Se Renzi consiglia Chesterton all’Europa, noi lo consigliamo anche agli studenti (e alle casalinghe) sotto l’ombrellone, di Annalisa Teggi

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 14 /07 /2014 - 08:04 am | Permalink | Homepage
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Riprendiamo dal sito della rivista Tempi un articolo di Annalisa Teggi pubblicato l’8/7/2014. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.

Il Centro culturale Gli scritti (14/7/2014)

E quando i freddi pedanti ci fecero osservare, quali freddi eventi meccanici dovessero accadere, dal buio le nostre anime dissero: «può darsi, ma vi sono cose più probabili». (G. K. Chesterton)

Di recente ho letto l’opinione di un critico letterario che si lamentava delle solite letture estive consigliate dagli insegnanti. La proposta «innovativa» che lui suggeriva era di fare una bella assemblea di fine anno in cui gli studenti propongono ai loro insegnanti e compagni i libri che vorrebbero leggere. Magari è vero che c’è qualcosa da dire sulle letture estive, ma certo non concordo sul fatto che l’insegnante debba abdicare al suo compito di autorevole riferimento e lasciare agli alunni l’autogestione educativa.

Dunque, se dai critici non giungono esaltanti prospettive, accolgo invece con entusiasmo la proposta del premier Matteo Renzi, che cita di nuovo Chesterton e suggerisce una lettura che sì, dovrebbe essere presa in considerazione dai nostri insegnanti. Ma anche dalla casalinga che si porta Novella 2000 sotto l’ombrellone e anche all’impiegato che finalmente si gode un po’ di ferie. Perché Chesterton scrisse sempre pensando all’uomo comune, e non agli eruditi. E se grazie a un rumore mediatico si accende un fascio di luce sul signor Chesterton, io mi ci butto senz’altro a capofitto e ne approfitto a man bassa. Dunque, Matteo Renzi ha dichiarato: «Sull’identità per tenere insieme un popolo consegnerò all’Europa un libretto di Chesterton, Il Napoleone di Notting Hill, se non mi buttano fuori prima. Racconta la storia di un sindaco pazzo – tema sul quale sono sensibile – che si batte per la sua comunità e insegna che anche un luogo insignificante è poetico se riflette l’identità che tiene insieme un popolo».

Il sindaco pazzo si chiama Adam Wayne, nato e cresciuto nel quartiere londinese di Notting Hill. Furbetto, il signor Chesterton. Sì, perché Notting in inglese suona tanto simile a «nothing», niente. La strada di periferia in cui ognuno abita, il quartiere popolare in cui siamo cresciuti è davvero qualcosa di molto simile a niente. Ci sono vicini di casa noiosi o antipatici, edifici tanto simili a lugubri casermoni, strade malandate, oppure c’è anche qualcosa di più carino, ma che è sempre uguale di giorno in giorno.

Niente di nuovo, niente di che. Invece, Adam Wayne si sente proprio come Adamo, in un giardino di delizie, anche se il luogo dove abita non è affatto esaltante. Ma lui poeticamente scrive un profluvio di versi romantici per lodare i tetti grigi delle case attorno a sé e a chi lo deride per questo suo entusiasmo, risponde: «Sono nato, come altri uomini, in un punto di questa terra che ho incominciato ad amare perché, fanciullo, vi ho giocato, perché vi ho amato, perché vi ho trascorso, chiacchierando coni miei amici, notti che erano divine. E ho avuto il sentimento del mistero. Quei giardinetti dove abbiamo confessato i nostri amori, quelle strade per cui abbiamo trasportato i nostri morti, perché dovrebbero essere volgari?».

C’è chi conosce il tramonto in un attico di via Montenapoleone. C’è chi conosce il tramonto stando a Scampia. C’è chi conosce il tramonto vivendo a Budrio (e dov’è?). Cose eterne come la luce del sole, l’affetto, il dolore vengono da noi conosciute dentro l’abbraccio del luogo che ci accoglie, sia esso lussuoso, povero o sconosciuto. Una cosa come il tramonto noi non la conosciamo in astratto, ma per come i colori del cielo si riflettono sulle tegole delle case del nostro quartiere, ecco la lode di Adam Wayne. L’eterno s’incarna nel luogo a cui ciascuno appartiene, non occorre scappare e andarlo a stanare ai confini del mondo. Tutto si manifesta qui, tra le cose che – tremando o applaudendo – tocchiamo con mano.

E dalla lode, necessariamente, nasce la battaglia, cioè il desiderio di amare e difendere quel ritaglio di terra, in cui ciascuno può indubitabilmente dire di aver capito che la propria e altrui presenza è qualcosa necessario, anche nella misteriosa contraddizione che c’è dietro ogni presenza. Piccolo non è invisibile. Notting non è nothing. Qualcosa che c’è non è niente. E una piccola creatura che si scopre capace di un guizzo di affetto eroico è un punto di luce fiammeggiante. 

L’uomo non è una presenza indifferente, è una presenza operativa perché si scopre capace di amare e morire per «qualcosa»: la fede radicale che Chesterton conquistò affondando mani e ragione nell’indagine del creato si aggrappa fortemente a questa evidenza. E per renderla clamorosa, egli la fece detonare in modo paradossale nella voce di Adam Wayne.

Di fronte all’ipotesi intellettualmente più provocatoria di chi suppone che, in fondo, nel mondo non sarebbe cambiato nulla se Notting Hill non fosse esistito (cioè: il mondo non sarebbe diverso senza di te, piccolo insignificante uomo-donna-bambino), Adam risponde: «Non c’è mai stata al mondo una cosa uguale in tutto e per tutto a Notting Hill. Sino al giorno del Giudizio, non vi sarà mai nulla che gli si possa paragonare in tutto e per tutto. Io non posso credere altro che questo: che Dio l’ha amato come ama certamente ogni cosa che è se stessa e non può venir sostituita. Ma neppure di questo mi curo: anche se Dio, armato delle sue folgori l’avesse odiato, io l’amerei».

Il paradosso cristallino a cui Chesterton ci accompagna è questo: anche nel peggiore dei mondi possibili, in un universo retto da un Dio cattivo, io – creatura umana – sarei capace di amare qualcosa (una donna, un amico, una casa). Com’è possibile? E di conseguenza: può esistere un universo in cui il Creatore è indifferente, o caotico, o cattivo e contemporaneamente una sua creatura capace di affezionarsi a qualcosa? Chi vuole liquidare tutto ciò come sentimentale ottimismo, è solo un teorico che non conosce lo studente innamorato, la parsimoniosa casalinga sotto l’ombrellone e il buonumore dell’impiegato in ferie. Il dato più realistico sull’umanità è quello che osa dire che l’uomo è un accalorato romantico e non un freddo analista.

«Solo il divino è totale nel sorso e nella briciola» – scrisse Montale e Chesterton avrebbe brindato a questo verso meraviglioso: nei sorsi d’acqua che i bambini si precipitano a bere alla fontana del parco, nelle briciole di pane che il piccione vorace viene a beccare, per le vie affollate di gente indaffarata traluce l’ipotesi amabile che mosse il divino all’opera. E non traluce affatto nella voce di chi s’inchina a mere teorie sociologiche, psicologiche, demoscopiche, ma per fortuna da tempo immemorabile gli uomini semplici, peccatori e socievoli come noi praticano un gioco divertente e sano che si chiama «smentire il profeta».

Il lettore che voglia trascorrere un’estate in compagnia del Napoleone di Notting Hill, si divertirà cominciando ad apprendere fin dalle prime pagine proprio le regole di questo gioco, e scoprirà di essere un vero protagonista politico del proprio tempo… a dispetto dei dibattiti da salotto televisivo: «I giocatori ascoltano con molta attenzione e molto rispetto tutto ciò che i saggi hanno da dire sull’avvenire della prossima generazione; poi aspettano che i saggi siano morti, li seppelliscono con cure premurose; poi, fanno il contrario di ciò che gl’indovini avevano previsto».

P.S.: voi, cari studenti, leggendolo ci troverete dei re, delle entusiasmanti battaglie e degli eroi. Tutte cose di cui si sente un po’ la mancanza nella letteratura in circolazione.