Il vero nesso che è nuovamente da istituire non è quello fra Cresima ed Eucarestia, bensì quello fra Battesimo ed Eucarestia!, di Andrea Lonardo

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 02 /06 /2019 - 15:24 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo sul nostro sito un articolo di Andrea Lonardo. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Catechesi.

Il Centro culturale Gli scritti (2/6/2019)

1/ Premessa

Nei convegni – sia quelli ufficiali, sia quelli di teologi, pastoralisti, catecheti e liturgisti – la questione che catalizza tutta l’attenzione, generando ogni volta di nuovo discussioni e aperte polemiche è quella del rapporto fra Cresima ed Eucarestia.

Il conflitto ormai “abitudinario” vede collocati da un lato coloro che intendono far precedere la Confermazione all’Eucarestia secondo l’ordine antico, abbassando l’età della Cresima e conferendola nella stessa liturgia della “prima Comunione” e, dall’altro, coloro che lavorano a rivitalizzare l’età della preadolescenza e dell’adolescenza, mantenendo aperta la prospettiva di un’educazione delle nuove generazioni che non si interrompa alla V elementare o alla I media (le sperimentazioni rivelano che, dove si è attuata la prima ipotesi, non solo i ragazzi non proseguono il cammino “dopo la Cresima e la prima Comunione”, ma, poiché la Cresima è già stata ricevuta insieme all’Eucarestia,  i bambini/ragazzi abbandonano la comunità cristiana già a 10/11 anni[1]).

2/ Il problema (e la meraviglia) del Battesimo che mette tutto in riga!

Cosa resta in ombra quando la discussione è assorbita dal rapporto fra Cresima ed Eucarestia? Resta in ombra il Battesimo! Il punto debole della ossessiva discussione sull’ordine della “cresima” è la dimenticanza della centralità del Battesimo.

Se si guarda alla prassi antica, è evidente che la questione decisiva non era quella dell’“ordine” della Cresima, bensì era centrale il fatto che, non appena si è battezzati, si è già rivolti all’eucarestia.

La stessa liturgia del Battesimo dei bambini dovrebbe avvenire – secondo le indicazioni del rituale post-conciliare[2]di domenica, per sottolineare che il Battesimo è già “eucaristico”: deve “risaltare chiaramente il nesso fra il Battesimo e l’Eucarestia”.

Lo stesso movimento processionale del Rito del Battesimo prevede che si inizi alla porta della chiesa, si celebri il battesimo stesso al fonte e si termini all’altare, perché il Battesimo introduce all’eucarestia[3].

Con queste modalità rituali la liturgia battesimale post-conciliare intende proporre che immediatamente, già dalla domenica successiva al battesimo, la famiglia che ha battezzato il proprio figlio partecipi all’eucarestia domenicale portando sulle proprie braccia i bambini, sebbene ancora incoscienti.

È commovente, da questo punto di vista, il fatto che gli ortodossi, che conservano qui la tradizione più antica, abbiano l’abitudine di far fare, anche se saltuariamente, la comunione ai bambini già neonati, dopo il Battesimo, a 1, 2, 3, 4, anni, ecc., almeno in alcune domeniche l’anno: ovviamente i bimbi la ricevono con un cucchiaino con il sangue di Cristo e una briciola di pane eucaristico, poiché non possono ancora masticare. Per questo, in ogni liturgia ortodossa domenicale, si vedono sempre dei padri che si accostano al sacerdote con il bambino in braccio per fargli ricevere l’eucarestia.

Ricevere l’Eucarestia è così un elemento “rituale” dell’educazione dei figli bambini. È così evidente che è la partecipazione stessa alla liturgia che educa i bambini alla fede, anche quando i bambini sono ancora incapaci di parlare e poi quando iniziano ad andare a scuola.

La prassi antica non invita, quindi, a posticipare in età sempre più avanzata la partecipazione all’eucarestia, quanto a mostrare fin da subito il legame fra Battesimo ed Eucarestia[4].

Nella catechesi battesimale si dovrebbe insistere, allora, sul fatto che il bambino crescerà nella fede partecipando alla celebrazione domenicale sulle braccia dei genitori, anche oggi che la Chiesa ritiene opportuno rimandare la “manducazione” della comunione fino alla “prima Comunione”. Il figlio apprende la fede dalla celebrazione domenicale e dall’anno liturgico e ciò ben prima di formalizzare con domande la fede o di aderirvi con una riflessione catechetica sul Credo.

Dove, invece, si dimenticasse questo, si privilegerebbe a torto la dottrina a discapito dell’esperienza di fede che matura nel celebrare tutti insieme, domenica dopo domenica, nell’unica assemblea eucaristica.

3/ La questione della fede personale dei genitori in relazione alla fede della Chiesa nella quale vengono battezzati i bambini

Una delle questioni che deve essere chiarificata è quella della fede dei genitori che presentano i loro bambini per il Battesimo.

Nella Chiesa antica non era prassi ciò che alcuni ritengono debba essere oggi l’atteggiamento corretto da adottare e cioè che i genitori avessero già una fede matura al momento della richiesta del Battesimo dei figli. Ad esempio Sant'Agostino, riferendosi alla prassi battesimale, scriveva: «I bambini sono presentati per ricevere la grazia spirituale, non tanto da coloro che li portano sulle braccia (benché anche da essi, se sono buoni fedeli), quanto dalla società universale dei santi e dei fedeli. È tutta la madre chiesa dei santi che agisce, poiché essa tutta intera genera tutti e ciascuno»[5].

Oggi è evidente che ai genitori non si può richiedere tout court una fede matura – e forse nemmeno possono averla, dato il contesto culturale in cui viviamo – come condizione previa per battezzare i bambini: se si intendesse far prima maturare la fede dei genitori, previamente al Battesimo dei figli, si dovrebbe rinnegare il principio antichissimo che è bene battezzare i bambini perché essi hanno bisogno della grazia[6]. La Chiesa antica sapeva di dover essere lei stessa “madre” per integrare la fede delle famiglie che era debole anche allora, come dimostrano le defezioni al momento delle persecuzioni di tanti battezzati e la questione dei lapsi.

Andrebbe considerato anche il fatto che la liturgia è essa stessa annuncio e catechesi, come ha splendidamente mostrato il grande liturgista Louis-Marie Chauvet, raccontando della sua esperienza: a suo avviso le famiglie ricevevano molto più dal Rito del Battesimo stesso che dalle catechesi pre e post-battesimali (cfr. Battesimo dei bambini e fede dei genitori, di Louis-Marie Chauvet).

Andrebbe ulteriormente considerato il fatto che, negli ultimi decenni, si è troppo insistito sul fatto che sono necessari genitori maturi anche umanamente, perché il bambino apprenderebbe la paternità di Dio a partire dalla paternità del padre fisico, con un’eccessiva precedenza data allo psicologico sullo spirituale.

Sofia Cavalletti ha giustamente replicato a tali atteggiamenti psicologistici facendo riflettere sul fatto che, se così fosse, allora chi ha genitori non maturi sarebbe irrevocabilmente interdetto da un accesso positivo alla fede. La sua esperienza la portò a ritenere che dove i genitori sono immaturi, il bambino ha ancor più bisogno dell’annunzio di un Padre celeste, a partire dal quale può riconciliarsi con l’esperienza concreta e fallimentare del padre terrestre che si è dovuta subire.

Il bambino, invece, ha un’apertura spirituale incredibile ed è un vero “metafisico” – come affermava la Cavaletti - per cui non solo è capace, ma anzi ha bisogno fin da piccolissimo dell’annuncio di un Padre celeste che lo sostiene, di un Padre che è più grande dei suoi genitori (e, infatti, prega Dio, fin da piccolissimo, per i suoi genitori).

Qjueste le considerazioni della Cavalletti: «A me pare che fare dell'amore dei genitori o comunque di chi è più vicino al bambino il canale necessario dell'amore di Dio è estremamente limitante; si limita l'amore di Dio alla dimensione umana, lo si considera secondario rispetto alle condizioni in cui il bambino vive. Ma a me sembra - parlando sempre in base a quello che ho potuto osservare - che l'amore di Dio sia primario nell'esperienza umana del bambino piccolo. Certo è bello poter dire ad un bambino: "Papà e mamma ti vogliono bene"; però si tratta sempre di un amore umano e quindi limitato. E quando questo non succede? Un bambino rifiutato dai genitori è forse una creatura perduta per Dio?
No, Dio prende le sue creature anche al di fuori dell'amore umano: l'ho visto in tanti bambini non accettati in famiglia che invece all'annuncio del Pastore che "li chiama per nome" si aprivano ad un immenso godimento. Dunque bisogna distinguere fra esperienza ed esigenza: l'esperienza è qualche cosa che si è vissuto, può essere una cosa che ha dato un approccio positivo alla vita o negativo, comunque è dipendente dall'esperienza: deve succedere un fatto perché io abbia l'esperienza. L'esigenza, a mio avviso, è ciò che sta più profondamente nella persona umana e che non dipende da questa o da quella esperienza: è una potenzialità che chiede di essere appagata. Questa è l'esigenza, che quindi prescinde dall'esperienza. Con l'esperienza siamo al livello di fatti, potrei dire di storia, qualcosa quindi che cambia da persona a persona; con l'esigenza stiamo alle radici stesse della vita. In ogni essere umano c'è l'esigenza di relazione, cioè di trovare qualcuno che mi cerca - per parlare con le parole della parabola del buon Pastore: che mi "chiama per nome" - e a cui posso rispondere. L'esigenza è come una fame che cerca il cibo necessario, una fame che può fare l'esperienza di trovare il suo appagamento, ma può anche non trovarlo, e resta viva anche non trovandolo. Il fatto religioso si pone al livello di esigenza vitale e quindi a un livello più profondo dell'esperienza. La catechesi, molto diffusa oggi, che vuole partire dall'esperienza, si situa a un livello abbastanza superficiale»[7].

Note al testo

[1] Cfr. su questo [Bilancio di una stagione di sperimentazioni sull’Iniziazione cristiana], da Narrare la fede ai genitori, di Enzo Biemmi (con alcuni commenti a margine de Gli scritti).

[2] Così recitano le “rubriche”: «9. Per meglio porre in luce il carattere pasquale del Bat­tesimo, si raccomanda di celebrarlo durante la Veglia pa­squale o in domenica, giorno in cui la Chiesa commemora la risurrezione del Signore.
In domenica, il Battesimo può essere celebrato anche durante la Messa, affinché tutta la comunità possa partecipare al rito, e risalti chiaramente il nesso fra il Battesimo e l'Eucaristia. Non lo si faccia però troppo di frequente.
Le norme per la celebrazione del Battesimo nella Veglia pasquale o nella Messa domenicale sono indicate più avanti (nn. 165-168 e 169-172)».

[3] Così recitano le “rubriche”: «19. Infine si va all'altare, per indicare la futura partecipazione all'Eucaristia, e dopo una monizione del celebrante, si dice la preghiera del Signore (Padre nostro), con la quale i figli invocano il Padre che sta nei cieli.
Poi il celebrante benedice le mamme, i papà e i presenti, perché su tutti si effonda la grazia del Signore».

[4] La precedenza dell’Eucarestia è evidente anche nella prassi catecumenale antica, come abbiamo mostrato altrove; cfr. Aquileia, la sua basilica e la Südhalle: il fraintendimento del catecumenato antico negli studi sul più antico complesso basilicale ancora esistente, di Andrea Lonardo.

[5] Sant’Agostino, Epist. 98, 5: PL 33, 362; cfr. Sermo 176, II, 2: PL 38, 950.

[6] Questo andrebbe in conflitto, fra l’altro, con la visione di Chiesa e con la prassi pastorale vissuta in prima persona da papa Francesco e poi da lui proposta, perché i sacramenti siano medicina e non premio. Così in EG 47, dove l’attenzione si rivolge all’ammissione al Battesimo ben prima e più che all’Eucarestia:  «La Chiesa è chiamata ad essere sempre la casa aperta del Padre. Uno dei segni concreti di questa apertura è avere dappertutto chiese con le porte aperte. Così che, se qualcuno vuole seguire un mozione dello Spirito e si avvicina cercando Dio, non si incontrerà con la freddezza di una porta chiusa. Ma ci sono altre porte che neppure si devono chiudere. Tutti possono partecipare in qualche modo alla vita ecclesiale, tutti possono far parte della comunità, e nemmeno le porte dei Sacramenti si dovrebbero chiudere per una ragione qualsiasi. Questo vale soprattutto quando si tratta di quel sacramento che è “la porta”, il Battesimo. L’Eucaristia, sebbene costituisca la pienezza della vita sacramentale, non è un premio per i perfetti ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli. Queste convinzioni hanno anche conseguenze pastorali che siamo chiamati a considerare con prudenza e audacia. Di frequente ci comportiamo come controllori della grazia e non come facilitatori. Ma la Chiesa non è una dogana, è la casa paterna dove c’è posto per ciascuno con la sua vita faticosa». Cfr. su questo anche Un cristianesimo “popolare”. La chiara proposta di papa Francesco alla Chiesa italiana. Breve nota di Andrea Lonardo.

[7] Da S. Cavalletti, Come pesci nell’acqua di Dio: la potenzialità e l'esigenza religiosa del bambino. La catechesi del “buon pastore” di Sofia Cavalletti.