L’inevitabile certezza: riflessione sulla modernità. L’intervento di Fabrice Hadjadj al meeting di Rimini 2011. Appunti di Andrea Lonardo

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 15 /09 /2011 - 23:34 pm | Permalink | Homepage
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Presentiamo sul nostro sito alcuni appunti di Andrea Lonardo ripresi a partire dal video dell’intervento tenuto da Fabrice Hadjadj al Meeting di Rimini il 25/8/2011. Rimandiamo al video stesso disponibile su Youtube per ascoltare l’intervento integrale del pensatore francese.

Il Centro culturale Gli scritti (15/9/2011)

«La certezza ci rinvia spesso a immagini tratte da un mondo minerale e statico. Ora, ciò che vive è il contrario del minerale, si trasforma, cambia da sé stesso, si apre in scambi incessanti con il mondo esterno e attraverso di questi si adatta e si modifica continuamente. La vita sta piuttosto dal lato del respiro e dell’acqua, è fresca e inafferrabile, fluente, sfavillante, instabile e capricciosa, come la donna, secondo il Duca di Mantova, “mobile qual piuma al vento”. La certezza sarebbe piuttosto paragonabile a Medusa, mozza il respiro, gela l’acqua, ci affascina e ci pietrifica, ci cristallizza nell’impostura di una sola posizione».

Fabrice Hadjadj, nel suo intervento al meeting di Rimini (25/8/2011) ha così iniziato presentando le obiezioni che il nostro tempo muove all’idea di “certezza”. Essa è così squalificata a priori, perché

«la certezza sembra tre volte maledetta: è obsoleta, giacché siamo al tempo dell’incertezza, è pericolosa, poiché genera il totalitarismo, è mortifera, perché cambia il nostro cuore di carne in un cuore di pietra. Riassumendo: la certezza è incerta».

Ma ha poi osservato che se si sostituisce un’altra immagine diversa da quella del mondo minerale per comprendere la certezza, ci si avvicina ad un’altra prospettiva sulla realtà, uno sguardo più vero:

«Senza dubbio conviene riferire la certezza a una fermezza, a una solidità, ma questa solidità non è quella della nostra pietrificazione ma quella del nostro cammino. È la solidità del suolo che permette di avanzare. Ciò che al contrario impedisce la marcia, ciò che soffoca la vita non è la certezza ma il dubbio».

Se si riflette bene, solo la certezza allora conferisce una reale possibilità di vita. Essa è “inevitabile” per vivere e senza di essa l’esistenza stessa e la sua bellezza muore. Ma come far sì che essa non sia violenta?

«È dunque la certezza che ci mette in movimento; ma cosa garantisce che questo movimento non sia il movimento dell’arroganza? La certezza ci offre un suolo per avanzare, ma cosa assicura che questo suolo non sia la strada di cemento sulla quale facciamo passare i nostri carri armati e la nostra artiglieria pesante? Tale era la certezza ideologica del comunismo e del nazismo».

Hadjadj ha suggerito allora che solo una “certezza” che non sia in nostro potere, ma che ci superi, può sfuggire al nostro tentativo di utilizzarla per dominare gli altri. Anzi una certezza di questo tipo ci “spaventa”, senza che noi possiamo “spaventare” con essa:

«Che cosa ci fa paura in questa certezza inevitabile? È precisamente il fatto che essa sfugge al nostro potere. Davanti alla certezza inevitabile noi siamo impotenti, come dice San Paolo nella seconda lettera ai Corinzi “non abbiamo infatti alcun potere contro la verità”. Questa impotenza è una maledizione per l’orgoglioso ma è una benedizione per l’umile, perché tale impotenza non è in se stessa paralizzante ma ci apre ad una potenza più alta e ci consegna a qualcosa che non ci aspettavamo  e che ci supera. Questa impotenza è in verità una via di uscita dalla logica della concorrenza  e un ingresso nella logica della comunione. Non si tratta di essere il più forte per prevalere sugli altri, si tratta di essere con gli altri nell’apertura a ciò che è assolutamente più forte di tutti e davanti al quale siamo tutti ugualmente superati».

Il pensatore francese è poi passato ad analizzare le due nozioni di “moderno” e di “post-moderno”, per vedere come queste due epoche culturali si sono poste dinanzi all’idea di “certezza”. La sua tesi è che il post-moderno non deve essere considerato a priori un tempo peggiore di altri, ma va piuttosto capito:

«A partire dal peccato originale in poi tutti i tempi sono incerti ed è un’illusione credere che si stava meglio prima; ma il nostro tempo è segnato da una incertezza specifica che corrisponde alla fine dei tempi moderni e che si potrebbe chiamare “crollo del progressismo” o ancora “morte dell’umanesimo”».

Hadjadj ha sottolineato come la modernità si era posta da se stessa un limite rovinoso:

«La modernità si era messa sotto il segno dell’umanesimo. Il suo nome non lo indica direttamente: “modernus” in latino significa “recente”, è l’aspetto negativo della modernità, quello della rottura con gli antichi, con la tradizione di un tempo. Il problema è che riducendosi al culto del “recente” la modernità non può che mutilare sé stessa ed essere ricondotta soltanto a “moda”. La moda è sempre una novità caduca, perché la moda va continuamente fuori moda. [...] Per esempio avete nelle vostre mani un I-Phone 4 o 5 ebbene non è nient’altro che un futuro fossile. Invece se avete in mano un crocefisso o una corona del Rosario questo sì che non sarà mai fuori moda, sarà sempre di attualità».

Ma, al contempo, il “moderno” aveva uno sguardo segnato da due elementi prospettici:

«La modernità non è solo rottura col passato, è anche contrassegnata da due elementi positivi: lo sguardo rivolto verso l’avvenire e il pensiero centrato sull’uomo. Gli antichi non avevano lo sguardo rivolto verso l’avvenire ma piuttosto verso un passato felice un età dell’oro, ed il loro pensiero non era centrato sull’uomo ma piuttosto sulla natura, diciamo sul cosmo e sugli dèi».

Guardandola nel suo nucleo profondo si potrebbe dire che

«la modernità nella sua stessa generosità è fondata sulla fiducia nel progresso dunque, essa promuove una certezza a nostra misura, una certezza nel nostro potere, perché precisamente la certezza che l’uomo ha il potere di stabilire con le sue proprie forze un regno di giustizia e di pace, non più per grazia divina ma con la scienza e le arti di vincere la morte. Ma  questa certezza ideologica è crollata».

La novità del post-moderno è il crollo di questo sguardo ottimistico sulle possibilità dell’uomo in generale, perché è l’umanità stessa che si rivela come “fallace”. Con il post-moderno sembra crollare la prospettiva stessa di raggiungere qualunque certezza con la conseguenza che l’esistenza si trova sola dinanzi al pensiero della fine di tutto e della fine dell’uomo in particolare:

«Così il saggista e romanziere Arthur Köstler, osava scrivere [...]: “se mi si chiedesse quale è la data più importante della storia, e della preistoria del genere umano, risponderei senza esitazione il 6 agosto 1945. Dal giorno in cui la prima bomba atomica ha eclissato il sole al di sopra di Hiroshima, è l’umanità globalmente che deve vivere nella prospettiva della sua scomparsa in quanto specie”. La data più importante della storia non è più un avvenimento glorioso ma l’avvenimento di una distruzione, così l’umanità non vive più nella prospettiva del suo progresso ma nella prospettiva della sua propria scomparsa. Questa è l’incertezza post-moderna che ha fatto seguito alla certezza moderna. Tale è questa incertezza che è anche un inevitabile certezza, non solo l’individuo, non solo le civiltà, ma la specie umana tutta intera è mortale».

Il disorientamento dei giovani che sembrano non essere più in grado di impegnarsi per progetti di medio e lungo periodo è lo specchio di questa crisi di futuro:

«Perché sentono che non abbiamo più tempo, il tempo lungo, la durata in cui si scrivono la politica e la cultura non ha più nessuna garanzia. Una volta potevamo agire per la posterità, un artista poteva affinare la sua opera nell’incomprensione generale credendo che sarebbe stato compreso nel secolo futuro. Un capo poteva sacrificarsi [...] per costruire un mondo migliore. Ma noi non siamo neanche certi che ci sarà un mondo migliore. Il tempo degli eroi ci sembra finito perché l’eroismo suppone la memoria della posterità. Teti, la madre di Achille, lasciava a suo figlio la scelta tra una vita breve, violenta, ma gloriosa ed una vita lunga, pacifica ma oscura. L’alternativa di Teti oggi non è più possibile, non abbiamo più un avvenire abbastanza sicuro, non abbiamo più una memoria abbastanza lunga per la gloria terrena degli eroi, tutt’al più per la gloriuccia delle star che non sopravvive allo zapping o alla terza stagione di programmazione».

Il post-moderno è così, nel più profondo, anti-umanista, perché ritiene che l’uomo non abbia futuro. Hadjadj ha mostrato che questa sfiducia nell’uomo prende tre forme diversissime, tutte segnate, però, sempre da questa visione pessimista sull’uomo: 

«Tanto la modernità si credeva umanista, tanto la modernità potrà essere soltanto post-umanista. Questo post-umanesimo può prendere tre forme, queste tre forme si oppongono l’una all’altra, cosicché quando si denuncia l’errore dell’una, si è spinti a cadere nell’errore dell’altra. Il demonio procede sempre così, conosce la verità, non è intrappolato dagli errori che propone alla nostra stupidità, ed ecco perché continua ad inventare errori contrari tra di loro, eccita gli avversari nei due o tre campi che si affrontano, gioca su tutti i lati del tavolo di scopa. Una volta erano il comunismo e il capitalismo che si affrontavano e si confortavano, denunciandosi a vicenda. Oggi sono tre altre cose che potremmo chiamare il tecnicismo, l’ecologismo ed il fondamentalismo. Ci sono infatti tre modi di abbandonare l’uomo, o si va verso il superuomo, ed avete il tecnicismo, o si pretende di ritornare alla natura, ed avete l’ecologismo, o si predica il dissolversi in Dio, ed avete il fondamentalismo. Questi tre modi di abbandonare l’uomo, sono anche tre modi di abbandonare la storia, cioè il tempo lungo, la durata della vera cultura e della vera politica. O si precipita verso l’istantaneo della macchina, ed è ciò che fa il tecnicista cercando la felicità in un doppio clic, o si regredisce verso i cicli della natura ed è ciò che fa l’ecologista, che brama la gioia delle scimmie arboricole. O si cerca l’estasi nell’aldilà degli eletti ed è ciò che fa il fondamentalista, sottomettendosi ad un divino, disincarnato e irrazionale. Nei tre casi si parte da una stessa considerazione, la prossima estinzione dell’uomo, la prospettiva della sua scomparsa».

Ma proprio questo sguardo negativo sull’uomo, può aprire il “post-moderno” ad uno sguardo rinnovato e libero sul cristianesimo:

«Di fronte alla dislocazione post-moderna qualunque uomo sensato è obbligato a riconoscere l’ammirevole equilibrio della rivelazione di Dio nel logos incarnato. Ciò non vuol dire che ci debba credere, ai suoi occhi può trattarsi della più bella costruzione mentale alla quale possa giungere l’umanità, ciò vuol dire semplicemente che, pur essendo miscredente, debba avere per lo meno la certezza che questa rivelazione è un’alleata dell’uomo e dell’ordine della realtà, ma evidentemente questo suppone che egli si interessi ancora all’uomo e al reale così come ci sono dati».

Proprio il post-moderno, a differenza del moderno, è in grado di percepire nuovamente come solo uno sguardo di eternità renda possibile tornare a desiderare che nascano bambini, che ci si impegni per il futuro, che si crei cultura:

«Dunque tutto non è cattivo in questi tempi della sparizione annunciata, l’ora è sicuramente tragica ma la tragedia risveglia la nostra dignità più alta, quella di uno strappo verticale che grida verso il cielo è quella di una carità soprannaturale che è più forte della morte. [...] La notte dei nostri tempi ci chiama ad un’altra aurora, la distruzione delle speranze mondane è l’occasione di attraversare la disperazione e di aprirsi più in profondità alla speranza teologale, non si tratta di una fuga in una trascendenza che disprezza la terra, come nel fondamentalismo, si tratta della missione di rischiarare la terra, non a partire da un avvenire utopico, ma a partire dall’eterno. Ripeto spesso, che se anche mi confermassero che nel dicembre 2012 ci sarà veramente la fine del mondo, ciò non mi impedirebbe di avere un figlio nel novembre 2012 e di scrivere poesie, e di piantare un albero, perché non faccio queste cose solo per l’avvenire terreno, le faccio perché questo è già partecipare alla vita eterna. Ripenso anche ad una frase del geniale pianista e compositore Franz Liszt, di cui celebriamo quest’anno il bicentenario della nascita, in una lettera alla [...] donna che ama, egli usa queste parole straordinarie: “se non giungiamo alla felicità forse è perché noi valiamo più di questo. C’è troppa energia, troppa passione, troppo fuoco nelle nostre viscere per accomodarci borghesemente in ciò che è possibile”. Certo queste parole sono ambigue, tanto più che Liszt le scrive ad una donna sposata con la quale fuggirà, ma dietro questo senso passionale c’è ne un altro più radicale che rimanda alla vera, all’alta passione, che è la passione di Cristo».

Hadjadj ha poi proseguito il suo intervento mostrando come il mistero dell’uomo consista precisamente nell’essere un dono e nell’imparare da questa costituzione intima di se stessi a fare nuovamente dono della vita, sapendo che questo ha un valore eterno:

«Vedete il terribile mistero? Sono fatto per dare la vita, la vita fisica e la vita morale, ma non percepisco più chiaramente le ragioni per dare la vita».


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