Il Credo – il Simbolo degli apostoli – affrescato nel Battistero di Siena dal Vecchietta, di Andrea Lonardo

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 18 /11 /2019 - 12:50 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo sul nostro sito una trascrizione, risistemata ma conservante lo stile di una relazione orale, della spiegazione degli affreschi sul Credo del Battistero di Siena preparata per la visita dei catechisti della diocesi di Roma in occasione dell’Anno della fede, il 3 novembre 2012. La trascrizione è stata curata da Daniela Forniti. Le foto sono di Paolo Cerino.

Il Centro culturale Gli scritti (8/1/2013)

Indice

1/ Il Credo affrescato nel Battistero di Siena

Siamo nel Battistero del Duomo di Siena che è stato realizzato a partire dal 1299, quasi come una cripta della cattedrale. La sua facciata doveva avere anche il compito di essere il fronte del duomo verso il centro civile della città, verso Piazza del Campo, quasi una seconda facciata.

Le sue volte sono state poi affrescate, fra il 1450 e il 1453, quindi già in periodo umanistico. A Lorenzo di Pietro, detto il Vecchietta, fu chiesto di affrescare le volte immediatamente prospicienti l’altare con gli articoli del Simbolo degli Apostoli.

Noi siamo qui proprio per questo, perché, come vi accorgete guardando in alto, in ognuno dei quattro spicchi di ogni volta è affrescato uno degli articoli del Credo in maniera che, nelle tre volte, abbiamo i dodici articoli del Credo del Simbolo degli Apostoli.

Solo per rendervene conto immediatamente con lo sguardo, prima di vedere poi in dettaglio tutti i 12 articoli, guardate lì dove è rappresentato il primo articolo: nell’angolo dello spicchio potete vedere San Pietro che dice in latino: Credo in Deum Patrem omnipotentem, Creatorem caeli et terrae. all’angolo opposto vedete un profeta, che ha come preparato l’affermazione di quello specifico articolo del Credo. All’interno dell’affresco vedete poi un fedele inginocchiato che dice: «Credo». Infine, al centro, la rappresentazione dell’articolo stesso, con la figura di Dio Padre Creatore Onnipotente.

A fianco, lì dove è scritto in latino et in Iesum Christum, Filium Eius unicum, Dominum nostrum, vedete il secondo articolo con Gesù che mostra il segno delle sue piaghe: lo si vede circondato dalla mandorla che rappresenta «i cieli», il mondo divino - si mostra quindi che Gesù è veramente Figlio di Dio – ma anche che è uomo per il segno che ha nel costato.

Segue poi il «Credo che si è incarnato» - terzo articolo - ed è rappresentato dall’Annunciazione. Infine, nel quarto spicchio, vedete il «Credo che è morto e sepolto» rappresentato attraverso la flagellazione, la crocefissione e la sepoltura che è rappresentata alla loro destra.

Per dodici volte si ripete lo stesso schema, come vedremo poi in dettaglio spicchio per spicchio: un apostolo che professa un articolo, un profeta che lo ha preannunziato, un fedele che dice Credo e, soprattutto, la rappresentazione dell’articolo stesso.

2/ Perché il Credo?

Ma prima di vedere i dodici affreschi, soffermiamoci prima su di una questione importantissima: perché il Credo è così importante? Perché nel Millequattrocento hanno voluto mostrare il Credo proprio qui e perché anche oggi è così importante? Innanzitutto perché chiunque si battezzava entrava in questo luogo e veniva ammesso, attraverso il Battesimo, nella comunione con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo.

Ma non solo per questo motivo. Nell’Anno della Fede il papa ha invitato tutti i cristiani del mondo a riscoprire il valore del Credo come preghiera, come preghiera personale insieme al Padre Nostro, all’Ave Maria e al Gloria al Padre; ha invitato ogni credente ad alzarsi al mattino dicendo il Credo. Il Credo è veramente importante anche al di fuori del Battesimo perché è una preghiera che rappresenta tutta la nostra salvezza.

Ma perché è importante il Credo? Perché non basta la Bibbia, quando si celebra il Battesimo e quando si prega da soli o in Chiesa? Questa è la grande questione dell’annunzio oggi: molti, infatti, possono ritenere interessante la Bibbia, ma non accogliere la fede del Credo.

Ma, in fondo, è vero esattamente anche il contrario. All’uomo di oggi, così come a noi, interessa non tanto il singolo racconto biblico, quanto piuttosto se dietro alla Bibbia c’è realmente la verità di Dio. Se veramente Dio ha creato il mondo e l’uomo e se veramente Gesù è il suo Figlio e se veramente ha vinto il male. Se, per certi aspetti, per l’annunzio sembra immediatamente utile la Bibbia, per altri aspetti, per l’annunzio stesso, sembra ancora più essenziale proprio la semplicità della verità cristiana, nella sua nudità.

Mi ha colpito un brano di Agostino che cito sempre quando parlo della Creazione. Sant’Agostino diceva: «A me non interessa l’aramaico, l’ebraico, il greco. A me interessa capire se la materia viene da Dio sì o no». Agostino, prima di convertirsi al cattolicesimo, era manicheo e quindi riteneva che la materia venisse da un Demiurgo malvagio e che, conseguentemente, il male dell’uomo provenisse dall’essere l’anima imprigionata come in un corpo.

Agostino affermava che l’anima era buona e che l’uomo peccava non a motivo di un cuore ferito, bensì perché il corpo lo portava a peccare, ad esempio a mangiare per gola o ad avere una sessualità sregolata: era il corpo che era intrinsecamente malato, perché non era opera del Dio buono. Finché egli non si convinse che Dio era il creatore del suo corpo e che quindi anche la sessualità, anche il bisogno di mangiare, ecc. provenivano da Dio, Agostino non riuscì a credere.

Così dice espressamente Agostino: «Fammi udire e capire come in principio creasti il cielo e la terra. Così scrisse Mosè, così scrisse, per poi andarsene, per passare da questo mondo, da te a te. Ora non mi sta innanzi. Se così fosse, lo tratterrei, lo pregherei, lo scongiurerei nel tuo nome di spiegarmi queste parole [...] Dentro di me piuttosto [...] la verità, non ebraica né greca né latina né barbara, mi direbbe, senza strumenti di bocca e di lingua, senza suono di sillabe: "Dice il vero". E io subito direi sicuro, fiduciosamente a quel tuo uomo: "Dici il vero". Invece non lo posso interrogare; quindi mi rivolgo a te, Verità, Dio mio, da cui era pervaso quando disse cose vere; mi rivolgo a te: [...] concedi anche a me di capirle» (Confessioni XI,3.5).

Se ci pensate bene, l’atteggiamento di Agostino è esattamente quello dei nostri bambini, dei nostri ragazzi. È esattamente il nostro! A volte nella catechesi, solo per fare un esempio di un atteggiamento errato, leggendo Genesi 1 presentiamo i sette giorni e li facciamo colorare ai bambini: le piante, gli animali, gli astri, le acque di sopra e di sotto, ecc..Ma al bambino non gliene importa niente di queste cose, non gli interessano i sei giorni della creazione: gli interessa piuttosto la questione: ma il mondo Dio l’ha creato, sì o no? Ma allora l’evoluzione? Ma l’anima l’uomo ce l’ha, sì o no, o è uguale agli altri animali? Ma il peccato originale c’è, sì o no, e che cos’è il peccato originale?

Le domanda dell’uomo non riguardano tanto il testo letterario della Bibbia e la fede non nasce o muore sulle questioni della narrazione biblica. Oggi, in campo catechetico, c’è come una moda nel parlare di “narrazione”, come se la narrazione risolvesse tutto. La vera domanda di chi vuole credere non è se è bello Genesi 1 o Genesi 2, o su come è narrato, ma è piuttosto: che cosa c’è di vero?

Capite che il Credo ci porta a questo livello. Il Credo ci dice: «Quello che dice il racconto biblico è vero, Dio ha veramente creato il mondo». E su questo dobbiamo riflettere, anche se adesso non possiamo sciogliere qui tutti i nodi della questione, ma solo accennarli: il Credo ci pone la questione importantissima del contenuto della fede, della verità della fede, che è la questione che hanno i nostri contemporanei. Talvolta nella catechesi non ci si rende nemmeno conto di questo e si fanno fare - sempre per tornare all’esempio del Padre creatore - delle attività per il primo giorno della creazione, un’attività per il secondo giorno, un’attività per il terzo, così per il quarto… ma questa strada non porta da nessuna parte.

Sintesi allora del primo punto. Il problema delle persone che sono in cammino nella catechesi è questo: il Credo, cioè ciò che voi cristiani credete è vero, è bello, è significativo? E perché lo credete e come rispondete alle obiezioni che abitualmente si fanno?

2.1/ Il Credo pone la questione della verità, ma anche della bellezza e della bontà

Secondo punto di questa introduzione, prima di vedere i singoli affreschi. Il Credo ci porta ad una doppia domanda, la domanda sulla verità che porta con sé l’altra, se esista una verità o se ognuno abbia la sua verità.

Questa domanda che sembra la più semplice, la più stupida, è invece quella che abbiamo paura di affrontare e che dobbiamo invece tenere ben presente perché è la domanda più vera dell’uomo. Esiste una verità oppure è meglio che ognuno tenga per vero ciò che gli sembra buono? Tutte le verità sono uguali o ci sono pseudo-verità sbagliate? Se non è vero che Dio ha creato il mondo, io divento ateo!

Legato a questo, come secondo filo della questione – potremmo dire che è una tripla domanda! - è se la verità del Credo sia bella. È bello che Dio abbia creato il mondo? È bello o brutto questo? Se la dottrina del peccato originale è vera, questo è bello o brutto, aiuta a capire la vita o complica l’esistenza? Se l’uomo ha un’anima, è bello o è brutto? Non basta che sia vero, ma deve essere anche bello! Perché se una cosa è bella ma non è vera io non ci faccio niente, ma non ci faccio niente anche se è vera e non è bella. La catechesi deve mostrare che è vero che Dio ha creato il mondo, che è vero che Gesù è morto per i nostri peccati, ma anche che è bellissimo che Gesù è morto per i nostri peccati, che è la cosa più grande che sia mai esistita, e che se non fosse vero, la vita sarebbe brutta e noiosa.

Terzo filo della questione è se ciò che dice il Credo è anche buono. Una volta che Dio ha creato il mondo, la mia vita diventa migliore? Divento io più buono? Riesco ad amare di più mio figlio? Se io vedo mio marito come una creatura di Dio, se io mi rendo conto che il mio corpo è stato creato da Dio, io posso diventare migliore? Noi vogliamo tutti vivere una vita buona, una vita diversa. Il Credo aiuta a vivere questa vita nuova?

2.2/ Il Credo è più antico del Nuovo Testamento

Per rispondere a queste questioni, scendiamo ancora più in profondità. Il Credo pone, in fondo, un’ulteriore questione straordinariamente interessante: quale rapporto c’è fra la fede della Chiesa, rappresentata dal Credo, e la Bibbia? Dobbiamo sciogliere anche questo nodo, perché molti dicono che il Credo è un’invenzione della Chiesa e che è difforme dal messaggio biblico che è tutto un’altra cosa!

Per rispondere a questa provocazione è innanzi tutto interessante dire che il Credo è più antico della Bibbia. Pensate che Gesù in Matteo 28,19 dice: «Andate, battezzate nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo». In queste parole è già contenuto tutto il Credo nella sua forma più antica che è quella battesimale. Queste parole non solo sono di Gesù stesso, ma ci ricordano anche che gli apostoli hanno subito battezzato - allora si battezzava nei fiumi, a Roma nel Tevere - nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, dopo aver chiesto ai battezzandi se credevano nel Padre e nel Figlio e nello Spirito Santo.

Il Credo più antico è sicuramente quello interrogativo: prima di battezzare una persona, come avviene tutt’oggi, si chiedeva all’adulto o al genitore del bambino nel casi di un neonato: «Credete in Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra? Credete in Gesù Cristo, suo unico Figlio? Credete nello Spirito Santo?».

Questa è la forma più antica del Credo. Quando ancora non c’erano i battisteri, quando ancora il Nuovo Testamento non era stato scritto, già Pietro, Paolo, Giovanni e gli altri battezzavano chiedendo: «Credete nel Padre, nel Figlio e nello Spirito?». E battezzavano, dopo aver ricevuto la risposta «Credo» dicendo: «Io ti battezzo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo».

Il Credo degli Apostoli che qui vediamo rappresentato e il Credo niceno-costantinopolitano che recitiamo a messa abitualmente, sono solo degli ampliamenti del Credo battesimale. Quel Credo originario che confessa il Padre, il Figlio e lo Spirito si amplia man mano nel corso della storia della Chiesa. Ma l’essenziale è già tutto nel Credo battesimale che esiste fin dal I secolo.

Quello che si sviluppa enormemente nei Credo successivi è la parte relativa al Figlio, perché le persone vogliono capire chi è Gesù, che cosa vuol dire che Gesù è veramente Dio e veramente uomo, che cosa è esattamente l’Incarnazione e così via. Oggi, probabilmente si amplierebbe la parte sul Dio Creatore, perché ciò che anticamente era più ovvio, oggi fa discutere maggiormente, mentre allora non se ne sentiva l’esigenza.

2.3/ Nel Credo si manifesta l’esigenza di verità che è tipica del cristianesimo, ma anche dell’uomo

Certamente l’esigenza di verità che è propria del Credo è un’esigenza tipica del cristianesimo. Se voi pensate alle religioni primitive o alle religioni pagane l’uomo, che pure cercava la verità, non ne avvertiva il problema così come avviene a partire dal pensiero greco e dal cristianesimo. Era sufficiente una comune adesione a dei culti, anche se il cuore e la mente avessero dubitato della verità di ciò che si celebrava. Ad esempio, appare evidente nelle persecuzioni dei cristiani che all’imperatore non interessava tanto che i cristiani fossero veramente convinti che egli era dio, bensì bastava che essi offrissero sacrifici e incenso alle statue imperiali o alle divinità pagane.

Nel culto latino bastava l’obbedienza agli idoli, bastava l’obbedienza alla religione statale, perché non era importante la convinzione personale e non era importante che Dio fosse esattamente così come il culto lo presupponeva. Il cristianesimo è la prima religione che difende l’importanza della verità: se Gesù non è vero Dio allora non siamo salvati. Se Gesù non è vero Dio, allora Dio non è venuto in mezzo a noi, allora non sappiamo ancora qual è realmente il volto di Dio: solo se Gesù è veramente Dio venuto in mezzo a noi, allora noi abbiamo conosciuto Dio!

Pensate che l’imperatore Costantino era così legato ad una visione religiosa distaccata dalla questione della verità che, dopo aver indetto il Concilio di Nicea che condannò chi come Ario riteneva Cristo una creatura e non il Figlio eterno del Padre, ritenne di poter riammettere Ario nella Chiesa, senza che egli rinnegasse la sua eresia. A Costantino bastava che si sanassero le divisioni: egli voleva che i cristiani non discutessero della divinità di Gesù e che si limitassero a pregare Dio per la salvezza dell’impero.

Costantino non era in grado di capire che se Gesù non era Dio il cristianesimo non aveva senso. Costantino scelse il cristianesimo, ma non ne capì fino in fondo l’originalità e si comportò come se si trovasse ancora dinanzi a sacerdoti pagani, invitando i cristiani a soprassedere su questioni che non riguardassero il comportamento, la morale o le leggi.

Ha scritto in maniera splendida sulla questione il prof. Simonetti: «Se infatti Costantino, quando si autoelesse capo della chiesa, aveva pensato di assumersi un incarico privo di complicazioni, quale era la funzione di pontefice massimo, aveva fatto male i suoi calcoli, in quanto aveva sottovalutato una caratteristica forte, che specificava la chiesa cristiana nei confronti delle religioni pagane, vale a dire la grande litigiosità interna. A differenza di quelle religioni, quella cristiana aveva alle spalle una sua storia e continuava a viverla giorno per giorno, storia tormentata, a volte convulsa, perché fatta in gran parte di contrasti e polemiche, rivolte non solo all'esterno, nel confronto con pagani e giudei, ma anche, e addirittura soprattutto, all'interno, per motivazioni di carattere sia dottrinale sia anche disciplinare. Quanto a Costantino, e al figlio Costanzo che avrebbe seguito, in sostanza, la politica paterna, il fallimento sarebbe stato dovuto al rifiuto, da parte della maggior parte degli interessati, anche se non di tutti, di distinguere tra forma e sostanza, tra l'accettazione soltanto esteriore di una professione di fede e l'adesione intima a un'altra. Il patrimonio di dottrina, che specificava la religione cristiana di fronte a quella pagana, che ne era priva, e anche a quella giudaica, dove era di entità molto più ridotta e di significato molto meno vincolante, era sentito come componente essenziale del deposito di fede e perciò tale da imporre un'osservanza in cui sostanza e forma s'identificassero, perciò senza distinzione tra adesione esterna e interna. La rabies theologorum era perciò destinata ad avere la meglio sulla moderazione di una politica di compromesso»[1].

Ma, come ha ricordato il papa, la questione della verità era in realtà presente anche nella filosofia greca e, per questo, la fede cristiana scelse la ragione e non la mitologia. «[Il mondo greco] vuol sapere che cosa sia tutto ciò che lo circonda. Vuole verità. In questo senso si può vedere l’interrogarsi di Socrate come l’impulso dal quale è nata l’università occidentale. Penso ad esempio – per menzionare soltanto un testo – alla disputa con Eutifrone, che di fronte a Socrate difende la religione mitica e la sua devozione. A ciò Socrate contrappone la domanda: "Tu credi che fra gli dei esistano realmente una guerra vicendevole e terribili inimicizie e combattimenti … Dobbiamo, Eutifrone, effettivamente dire che tutto ciò è vero?" (6 b – c)»[2].

2.4/ Il dogma enuncia la perenne novità del cristianesimo, mentre il suo rifiuto riporta alle vecchie ipotesi pre-cristiane

L’importanza del dogma che il Credo enuncia è teso a salvaguardare la perenne novità del cristianesimo: Dio che era inconoscibile, si è fatto vicino, è venuto nel mondo, ha preso la carne, perché Gesù è vero Dio e vero uomo. Se questo non fosse vero, si ritornerebbe alla vecchia situazione pre-cristiana dove, alla fin fine, di Dio non si conosceva nulla, perché Egli non si era ancora rivelato e nessuno aveva veramente compreso che Dio era amore, non avendo ricevuto la rivelazione né della presenza di Dio nel Bambino Gesù e nel Crocifisso, né, conseguentemente, dell’amore che unisce il Padre, il Figlio e lo Spirito.

Non bisogna mai dimenticare che quando autori come Dan Brown, Augias, Odifreddi ripropongono l’idea che Gesù, in fondo era solo un uomo, che era solo un rabbino, che non aveva avuto alcuna intenzione di morire per i peccati del mondo, e che conseguentemente non c’è motivo di credere in Dio, in realtà ripresentano tesi molto più vecchie del cristianesimo, che il vangelo ha superato d’un balzo 2000 anni fa con la sua novità, mostrandole antiquate.

Se non ci fosse il dogma si ritornerebbe ogni volta di nuovo su vecchie questioni già affrontate, dimenticandosi di avere già la risposta ad esse. Come ha affermato una volta G.K. Chesterton, la chiesa, con i suoi dogmi, «difende l’umanità dai suoi peggiori nemici, quei mostri antichi, divoratori orribili che sono i vecchi errori»[3].

2.5/ Il dogma non è astrazione, perché Dio rivela se stesso e non delle lontane verità

Paolo VI ha sottolineato più volte, inoltre, che il dogma non è arido e astratto, proprio perché ci riporta a Dio che si fa conoscere, per cui questa rivelazione di sé e la corrispettiva conoscenza della fede sono insieme amore. È come quando una donna che amo mi racconta la sua vita. Certo io riesco così a conoscerla, ma quella conoscenza non è come leggere una biografia sulla Treccani: è, invece, una rivelazione d’amore. Ed, infatti, due che si innamorano, si aprono il cuore e si raccontano tutti i segreti della loro vita.

Questa è la prospettiva del Concilio Vaticano II, che, all’inizio della Dei Verbum afferma: «Piacque a Dio rivelare se stesso» (DV2). Lo ha ricordato recentemente Benedetto XVI affermando: «La fede ha un contenuto: Dio si comunica, ma questo Io di Dio si mostra realmente nella figura di Gesù ed è interpretato nella «confessione» che ci parla della sua concezione verginale della Nascita, della Passione, della Croce, della Risurrezione. Questo mostrarsi di Dio è tutto una Persona: Gesù come il Verbo, con un contenuto molto concreto che si esprime nella «confessio». [...] La «confessio» non è una cosa astratta, è «caritas», è amore. Solo così è realmente il riflesso della verità divina, che come verità è inseparabilmente anche amore. [...] C’è una passione nostra che deve crescere dalla fede, che deve trasformarsi in fuoco della carità. Gesù ci ha detto: Sono venuto per gettare fuoco alla terra e come desidererei che fosse già acceso. Origene ci ha trasmesso una parola del Signore: «Chi è vicino a me è vicino al fuoco». Il cristiano non deve essere tiepido»[4].

Per questo nel Credo non è affermata un’arida verità, bensì nell’amore si confessa di aver finalmente potuto avere accesso al mistero prima insondabile di Dio: quella conoscenza è automaticamente amore

Noi non ci facciamo conoscere da chi non amiamo: in realtà abbiamo un sacco di segreti infiniti che non diciamo a nessuno. Solamente alle persone che veramente amiamo, solo agli amici o alla nostra famiglia noi diciamo veramente chi siamo. Perché anche noi siamo un mistero che gli altri pensano di conoscere, ma in realtà non è così: solo nell’amore veniamo alla luce.

E per questo ci fa tanta rabbia quando l’altro ci sfigura i connotati, il volto, come quando qualcuno dice di noi: «Ma lui è così, ma lui ha detto quella cosa» e invece noi siamo il contrario.

Se Dio non avesse voluto dirci il suo vero volto il Credo sarebbe una follia e sarebbe stato meglio affermare che Dio ha mille volti tutti uguali, come afferma chi dice: «Tanto basta che tu creda in Dio, perché Lui è lo stesso anche se si presenta in mille modi diversi!» Sì, pensa se tuo marito ha mille volti e tu non sai qual è quello vero! No, il volto di Dio è quello! Tu devi vedere il suo volto, il suo cuore, la sua identità! La fede dice: «Gesù è Dio venuto nel bambino e nel crocefisso». Solo vedendo Gesù bambino e Gesù crocefisso noi capiamo l’amore di Dio. Quello è il vero amore di Dio, e non un altro: gli altri sono idoli, come dice l’Antico Testamento, non corrispondono al vero volto di Dio.

2.6/ L’unica verità che è buona e perciò tollerante

Ma proprio perché questo è il vero volto di Dio, proprio perché Dio si è rivelato nella misericordia del Figlio, ecco che noi abbiamo speranza anche per chi non è cristiano. Paradossalmente non sarebbe possibile accogliere tutti con misericordia se Cristo non fosse Dio. Proprio perché Egli si è rivelato come il Bambino che nasce per noi ed il Crocifisso che muore per noi, nel mondo è entrata finalmente la misericordia verso tutti.

La verità di Dio è vera, ma non è una verità che ti taglia la testa. Proprio perché quello è il vero volto di Dio, mentre è falso, ad esempio, il volto di Dio che avevano i Maya e che li portava a toglierti il cuore sulle loro piramidi. Dio è veramente come il Credo ci annunzia, ma quella verità è l’unica che non ti distrugge.

2.7/ Quale rapporto esiste fra il Credo e la Bibbia?

Ma qual è allora il rapporto fra il Credo e la Bibbia? Perché la catechesi usa l’uno e l’altro? Perché il Credo mostra che la Bibbia è comprensibile e ci rivela che in essa parla il Dio che è Padre, Figlio e Spirito Santo. Il Credo appartiene alla Tradizione che illumina la Scrittura, che sarebbe altrimenti incomprensibile. E, come afferma la Dei Verbum, la Scrittura e la Tradizione insieme – e mai l’una senza l’altra - ci rimandano alla Parola di Dio completa che non è né la Scrittura, né la Tradizione, bensì Cristo stesso. La Parola di Dio eccede sia la Scrittura che il Credo: è la persona di Gesù. È questa eccedenza di Cristo che viene spesso dimenticata. È questa eccedenza che il Concilio ha voluto porre in evidenza, quando i padri del Vaticano II bocciarono lo schema che si intitolava De fontibus Revelationis, che parlava solo del rapporto fra Tradizione e Scrittura e chiesero che si redigesse un documento De divina revelatione, che parlasse cioè della divina rivelazione, della Parola di Dio nella sua pienezza: Cristo è “la” - gioco linguistico - Dei Verbum, Cristo è la pienezza di tutta intera la rivelazione.

Per essere in comunione con la Parola che è Cristo, abbiamo bisogno che la Tradizione ci trasmetta la Parola di Dio (il Verbum Dei), nei sacramenti, ma anche nel Credo, ed abbiamo bisogno insieme del Verbum/Locutio Dei che è la Sacra Scrittura.

E come la Scrittura non ci fa perdere il vero Cristo, così il Credo ci dona di comprendere il cuore della Scrittura e permette all’esegesi, come alla catechesi, di non perdere il vero Cristo. L'allora cardinale J. Ratzinger in un passaggio straordinario ebbe a scrivere[5]: «i Simboli [della fede], intesi come la forma tipica ed il saldo punto di cristallizzazione di ciò che si chiamerà più tardi dogma, non sono un’aggiunta alla Scrittura, ma il filo conduttore attraverso di essa [...], sono per così dire il filo di Arianna, che permette di percorrere il Labirinto e ne fa conoscere la pianta. Conseguentemente, non sono neppure la spiegazione che viene dall’esterno ed è riferita ai punti oscuri. Loro compito è, invece, rimandare alla figura che brilla di luce propria, dar risalto a quella figura, in modo da far risplendere la chiarezza intrinseca della Scrittura».

Le parole in questo testo sono pesate e verissime: il dogma non riguarda i punti oscuri del messaggio biblico, bensì i suoi aspetti più luminosi. Il dogma pone in risalto ciò che è più nuovo e affascinante del messaggio biblico e diviene come un filo di Arianna che permette di non perdersi nel labirinto altrimenti complicatissimo delle Scritture.

Divenuto papa, Benedetto XVI ha esposto qualcosa di simile nella Lettera ai seminaristi dicendo: «ciò che chiamiamo dogmatica è il comprendere i singoli contenuti della fede nella loro unità, anzi, nella loro ultima semplicità: ogni singolo particolare è alla fine solo dispiegamento della fede nell’unico Dio, che si è manifestato e si manifesta a noi»[6].

2.8/ Il credo è una preghiera

L'origine battesimale del Credo, insieme alla sua collocazione odierna nella liturgia eucaristica, rendono infine percepibile che il Credo è una preghiera. Si potrebbe definire una dossologia. Si riconosce Dio e gli si rende lode proprio perché Egli è come si è rivelato, perché è il creatore, il salvatore, Colui che dona la Chiesa, che offre il Battesimo, che giudica i malvagi, che dona la vita eterna.

3/ Il Simbolo degli Apostoli

Veniamo infine al Credo che è rappresentato qui nel Battistero di Siena: è il Simbolo detto degli Apostoli. Abbiamo già detto che il Simbolo più antico è quello interrogativo battesimale: esso si sviluppò ulteriormente oltre l’antichissima forma interrogativa per le esigenze della liturgia e della catechesi ben prima dei concili. Ne abbiamo testimonianza da molte formulazioni trinitarie che si trovano nei padri pre-niceni, ma soprattutto proprio nel cosiddetto Simbolo degli apostoli o Simbolo apostolico o ancora Simbolo romano – dove “simbolo” vuol dire appunto “professione di fede”[7].

Questo testo è attestato in maniera definita in Rufino, in latino, ed in Marcello di Ancira (nel 340 ca.) in greco, ma nella sua sostanza risale alla metà del II secolo, come sostiene giustamente Manlio Simonetti[8] che sottolinea come sia evidente in esso lo sviluppo della parte cristologica in chiave anti-gnostica ed anti-docetista[9].

Il Catechismo della Chiesa Cattolica così lo presenta:

«Il Simbolo degli Apostoli, così chiamato perché a buon diritto è ritenuto il riassunto fedele della fede degli Apostoli. È l'antico Simbolo battesimale della Chiesa di Roma. La sua grande autorità gli deriva da questo fatto: “È il Simbolo accolto dalla Chiesa di Roma, dove ebbe la sua sede Pietro, il primo tra gli Apostoli, e dove egli portò l'espressione della fede comune”» (Sant'Ambrogio, Explanatio Symboli, 7) (CCC 194).

Siamo certi che veniva usato a Roma e che, quindi, rappresentava la fede consegnata alla comunità romana da Pietro e Paolo, anche se il suo nome – Simbolo degli apostoli – viene piuttosto da una leggenda posteriore. Tale leggenda vuole che i dodici apostoli, prima di dividersi per annunziare il vangelo a tutto il mondo, si siano riuniti per esprimere ognuno uno degli articoli di fede che avrebbero poi predicato. Ognuno di loro avrebbe così enunziato una delle dodici espressioni che compongono il Simbolo appunto degli apostoli.

Il testo recita così:

«Io credo in Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra;
e in Gesù Cristo, suo unico Figlio, nostro Signore,
il quale fu concepito di Spirito Santo, nacque da Maria Vergine,
patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto;
discese agli inferi; il terzo giorno risuscitò da morte;
salì al cielo, siede alla destra di Dio Padre onnipotente;
di là verrà a giudicare i vivi e i morti.
Credo nello Spirito Santo,
la santa Chiesa cattolica, la comunione dei santi,
la remissione dei peccati,
la risurrezione della carne, la vita eterna. Amen».

Dalla tradizione della sua redazione ad opera dei dodici apostoli proviene l'uso di consacrare le nuove chiese con dodici croci, alle quali spesso vengono aggiunte dodici candele, vicino alle quali vengono poste le dodici frasi che compongono il Simbolo detto degli Apostoli[10].

Il Simbolo degli Apostoli è anche quello che viene consegnato ai catecumeni e può essere utilizzato al posto del niceno-costantinopolitano nella liturgia domenicale. È molto utile, quando si vuole presentare il Credo nella catechesi, mettere in sinossi il Credo interrogativo battesimale, il Credo degli Apostoli e quello Niceno-costantinopolitano per mostrare come in forme diverse la chiesa abbia sempre confessato la stessa fede.

4/ Gli affreschi del Vecchietta nel Battistero di Siena

I/ Credo in Deum Patrem omnipotentem, Creatorem caeli et terrae. Pietro

Dopo questa lunga introduzione, vediamo ora gli articoli del Credo degli Apostoli uno per uno, così come sono rappresentati, Ci aiuteranno a fare una breve esegesi del Credo. Ritengo che questo ci possa aiutare a livello catechetico nel presentare la fede.

Cominciamo dal primo articolo che è: «Credo in Dio Padre Onnipotente». Ritorniamo a ciò che abbiamo già detto: vedete a sinistra della figura del Padre una figura umana, è un fedele che dice il Credo; lo ritroveremo ogni volta. Dice semplicemente «Credo» e lo dice in ginocchio. Il gesto d’inginocchiarsi è semplicissimo: dinanzi a Dio ci s’inginocchia. Lo insegnavo sempre ai bambini: «Voi non vi dovete inginocchiare dinanzi a nessuno. Passa Totti e voi non dovete inginocchiarvi a lui, prostrarvi a lui. Passa Claudia Schiffer – non dimenticate che io sono di un altro tempo! - e non ci s’inginocchia. Solo dinanzi a Colui che è il Signore dobbiamo inginocchiarci. Lo facciamo ogni volta che entriamo in chiesa dinanzi al Tabernacolo.

Anche alcuni Credo musicali insistono sulla parola “Credo” - pensate alle Messe di W.A. Mozart. Mozart ha musicato tantissimi Credo e, in alcuni di essi, i solisti eseguono i diversi articoli alternandosi con il coro che canta a più voci l'espressione “Credo”[11].

L'articolo che confessa Dio Padre Creatore è espresso in maniera molto semplice: viene raffigurato Dio circondato dai cieli a rappresentare la sua divinità, mentre sotto si vede la linea della terra. Non c’è nient’altro che questo in questa serie, non si vedono le diverse opere della creazione. Si sottolinea solo che all'origine di tutto c'è Dio e che non c’è niente che esista che non sia opera sua.

Non possiamo ora approfondire il tema, ma voglio sottolineare che questo articolo è forse oggi quello più importante in catechesi perché disatteso e mai affrontato veramente. Come sapete in tutte le prefetture di Roma quest’anno si tiene un incontro per i catechisti della zona per aiutarli a riappropriarsi del tema di Dio creatore e Padre. Dobbiamo tornare a parlare con meraviglia della creazione, di Adamo ed Eva, del peccato originale, ecc., fedeli alla scienza, ma anche alla ricchezza del messaggio evangelico sul Dio creatore[12].

Già l’allora cardinale J. Ratzinger, in maniera verissima, aveva più volte sottolineato che se Dio non avesse creato il mondo, allora Gesù non potrebbe essere Figlio di Dio[13]. Ed allora noi non saremmo stati ancora salvati! Come possiamo pensare di avere la vita eterna se Dio non è il Creatore? Lo vedremo più avanti: il Credo è un’unità e se Dio non ha creato il mondo è chiaro che la morte vince sul mondo, è chiaro che noi torneremo nel nulla. Solo se noi veniamo dalle mani di Dio, cosa meravigliosa, allora io posso sperare che la vita non finisca. Pensate se noi credessimo fino in fondo che il nostro corpo e la nostra storia sono affidati alla sua provvidenza: allora tutta la vita è una la vocazione. Solo se Dio è veramente il Creatore, allora Cristo può chiamarci, allora Cristo può affidarci una moglie, un marito, dei figli, una missione. Ma se Dio non c’è la nostra vita non ha nessun significato.

II/ Et in Iesum Christum, Filium Eius unicum, Dominum nostrum. Andrea

Anche il secondo articolo è rappresentato in maniera semplicissimo, come vedete: ci appaiono la natura divina e umana di Cristo. Da un lato, si presenta il Figlio che è in posizione simile a quella del Padre nel primo articolo, proprio per dirne la stessa natura. Vedete che di nuovo Gesù ha i cieli intorno a lui: è il Figlio di Dio, è veramente Figlio di Dio. E se Gesù non fosse il Figlio di Dio non servirebbe a niente. Ma proprio i Vangeli ci mostrano - e dobbiamo mostrarlo nella catechesi - come Egli avesse coscienza di questo e lo esprimesse. E proprio il Concilio volle espressamente che si affermasse, sempre nella Dei Verbum, che i Vangeli sono attendibili storicamente. Mi torna sempre in mente quello straordinario passaggio di C.S. Lewis che dice[14]:

«Sto cercando di impedire che qualcuno dica del Cristo quella sciocchezza che spesso si sente ripetere: “Sono pronto ad accettare Gesù come un grande maestro di morale, ma non accetto la sua pretesa di essere Dio”. Questa è proprio l’unica cosa che non dobbiamo dire: un uomo che fosse soltanto un uomo e che dicesse le cose che disse Gesù non sarebbe certo un grande maestro di morale, ma un pazzo - allo stesso livello del pazzo che dice di essere un uovo in camicia – oppure sarebbe il Diavolo. Dovete fare la vostra scelta: o quest’uomo era, ed è, il Figlio di Dio, oppure era un matto o qualcosa di peggio. Potete rinchiuderlo come un pazzo, potete sputargli addosso e ucciderlo come un demonio, oppure potete cadere ai suoi piedi e chiamarlo Signore e Dio. Ma non tiriamo fuori nessuna condiscendente assurdità come la definizione di grande uomo, grande maestro. Egli ha escluso la possibilità di questa definizione – e lo ha fatto di proposito».

Proprio perché Gesù manifestava la coscienza di un’identità superiore non solo a qualsiasi rabbino, ma addirittura a Mosè e ad Abramo e si “faceva simile a Dio” il sinedrio ne ha preteso l’uccisione. I rabbini ed i farisei del tempo, e Paolo con essi, si accorgevano immediatamente che Gesù non parlava come un rabbino. Ecco, questo è espresso dal Vecchietta con la raffigurazione dei cieli e con la figura che ha la stessa postura di quella di Dio Padre.

Ma il Figlio è pienamente uomo: il Vecchietta esprime questo rappresentando l’umanità di Cristo nuda nella metà di sinistra. Cristo è nudo a metà e mostra la ferita nel costato: è Dio, ma uomo, è Dio, ma ferito. È la grande novità cristiana: Dio è presente nell’uomo Gesù. Quindi quella ferita di Cristo è veramente una ferita di amore. È una ferita reale, perché Cristo non è fintamente ferito, non è fintamente morto, non è fintamente sofferente. Ed è solo per questo che la nostra sofferenza è salvata, è per questo che la nostra morte è salvata. Perché se Dio non avesse assunto la nostra morte, la nostra morte avrebbe l’ultima parola. Solo se Cristo ha una vera ferita nel costato noi siamo salvati.

Con una sola immagine si vuole così dire la divinità e l’umanità di Cristo, il cuore del cristianesimo. Si può notare, infine, che con il dito Cristo compie il gesto della Parola e della benedizione. Egli è la Parola completa di Dio, Egli è la pienezza della Parola ed al contempo la sua Parola è amore e benedizione.

III/ Qui conceptus est de Spiritu Sancto, natus ex Maria Virgine. Giacomo

Il terzo articolo è rappresentato tramite l’Annunciazione. Così il Vecchietta esprime il «si è fatto uomo nel grembo della Vergine Maria». L’Annunciazione è un’immagine tipica dell’arte cristiana, ma qui è assunta ad indicare specificamente l’Incarnazione. Si vede chiaramente una dimora, così come in Beato Angelico e in tantissimi altri autori. Il pittore dipinge come una linea diagonale che parte da Dio che non è raffigurato e, attraverso lo Spirito Santo - la colomba - raggiunge Maria che sta pregando. La Madonna è ritratta con il suo manto azzurro: attraverso di lei, nel grembo della Vergine Maria, Dio si è fatto uomo. Maria sta pregando con la Parola scritta di Dio, con l'Antico Testamento, ma si interrompe per accogliere la pienezza della Parola, il Verbo incarnato.

Notate che nel Credo, oltre al nome di Gesù, ci sono i nomi di altre due figure umane: Maria e Pilato, che rimandano all’incarnazione e alla resurrezione. Ci sono due nomi che costringono a dire che il cristianesimo è un evento storico, non è un’idea, non è una filosofia. In Maria Dio è entrato nel mondo.

IV/ Passus sub Pontio Pilato, crucifixus, mortuus, et sepultus. Giovanni

Il quarto articolo è: «ha sofferto, è stato crocefisso, è morto ed è stato sepolto». Vedete sempre l’uomo inginocchiato che rappresenta il credente e, al centro, in maniera originale, la flagellazione.

Il Vecchietta ha così messo in evidenza il passus est - ha sofferto, ha patito. Cristo non solo è morto ma ha sentito proprio la fatica dell’odio contro di lui e del dolore. Al di sopra di questa immagine il Vecchietta ha posto il crocefisso. La resa è strana: è come se sopra il tetto della casa della flagellazione ci fosse un crocefisso ligneo, ma in realtà si vuole rappresentare la morte reale di Cristo sulla croce.

Alla destra, invece, vedete, come se fosse un’appendice (a livello pittorico l’affresco non è eccezionale, ma fa capire benissimo cosa vuol dire l’articolo del Credo), Cristo sepolto nel sepolcro. È posto nel sepolcro, a fianco della costruzione. La sepoltura fu ovviamente in una tomba scavata nella roccia, ma qui si utilizza un sarcofago, come si immaginava all’epoca.

V/ Descendit ad inferos, tertia die resurrexit a mortuis. Tommaso

Ci spostiamo ora nella campata centrale per vedere il quinto articolo del Simbolo degli Apostoli. Vedete che in basso è rappresentata la discesa agli inferi. È proprio il Simbolo degli Apostoli a ricordare questo evento annunziato dal Nuovo Testamento.

Cristo entra negli inferi, caccia via il diavolo - vedete che c’è una porta a sinistra e che il diavolo ne viene cacciato fuori. Al contempo Cristo sta calpestando le porte degli inferi, che ormai non possono più tenere prigioniero nessuno.

Prima della resurrezione di Cristo tutti coloro che erano morti precedentemente erano in balia del potere della morte. Anche Dante ricorda che i morti da Adamo in poi uscirono dal limbo, quando Cristo scese agli inferi. La Chiesa non crede che ci sia un limbo adesso, ma crede che c’è stato per quelli che erano morti prima di Cristo: ma essi sono stati liberati alla sua venuta.

Vedete anche il diavolo ormai calpestato da Cristo. Il Cristo prende per mano Adamo ed Eva e poi tutti quelli che sono morti dopo di loro: li viene a prendere perché è morto anche per loro.

Quindi per primi si vedono Adamo ed Eva e poi via via i diversi personaggi dell’Antico Testamento. Ultimo, si vede Giovanni Battista: egli è l’ultimo e il più grande, perché, pur non avendo potuto diventare discepolo di Cristo, ha almeno potuto incontrare Colui che i profeti avevano annunciato e riconoscerlo.

In alto si vede Cristo che esce dal sepolcro: emerge con il vessillo con la croce. È l’immagine della resurrezione. L’articolo ricorda, quindi, sia che Cristo è risorto, ma anche che Egli è la primizia della resurrezione dei morti.

VI/ Ascendit in celum, sedet ad dexteram Dei Patris omnipotentis. Giacomo il Minore

Nella raffigurazione del sesto articolo, si vede l’ascensione al cielo rappresentata in maniera semplicissima: di solito si vedono gli Apostoli e la Madonna (per esempio in Raffaello) che guardano in alto, mentre qui c’è solamente Cristo con le vesti risplendenti rosso fuoco che sale verso il cielo.

Ma questo salire non vuol dire allontanarsi da noi, proprio perché Cristo è presente sempre e siede alla destra del Padre, potendo così guidare l’intera storia verso il bene. Si vedono, infatti, panorami di terra e di mare ad indicare la signoria di Cristo su tutto.

L’ascensione ricorda, infatti, che Cristo porta la carne dell’uomo in Dio. In questo senso l’ascensione è profondamente diversa da un semplice ritorno dell’anima a Dio, come afferma per esempio la gnosi. L’ascensione vuol dire che la carne di Cristo - e con essa la nostra carne – viene assunta in Dio. Cristo ha ancora i fori della crocifissione, perché il suo corpo è stato strumento d’amore: niente del suo corpo potrà andare mai perduto.

Anche noi ritroveremo, sebbene trasfigurata, la carne nella quale abbiamo creduto e amato. Solo il peccato non entrerà in Paradiso. Mi ricordo una mamma che mi diceva: «È morto mio figlio, ma quando andremo in Paradiso, io lo rivedrò? Lui mi riconoscerà?» E io le ho risposto: «Certo che vi riconoscerete, perché voi vi siete amati tramite quel corpo!» Se Cristo, invece, non avesse portato nell’Ascensione, la sua carne, ciò vorrebbe dire che il nostro amore, vissuto nella carne, sarebbe destinato ad essere dimenticato e a scomparire per sempre.

In alto si vedono due angeli che incoronano Cristo con un serto, scena che era già presente nella vela precedente e che sarà presente anche nei due successivi.

VII/ Inde venturus est iudicare vivos et mortuos. Filippo

Il settimo articolo recita: «E di nuovo verrà a giudicare i vivi e i morti», perché Cristo non solo è venuto, ma deve ancora tornare, deve venire ancora. Il Credo della Chiesa annunzia che Cristo è venuto, che Cristo è presente nei sacramenti della Chiesa, ma che Cristo torna; quindi ci sarà un giorno in cui Lui giudicherà.

In alto sta Cristo che mostra le piaghe del costato (come anche nel Giudizio di Michelangelo nella Sistina), quasi a dire: «Con le mie piaghe, con la mia morte, siete stati salvati». Intorno a lui si vedono la Madonna e gli apostoli. Più in basso la croce, strumento di salvezza. Ma questa salvezza non esclude una divisione, anzi la esige, perché nella storia si sono affrontati il bene ed il male.

L'affresco mostra che Cristo viene a giudicare, a dividere. Le due zone a destra e a sinistra sono divise da un arcangelo vestito di nero, che è al centro. Vedete sulla destra i cattivi. C’è un diavolo in mezzo a loro che li afferra e li getta nelle fauci di un enorme drago. Dall’altra parte ci sono i salvati che vengono portati verso il Paradiso.

Il tema del giudizio appartiene al Vangelo - è Gesù che lo annunzia - ed è per questo ripreso dal Credo. Se non ci fosse un giudizio, le nostre scelte sarebbero superflue: il giudizio finale annunzia che sarà, invece, fatta giustizia e che chi ha sofferto ingiustamente riceverà il premio, mentre chi ha commesso malvagità dovrà rendere conto delle sue opere.

Mi viene in mente in proposito, dinanzi alla faciloneria con cui tanti irridono semplicisticamente al tema del giudizio finale che Cristo opererà, ciò che Claudio Magris ricordava a proposito di Primo Levi: «Tu [riferendosi a Dacia Maraini] scrivi, a proposito di Paradiso e Inferno, che, "l'immaginaria divisione cattolica medievale tra buoni e cattivi mi risulta noiosa e prevedibile". Ma Primo Levi diceva che l'idea di un Paradiso per tutti, di un'assoluzione finale in cui tutti, anche i carnefici di Auschwitz, fossero redenti, gli faceva orrore...»[15]. Se Dio non chiedesse conto agli uomini nel giudizio delle loro opere, allora vorrebbe dire che Hitler e Stalin avrebbero vinto e non dovrebbero mai rendere conto delle loro malefatte, entrando tranquillamente in Paradiso anche loro, senza alcuna differenza rispetto alle loro vittime.

VIII/ Credo in Spiritum Sanctum. Bartolomeo

Originalissima è la rappresentazione dell'ottavo articolo, una delle più riuscite. Innanzitutto è interessante rilevare che il “Credo nello Spirito Santo” è posto esattamente sotto l’altare del duomo, che è proprio al di sopra dell'affresco. Anticamente era aperta una botola che permetteva di vedere il piano superiore con l’altare del duomo. Questa apertura creava visivamente un rapporto fra il battistero e la celebrazione eucaristica: siccome con il Battesimo tu diventi Figlio di Dio allora hai accesso all’eucarestia, alla comunione, cioè tu fai parte del corpo di Cristo e mangi della sua carne, del suo corpo, del corpo e sangue di Cristo. Quindi si voleva sottolineare un legame fortissimo tra il fonte battesimale e l’altare.

Ma vedete che è esattamente questo proprio ciò che è rappresentato qui. Questo «credo nello Spirito Santo» come è rappresentato? È rappresentato in modo comprensibile anche ad un bambino, ad un adulto, ad un catecumeno. Che cosa fa, infatti, lo Spirito Santo? Lo Spirito Santo è Colui che permette la consacrazione eucaristica, è Colui che ci dà Cristo presente nell’eucarestia.

Vedete che è allora rappresentato un altare. E cosa fa lo Spirito? Lo Spirito ci dà Cristo vivente. La retrostante costruzione ci ricorda Fonte Gaia che vedremo poi a Piazza del Campo, ma al centro c’è solo l’altare nudo, tanto è importante la presenza eucaristica. C'è come un fascio di luce che dallo Spirito discende sull'altare e abbraccia il calice e la patena: è rappresentata la consacrazione.

Sul fronte dell’altare è dipinto un agnello. Si sottolinea così che sull'altare è Cristo che si offre, che nell'eucarestia è Dio che offre la vita per noi. Il pane consacrato non è così una cosa, bensì è la presenza viva dell'Agnello di Dio. Sapete che C.C. Lewis nelle Cronache di Narnia ha ripreso questo simbolo: il leone Aslan, che è Cristo, si presenta nell’ultimo dei racconti - il Viaggio del veliero - come l’agnello, cioè svela la sua natura di agnello che si fa uccidere, prima di ritrasformarsi in leone (il film recente ha, purtroppo, eliminato questa simbologia)[16]. L'agnello, nell'affresco, è come posto su di un “paliotto”, un tipico abbellimento dell'altare.

Ma perché la fede nello Spirito Santo conferisce pienezza alla fede in Cristo? Merita rifarci ad un'altra immagine della tradizione cristiana, l'iconografia della fede che troviamo in Raffaello, ma anche in tantissimi altri autori. La fede viene rappresentata come una donna che ha in una mano il crocefisso – perché la fede crede che in Gesù è Dio che è realmente morto per amore nostro, che Dio veramente è venuto a manifestarsi nel suo Figlio e, quindi, se Gesù non fosse il Figlio di Dio la fede sarebbe senza senso – e nell'altra mano ha il calice e la patena con l’ostia consacrata. Perché? Perché se Gesù fosse venuto duemila anni fa, ma non venisse a me oggi nei sacramenti, io sarei lo stesso perduto. Non basta che Cristo sia venuto 2000 anni fa, deve essere presente oggi. Ecco che non c'è vera fede cristiana che non sia anche fede nei sacramenti e, quindi, nello Spirito che rende oggi Cristo presente nella vita della Chiesa.

Ascoltavo recentemente un vescovo che ha fatto un esempio bellissimo in un'omelia, dicendo: «Se tu hai una donna di cui sei innamorato, ma quella donna sta in America e non la puoi abbracciare, ma che ci fai?». All’amore non basta sapere che uno esiste, l’amore desidera poter toccare l'amata, poterla baciare, poterci parlare. Ecco come il Vecchietta interpreta l'ottavo articolo del Simbolo degli Apostoli: “Credo nello Spirito Santo” equivale a “Credo nei Sacramenti ed, in particolare, nell'eucarestia”!

Il Vecchietta doveva avere dei consulenti teologi del tempo che gli suggerirono di rappresentare così lo Spirito, di modo che risultasse evidente che ogni volta che si celebra la messa noi incontriamo lo stesso Cristo che la Maddalena, Pietro, Giacomo, Giovanni hanno amato e incontrato.

Così, negli affreschi del Vecchietta, l'affresco del “Credo nello Spirito” è come se chiudesse il ciclo cristologico: è grazie a Lui che la presenza di Cristo permane nel mondo.

IX/ Credo sanctam Ecclesiam Catholicam, sanctorum communionem. Matteo

Spostandoci nell'ultima campata possiamo ora vedere gli articoli del Credo che seguono l'articolo che si riferisce allo Spirito Santo. Innanzitutto «Credo la Chiesa». Voi sapete bene che nel Credo non si dice: «Credo nella Chiesa», ma si dice: «Credo la Chiesa».

Questo per ricordare che non si crede nella Chiesa allo stesso modo che in Dio. Perché i cristiani possono tradire il Cristo, pur essendo cristiani, e allontanarsi da Lui: allora non si da un'obbedienza assoluta alla Chiesa, così come la si dà a Dio.

Però, allo stesso tempo, io devo credere alla Chiesa perché la Chiesa è colei che mi fa congiungere con il Cristo, perché la Chiesa è colei che il Cristo ha voluto per la mia salvezza. Nel Credo la Chiesa è presente: io “credo la Chiesa”, come madre voluta da Cristo perché io possa incontrarlo.

Anche la raffigurazione di questo articolo è originalissima nel Vecchietta. La Chiesa è questa figura maschile che è rappresentata come un pontefice: essa poggia su Pietro. Pietro viene raffigurato come una figura distesa sulla quale si poggia la Chiesa attuale. È stato il Cristo a dire: «Su questa pietra edificherò la Chiesa». Ecco qui Pietro è letteralmente la pietra su cui poggiare. Non dimenticate che già la parola “Pietro” ci fornisce una prova evidente che Cristo voleva fondare la Chiesa. A quel tempo il nome ”Cefa” in aramaico e il suo equivalente “Pietro” in greco non erano nomi propri.

E Pietro si chiamava Simone: Gesù ha inventato per lui quel soprannome, che da quel momento è divenuto poi nome proprio di persona. Già quel nome vi dice che Cristo voleva fondare su di una “roccia” un edificio, una costruzione, la sua Chiesa - fra l'altro nel Vangelo compare espressamente anche il termine “Ecclesia”, “Chiesa”.

Alla sinistra vedete poi la Chiesa raffigurata mentre battezza: c’è sempre vicino l’uomo che dice: «Credo», ma questa volta vicino a lui c’è un fonte battesimale, immaginato come un grande catino. Quindi, cos’è la Chiesa in questa immagine? La Chiesa è la comunione di tutti coloro che sono battezzati. Il Battesimo è ciò che ci dona lo Spirito Santo, che ci unisce a Cristo. Al contempo, la Chiesa è colei che dà la sua vita divina a tutti quanti coloro che ricevono il battesimo. Chi è catechista dei catecumeni lo sa, noi abbiamo a Roma sempre più persone musulmane, buddiste, testimoni di Geova, atei che si battezzano. Io che li accompagno nel cammino come responsabile del catecumenato li aiuto talvolta a riflettere sul fatto che non diventano cristiani quando lo scelgono, bensì solo il giorno in cui vengono battezzati.

Perché la figliolanza divina - ma anche quella umana - tu la ricevi e non la crei: non sei tu che dici a tuo padre: «Papà mi fai nascere? » ma è lui che ti da la vita. La vera figliolanza è riconoscere che un altro ti ha scelto. E il Battesimo è esattamente questo dono di grazia: attraverso la Chiesa è Dio che mi dà la vita divina. Dio ha voluto che attraverso il battesimo della Chiesa noi fossimo generati da lui nostro Padre, come suoi figli.

X/ Credo remissionem peccatorum. Simone Zelota

Abbiamo poi il decimo articolo: «Credo la remissione dei peccati». Vedete che qui si rappresenta una costruzione molto rudimentale, un’architettura vista dall'interno, in cui c’è un prete che confessa e c’è un penitente inginocchiato. Il Vecchietta, piuttosto che parlare della remissione dei peccati in genere, si deve essere domandato: «Che cosa vuol dire la remissione di tutti i peccati? Vuol dire che credo nella confessione, nella penitenza, anche se ho ucciso, se ho bestemmiato, se ho tradito mia moglie, quando veramente chiedo la grazia, pentitomi, ritrovo il perdono di Dio stesso». Insomma, gli è venuto in mente di rappresentare la Confessione!

Ma vedete che nella navata di destra dell'edificio rappresentato, c’è un uomo nudo inginocchiato: è lo stesso catecumeno che abbiamo visto nell'articolo sulla Chiesa, perché nel battesimo si riceve il perdono di tutti i peccati. Quindi, il perdono viene rappresentato due volte: attraverso la penitenza che prepara al Battesimo e poi attraverso la Confessione.

XI/ Carnis resurrectionem. Taddeo

Nell'undicesima vela è rappresentato l'articolo «Credo la resurrezione della carne». Vedete innanzitutto gli angeli tubicini - gli angeli che suonano le trombe, gli angeli dell’Apocalisse - e al suono delle loro trombe dalla terra riemerge la carne delle persone.

È la carne che risorge, afferma il Credo. Non è solo l'immortalità dell'anima, ma proprio la carne che risorge. Lo possiamo comprendere meglio, spiegando perché il cristianesimo rifiuta la reincarnazione. La dottrina della reincarnazione è così terribile che gli stessi buddisti affermano che per entrare nel Nirvana bisogna sfuggire alla reincarnazione.

Nella reincarnazione si ipotizza che l'anima immortale assuma sempre nuovi corpi – che questi corpi siano solo “apparenza” non possiamo qui approfondire. Ma questo vorrebbe dire che non ci sono mai generazioni nuove, che i nonni sono i nipoti reincarnati, che se affronto un tumore o un esame universitario dovrò riaffrontarlo nuovamente dopo alcune generazioni, ecc.

Invece la fede nella resurrezione della carne afferma una cosa meravigliosa: c’è una sola vita, te la devi giocare bene, è decisivo quello che fai. Se tu diventi padre sei padre; se un bambino lo fai nascere c’è e ci sarà per l'eternità, se non lo fai nascere non ci sarà mai. Non c'è una seconda opportunità, non c'è un girone di ritorno.

È la meraviglia della vita che è una, ma che è aperta alla vita eterna. La vita eterna è la tua vita che ti viene ridata in Dio, sopravvestita dalla sua grazia: veramente tu hai una sola vita e se veramente in essa hai amato e creduto, se hai compiuto un gesto di carità, se hai avuto un figlio, tutto questo tu te lo ritroverai. In questo senso la fede cristiana afferma una realtà profondamente diversa da quella proposta dalla reincarnazione.

XII/ Credo vitam aeternam. Amen. Mattia

Infine: «Credo la vita eterna del mondo che verrà”. La resurrezione della carne riporta a quel Dio che ha creato il mondo. Se Dio ha creato il mondo, può permettere che i suoi figli si perdano nel nulla? Se io genitore ho generato un bambino, posso pensare che mio figlio sarà mangiato dai vermi? Dio che ha creato, porta a compimento la sua creazione ridando la vita.

Vedete, nel tondo in alto - che rappresenta l'eternità divina - c’è Cristo che incorona la Vergine. È una simbologia sponsale[17]. La Vergine lì è Maria, ma è anche tutta la Chiesa, siamo tutti noi. Poiché Cristo ama la sua Chiesa e la guida fino a Lui, in un amore che non avrà mai fine. Intorno a Maria, che tutti ci rappresenta, ci sono poi le concrete raffigurazioni dei fedeli: figure di santi, di re, di poveri, di uomini, di donne, di sposati, di bambini, di celibi, di vergini, ecc… È il momento in cui tutti raggiungono finalmente la grazia della vita eterna. E vedete per l'ultima volta l’uomo inginocchiato a sinistra che dice «Credo», che lo ripete fino alla fine.

XIII/ In sintesi

Allora, in sintesi, che cosa ha fatto il Vecchietta? In queste tre campate ha rappresentato il Credo e, rappresentandolo, ha mostrato ancora una volta che la fede cristiana non è complicata, ma anzi è semplice, che si può esprimere con poche parole nella sua bellezza.

La sequenza ci aiuta a vedere anche il nesso fra i diversi articoli, perché la fede cristiana è una e semplice. Taluni pensano che sia complicata o almeno che le diverse parti siano scorporabili l'una dall'altra, come un tessuto patchwork, dove i diversi pezzi sono assemblati, ma, in fondo, modificabili a piacimento. Non è così nel Credo. Se Dio non è Padre e Creatore, allora nemmeno Gesù è suo Figlio e non ha senso affermare che l'uomo e la materia possono essere salvati. E se Cristo non è il Figlio di Dio, allora noi non abbiamo ancora conosciuto il vero volto di Dio. E se Dio non è il Creatore, allora non ha senso affermare che esiste una vita eterna. E non ha senso credere nella vita eterna se Dio non è il Creatore. E non ha senso dire che Cristo ci ha amato, se non ci donato la Chiesa, il Battesimo ed il perdono dei peccati ed, insieme, la vita eterna. E così via.

Questi dodici articoli ci permettono di addentrarci in tutta la storia biblica, da Adamo, passando per Abramo, Mosè ed i profeti, fino a Cristo ed alla Chiesa guidata dallo Spirito, riconoscendovi un unico disegno di Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo.

5/ Gli affreschi del Credo nella Sacrestia vecchia dello Spedale di Santa Maria della Scala

Ci troviamo ora nella Sacrestia Vecchia dello Spedale di Santa Maria della Scala, che è affrescata con la serie dei dodici articoli del Credo. Gli affreschi sono molto più rovinati e solo alcuni sono chiaramente leggibili. Ne è autore sempre il Vecchietta che affrescò la Sacrestia appena alcuni anni prima del Battistero, negli anni 1446-1449. La differenza, come vedremo in dettaglio, rispetto a quelli del Battistero è la voluta evidenziazione del rapporto fra i diversi articoli e le prefigurazioni di essi nell'Antico Testamento.

Prima di vederli uno per uno, merita sottolineare che siamo qui dinanzi ad uno dei tre poli della città medioevale. Il primo è la cattedrale, il secondo è il Palazzo Pubblico, il terzo è proprio lo Spedale, costruito davanti alla cattedrale, quasi a suo completamento.

Vedendo il palazzo dall'esterno, dalla scalinata della cattedrale, non ci si accorge che è un “ospedale”. Dinanzi alla chiesa della città, c’è il luogo per l'accoglienza dei malati e dei pellegrini che si recavano in pellegrinaggio a Roma. Ma era anche l’ospedale per gli orfani. Si possono ancora visitare al suo interno le corsie degli ammalati. Quindi le due realtà della Chiesa che celebrava l'eucarestia e della Chiesa che veniva in soccorso erano vicine anche visibilmente.

Se ci pensate è lo stesso che troviamo a San Giovanni in Laterano dove da un lato ci sono la basilica ed il battistero e dall'altra c’è l’Ospedale del Salvatore, dove oggi si fanno i ticket. Entrando in quell'edificio si vede bene che è una corsia per gli uomini ammalati - in un altro angolo della piazza si trova la corsia per le ammalate. In quella corsia, guardando in alto alle due estremità si vedono un grande affresco con Gesù che guarisce e, dall'altra parte, il crocifisso. I pontefici avevano voluto che fossero vicini il luogo della celebrazione, quello del battesimo e lo Spedale per la cura dei più deboli.

Ma anche la cattedrale ed il battistero manifestano la stessa carità: la Chiesa ha sempre saputo che come c'è una carità che cerca di recuperare chi è caduto nella malattia, nella povertà o nel male morale, così esiste una carità educativa, che permette all'uomo di trovare i beni della sapienza e della fede, necessari alla vita. Con grande intelligenza, San Giovanni Bosco chiamò questa carità “preventiva”, perché la sapienza e la fede donate fin da bambini permettono poi alle persone di non cadere in preda del male.

Quindi le due parti della piazza - cattedrale e spedale - ci permettono di ricostruire idealmente un mondo.

Ed in entrambi è raffigurato il Credo! Vediamo allora gli affreschi leggibili, mentre salteremo quelli di cui è difficile la decifrazione.

I articolo/ Credo in Deum Patrem omnipotentem, Creatorem caeli et terrae.

Si è salvato il primo articolo del Credo, innanzitutto. Qui vedete “la creazione del mondo”. Qui l’affresco è più narrativo. Si vede per due volte l’immagine del Creatore e diverse sue opere, difficili da identificare dato lo stato lacunoso dell’opera.

III articolo/ Qui conceptus est de Spiritu Sancto, natus ex Maria Virgine.

Meglio conservato è il terzo articolo del Credo, dedicato all’Incarnazione. Avete come due quinte dentro le quali sono posizionate l’Annunciazione ed il Natale. Anche qui il tema è più sviluppato che nel battistero, dove era rappresentata solo l’Annunciazione.

IV articolo/ Passus sub Pontio Pilato, crucifixus, mortuus, et sepultus.

Il quarto articolo è rappresentato avendo come centro la crocifissione, mentre nel battistero al centro c’era la flagellazione.

V articolo/ Descendit ad inferos, tertia die resurrexit a mortuis.

Ecco, qui vedete di nuovo la resurrezione, Cristo risorto e Cristo che scende negli inferi e prende per mano Adamo, è sempre la stessa immagine di Cristo che trae dall’inferno i morti.

VII articolo/ Inde venturus est iudicare vivos et mortuos.

Il settimo articolo riporta al Cristo che verrà a giudicare i vivi e i morti. Anche qui la rappresentazione è molto simile al battistero. Evidente anche qui la divisione del mondo giudicato in due parti (ma ben ¾ appartengono alla salvezza), con l’angelo divisore e con le fauci del male che inghiottono definitivamente i cattivi, perché il male deve essere vinto. Non lo dimentichiamo mai, noi abbiamo l’esigenza che il male sia vinto.

Ma ecco sotto la peculiarità di questo ciclo. Qui si vede bene, in basso, la prefigurazione testamentaria, che originariamente accompagnava ogni articolo. Viene rappresentato Daniele 7, dove si dice: «Uno simile a un figlio dell’uomo si staccò dal trono dell’Altissimo e venendo sulle nubi venne a giudicare il male». Quindi nella figura del Figlio dell’Uomo , che Cristo riprenderà per primo, il Vecchietta vede la prefigurazione del giudizio finale.

Si vede chiaramente come una fiamma che in diagonale colpisce la parte dove stanno i malvagi. Ciò che l’Antico Testamento profetizza e prepara si compie nella pienezza nel Nuovo Testamento.

VIII articolo/ Credo in Spiritum Sanctum.

L’ottavo articolo, riguardante la fede nello Spirito Santo, utilizza la stessa immagine che sarà ripresa nel battistero. Qui in alto c’è addirittura la Trinità, in un tondo con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Si sottolinea così che lo Spirito Santo è glorificato e adorato insieme con il Padre e con il Figlio. E più sotto si vede di nuovo l’altare, anche se, essendo l’affresco molto rovinato, non è più riconoscibile l’Eucarestia. Quindi, di nuovo, lo Spirito Santo è Colui che viene inviato dalla Trinità perché noi abbiamo il corpo e il sangue di Cristo nel nostro pellegrinaggio terreno.

Anche in un altro passaggio del Credo niceno-costantinopolitano si sottolinea la presenza dello Spirito come Colui che ci dona Cristo. Lo ritroviamo, infatti, nella famosa espressione sull’incarnazione che dice: «Per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria». Al di fuori del cristianesimo si utilizza il termine “spirituale” per indicare chi si allontana dalla carne, invece nel Credo lo Spirito Santo è Colui che fa sì che il Figlio di Dio si faccia carne. È la forza dello Spirito, la sua potenza di amore, che permette al Figlio di diventare carne. Pensate che stravolgimento dei canoni anche spirituali: nell’estremo Oriente essere spirituali vuol dire uscire dalla carne, invece nella fede cristiana diventare spirituali vuol dire diventare “cristiani”, cioè assumere la forma di Cristo.

Anche qui si è salvata la rappresentazione della prefigurazione veterotestamentaria.

Si vede una costruzione, molto più perfetta artisticamente di quella che abbiamo visto nel Battistero, ed è il Tempio di Salomone, con la gloria di Dio che si manifesta nell’antico Tempio. Qui si vuole sottolineare che come nell’antica Alleanza Dio prese ad abitare nel Tempio di Salomone, così, a maggior ragione, molto di più che allora, Dio ora abita nell’Eucarestia. Dio era presente nella realtà antica del Tempio, ma quella era solo un’ombra di ciò che avviene in maniera perfetta nella liturgia cristiana.

6/ La tipologia

Che cosa insegna alla catechesi questo modo di rappresentare? Insegna la tipologia! I cristiani, fin dall’inizio, hanno sempre letto l’Antico Testamento come prefigurazione, come tipo di Cristo. Già san Paolo usa questa espressione: «Abramo è figura di…, Isacco è figura di…, come Adamo…, come per opera di un solo uomo…, così per opera di Cristo uno solo… entrerà nella vita eterna». L’Antico Testamento non viene solo raccontato, non si dice solo: «Abramo ha fatto questo, Isacco ha fatto questo, Mosè ha fatto questo» ma si dice anche e di più: «Abramo, Mosè e Isacco sono figura di ciò che noi scopriamo in pienezza alla venuta del Cristo».

Quindi l’Antico Testamento risplende nella sua pienezza nel Nuovo. Noi a volte nella catechesi dimentichiamo di fare questo. Alla domanda «Chi è il figlio che Abramo sta per sacrificare?» rispondiamo giustamente «Isacco» . Ma poi dovremmo continuare: «E Isacco chi è? » «Isacco è Gesù Cristo». Così direbbe subito un Padre della Chiesa. «Abramo e Isacco salgono sul monte. Chi è più importante: Abramo o Isacco?» Mentre a noi sembra più importante Abramo, un padre della Chiesa risponderebbe invece: «Ma no, è molto più importante Isacco perché mentre Isacco non morì ed è figura, Cristo è il Figlio che viene sacrificato. Isacco è la prefigurazione di Colui che si offrirà». Quindi è subito chiaro dov’è il cuore del messaggio biblico veterotestamentario: il cuore è Cristo!

Pensate alla Lettera agli Ebrei che domanda: chi è il vero Mosè? Perché Mosè guidò il popolo, ma non entrò nella Terra Promessa? Perché proprio lui non vi entrò? Perché la Terra Promessa non era la terra d’Israele, la Terra Promessa era il sabato del riposo di Dio, era la vita eterna. E quindi Mosè non entrò nella Terra Santa per mostrare con questo che la vera Terra Promessa doveva ancora arrivare. Cristo è allora il vero Mosè che entra nella Terra Promessa portandosi il popolo. Quindi ogni figura veterotestamentaria, nella lettura tipologica, è proprio quella figura ma insieme e di più è prefigurazione di una figura più importante che conferisce significato alla lettera veterotestamentaria.

Note al testo

[1] M. Simonetti, Costantino e la chiesa, in Costantino il grande. La civiltà antica al bivio tra Occidente e Oriente, A. Donati – G. Gentili, a cura di, SilvanaEditoriale, Milano, 2005, pp. 56-63.

[2] Benedetto XVI nel discorso che avrebbe dovuto tenere all’Università di Roma La Sapienza il 17/1/2008.

[3] G.K. Chesterton, Perché sono cattolico e altri scritti, Gribaudi, Milano, 2002, p. 12.

[4] Benedetto XVI, meditazione all’ora media all’inizio del Sinodo sulla nuova evangelizzazione, 8/10/2012.

[5] J. Ratzinger, Dogma e predicazione, Queriniana, Brescia, 1974, p. 26.

[6] Benedetto XVI, Lettera ai seminaristi, 18/10/2010.

[7] “Simbolo” è termine che viene dal verbo greco sun-ballō che vuol dire “metto insieme” e, nel linguaggio cristiano diviene presto quella formula “che raccoglie” le principali verità della fede.

[8] Cfr. M. Simonetti, Introduzione a Rufino, Spiegazione del Credo, Città nuova, Roma, 1993, pp. 13-15.

[9] Sullo gnosticismo ed il docetismo, vedi: S. Pietro in Montorio in Roma: S. Ireneo di Lione, dinanzi a Marcione ed alla gnosi. II incontro del II anno del corso sulla storia della chiesa di Roma, di Andrea Lonardo.

[10] Cfr. su questo Il Simbolo degli Apostoli: il Simbolo della fede nella catechesi e nell’arte, di Roberto Mastacchi e Ryszard Knapiński.

[11] Cfr. su questo Il “divino” Amadeus e la grazia della fede: per Mozart cattolico. Dalla Grosse Messe al Requiem, di Andrea Lonardo

[12] Cfr. su questo Credo in Dio Padre creatore onnipotente. Parlare di Genesi 1-3 nella catechesi. Testo e file audio da una catechesi di Andrea Lonardo

[13] Solo per citare uno dei tantissimi riferimenti in merito, cfr. le conferenze sulla catechesi tenute il 15 ed il 16 gennaio 1983 a Lione e Parigi dell’allora cardinal Joseph Ratzinger «Di tanto in tanto compare il timore che una troppo forte insistenza su tale aspetto della fede [il Dio creatore] possa compromettere la cristologia. Considerando qualche presentazione della teologia neoscolastica, questo timore potrebbe sembrare giustificato. Oggi, tuttavia, è il timore inverso che mi sembra giustificato. La emarginazione della dottrina della creazione riduce la nozione di Dio e, di conseguenza, la cristologia. Il fenomeno religioso non trova, allora, altra spiegazione al di fuori dello spazio psicologico e sociologico; il mondo materiale è confinato nel campo di indagine della fisica e della tecnica. Ora, soltanto se l’essere, ivi compresa la materia, è concepito come uscito dalle mani di Dio e conservato nelle mani di Dio, Dio è anche, realmente, nostro Salvatore e nostra Vita, la vera Vita».

[14] C.S. Lewis, Scusi... Qual è il suo Dio?, GBU, Roma, 1993, pp. 75-76.

[15] Claudio Magris, Perché non si smette di cercare chi si ama. Quel che unisce prima e dopo le grandi separazioni, in “Corriere della sera”, 16 dicembre 2011.

[16] Su questo, vedi Chiavi di lettura de Il viaggio del veliero di C. S. Lewis, di Andrea Lonardo.

[17] Su questo vedi La Chiesa-sposa nell’iconografia medioevale, da Cimabue al coro della Chiesa di Monteluce, al Sacro Speco di Subiaco, struggente testimonianza dell’amore scambievole fra il Cristo e la sua Chiesa, annunziato dalla fede, di Andrea Lonardo.