Punti di vista sul Titanic.
Quella notte fra il 14 ed il 15 aprile 1912
di Andrea Lonardo


“S'è detto per molto tempo che il Titanic era il simbolo dei limiti della tecnologia. Non è vero: il Titanic simboleggia i limiti dell'essere umano”. Così lo stesso James Cameron, il regista del Titanic che ha per protagonisti Leonardo Di Caprio-Jack e Kate Winslet-Rose. E' Marco Lodoli a riportare queste parole di commento dell'autore del film, nella recensione dal titolo “Impresa Titanic. Viaggio di sola andata nei limiti dell'essere umano. Alla ricerca dell'iceberg” [1] .
Così il critico cinematografico spiega il suo punto di vista: “Sappiamo che nel mondo ogni creatura vivente è destinata alla morte, ma non possiamo veramente crederci fino in fondo, non possiamo neanche fermarci troppo a ripetercelo, altrimenti il deserto conquisterebbe i giardini prima del tempo e tutto sarebbe spento prima d'accendersi. “Il deserto cresce: guai a colui che favorisce i deserti!”, minacciava Nietzsche. Bisogna comunque varare navi e danzarci sopra, un pavimento di illusioni tra i piedi e l'abisso. L'iceberg è lì che ci aspetta, ma sembra sempre un incidente evitabilissimo, la morte pare un caso sfortunato, la prossima volta il marinaio di vedetta annuserà in tempo l'odore del ghiaccio e il Titanic virerà senza problemi. Per questo il viaggio ricomincia identico ogni volta: è l'eterno ritorno dell'eguale, è il folle entusiasmo di chi da capo dice di sì alla vita e sfida il naufragio”.
Ed a commento ed esemplificazione ci presenta, a ragion veduta, una duplice scena, secondo il principio retorico dell'inclusione:
“Nel film ci sono due scene simmetriche molto significative: nella prima parte del viaggio Leonardo Di Caprio porta l'amata a prua, sul margine estremo, e lì i due giovani aprono le braccia al vento, come una polena vivente si sporgono verso l'ignoto, lo cercano, lo provocano. Verso la fine, invece, mentre il transatlantico si sta infilando a testa in giù nell'oceano, i due retrocedono a poppa, sempre più indietro, ancora più indietro. Lottano per mantenersi vivi e amanti nell'ultimo centimetro del tempo. L'ignoto li stringe, li minaccia. Dalla prua alla poppa, dalla sfida alla resistenza, dalla giovinezza all'agonia è sempre una lotta per reggersi in equilibrio sul limite. Oltre la prua c'è il nulla, dietro la poppa c'è il nulla, e in mezzo ci sono i salotti ebeti, le ingiustizie sociali, i compromessi, le miserie e i disamori che mai si debbono accettare. E' come se l'autentico centro della vita fosse sempre il limite, la sua frontiera. Ogni giorno è un azzardo sul precipizio, là dove resta sospeso su un piede il fool dell'ultima carta dei tarocchi. Ma il viaggio è straordinario e, ogni mattina, senza timore, vogliamo ricomprare il biglietto per l'iceberg”.
Vogliamo con questa breve nota attirare l'attenzione su di una breve sequenza dello stesso film che ci sembra ancora più significativa, poetica ed interrogativa, perché pone un problema di punti di vista ed apre ulteriormente il significato di una breve storia d'amore a simbolo dell'intero esistere umano.

Il Titanic e le sue luci, visti a pelo d'acqua
Il Titanic e le sue luci, visti a pelo d'acqua

Mentre il transatlantico comincia ad affondare un razzo di segnalazione viene lanciato dal ponte, perché altre navi possano cogliere l'SOS e venire in soccorso. Nella scena il Titanic è ancora risplendente delle sue mille luci e ad esse si aggiunge il fulgore del razzo che illumina la notte. Il punto di vista è sul pelo dell'acqua ed immenso appare il bagliore della luce prodotta dall'uomo. Immediato il cambio di punto di vista: un istante dopo la scena è ripresa dall'alto del cielo. Nell'immensità del buio del cielo notturno e della distesa altrettanto oscura dell'oceano la nave è appena un piccolissimo punto di tenue luce. Da essa sale, quasi impercettibile, la scia del razzo luminoso che, un secondo dopo, si dilegua.

Il Titanic e le sue luci, visti dall'alto del cielo
Il Titanic e le sue luci, visti dall'alto del cielo

Opposte le letture della dimensione del dramma dal basso e dall'alto, apparentemente. Soprattutto domanda a chi importi della fatica umana di amare.
E' la vita umana solo un minuscolo sfavillare istantaneo in un universo immenso a cui nulla importa di una storia d'amore, o al di sopra di quel mare, di quella nave e di quegli uomini a Qualcuno importa del dibattersi dei sentimenti umani? Sono gli uomini, quelli coinvolti e presi nella loro storia, gli unici a cui importi della loro stessa esistenza, avvolti solo dal nulla?
E' la domanda sulla speranza non di una sopravvivenza, non di un prolungamento ulteriore di vita in terra, ma di un senso che abbracci la vita degli uomini [2] .


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Note

[Nota 1]
La recensione è pubblicata in “Fuori dal cinema. Il “Diario” di 100 film” di Marco Lodoli, Einaudi, Torino, 1999, pp. 146-148.

[Nota 2]
Di questa breve nota siamo debitori a Giovanni Lonardo ed alle sue osservazioni e al modo di leggere l'opera cinematografica di Virgilio Fantuzzi S.J. che ci ha insegnato a domandarci in ogni opera d'arte se e dove si ponga la questione di Dio - e dove tale domanda neanche è posta di opera d'arte si tratta? Ringraziamo Alessandro De Rossi che ha fornito le due foto del film.


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