L’enciclica Caritas in veritate: per una teologia della globalizzazione, di Savino Pezzotta

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 01 /08 /2009 - 23:01 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo dal web un articolo scritto da Savino Pezzotta, per Liberal del 9 luglio 2009, per presentare l’enciclica di Benedetto XVI Caritas in veritate. IL titolo originario dell’articolo è “Teologia della globalizzazione”. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Per ulteriori approfondimenti sulla Caritas in veritate di Benedetto XVI, vedi su questo stesso sito:

Sul principio di sussidiarietà, vedi, su questo stesso sito:

Per il testo integrale dell’enciclica Caritas in veritate, vedi, sul sito della Santa Sede:

Il Centro culturale Gli scritti 1/8/2009

In queste ore sono molti coloro che saranno tentati di fare il "bigino" della Caritas in veritate e di riassumerla in pochi concetti per poterla utilizzare nella contingenza politica e sociale del momento. La prima cosa da fare, di fronte a un documento complesso come questo, è quella di diffidare di tali glossatori che finiranno per tradire e svuotare lo spirito e la profondità della tanto attesa enciclica sociale.

Fin dai primi commenti è chiaro che questa enciclica non susciterà le emozioni che a suo tempo provocò la Rerum Novarum e di cui ci fa menzione G. Bernanos nel Diario di un curato di campagna, quando fa dire al curato di Torcy: «La famosa enciclica di Leone XIII, voi la leggete tranquillamente, coll'orlo delle ciglia, come una qualunque pastorale di quaresima. Alla sua epoca, piccolo mio, ci è parso di sentirci tremare la terra sotto i piedi».

È molto indicativo che sia così perché ciò evidenzia che la Chiesa sta nei temi della modernità e può affrontare i temi economici e politici con grande libertà. Se non fossimo soffocati dal politicamente corretto che tutto assume, omogeneizza e stempera, certamente ci accorgeremmo che sono posti molti motivi d'inquietudine. Ma ormai siamo abituati a "digerire" tutto. La società degli omogeneizzati non tollera i sapori distinti e quando questi appaiono c'è sempre un edulcorante a portata di mano.

Dopo una prima visione a caldo del testo mi sono reso conto che esso va ruminato e lasciato sedimentare nella mente e soprattutto nel cuore perché apre molte piste. Pur nella continuità, abbiamo di fronte un nuovo punto di riferimento per il pensiero cattolico sulle questioni sociali, economiche e sulla missione dell'uomo nella realtà attuale che credo potrà interrogare e stimolare anche i non cristiani: quegli uomini di buona volontà cui è rivolto.

È proprio per evitare di finire nella melassa interpretativa e laudatoria del momento che abbiamo il dovere d'individuare qualche chiave di lettura. La prima attenzione è rispetto all'introduzione in cui, con molta chiarezza, è definito un nesso, una relazione, tra la dimensione della carità e la verità. La dottrina sociale della Chiesa trae il suo fondamento dalla carità, intesa come principio di relazione personale con Dio e il prossimo.

Ma il Papa ci ricorda che essa vive nella verità e che questa dimensione la distingue da ogni altra filantropia. Si tratta di una chiara risposta a quanti vorrebbero racchiudere l'impegno dei cristiani solo nell'attenzione alle problematiche sociali, agli ultimi e ai poveri. L'attenzione, la cura e l'immedesimazione con il prossimo e i suoi problemi, è connaturale alla vita cristiana, ma rischia di immiserirsi se non collocata nella testimonianza della verità dell'annuncio.

Credo che l'introduzione sia la vera griglia di lettura di questo documento complesso e molto articolato. Il testo sembra proporre una Weltanschauung nell'ottica di Romano Guardini, ossia la visione che si ha rispetto alla totalità della realtà concreta dei problemi e delle situazioni del nostro tempo.

Siamo veramente di fronte a uno sguardo d'insieme sul mondo e sui problemi che l'uomo e la dimensione dell'umano devono affrontare. Per cercare di addentrarci, per cogliere e assumere questo sguardo d'insieme sul mondo e l'uomo, è bene richiamare alcune parole chiave dell'enciclica. Sono quelle parole che abbiamo imparato a conoscere attraverso il messaggio della Populorum Progressio di Paolo VI cui Benedetto XVI fa esplicito riferimento.

SVILUPPO

Il termine è quanto mai abusato e ha assunto una connotazione esclusivamente economicistica, diventando quasi sinonimo di crescita e di accumulazione. L'enciclica cerca di riportarlo a una dimensione più umanistica, più centrata sulla dimensione integrale della persona e pertanto sulla vocazione intesa come risposta all'assunzione di responsabilità da parte di tutti.

In questo contesto le visioni utopiche e ideologiche contrastano con una chiara idea di sviluppo e tra le moderne ideologie negative va sicuramente collocata quella tecno-economicistica che pretende di dominare ogni progresso. Come ogni altra condizione il progresso tecnico deve essere posto a servizio dell'umano e della dimensione dignitaria di ogni persona.

Non è un caso che sia perciò proposto un collegamento tra etica della vita ed etica sociale. Lo sviluppo esige comunque che sia garantita la libertà responsabile della persona, poiché nessun organismo o istituzione può garantirlo negando o ponendosi al di sopra della libertà. Pertanto le situazioni di sottosviluppo non dipendono dal caso ma dall'esercizio della libertà responsabile.

Ma come perseguire lo sviluppo per far uscire i popoli dalla fame, dalla miseria, dalle malattie endemiche e dall'analfabetismo? Sono temi che in questi ultimi anni, a seguito della crisi economica, si sono posti con nuova e maggiore virulenza. Il giudizio su com'è stata gestita l'ultima fase economica è molto critico, ma nello stesso tempo è salvaguardata la dimensione del mercato chiedendo che la crisi diventi occasione di discernimento e di nuova progettualità.

Per questo serve uno sguardo attento sul mondo per coglierne la complessità e la policentricità. I tempi corti dei risultati immediati su cui si è concentrata la finanza e l'economia hanno mostrato i loro limiti e, anziché promuovere sviluppo, hanno generato nuovi fallimenti con effetti pesanti e disastrosi su milioni di persone e su tante famiglie dei paesi ricchi e di quelli poveri. Una visione miope che ha condizionato la politica (che ha lasciato fare) e ha inciso sull'azione sindacale (che non sempre ha colto i processi).

Di fatto si sono indebolite le relazioni umane, è diminuita la fiducia e si sono lasciate crescere le disparità. Da qui l'esigenza di nuove regole e di una capacità d'intervento dello Stato che, nel rispetto della libertà individuale, del principio di sussidiarietà, definisca elementi di tutela e promozione della persona e dei popoli.

FRATERNITÀ

La seconda parola è fraternità. Un termine che ai più appare come arcaico e fuori luogo ma che deve essere ripreso con chiarezza. L'enciclica pone il tema del dono e della gratuità e afferma che l'essere umano è fatto per questo. La nostra società ha obliato e banalizzato la dimensione del gratuito e del dono più di ogni altra cosa: oggi si fanno i "regalini".

Tutto quello che si fa, sembra debba dare un guadagno e questa mentalità è penetrata in tutti gli interstizi della vita e anche in modo forte nella politica. La domanda fondamentale che ci si fa è "quanto mi conviene, cosa mi rende". Un modo di essere che affonda le sue radici nell'autosufficienza e nell'individualismo egoistico, ma è soprattutto in campo economico che questa propensione si è fatta largo quando si è pensato e teorizzato che l'autonomia dell'economia non dovesse accettare influenze di carattere morale.

Abbiamo sotto gli occhi quanto sia stato nefasto questo modo di pensare: alla fine ha ucciso la speranza. Recuperare la fraternità significa assumere la dimensione del "I care": mi sta a cuore la persona, la sua dignità, anche quando agisco nel mercato. Il mercato, dice il Papa, si regge sulla fiducia, sull'incontro, sul contratto, ovvero sulla reciprocità. Quando questa relazione s'incrina qualcuno può anche arricchirsi o guadagnare, ma alla fine a soffrirne è tutto il corpo sociale.

Da qui la necessità di un costante orientamento verso il bene comune non come somma dei beni particolari o l'intreccio dei corporativismi, ma come bene per costruire la vita buona di tutte le persone che abitano la terra. Nel fondare l'idea della giustizia sociale c'è una stretta relazione tra bene comune, fraternità e uguaglianza. Il carattere morale dell'agire economico assume rilievo se il principio di gratuità e la logica del dono diventano elementi di orientamento, capaci di produrre leggi giuste e forme di ridistribuzione.

In questo contesto anche i modi di intendere l'impresa vanno cambiati e ricondotti alla responsabilità sociale, a forme di partecipazione di tutti i soggetti dall'impresa, ad assumere l'imprenditorialità e l'intraprendere in modo plurivalente e soprattutto umano. In questa prospettiva il ruolo della politica è importante tanto quanto quello della società civile. Le due cose devono camminare insieme anche perché nei sistemi democratici sono sempre strettamente collegate. In questa dimensione di fraternità larga l'obiettivo è favorire un orientamento personalista e comunitario in ogni campo e a ogni livello territoriale, nazionale e planetario.

DIRITTI E DOVERI

Oggi le persone tendono a coltivare una logica dei diritti individuali senza preoccuparsi dei doveri che ognuno ha verso l'altro, la comunità locale e nazionale in cui vive, l'ambiente, il lavoro. C'è un'esasperazione della logica dei diritti e questo fa nascere una serie di problematiche sul terreno sociale e relazionale.

La coniugazione dei diritti con i doveri diventa una necessità soprattutto di fronte al problema demografico, al concepimento, alla nascita e alla morte, alla tutela e promozione della famiglia, alla fame e alla povertà. È chiaro che rispondere alle esigenze morali più profonde delle persone e del loro vivere con altri ha ricadute benefiche sul piano economico.

Non è un caso che proprio in questa situazione di turbamento economico siamo tornati a parlare di etica. Credo che dopo l'euforia si senta la mancanza di qualcosa che dia senso al fare, all'agire e questo non può prescindere da una dimensione morale.

COOPERAZIONE

Se mettiamo in fila le parole che abbiamo usato: sviluppo, fraternità, diritti/ doveri, non si può non pervenire alla parola cooperazione. Il termine riguarda le modalità delle relazioni interpersonali, le forme del lavoro, il fare impresa e la nuova governance mondiale. Acquista rilievo il tema della cooperazione internazionale.

L'enciclica non condanna la globalizzazione. Prende atto della sua esistenza e invita a starci con valori, proposte e capacità di governo dei fenomeni che l'accompagnano. Proprio per questo sollecita gli organismi internazionali a ripensarsi e interrogarsi sull'efficacia della loro azione.

Si propone una più equa distribuzione delle ricchezze materiali e immateriali, la salvaguardia della dignità del lavoro e la ricerca della sua stabilità, con un richiamo alle organizzazioni sindacali ad aprirsi alle nuove possibilità e ai nuovi problemi. Ma si chiedono anche nuove strutture e modalità di funzionamento della finanza.

Il discorso sul credito è molto interessante: è valorizzata la cooperazione, la microfinanza e tutte quelle forme che aiutano le persone a superare le difficoltà. La consapevolezza della crescita dell'interdipendenza mondiale spinge l'enciclica a proporre una riforma dell'Onu e dell'architettura economica e finanziaria internazionale. In pratica auspica il formarsi di una vera e propria Autorità politica mondiale.

GLOBALIZZAZIONE

Così come la Rerum Novarum fu l'enciclica della questione operaia, semplificando molto potremmo definire questa enciclica quella della globalizzazione, non solo perché affronta le questioni sociali, economiche, tecnologiche e politiche, ma anche perché obbliga e richiama i cristiani a pensare in modo complesso e globale. In ultima istanza li invita riscoprire l'universalità propria dell'essere cattolici. E mentre propone di agire per determinare nuovi traguardi di umanizzazione, invita a cogliere anche la dimensione teologica della globalizzazione.

Leggendo queste parole mi sono ricordato Theilard De Chardin e ho pensato se il processo di planetarizzazione oggi in corso - che aveva con grande lucidità intravisto - non abbia bisogno di essere accompagnato da una "teologia della globalizzazione", cioè di una riflessione che aiuti a cogliere nella globalizzazione i segni dei tempi e il sogno di Dio sull'uomo, sul mondo e sul cosmo.

© Copyright Liberal, 9 luglio 2009