Meeting Rimini 2013. Citofonare GKC, benvenuti a casa Chesterton

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 18 /08 /2013 - 14:08 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo dal sito della rivista Tempi un articolo di Annalisa Teggi pubblicato il 14/8/2013. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.

Il Centro culturale Gli scritti (18/8/2013)

Avrebbe potuto raccontare tutto di sé semplicemente parlando delle cose che aveva in tasca: questo si può dire di Gilbert Keith Chesterton. Esordire usando frasi accademiche di rito che celebrano il significato sociale, filosofico e letterario della sua figura e del suo pensiero nel quadro culturale di fine ‘800 e di inizio ‘900, sarebbe un po’ tradirlo.

Gilbert Chesterton ha innanzitutto fatto mettere le mani in tasca a tutti gli uomini che lo hanno ascoltato, conosciuto o letto, forse anche nel senso più pigro che quest’espressione ha, visto che lui disse, in modo tanto ironico quanto profondo, che l’uomo è più serio quando è in vacanza e non quando lavora (perché solo «nel tempo fuggevole della vacanza l’uomo ha il tempo di fermarsi a meditare sulle cose che fuggevoli non sono»). Ma mettere le mani in tasca è anche uno dei gesti davvero più attivi e rivoluzionari a cui tuttora si può invitare l’essere umano: significa spostare il centro dell’azione affettiva, creativa, intellettiva di noi uomini su ciò che «abbiamo per le mani».

Significa riportare la scommessa della vita sulla realtà, in un modo che non è mero realismo, ma è uno stupore radicale – quasi violento – per la trama di oggetti, persone, luoghi che quotidianamente ci vede all’opera. Afferma Andrea Monda: «Lo schiaffone (o il calcione equino), pieno di energico buon umore, che GKC molla al lettore è così sonoro e carico di amore per la vita che risuona ancora oggi e lo farà fino alla fine dei tempi ogni volta che un lettore proverà ad avvicinarsi a qualsiasi sua pagina, uno schiaffone che, per dirla con la O’Connor, ci fa ri-vedere il mondo da un’altra angolazione».

È tutto oro quel che luccica, canta Innocenzo Smith, protagonista del romanzo Uomovivo. Quel che ci passa tra le mani è oro, perché c’è… e avrebbe potuto non esserci. Scrivendo quel capolavoro che è il suo San Tommaso d’Aquino, con una battuta Chesterton colpì a morte ogni possibile riduzione su quella che, invece, è l’indiscutibile positività dell’esistenza: «Al morboso intellettuale rinascimentale che disse: “Essere o non essere, questo è il problema”, il grosso erudito medievale (San Tommaso) avrebbe risposto quasi certamente con voce tonante: “Essere, questa è la risposta”».

Questo è mettere seriamente le mani tasca, perché è solo così che si finisce anche a guardare davvero in alto, a muovere gli occhi attorno e a fondo nel mondo: le grandi questioni eterne che da sempre agitano il cuore e la mente dell’uomo si manifestano a ciascuno nel tempo e nella cornice di eventi che vive. «Un impero senza tramonti non m’interessava», scrisse Chesterton nella sua Autobiografia: l’astratto e l’indefinito, intesi come assenza di limiti, come pura e illimitata espansione, non sono consoni alla natura umana, che invece può costruire e spalancarsi al tutto solo quando si aggrappa a una fetta di terra, a un recinto di cose che sono la sua dimora.

Solo così un uomo può stare in piedi saldamente e protendersi all’Eterno dicendo, come Adam Wayne ne Il Napoleone di Notting Hill: «Io mi attacco a qualcosa. Io adesso faccio come il bambino che va in giardino e s’impadronisce di un albero. E allora quell’albero tocca l’inferno con le sue radici e le stelle con i suoi rami».

Facendo eco alla celebre canzone di Gino Paoli, il cielo è davvero in una stanza e lo è nel modo in cui Chesterton descrive l’avventura più significativa del suo Uomovivo, come spiega Ubaldo Casotto: «Ricordiamo che Innocenzo Smith, l’uomo vivo, esce dalla porta di casa, cammina sempre dritto, fa il giro del mondo per ritrovare casa sua. E a quel punto è più casa di prima e ha qualcosa a che fare con il paradiso perché Innocenzo ci ha portato dentro il mondo: il mondo in una stanza».

Un viaggio domestico

“Il Cielo in una stanza – Benvenuti a casa Chesterton” è il titolo della mostra che sarà presente nell’edizione 2013 del Meeting e sarà proprio una ricostruzione in scala gigante non esattamente della casa di Chesterton, ma di una casa forgiata dallo sguardo chestertoniano. Lo ha sintetizzato bene Angelo Matteoni, a capo dell’equipe di architetti che sta seguendo questo progetto: «All’esterno avrà l’apparenza di una casa ordinaria, perché sarà all’interno che accadrà lo straordinario».

Ogni stanza, infatti, è pensata per accogliere un contenuto, la cui prospettiva si spalancherà attraverso inaspettati punti di fuga. Sette stanze in tutto, come i giorni della Creazione, per un viaggio domestico in compagnia di questa figura imponente (in tutti i sensi) d’uomo, che ha parlato di osterie ed eugenetica; che usava efficacemente il paradosso e adorava le fiabe; interlocutore di politici e di intellettuali celebrati, ma che s’inchinava al sacrosanto senso comune dei camerieri e dei barbieri; strenuo difensore del credo cattolico e acuto giornalista di cronache d’ogni tipo. Un uomo, insomma che ha abitato tutte le stanze della vita: da quelle più private e affettive, come la camera da letto e lo studio, a quelle più comunitarie e socievoli, come il salotto e la cucina, senza escludere anche l’attraversamento e la discesa nel buio, della cantina – come anticamera della luce che sempre è promanata dalle molte grotte dell’umanità (Betlemme, una tra tutte).

Insieme a Ubaldo Casotto, Andrea Monda e Edoardo Rialti ci siamo avventurati in questa impresa edilizia, affiancati dalla preziosa collaborazione di Gloria Garafulich Grabois e del Chesterton Institute For Faith & Culture. Si può dire che ognuno di noi si è sentito un arredatore/costruttore oltre che curatore, perché la scelta principale che abbiamo condiviso è stata quella di non fabbricare un puro castello di parole attorno a Chesterton, ma semmai di costruire proprio un castello, cioè di tradurre in esperienza avventurosa, attiva e coinvolgente il percorso dentro lo spazio di questa dimora. E garantiamo solennemente, a nome del proprietario di casa, che egli gradirà molto che il suo castello sia preso d’assalto da curiosi visitatori; Chesterton sarà molto contento di accogliere tutti coloro che saranno pronti a compiere non una semplice e formale «visita di cortesia», ma un vero e proprio atto di effrazione domestica.

Al grido sull’emergenza uomo che il Meeting mette a tema, fa eco Chesterton proclamando che l’uomo per essere ridestato va preso di sorpresa, come efficacemente osserva Edoardo Rialti: «Tutta la vita, e di conseguenza la scrittura, di Chesterton ha avuto come centro infiammato sempre e solo questa domanda: cosa permette all’uomo di non perdere ciò che egli già ama, fuori e dentro di sé, cosa gli permette di non veder sbiadire il “mattino eterno del mondo”? Egli sentiva, avvertiva con tutto se stesso che forse la cosa più preziosa che abbiamo è non smarrire questa segreta, perenne sorgente di gratitudine, gioia, libertà ed umorismo di cui ci sorprendiamo già dotati, un sorriso che ci accompagna dalla nascita, dentro tutte le esperienze più forti». Per questo occorre guardare la propria casa (la propria vita) con gli occhi ardenti del ladro che da fuori sbircia dentro e vede qualcosa di prezioso.

Quei segni di patriottismo

Sul vagone di un treno, durante un lungo viaggio che lo riportava a casa, un giorno Chesterton guardò quel che aveva in tasca e ci trovò, tra le molte cose, innumerevoli biglietti del tram usati e guardandoli con l’occhio acuto dell’immaginazione vide in essi un simbolo eterno che parlava di patria. Sì, fu capace di vedere anche in una sfilza di biglietti obliterati, che portavano impresso il nome del quartiere in cui abitava, una prova di vero patriottismo, perché – a ben vedere – quel viaggio che tutti i giorni ci porta prima a uscire di casa e poi a tornarci (andata e ritorno) è l’impresa gigante e quotidiana di appartenere a qualcuno e qualcosa. Poi, subito, affiancò a questa visione eroica la virtù umile e sagace dell’ironia, constatando che l’unica cosa che non riusciva a trovare in tasca era il biglietto del treno su cui viaggiava. Ecco dunque il nostro invito a casa Chesterton: venire a conoscere un uomo il cui genio poderoso ha cantato la grandezza del compito che ci aspetta come uomini e la cui ironica concretezza ha difeso e lodato anche il modo spesso imperfetto e comico (ma di certo indefesso e baldanzoso) con cui non dobbiamo smettere di adoperarci a compierlo.