Contro una prospettiva assistenzialista della questione “migranti” e a favore di un’integrazione lavorativa e culturale. Quanti migranti vengono rimpatriati, quanti trovano lavoro, quanti vivono di stenti? La questione che gli “intellettuali” non sollevano mai e che, invece, invita ad uscire dai falsi moralismi di chi è pro e di chi è contro, per aprire quella del vero intervento a beneficio dei migranti. Breve nota di Giovanni Amico

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 28 /08 /2017 - 13:44 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo sul nostro sito una breve nota di Giovanni Amico. Per approfondimenti, cfr. la sezione Immigrazione, accoglienza, integrazione.

Il Centro culturale Gli scritti (28/8/2017)

Nel 2015 sono sbarcato sulle coste italiane fra le 149.000 e le 150.000 persone. Caricate dai trafficanti sulle loro “imbarcazioni”, sono state salvate dal mare in massima parte dai soldati italiani (nelle sue diverse armi, dalla Marina, ai Carabinieri, alla Guardia di Costiera, ecc.), con l’aiuto aggiuntivo di qualche imbarcazione delle ONG.

Sempre nel 2015 hanno fatto richiesta di protezione 85.000 persone. Circa 65.000 dei 149.000 sbarcati - sempre nel 2015 - non hanno fatto tale richiesta.

Nello stesso 2015 sono state accolte in Italia le richieste di protezione di 8.500 persone sbarcate (nella triplice modalità prevista, con lo status di rifugiato, o con la protezione sussidiaria, o con la protezione umanitaria). Costoro sono stati accolti nello SPRAR, anche se con modalità diverse a secondo del tipo di protezione riconosciuta.

N.B. PRIMA DI PROSEGUIRE Non è del tutto agevole avere dati congrui poiché essi sono, per forza di cose, non facilmente sovrapponibili a motivo della differenza cronologica (una cosa è l’anno di sbarco, una cosa è l’anno in cui termina il procedimento di richiesta di protezione) e servirebbe un indagine di cosa accade ad una generazione di migranti negli anni successivi al loro arrivo: la nostra breve nota intende spingere le ricerche in questa prospettiva. Infatti le 8.500 richieste non sono di per sé relative alle persone sbarcate nell’anno 2015, bensì riguardano gli sbarchi del 2013 e 2014, perché la procedura di richiesta, sia che l’esito sia positivo sia che sia negativo, ha tempi molto lunghi. Le linee di fondo sono comunque chiarissime: è evidente la percentuale molto piccola delle richieste accolte che, secondo taluni studi, sarebbe ulteriormente diminuita nel 2016.

PROSEGUIAMO

Nello stesso 2015 sono stati effettuati rimpatri di circa 15.000 persone (anche qui bisogna considerare che alcuni rimpatri riguardano persone non sbarcate via mare, ma la maggioranza di tale rimpatri è relativa a coloro che sono stati recuperati in mare dai nostri soldati).

Se si sommano le 8.500 persone che sono state “protette” e le 15.000 che sono state rimpatriate, si ha un totale, per il 2015, di 23.500 persone per le quali si ha avuto un esito “certificato” dell’attraversamento del deserto e poi del mare.

Si noti già l’assurdo: coloro che, dopo aver attraversato deserto e mare, vengono ritrasportati indietro sono stati nel 2015 più di coloro che vengono “protetti”, almeno a partire dalla prassi attualmente vigente.

Se si sottraggono, poi, ai 149.000 sbarcati i 23.500 il cui percorso ha avuto comunque un esito definito, restano ben 125.500 persone (N.B. da non dimenticare: sono cifre approssimative, ma non troppo, e riguardano anni vicinissimi, ma differenti) .

Queste 125.500 persone sono quelle che sono sbarcate e che non hanno trovato prospettive dopo il loro viaggio per deserto e per mare.

Anzi, se si assommano questi 125.500 ai 15.000 rimpatriati per l’anno 2015, il numero di quelli che non hanno trovato ciò che cercavano assomma a 140.500.

140.500 sono stati aiutati solo a sbarcare e poi, dopo un anno sono stati lasciati a se stessi o rimpatriati. 8.500 inseriti nello SPRAR, un anno circa dopo la richiesta di protezione.

Se si approfondisce ulteriormente la questione ci si accorge – qui il dato rinvenuto è purtroppo ancora più indietro nel tempo, risale al 2012, ma abbiamo scelto di attenerci solo ai dati certi – che del totale di coloro che hanno ricevuto protezione nello SPRAR il 38% viene ritenuto integrato, il 29% ha terminato il programma e non si è integrato (non ha cioè trovato lavoro, né alloggio ed ha iniziato a vivere di lavoro nero o stenti al di fuori del programma), il 28% ha abbandonato lo SPRAR prima del termine prefissato (iniziando quindi a vivere di lavoro nero o di stenti). L’1%, infine, ha chiesto di essere rimpatriato.

Non si deve dimenticare che lo SPRAR, comunque, ha una durata di 6 mesi, rinnovabili al massimo di altri 6 mesi, o di 9 mesi per le famiglie, in casi eccezionali di bisogno o pericolo.  

La questione decisiva che va affrontata se si vuole veramente aiutare, ben al di là del moralismo dei pro o dei contro, è quella del lavoro

Dai dati emerge chiaramente che la situazione, così come si presenta allo stato attuale, è fallimentare. C’è un certo interesse per il salvataggio in mare, ma quasi nessuna prospettiva messa in atto dallo Stato per il medio periodo. La situazione viene affrontata a tutt’oggi come un’emergenza con attenzione al primo periodo di un anno, ma non esiste ancora una visuale progettuale. 

Ora qual è il punto? Che chi giunge in Italia non cerca elemosina, bensì lavoro. Non vuole vivere di elargizioni, bensì trovare un lavoro con il quale pagarsi una casa. Ha bisogno di un posto di lavoro ad almeno 1.000/1.200 euro al mese che gli permetta di vivere in autonomia.

Piuttosto che schierarci tra pro e contro l’accoglienza, piuttosto che schierarci tra coloro che temono che scoppierà una guerra civile se non li accogliamo e coloro che temono che scoppierà una guerra civile se li accogliamo, servono imprenditori.

Serve gente capace di creare nuove aziende nelle quali accogliere dipendenti. Qualcuno ha qualche consiglio in merito? Perché è questo ci stanno chiedendo, non elemosina.

Cercano lavoro. Lo ripeto: cercano lavoro!!! Le persone che occupano abusivamente immobili, li occupano perché non hanno un lavoro per pagarsi un affitto regolare (e anche perché non hanno i documenti necessari). Non sono anziani o gente incapace a fare alcunché! La maggior parte di loro sono giovani fra i 18 e i 25 anni che non chiedono assistenzialismo, bensì di essere adulti e lavorare. Non chiedono di essere trattati come dei bambini da accudire e da coccolare, bensì come gente che si dà da fare con il proprio lavoro per servire la società.

Il problema vero non è mai la casa, ma il lavoro retribuito che permette di avere poi una casa.  

Le nostre leggi sono favorevoli a chi vuole creare lavoro? O sono troppo macchinose e penalizzanti per cui è, di fatto, reso molto difficile aprire nuove aziende a italiani e stranieri? Come deve essere modificata la legislazione per permettere a stranieri clandestini di essere assunti non in nero? O meglio: quale tipo di legislazione può far sì che chi lavori in regola con il nostro sistema lavorativo non sia più clandestino?

I numerosissimi episodi di alloggio abusivio vanno affrontati con umanità, ma sono solo la punta dell’iceberg di un sistema di accoglienza che non ha un progetto per integrare i migranti, bensì si limita a farli sbarcare e a dar loro vitto e alloggio per un anno , più o meno, per poi “sbarcarli” nuovamente in strada (non parlo ovviamente degli 8.500 che con grande merito dell’Italia vengono nello SPRAR, ma degli altri 140.500).

Per favore, basta giocare a Guardie e ladri, a Buoni e cattivi, a Pro sì e Pro no. Non siamo bambini, i problemi sono seri, questa gente cerca lavoro, non elemosina: servono 140.500 posti di lavoro e, conseguentemente, una legislazione che aiuti a creare nuovi posti di lavoro.

Anche le reazioni dinanzi all’importante messaggio di papa Francesco per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato 2018 sono state tutte improntate sui primi 2 dei 4 verbi indicati dal papa, cioè “accogliere” e “proteggere”, ma quasi nessuna al terzo e al quarto verbo “promuovere” e “integrare”.

I dibattiti si sono accesi sul salvataggio in mare delle persone appena imbarcate dai trafficanti, ma hanno mancato totalmente di prospettiva, perché non hanno nemmeno aperto i capitoli successivi sull’integrazione lavorativa, abitativa e culturale che il Santo Padre ha invece posto nel suo messaggio come temi decisivi al pari degli altri due.

Anche nella lettura da parte dei media dell’intervento pontificio quello che è sembrata mancare soprattutto è stata l’incapacità di recepirne l’intera prospettiva, per soffermarsi solo su ciò che è immediatamente spendibile in chiave di scoop, piuttosto che la comprensione di singole frasi.

Il Papa ed il suo dicastero per il Servizio dello Sviluppo Integrale, ed in particolare la sezione sui migranti da lui stesso al momento presieduta, ha voluto, invece, lanciare un Messaggio che aprisse la via ad un’integrazione lavorativa e non solo alla “migrazione”, poiché la Chiesa, nella sua esperienza, sa bene quale differenza esista tra una prospettiva” assistenzialista” nella quale tu vivi della mia elemosina restando un “minus habens” a vita, e, invece, una prospettiva di “promozione” e “integrazione”, nella quale tu sei messo in grado di vivere autonomamente, perché vengono riconosciute le tue capacità lavorative e culturali. La critica all’azione passata di alcune organizzazione ecclesiali e non è stata spesso proprio quella di essere assistenzialista e non preoccupata di promuovere una vera autonomia dei soggetti. Forse abbiamo dimenticato la lezione. 

Per una riflessione che apre una diversa prospettiva, proprio a partire dalla questione decisiva del “lavoro”, si veda su questo stesso sito: Migranti dall’Africa: qualche idea per cambiare rotta, di Martino Ghielmi.