queste composizioni anche la costrizione di un dovere imposto. Mettere in musica la parola 'umanità' gli riusciva più difficile che non a Beethoven.
Il discorso cambia per la musica massonica non-verbale, che consiste solo, se prescindiamo dalle marce del Flauto magico, nella grandiosa e singolarissima Musica funebre massonica (K. 479°) del 10 novembre 1785, di cui ebbe l'incarico in seguito alla morte di due membri della loggia 'Zur gekrönten Hoffnung': il duca del Meclembrugo e il conte Esterhàzy. Si tratta di uno di quei meravigliosi lavori di occasione, come l'Ave verum corpus, per i quali all'incarico segue, puntuale e perfetta, la consegna, e il grande fornitore ne è altrettanto poco coinvolto quanto un pittore che dipinga una deposizione. Due illustri membri della loggia sono morti, Mozart deve dipingere il quadro, e lo dipinge, ce lo presenta con distacco superiore, rappresentazione del cordoglio, grandiosa e composta, esaustiva dall'inizio – con i sovradimensionali motivi a sospiro in do minore sopra al cantus firmus in mi bemolle maggiore – fino all'accordo finale in cui si stacca, in do maggiore, dal suo lavoro, se ne ritrae con un inchino, gli appone per così dire la firma. Non riusciamo a riconoscervi l' “espressione personale del mozartiano senso della morte” – qualunque cosa poi sia – e neppure la sua “professione di morte” [11] .

Il grande argomento portato dai difensori della piena adesione alla massoneria di Mozart, è, però, il Flauto Magico [12] . L'altissima ispirazione di tutta l'opera, la sua perfezione e bellezza lasciano sconcertati. E non è essa, ad una prima lettura, opera profondamente legata a simboli massonici? Non deve forse Tamino percorrere tutti i gradi iniziatici, che nulla hanno a che vedere con il cristianesimo - con la religione rivelata che invita invece ad una adesione ecclesiale - per conseguire una purificazione interiore che non attende un Salvatore che con la croce e la resurrezione liberi dal peccato e dalla morte? Eppure se, all'apparenza, tutto sembra combaciare a perfezione con l'ideologia massonica, ad una lettura attenta ci accorgiamo che così non è.

Il Flauto magico non è però una cantata massonica, per quanto la trama sia pervasa dal caratteristico ethos massonico con il suo gusto per l'arcano. E' invece un Singspiel tedesco, originariamente uno spettacolo d'intrattenimento di un teatro di periferia, una 'Maschienenkomödie', oggi diremmo un musical, con tanto di effetti scenici roboanti e pacchiani sui quali Schikaneder non ha certo lesinato. Tuttavia nelle parti serie la simbologia e la morale massoniche rappresentano il filo conduttore, la componente teorica che sottende gli avvenimenti esteriori: un messaggio cifrato, destinato ad una marea di interpretazioni.
Già solamente la quantità di queste interpretazioni è del tutto sproporzionata al valore letterario del libretto, e anzi mette proprio in evidenza questa sproporzione. Infatti nelle svariate mitografie e analisi è insito per lo più un elemento difensivo, quando non addirittura apologetico, che talvolta raggiunge toni aggressivi, come se l'autore dovesse salvaguardare la propria merce dagli interventi indebiti dei non autorizzati. “Il capolavoro di Schikaneder” (William Mann) ci viene imposto apoditticamente: Walter Felsenstein, regista di nome, così si espresse in un discorso tenuto durante le prove in occasione delle 'Bayreuther Festspielklassen' del 1960: “Non vorrei costringere nessuno a condividere il mio parere, ma se potessimo discuterne in un'altra occasione potrei dimostrarvi che il Flauto magico è qualcosa di straordinario anche per quel che riguarda l'operato di Schikaneder. A suo tempo infatti il lavoro coadiuvato dalla musica di Mozart, sotto l'apparenza – o meglio dietro la maschera della favola, rese una testimonianza assai rivoluzionaria e pericolosa”. Eppure nessuno degli spettatori o dei censori sembra essersi reso conto di questo elemento di pericolo [13] .

Citiamo in successione anche alcuni passaggi significativi di Jean-Victor Hocquard che guidano ad un ascolto attento dell'opera, mostrando come, di nuovo, l'ironia mozartiana, traspaia continuamente nell'opera, rendendo ben più convincente una lettura a partire da tutt'altra chiave di lettura. Nel Flauto magico

se si considera l'aspetto teatrale, non c'è alcuna incoerenza. E' solo nelle parole di altri protagonisti che dapprima Sarastro è presentato come un mostro; quando egli appare sulla scena, sentiamo immediatamente la maestà calma e benefica che emana dalla sua persona. Quanto alla Regina della Notte, è vero che è una madre in lacrime, ma la musica ce la fa percepire fin dalla sua prima aria, come una donna passionale, possessiva e glaciale [14] .

Allo stesso modo è un errore considerare, come è stato fatto, “Il flauto magico”, come un “oratorio massonico” o una “cerimonia iniziatica”. Questo è smentito dall'humour estremamente irriverente di Mozart. Un esempio probante. Alla fine dell'opera, il tono è cresciuto fino al tragico con la corale degli armigeri; Pamina e Tamino si sono alla fine ritrovati e hanno superato insieme le ultime prove. Ci si aspetta dunque un coro trionfale per chiudere l'opera con magnificenza. Invece chi vediamo arrivare? Quel buffone di Papageno, che non è stato capace di superare alcuna prova iniziatica e che sta per suicidarsi perché non ha trovato una “fanciulla”. Poi, quando l'ha trovata, danza dalla gioia al pensiero di tutti i piccoli Papageno che nasceranno a decine… Si dirà che questa parte è da attribuirsi a Schikaneder, che non comprendeva molto di misteri massonici. Ma è Mozart che ha scritto la musica di queste scene farsesche e che, si percepisce bene, ci si è molto divertito!
Questa libertà di spirito permette a Mozart non solo di evitare la trappola di comporre un'opera a tesi, come sarebbe un oratorio destinato a predicare l'ideologia massonica, ma anche di realizzare una vera opera teatrale, un'opera scenicamente molto viva [15] .

A questo riguardo non bisogna trascurare l'importanza delle scene dialogate. Nel secondo atto, gli interventi molto numerosi di Papageno sono di un comico irresistibile, che provoca una vera ilarità.
Le sue uscite irrispettose verso i chierici del Tempio hanno una grande pregnanza satirica, che dovette fare la gioia di Mozart [16] .

Ora una tale progressione esiste nel “Flauto magico” e, come in tutte le opere di Mozart (compresa “La clemenza di Tito”), l'intreccio è imperniato sull'amore [17] .


All'inizio si tratta di una storia affascinante, senza alcuna pretesa: una vera fiaba. Due giovani che si innamorano l'uno dell'altro alla vista del solo ritratto, tentano di unirsi, ma gli ostacoli sono insormontabili. Tamino, che è partito alla ricerca della ragazza prigioniera in una cittadella, si imbatte in una porta e scopre che si tratta di un Tempio di cui il custode è il saggio Sarastro. Allora, parlando con l'Oratore, si opera un cambiamento in lui: gli si insegna che lui sbaglia ad incentrare la sua vita sull'amore e che la ricerca della virtù deve essere al primo posto. L'unione con la sua amata gli sarà donata in sovrappiù, per ricompensa, quando avrà superato le ultime prove della sua iniziazione. Alla fine del primo atto, egli scorge per la prima volta la sua Pamina, prima di essere separato da lei per ricevere l'insegnamento e sottoporsi alle prove.

Mozart dovette essere affascinato da queste idee, ma ciò in cui non poteva più seguire gli autori del libretto, è nell'antifemminismo di cui il testo è pieno.
In effetti, numerosi sono i passaggi in cui, secondo la tradizione popolare, la donna è presentata come un essere inferiore, chiacchierone, curioso, furbo, inutile; ma ciò che è molto più grave qui è, conformemente alla Costituzione d'Anderson (1723), l'esclusione della donna dai riti massonici perché incapace di accedere alla conoscenza iniziatica. Ora l'idea di questa incapacità era insopportabile per Mozart, ed egli ebbe l'audacia di introdurre nella conclusione un colpo di scena che si contrappone diametralmente alla dottrina ammessa nelle Logge.

Abbiamo lasciato i due innamorati alla fine del primo atto dove, dopo essersi intravisti, vengono di nuovo separati, lui per essere iniziato, lei per vagare nei corridoi del Tempio.
Si ritroveranno solo alla fine dell'opera, quando finirà la suspence che per loro consiste nel superare gli ostacoli che li separano. Ma, nel secondo atto, gli ostacoli non sono più tali da poter essere abbattuti a colpi di talismani: non sono più esterni, ma interiori.

Tamino deve comprendere che la sua ragione di vita non deve essere l'amore, ma la ricerca della saggezza, la quale gli permetterà di regnare secondo giustizia.
Lo stesso è per Pamina, la quale deve capire che colui che lei ama non è lo scopo della sua esistenza, come nel caso dell'amore-passione. Anche lei dovrà purificarsi degli elementi passionali che questo punto di vista implica, senza che il suo affetto per lui ne sia minimamente diminuito. Esposta alle insidie di Monostato e rifiutata da sua madre, Pamina si crede abbandonata anche da Tamino perché questo, costretto dalla prova del silenzio, non risponde più al suo appello d'amore. Sull'orlo del suicidio, è salvata appena in tempo dai tre Geni.
Grazie a queste “prove”, che non sono iniziatiche, ma sono più crudeli e toccanti di quelle di Tamino, i suoi occhi si aprono. Lei, che è stata esclusa da ogni insegnamento perché donna, arriva da sola, con le poche parole che le rivolgono, per pietà, i tre Geni, a vedere qual è la via da seguire. Senza curarsi delle proibizioni che l'hanno separata da Tamino, ella lo raggiunge lanciando, dal profondo del cuore, l'appello: “Tamino mein!” (Mio Tamino!). D'ora in avanti, lei ha capito che non deve più essere Tamino, l'oggetto delle sue aspirazioni, ma che insieme attraverseranno le prove finali. E' proprio perché essi hanno, insieme, gli occhi fissi allo scopo- fine che supera le loro aspirazioni individuali – è per questo che la loro unione potrà realizzarsi. Ed è qui che si colloca il colpo di scena di cui ho parlato prima. Non soltanto Pamina si unisce a lui per superare, con lui, le prove finali - già questa è un'audacia! – ma, per di più, è lei che cammina avanti: “Io stessa ti condurrò. A guidare me sarà l'amore”. Fino ad ora Pamina aspirava a ritrovare l'amato: lui era per lei un polo di attrazione. D'ora in poi, lei non lo attirerà più verso se stessa, ma verso l'alto, verso la luce: lei conduce (“ich fuhre”), ma è l'amore che “guida” (“leitet”).
Così, quando i due hanno superato l'ultima tappa, si trovano, fianco a fianco, davanti al Tempio che si apre per loro, alle acclamazioni del coro: “Nobile coppia, hai vinto i pericoli! Vieni entra nel Tempio!”. Così, la vittoria non è quella dell'eroe, ma quella della coppia. E, nell'ultima scena, al cospetto di Sarastro che presiede l'assemblea, Tamino e la sua sposa si trovano rivestiti con abiti sacerdotali. Non c'è più alcuna differenza tra l'uomo e la donna. Come nel canto all'inizio dell'opera “uomo e donna, donna e uomo arrivano ad eguagliare la divinità”.

Ci si spiega dunque come l'argomento del “Il flauto magico”, bizzarro com'era, abbia potuto entusiasmare Mozart,. Egli aveva nel suo ultimo lavoro teatrale, la possibilità di trovare la soluzione al problema che si era posto in tutte le sue opere precedenti senza potere risolverlo: qual è il fondamento valido per l'unità di coppia? Ecco la risposta: bisogna rettificare l'orientamento della forza inerente all'amore. L'amore allora non è più semplicemente una mutua attrazione, ma una aspirazione comune a qualcosa che va oltre l'ordine del sentimento. All'attrazione allora si sostituisce una affinità dovuta a un'uguaglianza di gradi di conoscenza. Questa è dunque l'idea, tutto sommato molto semplice, che è al centro di questa opera. Ma questo non contraddice ciò che è stato detto prima, cioè che non è un'opera a tesi? No, perché questa idea non è teorica, è nell'ordine del vissuto, essa ricapitola tutta l'esperienza amorosa di Mozart nella sua vita e nelle sue opere. Gli amori di Tamino e di Pamina vengono dal cuore stesso di Mozart e vanno dritte al cuore. Per comprendere quest'opera, non c'è bisogno di essere stati iniziati, né di passare per una qualunque categoria culturale. E' un'opera la cui portata è davvero universale [18].


Duomo di Salisburgo, tomba di Sigismund von Schrattenbach, arcivescovo-principe di Salisburgo, fino al 1772

La fede cattolica di Mozart nell'epistolario

Le molte lettere dell'epistolario mozartiano conservate ci sono testimoni della sua “normale” vita cristiana. Ecco una sintesi dei ripetuti passaggi sul tema, in diversi periodi della sua vita, curata da Armando Torno [19] :

Facciamo dunque luce su un preciso punto: che cosa ne pensava Wolfgang Amadeus della religione? Rispondiamo con le sue stesse parole, usando le lettere indirizzate dal musicista a papà Leopold. Dopo la morte di quest'ultimo, avvenuta nel 1787, non vi sarà più un'esposizione così chiara del suo pensiero. I rapporti con la moglie Constanze riguardano più la sfera familiare e sentimentale che non la religiosa. Non vi sono, comunque, prove che ci inducano a ritenere “passate” queste opinioni; né ci autorizzano i successivi silenzi a costruire ipotesi che entrino in contraddizione con le convinzioni espresse. Un'ultima osservazione: se la musica mozartiana è per sua natura enigmatica, le lettere sono invece molto chiare. Mozart non era un letterato e non sapeva giocare con le sfumature della penna. Perciò quel che si legge è quel che gli passava per la testa.
Il primo documento reca la data 25 ottobre 1777. Da Augusta, tra l'altro, scrive: “Papà può vivere tranquillo, io ho sempre Iddio dinanzi agli occhi. Riconosco la sua Onnipotenza, temo la sua ira, ma riconosco pure il suo Amore, la sua Compassione e la sua Misericordia in relazione alle sue creature; egli non abbandonerà mai i suoi servi. Tutto ciò che va secondo la sua volontà, questo piace anche a me, di conseguenza nulla può mancarmi, ed io sono felice e contento. Con piena coscienza e diligenza voglio altresì seguire fedelissimamente la raccomandazione e il consiglio che le ha avuto la bontà di darmi...”.
Sempre del 1777, questa volta in una lettera da Mannheim, datata 20 dicembre, c'è una conferma a quanto Wolfgang aveva in precedenza asserito. Il passo si legge verso la fine dell'epistola: “Ho scritto che la sua ultima lettera m'ha fatto molto piacere; è vero! Solo una cosa mi ha fatto assai dispiacere; la domanda se avessi forse dimenticato di confessarmi. Qui non ho nulla da aggiungere. Solo mi permetto di pregarla d'una cosa: non pensi proprio così male di me. Ho molto piacere d'essere allegro, ma stia certo che nonostante tutto, so essere anche molto serio. Da quando sono partito da Salisburgo (e anche a Salisburgo) ho incontrato gente cui mi sarei vergognato di assomigliare nel parlare e nell'agire, sebbene siano persone di 10 e 20 e 30 anni maggiori di me! La prego dunque, ancora una volta e molto umilmente, d'aver un'opinione più buona di me”.
C'è anche una lettera, sempre da Manheim, datata 4 febbraio 1778, scritta mentre Wolfgang si accinge alla partenza per Parigi, che contiene passi di qualche interesse. Parla di Wendling che “non gli piace affatto” perché, pur essendo “un uomo profondamente leale e buono”, è un presuntuoso “senza religione”. E in chiusa si legge una vera sentenza: “Amici che non hanno religione, non sono amici durevoli”. Si prosegue con una lettera da Parigi del 3 luglio 1778. La mamma è appena morta, ma Wolfgang non osa comunicarlo direttamente a Leopold. Pregherà l'abate Joseph Bullinger di farlo, con un'altra lettera dello stesso giorno. Restano comunque alcuni significativi passi della lettera al padre: “Poniamo la nostra fiducia in Dio e confortiamoci con il pensiero che tutto va bene se va secondo la volontà dell'Onnipotente, perché Egli sa più di tutti noi quel che è giusto e vantaggioso sia per la nostra felicità e la nostra salute terrena sia per quella eterna”. Più avanti si legge questa frase: “Subito dopo la sinfonia, per la gioia sono andato al Palais Royal, ho preso un gelato, ho recitato il rosario che avevo promesso e sono andato a casa, dove mi trovo sempre bene e dove vi starei sempre più volentieri; e così anche in casa di qualche buon tedesco, autentico e sincero, che quando è celibe vive solo come un buon cristiano, mentre quando è sposato ama la moglie e pensa ad educare bene i suoi figli”.
Un passo della medesima lettera, oltre a fornirci un giudizio prezioso di Mozart su un filosofo allora in voga, ci mostra anche i suoi giudizi e il suo parere su quei personaggi campioni del libero pensiero che hanno caratterizzato il Settecento. Eccolo: “Ora le comunico una notizia che forse saprà già: quell'ateo e arcibirbone [lett. Erzspitzbube] di Voltaire, è morto come un cane. Che ricompensa!”. Subito dopo, le sue convinzioni: “Dio farà tutto per bene. Ho qualcosa in mente per cui prego Dio ogni giorno. Se lo vorrà la sua volontà divina, allora accadrà, altrimenti sarò felice lo stesso: almeno ho fatto quel che potevo”.
Da Vienna, il 13 giugno 1781, un altro documento. E' nella seconda parte della lettera: “Stia pure tranquillo per la salute della mia anima, padre mio amatissimo! Sono un giovane peccatore, come tutti, ma per mia consolazione posso dire che magari gli altri sbagliassero così raramente come me. Lei crede forse cose inesatte su di me. Il mio difetto principale è che in apparenza non agisco sempre come dovrei. Non è vero che mi sono vantato di mangiare carne tutti i giorni di digiuno. Ho detto invece che non ci faccio caso e che non lo reputo un peccato, perché a mio avviso digiunare vuol dire privarsi di qualcosa, mangiare meno del solito. Tutte le domeniche e i giorni festivi ascolto la messa e se è possibile anche i giorni feriali, lo sa bene lei, padre mio! Tutti i miei rapporti con quella persona di cattiva fama si sono limitati al ballo. E questo l'ho fatto già molto prima di sapere che avesse una cattiva reputazione e solo per essere certo di avere una donna con cui ballare la contraddanza. Dopo non potevo rompere all'improvviso senza darle una spiegazione. E chi potrà mai dire in faccia certe cose a qualcuno? E poi non l'ho forse abbandonata più d'una volta per ballare con altre? Questa volta sono stato ben contento che il carnevale terminasse. D'altronde, nessuno potrà dire che l'ho incontrata da qualche altra parte o che mi sia recato a casa sua per essere un bugiardo. E poi stia certo che onoro sinceramente la religione”.
Sempre da Vienna, data 15 dicembre 1781, ecco una lettera che contiene qualche confessione preziosa. E' scritta a papà Leopold per indurlo a concedere il permesso di sposare Constanze, contro la quale il genitore era prevenuto.
Scrive Wolfgang: “La natura si agita in me come in chiunque altro e forse più che in certi colossi. Mi è impossibile vivere come la maggior parte dei giovani d'oggi. Innanzitutto, sono troppo religioso, poi ho troppo amore per il prossimo e sentimenti troppo onesti per poter sedurre una ragazza innocente. In terzo luogo ho troppo orrore e disgusto, paura e ripugnanza delle puttane. Di conseguenza, posso giurare di non aver ancora avuto simili rapporti con una donna. Se fosse accaduto non glielo nasconderei, perché per l'uomo è sempre abbastanza naturale sbagliare e sbagliare solo una volta sarebbe una semplice debolezza, sebbene non oserei affatto promettere di limitarmi a quest'unico errore, qualora l'avessi commesso anche una sola volta. Ma posso giurarle per la mia vita e per la mia morte che quanto le ho detto è vero”. Il matrimonio verrà celebrato. Da Vienna, ancora, sotto la data 17 agosto 1782, pochi giorni dopo il fausto evento, il musicista scrive: “...prima di sposarci siamo andati insieme per un lungo periodo alla santa messa, per confessarci e per prendere la comunione, e ho scoperto di non aver mai pregato con tanta intensità, di non essermi mai confessato e comunicato con tanta devozione come quando l'avevo vicina, e anche per lei è stato così”.
Chiudiamo la breve rassegna con una lettera del 4 aprile 1787. E' scritta ancora da Vienna. La morte del padre avverrà il mese successivo. E' uno dei documenti più toccanti lasciati da Mozart: “Dato che la morte (ben riflettendo) è l'ultimo, vero fine della nostra vita, da qualche anno sono entrato in tanta familiarità con questa sincera e carissima amica dell'uomo,che la sua immagine non solo non ha per me più nulla di terribile, bensì mi appare persino molto tranquillizzante e consolante! E ringrazio il mio Dio di avermi dato la fortuna di avere l'opportunità (lei mi comprende) di riconoscere in essa la chiave che apre la porta alla nostra autentica felicità. Non mi addormento mai senza pensare che (per quanto giovane sia) l'indomani forse non ci sarò più. Ma nessuno, tra tutti coloro che mi conoscono, potrà dire che in compagnia io sia triste o di pessimo umore. E di questa fortuna ringrazio ogni giorno il mio Creatore e l'auguro con tutto il cuore ad ognuno dei miei simili”.
Come si può notare da questi passi, Mozart professava sentimenti religiosi come un buon credente del tempo antico. Certo, queste pagine non rappresentano totalmente il suo animo, ma possono spiegarci quel che ha provato in certi momenti e come la pensava dinanzi alle situazioni e alle persone. Voltaire, è il caso di notarlo, non lo vuol nemmeno confutare: l'ha classificato. Così come non si pone domande sul suo pensiero: è negativo, e basta. Mozart era così, semplicemente così. In musica gli orizzonti, però, mutano. Quel che nelle epistole ci appare limpido, elementare, tra le armonie assume mille sfumature e sfugge alle definizioni. Per questo la sua musica sacra deve essere indagata con molta calma, perché le proporzioni delle note non sono le stesse delle parole di una sua lettera. Se in quest'ultima tutto sembra chiaro, nel regno della sua musica tutto si trasforma in enigma. Talmente enigma che non esiste, a due secoli dalla sua morte, un'interpretazione accettata da tutti, che non sollevi riserve o perplessità.


Con tutto questo, se non è assolutamente corretto fare di Mozart un santo od un teologo non può, nondimeno, non essere riconosciuta la sua sincera fede cattolica. Perché non chinarsi dinanzi all'evidenza che la sublime sua musica sacra, nelle messe da lui composte, sia fedele espressione – per quanto questa espressione possa essere appropriata, poiché la musica è per sua natura sempre unica e originale - del testo liturgico che è cantato?
E se, certamente, questo è anche richiesto dai committenti che via via domandavano nuove composizioni sacre, tuttavia non si oppone ad una reale adesione e condivisione di ciò che quei testi esprimevano e tuttora esprimono.
Ci permettiamo di rimandare all'ascolto, fra i testi che più amiamo, del Credo della Missa brevis in fa (KV 192/186f). Qui il Credo messo in musica non è il più usato e noto – il Credo niceno-costantinopolitano – bensì il Credo detto “dei dodici apostoli”, così detto perché la tradizione vuole che i dodici apostoli, prima di lasciarsi e di partire per evangelizzare ogni angolo della terra, abbiano scritto ognuno una delle affermazioni di questo simbolo di fede e tutti si siano trovati concordi nell'affermare che ciò che in quelle parole è professato corrisponde veramente alla rivelazione del Cristo. Con grande libertà ed insieme profonda consonanza con il testo di tale Credo Mozart scrisse quello che potremmo definire un “ritornello” musicale che si ripete esattamente 12 volte, più una tredicesima che è la ripetizione finale della parola “Credo” che suggella l'unità di tutto il testo. Questo ritornello è dato da 4 note – e sono le stesse note che riappariranno nell'ultimo movimento dell'ultima sinfonia scritta da Mozart, la K 551 Jupiter! Lo troviamo così ripetuto 12 volte sulle parole:

1/ “Credo (in unum Deum Patrem onnipotentem)”
2/ “Credo (in unum Dominum Iesum Christum)”
3/ “Credo (genitum non factum)”
4/ “Credo (qui propter nos homines et propter nostram salutem)”
5/ “Credo (incarnatus est)”
6/ “Crucifixus”
7/ “Credo (et iterum venturum saeculum)”
8/ “Credo (in Spiritum Sanctum Dominum)”
9/ “Credo (in unam sanctam catholicam et apostolicam ecclesiam)”
10/ “Confiteor”
11/ “Et vitam venturi saeculi”
12/ “Amen”

La tredicesima volta il motivo musicale ripete solamente l'espressione “Credo”, che unifica tutto ciò che è stato cantato dalle 12 voci.
Possiamo accennare ancora, ma il discorso vale inequivocabilmente per ogni composizione di musica sacra mozartiana, anche ad un altro Credo, quello della Missa solemnis in do minore, detta Waisenhaus-Messe (KV 139/47a), poiché composta, insieme ad altre due composizioni più brevi, per l'inaugurazione della chiesa dell'orfanatrofio (Waisenhaus in tedesco) imperiale, situato al Rennweg di Vienna. Sebbene la cosa non sia perfettamente accertata tale messa sarebbe allora la prima messa composta da Mozart, all'età di soli 14 anni, nel 1768 (la consacrazione avvenne il 7 dicembre 1768). Mentre di solito il primo “Credo” è intonato dal celebrante ed il coro entra sulle parole seguenti “in unum Deum Patrem onnipotentem” qui troviamo invece la ripetizione insistita per tre volte dell'espressione “Credo”. Straordinario è il passaggio dall'allegria del “Descendit de caelis”, alla dolcezza dell' “Et incarnatus est”, e dalle note cupe dalla passione, con le trombe che quasi cantano una marcia funebre, all'esplosione del “Resurrexit”. La musica serve veramente la parola dell'annunzio della fede, ma ne diviene segno espressivo in una maniera impossibile alla sola parola.


Cripta del Duomo di Salisburgo, tomba di Hieronymus Iosephus von Colloredo, arcivescovo-principe di Salisburgo dal 1772 al 1812

Mozart cristiano nel 1791, l'ultimo anno

Ci soffermiamo, infine, su due capolavori dell'ultimo anno della vita del compositore austriaco. E', infatti, proprio nell'ultimo anno di vita che Mozart, dopo una pausa, torna a comporre musica sacra, a comporla richiesto (il Requiem) e non richiesto (l'Ave verum).
Innanzitutto l' “Ave verum” (K 618). Come la Grande Messa, composta, come abbiamo già visto, per un voto fatto a Dio nel desiderio della guarigione della moglie, anche questa quantitativamente piccola partitura ci si presenta come un testo non composto su commissione. Tutto lascia supporre che Mozart lo abbia composto come ringraziamento per gli aiuti che Anton Stoll prestava a sua moglie Constanze, che si trovava a Baden, per un periodo di cure. Queste le conclusioni degli studi di Carl de Nys:


Il 17 giugno 1791 (secondo la partitura autografa) o il 18 (secondo il suo catalogo personale), Mozart scrisse questo mottetto per quattro voci, corde (con viola) e organo; egli precisa anche il luogo della composizione, Baden (celebre stazione termale a sud della capitale). Pur in assenza di questa indicazione, la storia del manoscritto ci avrebbe informato che il mottetto era destinato all'istitutore e regens chori di Baden, Anton Stoll, un uomo che perpetuava la feconda tradizione di quegli insegnanti-musicisti che fecero, qualche decennio prima, della Boemia il “conservatorio dell'Europa” (Burney). Stoll era amico di F.J.Haydn (del quale accolse l'irascibile sposa, che morì a casa sua) e di Mozart; questi gli prestava la sua musica da chiesa, gli procurava quella di Michael Haydn e non disdegnava di partecipare personalmente alla musica religiosa diretta da Stoll nella sua piccola chiesa. Il venerdì e il sabato dopo la Pentecoste, Mozart era dunque a Baden, dove sua moglie soggiornava per un periodo di cure dal 4 giugno con il figlio Karl; si ignora la durata esatta del soggiorno del musicista, ma – dettaglio significativo – si sa che partecipò la domenica successiva alla processione del Corpus Domini nel quartiere Josephstadt a Vienna. A Baden il Corpus Domini era celebrato normalmente il giovedì successivo alla domenica della Trinità (23 giugno). Non è impossibile che Mozart si sia seduto all'organo in occasione della creazione dell'Ave verum nella chiesa di Baden; quella première fu probabilmente sonata da un quartetto o da un piccolo complesso vocale con corde soliste.
Il testo latino del mottetto non è liturgico; lo si incontra per la prima volta in un manoscritto di Reichenau del XIV secolo; la chiesa di Rouen lo utilizzava nell'Ordinario. Nel sud della Germania e in Austria il mottetto veniva cantato dopo l'elevazione nelle messe solenni e per le benedizioni del Santo Sacramento, in particolare quando la processione del Corpus Domini terminava con una benedizione solenne nella chiesa parrocchiale, ed è questo, certamente, il caso di Baden nel 1791. La prosodia della melodia tradizionale in canto piano misurato è mal riuscita: non facilita la comprensione del testo. Il testo latino comprende anche un nono verso che (fortunatamente) Mozart non ha composto: O dulcis, o pie, o fili Mariae [20] .

Sterminata è la letteratura sul Requiem incompiuto, di cui si è impadronita la leggenda, inventando situazioni cariche di possibilità teatrali e cinematografiche. Seguiamo di nuovo, invece, le ricerche storiche di Carl de Nys, per introdurci al suo ascolto:

Il solo documento scritto sul Requiem è la copia di una lettera datata: “Vienna, 7 ottobre 1791”, lettera in italiano che si supponeva fosse stata indirizzata al suo librettista Lorenzo da Ponte [21] . In questa lettera si parla dello sconosciuto, il famoso “messaggero in grigio” (o in nero...), che si è profondamente radicato nella letteratura e – possiamo oggi aggiungere – nella leggenda mozartiana. Otto Erich Deutsch ha stabilito che questa lettera, da tempo sospetta, era in realtà apocrifa; si tratta di un falso dell'inizio dell'età romantica. Nell'abbondante letteratura (anche nella più recente!) si può leggere anche che il Requiem sarebbe stato ordinato a Mozart dal conte von Walsegg zu Stuppach, che avrebbe voluto attribuirsene la paternità e che lo avrebbe fatto eseguire sotto il suo nome. Un'altra leggenda da abbandonare. Otto Schneider ha ritrovato negli archivi di Wiener-Neustadt (dunque vicino a Stuppach) il racconto di Anton Herzog sulla “vera e autentica storia del Requiem di W.A.Mozart” (1839) che offre tutti i particolari del contratto redatto davanti a Johann Nepomuk Sortschan, avvocato in Vienna (Am Hof, Innere Stadt, n° 237). Contratto in buona e debita forma, niente di anonimo e la somma di cento ducati (cioè quella abituale pagata al compositore di un'opera) in deposito. Unica curiosità – che però spiega buona parte delle leggende fiorite intorno al Requiem -: il conte diventa unico proprietario della composizione ed il compositore doveva quindi consegnare l'originale senza trattenerne copia...
Lo stesso racconto ha consentito di chiarire questo punto un po' strano. Herzog è stato musicista del conte Walsegg: è stato lui a far lavorare gli interpreti per la prima volta a Wiener-Neustadt. Racconta che il suo signore aveva piacere a confondere i suoi musicisti copiando le opere che acquistava “in esclusiva” ed alle quali dava il suo nome. E, se si trattava di un'opera nuova, scritta per l'occasione, cominciava allora il gioco ad indovinare il vero autore. Così gli venne l'idea di ordinare a Mozart un Requiem dopo la morte di sua moglie nel febbraio 1791. E' possibile che l'ordine sia stato provocato dalla nomina di Mozart a vice-maestro di cappella alla cattedrale di Vienna il 9 marzo 1791.
Tutto induce a credere che Mozart avesse l'intenzione di onorare quest'ordine con un'opera imponente e lavorata a fondo: quando l'iniziò nell'autunno 1791, scrisse in testa alla prima pagina del manoscritto 1792, il che significa che pensava di dedicarle molto tempo, almeno sei mesi. Il destino decise diversamente. Nel novembre 1791 Mozart cadde malato: morì la notte del 5 dicembre. E il Requiem restò incompiuto. Fino all'offertorio Domine Jesu Christe incluso l'opera era terminata, a parte taluni dettagli di orchestrazione. L'anticipo ricevuto era stato speso da tempo: Mozart era pieno di debiti: alla sua morte i suoi beni furono posti sotto sequestro. Bisognava assolutamente trovare il modo di completare la partitura col Sanctus/Benedictus, l'Agnus Dei e il versetto di comunione Lux Aeterna; per rispettare il contratto si doveva anche consegnare un manoscritto che potesse passare per autografo.
Dopo inconcludenti tentativi si finì col rivolgersi a Franz Xaver Süssmayer, discepolo, amico e collaboratore di Mozart, che aveva scritto per lui i recitativi secco della Clemenza di Tito. Süssmayer lavorò così bene che la musicologia, fino ai più recenti studi scientifici, non poté determinare con precisione ciò che era di Mozart e ciò che era del suo collaboratore. Egli ricopiò la partitura compiuta, ma conosceva bene anche i “segreti del mestiere” di Mozart e aveva certamente avuto a disposizione appunti del maestro oggi scomparsi. Per il Sanctus si ispirò ad un Heilig, heilig di Wilhelm Friedemann Bach. Ed il suo Sanctus/Benedictus, leggermente breve, non è però indegno del resto della partitura. Per le ultime due sequenze si limitò a riprendere la musica dell'Introît e del Kyrie di Mozart, il che risulta meno felice, perché la prosodia della lingua latina, alla quale Mozart attribuiva una grande importanza, non viene rispettata: si tratta in ogni caso di una commovente testimonianza di modestia e di ammirazione per il maestro e l'amico. I rapporti tra Costanza e il conte Walsegg rischiarono di deteriorarsi quando questi apprese che il 22 gennaio 1793 era stato sonato un Requiem di Mozart nella sala Jann alla Himmelpfortsgasse (la “stradina della porta del cielo”) in cui Mozart aveva interpretato per la prima volta il suo ultimo concerto per piano K 595. Il conte ebbe così la prova che non aveva ricevuto una partitura unica e addirittura neppure la partitura autografa. Fortunatamente ignorava che Costanza aveva venduto l'anno prima l'autografo del marito per cento ducati – la somma convenuta e in parte pagata in anticipo dal conte! – al re Federico Guglielmo II di Prussia. Certamente Walsegg non ha mai conosciuto tutte le peripezie di questa composizione così non ha saputo nemmeno che, in occasione della prima nella chiesa dei Cistercensi di Wiener-Neustadt, il 14 dicembre 1793, egli aveva in realtà diretto un'opera di Mozart- Süssmayer. Retrospettivamente non si può che ammirare il lavoro di Süssmayer; ma quest'ultima partitura mozartiana rimane tuttavia singolare e misteriosa nell'insieme delle opere di Wolfgang destinate alla liturgia.
Dal punto di vista della musica liturgica, del suo adattamento funzionale, infatti, il Requiem pone un problema. Se si pensa alla grande messa in do minore K 427 e soprattutto all'Ave verum, temporalmente vicinissimo, appare evidente che qui il compositore non ha operato quella fusione di stili in una sorta di oggettività, ieratica ed espressiva insieme, che resta l'ideale della sua musica per chiesa (e di tutta la musica religiosa degna di questo nome). Egli non usa affatto lo stile contrappuntistico, salvo che nel Kyrie e nel Quoniam olim Abrahae dell'offertorio, nel quale si è ricordato del tema e dello stile del suo amico Michael Haydn: non aveva forse suonato l'organo del suo Requem in occasione dei funerali solenni dell'aarcivescovo Colloredo nella cattedrale di Salisburgo il 16 dicembre 1771? Egli ha utilizzato così un modo del canto piano gregoriano, il famoso tonus peregrinus (modificazione del modo la), tratto dall'ultimo salmo dei vespri domenicali In exitu Israel de Aegypto. Sono, questi, riferimenti assolutamente estranei allo stile ecclesiastico. Il complesso del suo Requiem ha accenti patetici e tragici che non si ritrovano altrove nella sua musica destinata alla liturgia romana. E' vero che questa messa è scritta in re minore, tonalità estremamente rara nel catalogo delle sue opere. (Nel K ne sono registrate solo sette) [22] .

Più che la leggenda, ciò che colpisce emotivamente chiunque ami Mozart è la singolare coincidenza della composizione di un'opera dedicata alla preghiera di intercessione per un defunto, proprio nel momento in cui il suo compositore viene chiamato da Dio a presentarsi dinanzi a lui. E' stato cosciente Mozart di questo? Nelle condizioni attuali non possiamo rispondere con sicurezza.
Certo la musica, altissima, si unisce all'altissima qualità spirituale del testo che la tradizione cattolica, nei secoli, ha plasmato perché sia la parola che accompagna l'affidare a Dio, al suo giudizio ed alla sua misericordia, la vita di chi muore [23].


Vienna, la Cappella della Croce, accanto alla torre nord, non ultimata, della cattedrale di S.Stefano. Qui, per i funerali più modesti, la benedizione avveniva all'aperto. Accanto alla cappella, il pulpito di Capestrano, dal quale S.Giovanni da Capestrano predicò in vista della battaglia di Belgrado del 1456 per arginare l'avanzata dei Turchi.

La grazia di Mozart

Eppure un ulteriore passo si è imposto nell'interpretazione mozartiana, passo che ci sembra impossibile trascurare. Abbiamo fin qui visto cosa Mozart pensi di Dio, sostenendo la sua professione di fede cristiana e cattolica, non solo mai smentita, ma invece esplicitamente affermata.
Ma cosa ha pensato Dio di Mozart? Possiamo affermare che sia stato uno strumento nelle mani della grazia? Tale domanda che non è abituale, almeno apparentemente, per nessuna riflessione storica o musicologica, pure ci sembra pertinente.
Perché il linguaggio popolare ha voluto attribuire al musicista l'appellativo di “divino”, il “divino Mozart”? Perché film come Amadeus di Milos Forman, pur nella ricostruzione leggendaria e non realistica del personaggio, si servono come di un colpo di scena della polemica di un Salieri con Dio sulla presunta ingiustizia divina nel donare la grazia della musica a chi potrebbe non meritarla? E poi la grazia si merita?
Due grandissimi teologi, Karl Barth e Hans Urs von Balthasar - forse i più grandi teologi, il primo nel campo luterano, il secondo in quello cattolico, del secolo scorso – hanno scritto pagine straordinarie su Mozart, pagine al di fuori dell'ordinario sia nella confessione del loro amore per la musica mozartiana, sia nella relazione che hanno voluto leggere fra tale musica e la vita di grazia.
Karl Barth ha scritto quattro brevi articoli su Mozart. E' ormai famosa la sua espressione sulla musica di Mozart e di Bach in Paradiso:

Forse gli angeli, quando sono intenti a rendere lode a Dio, suonano musica di Bach, ma non ne sono del tutto sicuro; sono certo, invece, che quando si trovano fra loro suonano Mozart ed allora anche il Signore trova particolare diletto ad ascoltarli [24] .

Ma da dove proviene questa superiorità della musica mozartiana?

Debbo anche confessare, per di più, che se dovessi mai giungere in Paradiso, domanderei innanzitutto di Mozart, e soltanto dopo cercherei Agostino e Tommaso, Lutero, Calvino e Schleiermacher. Ma quale spiegazione dare? Forse, in poche parole, questa: il pane quotidiano comprende anche il gioco. Io sento che Mozart - il Mozart degli anni giovanili e quello più maturo - gioca. Il giocare è però qualcosa che richiede grande abilità, e pertanto un impegno alto e severo. Sento in Mozart un'arte del gioco, quale non mi è dato di percepire in nessun altro. Il bel gioco presuppone che si abbia una conoscenza infantile del centro – perché la si ha del principio e della fine – di tutte le cose. Sento che la musica di Mozart scaturisce da questo centro, da questo principio e da questa fine. Sento la limitazione che egli s'imponeva, perché proprio questa gli dava gioia. Essa allieta, rianima, consola anche me, quando lo ascolto [25] .

E questo gioco fa bene all'animo, nella sua levità che pure nasce da un lavoro faticosissimo – o forse, proprio perché si intuisce che ha alle spalle la fatica di un lavoro diuturno:

La musica di Mozart ha un suono del tutto libero, spigliato, lieve, e per questo ci si sente alleviati, sollevati, liberati da essa: questo anche nelle celebri composizioni in minore, anche quando si cimenta nel genere dell'opera seria, anche nelle opere di carattere religioso, non escluso il Requiem, anche nei canti massonici, ed in ogni altra circostanza, quando si fa solenne, malinconico, tragico. A dire il vero, tragico egli non lo diventa mai. Il suo è un giuoco, che non cessa mai di essere tale. Chi, ascoltandolo, non prova nel suo intimo la sensazione di vibrare e come di librarsi in aria, chi non entra nel giuoco, ancora non ha saputo veramente ascoltarlo. Ma non si può dire che lo sappia ascoltare neanche chi credesse di intenderlo, e così è avvenuto a lungo nel corso del XIX secolo, come il musicista della serenità conquistata a poco prezzo e a poco prezzo ricevuta. Dietro il suo giuoco c'è una disciplina ferrea. Quanto ha lavorato, nel breve corso della sua esistenza! Sia che, trovandosi in viaggio o in società o anche soltanto intento al giuoco del biliardo, venissero nascendo, sviluppandosi e ordinandosi nella sua mente – e questa era la fatica principale – i suoni e le voci della sua musica, sia che, provvisto di tutto l'occorrente, mettesse sulla carta, in un flusso inarrestabile, come se scrivesse lettere, quel che aveva creato, sia che improvvisasse al pianoforte, davanti a molti o a pochi uditori, o senz'averne alcuno, nella solitudine della notte! Ed in relazione a questo va visto anche il fatto – di facilità non si può certamente parlare – che la sua musica non si dispieghi per nulla, in realtà, con assoluta immediatezza, che la levità ad essa connaturata, senza mai rimanere celata, possegga, anche nelle pagine più radiose, anche in quelle piene di grazia infantile, anche in quelle di più antica serenità, qualcosa di estremamente impegnativo, di inquietante, quasi di emozionante. Chi non sa riconoscere questo, non è in grado di ricevere e non riceverà alcun beneficio dalla musica di Mozart [26] .

Non è indifferente a questa levità la messa da parte di tutto ciò che è soggettivo, narcisistico, autoreferenziale:

Mi sia ora consentito dire qualcosa di quella che vorrei chiamare la grande, libera oggettività con cui Mozart ha percorso il proprio cammino. Intendo il cammino della sua vita di uomo, che ha conosciuto, a partire al più tardi dal ventesimo anno d'età, grandi esperienze quasi tutte di natura triste, dolorosa, benché vi siano state piccole esperienze serene, liete, anche divertenti, che, si può dire ininterrottamente, hanno accompagnato quelle grandi e hanno fatto loro come da cornice. Si pensi a come in preda alla febbre, nella notte della sua morte, dal 4 al 5 dicembre 1791, egli si preoccupasse ancora del suo Requiem, ma soprattutto del Flauto magico, che andava in scena in quelle stesse ore. Ma il Requiem non è la sua confessione e non lo è neppure il Flauto magico. L'elemento soggettivo non entra mai a far parte dei suoi temi. Non si è mai servito della musica per parlare di se stesso, della sua situazione, dei suoi umori. Non saprei indicare un solo caso in cui si possa spiegare con una qualche sicurezza il carattere di una delle sue opere in base ad un evento contemporaneo della sua vita, per non parlare della possibilità di dedurre alcunché di simile ad una linea biografica dalla successione delle sue opere. Era la vita di Mozart ad essere al servizio della sua arte, non già l'inverso: tranne che nel senso assai prosaico che era questa a procurare a lui, alla moglie Constanze e ai figli i fiorini necessari (ma quanto rapidamente spesi!); accadeva tuttavia che, quando si trattava di dare esecuzione alle sempre ben accette commissioni, egli stesso, sua moglie ed i figli – o, prima, la madre inferma, l'infedele Aloysia Weber, il padre iracondo, per non dire del perfido arcivescovo Colloredo con il conte d'Arco – venissero a trovarsi molto, molto lontani rispetto al compito di dare forma una volta di più, in modo del tutto indipendente dalle grandi e piccole esperienze della sua vita, ad un frammento del cosmo musicale in cui viveva. E quel che ne risultava era ogni volta, ed è ancora oggi,un invito rivolto all'ascoltatore ad uscire un poco anch'egli dalla propria soggettività [27] .

Neppure tutto ciò nasce – e difatti non potrebbe nascere – da una qualche posizione filosofica o ideologica previa:

Potrebbe ora essere opportuno, allo scopo di definire questa particolarità, prendere in considerazione il concetto di libertà anche sotto un altro aspetto. Mozart, come esecutore e come compositore, ha sempre avuto qualcosa da dire, ed in realtà l'ha detta. Sarebbe bene, però, non complicare e non alterare l'impressione che si ricava dalle sue opere sovraccaricandole di dottrine e di ideologie che si ritiene di potervi scoprire, ma che sono in realtà semplici congetture. In Mozart non c'è una 'morale', né rozza né sublime. E' vero che ha sempre discusso a lungo con i rispettivi autori il testo dei libretti delle sue opere: ma certo non per accordarsi con loro sul significato fondamentale dei contenuti a cui dare espressione in comune. Si tenga conto di quel che egli ha scritto al padre nel 1781:
«Nell'opera è assolutamente necessario che la poesia sia figlia ubbidiente della musica!» Ma questo vuol dire che non ha accolto né da Lorenzo da Ponte né da Emanuel Schikaneder la proposta di temi di interesse generale e neppure ne ha escogitati lui stesso, con la loro collaborazione, per poi musicarli; quel che voleva da loro e di cui discuteva con loro era il modo più adeguato di trovare uno spunto e uno stimolo che consentissero di dare consistenza e svolgimento ai propri temi e motivi, drammi e figurazioni, ben definiti nella loro natura musicale, che poi, nel ricevere attuazione, venivano a configurarsi come la contropartita delle modeste poesie di quegli autori di terzo o di quint'ordine. Dunque, il Figaro di Mozart non ha nulla a che fare con le idee della Rivoluzione francese, il Don Giovanni di Mozart non ha nulla a che fare (e questo va tenuto presente in particolare nei riguardi di Kierkegaard) con il mito dell'eterno libertino. E' anche certo che non esiste una «filosofia» mozartiana del Così fan tutte, e sarebbe opportuno, se è di Mozart che si deve trattare, che non si udissero ad ogni costo, anche nella musica del Flauto magico, troppa «religione dell'umanità» ed altre cose ancora, se possibile misteri politici. Si può rimproverarglielo o perdonarglielo, ma le cose stanno così: egli non è mai stato direttamente, concretamente toccato (lo provano le sue lettere) né dalla natura che lo circondava né da tutta quanta la storia, la letteratura, la filosofia e la politica del suo tempo, e neppure ha mai voluto, al riguardo, sostenere scelte particolari o proclamare particolari principi. Temo che non abbia mai letto molto, e di sicuro non si è perduto in speculazioni né ha mai inteso montare in cattedra. Non esiste alcuna metafisica mozartiana. Nel mondo della natura e dello spirito egli ha cercato e trovato unicamente le occasioni, i materiali e i temi della propria musica. Pur avendo Dio, il mondo, gli uomini, se stesso, il cielo e la terra, la vita e soprattutto la morte dinanzi agli occhi, nell'orecchio e nel cuore, egli è stato un uomo intimamente non problematico e quindi libero: in un modo che gli era, a quanto sembra, lecito e manifestamente necessario, e dunque esemplare [28] .

Tutta la musica di Mozart è, da un capo all'altro, espressione della speranza:

Quel che in esso si compie, è invece un grandioso perturbamento dell'equilibrio, è una svolta, in virtù della quale la luce si accresce e l'ombra, senza scomparire, diminuisce, la gioia prende il sopravvento, senza sopprimerlo, sul dolore, il 'sì' prende un suono più forte del 'no', comunque sempre presente. Si noti l'inversione del rapporto tra le grandi esperienze dolorose e le piccole esperienze liete nella vita di Mozart! “I raggi del sole scacciano la notte”, si ode alla fine del Flauto magico. Il giuoco può e deve continuare o ricominciare da capo. E' però un giuoco che si vince ed è già stato vinto in un qualche luogo eccelso o profondo. E' questo che gli dà il suo orientamento ed il suo carattere. Non si riuscirà mai a percepire nella musica di Mozart l'equilibrio e quindi l'incertezza e il dubbio: questo vale per la sua produzione operistica come per la sua musica strumentale e più che mai per le opere di genere religioso. Ognuno di quei Kyrie o Miserere, che pure attaccano su note così basse, non è come sorretto dalla fiduciosa certezza che la misericordia invocata di è fatta già da tempo realtà? Benedictus qui venit in nomine Domini! Nella versione di Mozart è evidente che questa venuta si è già compiuta. Dona nobis pacem! Per Mozart questa, nonostante tutto, è una preghiera già esaudita. Proprio per questo la sua musica religiosa va considerata, contro tutte le ben note obiezioni, come vera musica sacra [29] .

La levità della sua musica, nata da impegno e lavoro serratissimo, fanno intuire all'animo umano quale potrebbe e dovrebbe essere la “danza della vita”.
Ma ben più in là si spinge nell'interpretazione H.U. von Balthasar. Così Pierangelo Sequeri sintetizza il brevissimo, ma densissimo, scritto del teologo svizzero Testimonianza per Mozart:

Mozart fa udire infatti il canto del trionfo che accompagna la creazione prima della caduta e dopo la risurrezione, dove sofferenza e colpa non sono memoria lontana e passato, bensì presente rischiarato e superato [30] .

La musica di Mozart è figura della grazia stessa, della grazia creatrice di Dio e della grazia che risolleva il creato dalla caduta e lo eleva, nell'uomo, alla partecipazione della natura divina. Questo il testo integrale scritto da Balthasar:

Di fronte a tutta la musica di Beethoven noi sentiamo anche tutte le gocce di sudore che essa è costata al suo inventore. Di fronte a quella di Bach noi percepiamo sempre l'imponenza ciclopica dei volumi e delle architetture. L'enorme opera di Mozart [31] ci appare invece come già nata senza alcuno sforzo, messa al mondo come un figlio già perfetto, giunta alla sua maturità senza turbamenti. Ci domandiamo se non sia una sorta di intatto arcobaleno che viene dalla memoria del paradiso terrestre – prima che l'uomo soggiacesse alla maledizione di “mangiare il proprio pane col sudore della fronte, dissodare con fatica il terreno e partorire nel dolore”.
Questo essere fantastico ha qualche cosa a che fare con il cristianesimo, dove la maledizione della sofferenza si dissolve soltanto attraverso la benedizione di una più radicale “sofferenza di Dio”? Non siamo noi, dal punto di vista cristiano come da quello mondano, in cammino fra Eden e Cielo? Non usciamo da Dio e andiamo verso Dio attraverso tutta l'acqua e il fuoco del tempo, attraverso il dolore e la morte? E nondimeno, perché mai non dovremmo lasciarci guidare, attraverso tutte le dissonanze dell'esistenza, dal Flauto Magico di un immenso presentimento d'amore, di luce e di splendore, di eterna verità e armonia? Esiste un modo migliore, o semplicemente un altro modo, di annunciare la nobiltà della nostra divina discendenza, se non questa continua attualizzazione della nostra origine e della nostra meta? Tutti coloro che furono modello per l'umanità cercarono di attenersi a questo orientamento.
Primo fra tutti Colui che si sapeva Figlio del Padre, ne aveva sempre presente il volto e ne portò a compimento il volere. Mozart vuole, creando e vivendo, essere suo discepolo. E servire rendendo percepibile il canto trionfale della creazione innocente e risorta: dove – così intendono il “cielo” i cristiani – dolore e colpa ci stanno di fronte non già come lontano ricordo, bensì come presente oltrepassato, perdonato, trasfigurato. Nessuno può dunque – e ciò sia detto a dispetto di Kierkegaard – misconoscere in Mozart il fluido di un eros dolce, infinitamente giovane, diffuso come un forte profumo inebriante: l'aspetto di “Cherubino” [32] e, in veste più matura, l'elastica andatura del “bianco” eroe – Don Giovanni; così come (peso eccessivo del piacere) il suono di cuori infranti del Così fan tutte e le lunghe ombre fresche de Il Flauto Magico. Non si trova tutto questo, ed esattamente così, nella stessa radice creativa del grande Regina Coeli (KV 276), nei due Vespri [33] , nelle Litanie [34] e nelle Messe [35] , nelle quali Mozart non trovò affatto necessario nascondere la voce per assumere uno stile spirituale? E invero, che cosa deve essere trasfigurato se non la creazione stessa; e che cosa deve essere redento e venire a preghiera se non la natura, figlia di Dio?
Tutto questo non è barocco. E' semplicemente cristiano. Ma dove sta la confessione del peccato? Si deve dire: per questa volta, nella confessione della grazia. E dove il timore di Dio? Per questa volta esso vive nascosto nella fiduciosa speranza della redenzione. Infine, tutto termina pur sempre nel brivido del Requiem: frammento misterioso, con il quale si spezza la voce che aveva tanto esultato [36] . Ma quanto più trascorre il tempo, tanto più chiara quella voce si libra in alto, al di sopra di altre voci – che sembravano di egual valore, ma ora rimangono indietro, impallidiscono, invecchiano, forse addirittura cadono rivelando l'artifizio. Si deve ammetterlo: su Mozart non si è ancora posato un granello di polvere [37] .

E, nel suo testo più famoso, Solo l'amore è credibile, per trovare accostamenti che permettano all'uomo di comprendere come la rivelazione d'amore di Dio in Cristo non possa essere compresa a partire dall'uomo stesso, ma solo a partire dalla libertà di Dio che rivela se stesso, eccolo rifarsi, da un lato, all'assoluta libertà con cui un essere umano decide di amarne un altro e, dall'altro, al miracolo dell'esistenza nel mondo della musica di Mozart:

Due accostamenti si offrono, che finiscono poi per convergere in unità: uno è quello personalistico menzionato da ultimo, perché nessun io ha la possibilità ed il diritto di violentare concettualmente la libertà del tu che gli si fa incontro, di dedurre a priori e di comprendere a priori il suo comportamento. Un amore che mi è donato, posso “intenderlo” sempre e solo come un miracolo [38] , non posso manipolarlo empiricamente o trascendentalmente, neppur conoscendo il carattere comune della natura umana: perché il tu resta sempre l'alterità a me contrapposta. La seconda concezione consiste nello stato estetico, che rappresenta accanto alla sfera del pensiero ed a quella dell'azione una terza sfera non riconducibile ad una delle precedenti. Nell'esperienza che si fa di una superiore bellezza – nella natura o nell'arte – il fenomeno, che altrimenti si presenta più occulto, più mascherato, può essere colto nella sua differenziazione: ciò che ci sta dinanzi è di una grandiosità schiacciante come un miracolo e in quanto tale non può essere mai colto, raggiunto da colui che ne fa l'esperienza, ma possiede, proprio in quanto miracolo, la facoltà di essere compreso: esso vincola e libera al contempo, giacché si mostra in forma inequivocabile come “libertà manifesta” (Schiller) di una necessità interiore indimostrabile. Se esiste il finale della sinfonia Jupiter – cosa che non posso supporre, dedurre e spiegare attraverso nulla che sia intrinseco a me – essa non può essere che così com'è: in questa forma sta la sua necessità, nella quale nessuna nota può essere spostata salvo che dallo stesso Mozart. Una simile coincidenza d'incomprensibilità da parte mia con la più convincente plausibilità per me si dà soltanto nel campo del bello puro, disinteressato. E' bensì vero che la plausibilità in ogni bello terreno resta delimitata dalla comune natura terrena nell'oggetto e nel soggetto: conformità, adeguatezza ed opportunità giuocano un ruolo connettivo e quindi lo stato estetico – come prima l'accostamento personalistico – può tutt'al più servire come richiamo al cristianesimo. Ma questo richiamo è valido solo in quanto, come nell'amore fra gli uomini incontriamo l'altro come altro, che nella sua libertà non può essere da me costretto, violentato, così nell'intuizione estetica è impossibile una riconduzione della forza che si manifesta alla propria immaginazione, alla propria fantasia. “L'intendimento” di ciò che si rivela non è, in entrambi i casi, una riduzione di questo, un suo assorbimento in categorie della conoscenza che lo costringano e gli si impongano: né l'amore nella libertà della sua grazia né il bello nella sua assenza di ogni determinazione finalistica possono “essere manipolati” (Rilke), almeno attraverso un'esigenza del soggetto. Una simile riduzione ad “esigenza” significherebbe diffamare e profanare cinicamente l'amore con l'egoismo; soltanto se viene riconosciuta la pura grazia dell'amore, colui che ama può manifestare la sua compiuta realizzazione attraverso un tale amore...
Nei confronti di questa maestà dell'amore assoluto, che è il fenomeno originario e fondamentale della Rivelazione, ogni autorità che funge da mediatrice verso l'uomo presenta carattere derivato. L'autorità originaria non la possiedono né la Bibbia (in quanto “Parola di Dio” scritta) né il cherigma (in quanto proclamazione viva della “Parola di Dio”) né il ministero ecclesiastico (in quanto rappresentazione ufficiale della “Parola di Dio”); tutti e tre sono esclusivamente Parola e non ancora carne, e in tal senso anche l'Antico Testamento come “Parola” rappresenta soltanto uno stadio sulla via che conduce all'autorità definitiva. Questa autorità originaria la possiede soltanto il Figlio, che interpreta il Padre nello Spirito Santo come l'amore divino [39] .


Crocifisso della Cappella della Croce: dinanzi ad esso fu benedetto, per l'ultima volta, il corpo di Mozart, prima che fosse sepolto nel cimitero di S.Marco senza alcun segno identificativo, perché nessuno dei suoi conoscenti accompagnò la salma nel luogo della sepoltura.


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Note

[Nota 1] Lettere di Mozart alle donne, a cura di O.Cescatti, Bompiani, Milano, 1991, p. 52-55.

[Nota 2] Come è noto, Mozart sarà accompagnato dalla sua fama di “dongiovanni”, anche dopo il matrimonio. Eppure non possediamo elementi che suffraghino questa tesi. Anzi, possediamo la lettera, scritta a Constanze da Vienna nella prima metà d'agosto 1789, dove è lui a rimproverarla di eccessive confidenze concesse ad uomini:
Cara mogliettina! – voglio parlarti in tutta sincerità – non hai nessun motivo per essere triste – hai un marito che ti ama, che fa per te tutto quello che è in grado di fare... – mi allieto che tu sei allegra; - certo – solo vorrei che tu a volte non dessi troppa confidenza – con N.N. mi sembra che ti sia comportata troppo liberamente... così pure con N.N., quando ero ancora a Baden – considera che forse N.N. non sono così grossolani con nessuna ragazza che forse conoscono meglio di te; peraltro è un bravuomo, e soprattutto è rispettoso con le donne, lui stesso è stato così indotto a scrivere le sottises più disgustose e grossolane nella sua lettera – una ragazza deve farsi sempre rispettare – altrimenti va sulla bocca della gente – amor mio! – perdonami di essere così sincero; solo che lo richiede la mia serenità, e anche la nostra reciproca felicità – ricòrdati che una volta tu stessa mi hai confessato di essere troppo condiscendente – tu ne conosci le conseguenze – ricòrdati anche della promessa che mi facesti – Oh Dio! – Tenta almeno amor mio! – Sii allegra e contenta e compiacente con me – non torturare te e me con inutile gelosia – abbi fiducia nel mio amore, certo che ne hai le prove! e vedrai quanto saremo felici, credi pure, solo il saggio comportamento d'una moglie può mettere le catene al marito...
(da Lettere di Mozart alle donne, Bompiani, Milano, 1991, pp. 124-127).
La critica è portata a pensare che uno dei N.N. possa essere Franz Xaver Sussmayr – colui che terminerà il Requiem – ed ipotizza che ci possa essere stata una relazione tra i due, spingendosi fino ad affermare che il bambino a lei nato il 26 luglio 1791, Franz Xaver (nomi di Sussmayr) Wolfgang Mozart, possa avere in realtà avuto per padre lo stesso Sussmayr.

[Nota 3] Lettere di Mozart alle donne, a cura di O.Cescatti, Bompiani, Milano, 1991, p. 119-121.

[Nota 4] R.Vlad, Introduzione, in Lettere di Mozart alle donne, a cura di O.Cescatti, Bompiani, Milano, 1991, p. XIX.

[Nota 5] Non è qui possibile ricostruire il contesto dell'epoca. Per misurarne la distanza dall'attuale, accenniamo alla storia di un altra figura determinante nella vita di Mozart, Lorenzo da Ponte, autore dei tre libretti operistici italiani de Le nozze di Figaro, di Così fan tutte e del Don Giovanni. Nato in una famiglia ebraica col nome di Emanuele Conegliano, fu battezzato insieme ai due fratelli, quando il padre, Geremia, si convertì al cristianesimo per poter passare a nuove nozze con una donna cattolica. Prese il nome che portò per il resto della sua vita dal vescovo che lo aveva battezzato, entrò con il fratello in seminario e fu ordinato prete nel 1773. Fu poi condannato e dovette fuggire dalla Repubblica di Venezia, più che per le sue posizione politiche e filosofiche roussoiane o illuministe, per il suo atteggiamento che potremmo eufemisticamente definire “disinvolto” nei confronti dell'altro sesso. Citiamo solo un episodio dalle carte del processo avvenuto a Venezia dove troviamo scritto che la donna che aveva portato via dal marito presso il quale aveva trovato alloggio continuava ad andare a trovarlo, con un'amica, presso “la Chiesa di S.Luca, assistendo alle messe che Da Ponte vi celebrava scambiando occhiate di sollecitazione e di intesa con le parrocchiane”. La denuncia anonima che portò, infine, il tribunale al giudizio ed alla sentenza fu quella del 1779, scritta dopo che la donna, rimasta per la terza volta incinta, fu indicata come la “ganza del prete”. Per la figura di Lorenzo da Ponte, cfr. Lorenzo da Ponte, Memorie, con introduzione di G.Armani, Garzanti, Milano, 1981.

[Nota 6] R.Vlad, Introduzione, in Lettere di Mozart alle donne, a cura di O.Cescatti, Bompiani, Milano, 1991, p. XVII.

[Nota 7] R.Vlad, Introduzione, in Lettere di Mozart alle donne, a cura di O.Cescatti, Bompiani, Milano, 1991, p. XVIII.

[Nota 8] Carl de Nys, La musica religiosa di Mozart, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1988, pp. 84-85.

[Nota 9] B.Paumgartner, Mozart, Einaudi, Torino, p. 468.

[Nota 10] B.Paumgartner, Mozart, Einaudi, Torino, p. 479-480 e 493.

[Nota 11] W.Hildesheimer, Mozart, BUR Rizzoli, Milano, 1994, p. 340-342.

[Nota 12] Su questo cfr., fra le molte esistenti, la lettura di J.Starobinski, in J.Starobinski, 1789. I sogni e gli incubi della ragione, Garzanti, Milano, 1981, che, sia pur con alcuni distinguo, si dichiara a favore di una cosciente scrittura massonica del testo.

[Nota 13] W.Hildesheimer, Mozart, BUR Rizzoli, Milano, 1994, p. 342-343.

[Nota 14] Da La flute enchantée une oeuvre de porte universelle, di Jean-Victor Hocquard, nel libretto di Mozart, Die zuberfloete (KV 620), per l'esecuzione diretta da Sir Neville Marriner, con l'Academy of St. Martin in the Fields, p.36.

[Nota 15] Da La flute enchantée une oeuvre de porte universelle, di Jean-Victor Hocquard, nel libretto di Mozart, Die zuberfloete (KV 620), per l'esecuzione diretta da Sir Neville Marriner, con l'Academy of St. Martin in the Fields, p. 37-38.

[Nota 16] Da La flute enchantée une oeuvre de porte universelle, di Jean-Victor Hocquard, nel libretto di Mozart, Die zuberfloete (KV 620), per l'esecuzione diretta da Sir Neville Marriner, con l'Academy of St. Martin in the Fields, p. 38.

[Nota 17] Da La flute enchantée une oeuvre de porte universelle, di Jean-Victor Hocquard, nel libretto di Mozart, Die zuberfloete (KV 620), per l'esecuzione diretta da Sir Neville Marriner, con l'Academy of St. Martin in the Fields, p. 42.

[Nota 18] Da La flute enchantée une oeuvre de porte universelle, di Jean-Victor Hocquard, nel libretto di Mozart, Die zuberfloete (KV 620), per l'esecuzione diretta da Sir Neville Marriner, con l'Academy of St. Martin in the Fields, pp. 43-45.

[Nota 19] A.Torno, Wolfgang Amadeus Mozart: un profilo, in A.Torno-P.A.Sequeri Divertimenti per Dio, Mozart e i teologi , Piemme, Casale Monferrato 1991, pp. 33-38.

[Nota 20] Carl de Nys, La musica religiosa di Mozart, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1988, pp 107-108.

[Nota 21] Questo il testo completo della lettera non autentica che reca l'indirizzo a Lorenzo Da Ponte:
Vienna settembre 1791
Affmo Signore
Vorrei seguire il vostro consiglio, ma come riuscirvi? Ho il capo frastornato, conto a forza, e non posso levarmi dagli occhi l'immagine di questo incognito. Lo vedo di continuo esso mi prega, mi sollecita, ed impaziente mi chiede il lavoro. Continuo, perché il comporre mi stanca meno del riposo. Altronde non ho più da tremare. Lo sento a quel che provo, che l'ora suona; sono in procinto di spirare, ho finito prima di aver goduto del mio talento. La vita era pur sì bella, la carriera s'apriva sotto auspici tanto fortunati, ma non si può cangiar il proprio destino. Nessuno misura i giorni, bisogna rassegnarsi, sarà quel che piacerà alla provvidenza, termino, ecco il mio canto funebre, non devo lasciarlo imperfetto.
Vienna 7bre 1791

[Nota 22] Carl de Nys, La musica religiosa di Mozart, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1988, pp. 110-113.

[Nota 23] Queste le preghiere liturgiche specifiche del Requiem che si aggiungono all'ordinario della messa (Kyrie eleyson, Sanctus, Agnus Dei):

Introitus

Dona loro la pace eterna, Signore;
e risplende loro la luce perpetua.
A te la lode, o Dio, in Sion,
a te l'onore in Gerusalemme;
ascolta la mia preghiera,
a te si volge ogni vivente.
Dona loro l'eterno riposo, Signore;
e splenda ad essi la luce perpetua.

Sequenza
Giorno dell'ira, quel terribile giorno,
dissolverà i secoli con le fiamme,
testimoni Davide e la Sibilla.

Quale grande terrore è prossimo,
quando arriverà il giudice,
a giudicare severamente ogni cosa!

La tromba, diffondendo un suono incredibile
per le tombe di ogni regione,
spingerà tutti dinanzi al trono.

Ogni creatura risorgendo sbalordirà
sia la morte che la natura,
rispondendo al giudice.

Verrà aperto il libro scritto
che contiene ogni cosa,
col quale sarà giudicato il mondo.

Quindi quando il giudice sarà assiso,
apparirà tutto ciò che è nascosto;
nulla resterà celato.

E allora che dirò, misero, io?
Quale padrone pregherò,
quando a stento il giusto sarà sicuro?

Re di tremenda maestà,
che salvi gratuitamente i bisognosi,
salvami, o fonte di pietà.

Ricordati, Gesù misericordioso,
che io sono la causa della tua Passione:
non perdermi in quel giorno.

Per cercare me sei caduto stanco:
con la croce hai redento me:
non vada una fatica così grande perduta.

Giusto giudice punitore,
donami la remissione
prima del giorno del giudizio.

Ti supplico come un malvagio;
il mio volto arrossisce per la colpa;
ascolta la mia supplica, o Dio.

Tu che assolvesti la Maddalena,
tu che esaudisti il ladrone,
anche a me hai dato speranza.

Le mie preghiere non sono degne,
ma tu benignamente fa', bontà suprema,
che io non arda nel fuoco perenne.

Fammi posto fra le pecore,
e separami dalle capre,
ponendomi alla destra del Padre.

Dopo aver rifiutato i maledetti,
gettandoli alle aspre fiamme,
chiamami fra i benedetti.

Ti prego, supplice e prostrato,
cuore contrito quasi incenerito;
abbi cura della mia fine.

Quello sarà un giorno lacrimoso,
in cui, per venire giudicato,
risorgerà dalle fiamme l'uomo malvagio.

Abbi cura di me pertanto, o Dio,
misericordioso Signore Gesù,
e dona loro la pace. Amen.

Offertorium
Signore Gesù Cristo, Re glorioso,
libera le anime di tutti i fedeli defunti
dalle pene dell'inferno e dal profondo
abisso: liberale dalla bocca del leone,
non le divori la Geenna,
non cadano nell'oscurità:
ma il santo Michele col vessillo divino
li conduca alla luce santa
che un tempo promettesti
ad Abramo e alla sua discendenza.

Ti offriamo, Signore,
i sacrifici della lode e della preghiera:
accettali per conto delle anime
che oggi ricordiamo;
Conducili, Signore,
dalla morte alla vita
che un tempo promettesti
ad Abramo e alla sua discendenza.

Communio
Splenda ad essi la luce perpetua, Signore,
con tutti i tuoi Santi per sempre,
poiché tu sei misericordioso.
Dona loro la pace eterna, Signore,
e splenda loro la luce perpetua,
con tutti i tuoi santi per sempre
poiché tu sei misericordioso.

[Nota 24] K.Barth, Lettera di ringraziamento a Mozart, in K.Barth, Wolfgang Amadeus Mozart, Queriniana, Brescia, 1980, pp. 14-15.

[Nota 25] K.Bart, Omaggio a Mozart, in K.Barth, Wolfgang Amadeus Mozart, Queriniana, Brescia, 1980, p. 10.

[Nota 26] K.Barth, La libertà di Mozart, in K.Barth, Wolfgang Amadeus Mozart, Queriniana, Brescia, 1980, pp. 36-38.

[Nota 27] K.Barth, La libertà di Mozart, in K.Barth, Wolfgang Amadeus Mozart, Queriniana, Brescia, 1980, pp. 38-39.

[Nota 28] K.Barth, La libertà di Mozart, in K.Barth, Wolfgang Amadeus Mozart, Queriniana, Brescia, 1980, pp. 40-42.

[Nota 29] K.Barth, La libertà di Mozart, in K.Barth, Wolfgang Amadeus Mozart, Queriniana, Brescia, 1980, pp. 44-45.

[Nota 30] P.Sequeri, Anti-Prometeo, Glossa, Milano, 1995, p. 102.

[Nota 31] Ottima rielaborazione italiana dell'imponente catalogo mozartiano, con utili notizie per l'inquadramento delle singole opere: A.Poggi-E.Vallora, Mozart. Signori il catalogo è questo!, Einaudi, Torino 1991. Una buona monografia recente: G.Carli Ballola-R.Parenti, Mozart, Rusconi, milano 1990.

[Nota 32] Cherubino è il Paggio innamorato e timido de Le Nozze di Figaro. La parte è scritta per voce femminile. Nell'interpretazione di Kierkegaard Cherubino rappresenta il primo stadio del musicale-erotico che raggiunge il suo compimento nel Don Giovanni: il Paggio è “il desiderio indeterminato” che ancora “riposa androginamente nel desiderio”. “Se mi azzardassi di denotare con un unico predicato- scrive Kierkegaard – la caratteristica della musica di Mozart per il Paggio del Figaro, direi: “E' ebbra d'amore” (S.Kierkegaard, Enten-Eller (Aut-Aut), tr. it., a c. di A.Cortese, 5 voll., Adelphi, Milano 1976-1989, I, p. 143).

[Nota 33] Vesperae de Dominica, K. 321; Vesperae sollemnes de confessore, K. 339

[Nota 34] 2 Litaniae Lauretanae (K109, K 195); 2 Litaniae de Venerabili altaris sacramento (K 125, K 243).

[Nota 35] Per la musica religiosa di Mozart v. soprattutto: K.G. Fellerer, Die Kirchenmusik W.A. Mozarts, Laaber Verlag, Salzburg 1955; K.Hammer, W.-A.Mozart. Eine theologische Deutung, EVZ-Verlag, Zurich 1964 (tesi di laurea guidata da K.Barth); C.De Nys, La musica religiosa di Mozart, Tr.it. Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1987. Ulteriori ragguagli e bibliografia in: A.Torno-P.A.Sequeri Divertimenti per Dio, Mozart e i teologi, Piemme, Casale M. 1991.

[Nota 36] K 626 (in re minore). Opera celeberrima e notoriamente rimasta incompiuta. Alla morte di Mozart la situazione della partitura era la seguente: i primi due brani (Introitus e Kyrie) erano completati; i sei episodi della Sequenza (Dies Irae) erano completi nelle parti vocali e abbozzati nelle parti strumentali; il Lacrimosa si interrompeva all'ottava battuta (Qua resurget ex favilla, judicandus homo reus); di Domine Jesu Christe e Hostias c'era solo una traccia generale; Sanctus, Benedictus e Agnus Dei erano del tutto assenti.

[Nota 37] H.U. von Balthasar, Testimonianza per Mozart, in P.Sequeri, Anti-Prometeo, Glossa, Milano, 1995, p.63-65

[Nota 38] Nell'istante in cui io affermo di avere capito l'amore di un'altra persona per me, cioè lo spiego o con le leggi della sua natura umana o lo giustifico con motivi esistenti in me, questo amore è definitivamente perduto e fallito e la via per il contraccambio è tagliata. Il vero amore è sempre incomprensibile e solo in quanto tale è dono.

[Nota 39] H.U.von Balthasar, Solo l'amore è credibile, Borla, Roma, 1991, pp.54-58.


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