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Iconio (odierna Konya): la chiesa cattolica di San Paolo (clicca sull'immagine per leggere di San Paolo ad Iconio)

Ad Iconio è stata celebrata la messa nella chiesa di San Paolo, l’ultima rimasta delle molte che erano presenti in città. Su di essa vedi le pagine web curate in italiano ed in turco dalla comunità cristiana di Konya nella quale fanno servizio due sorelle provenienti dalla diocesi di Trento: <a href="http://www.cinquepani.it/Casa_frat/Konya/la_chiesa_di_konya.htm">Chiesa di San Paolo di Konya</a>
È stato letto e commentato il brano di At 14, 1-28, nel quale si narra della presenza di Paolo ad Iconio, allora capitale della Licaonia, durante il suo primo viaggio apostolico. In particolare è stato sottolineato come Paolo venne qui lapidato e si salvò solo perché fu creduto morto. Una volta riavutosi, subito prese lui stesso a “rianimare” i fratelli.

Timoteo, il suo più fidato discepolo e compagno (è presente nelle titolature di moltissime delle lettere paoline) era originario di Listra (At 16, 1), l’odierna Hatunsaray, che è a circa quaranta chilometri da Iconio. Si unì a Paolo durante il secondo viaggio apostolico, quando Paolo non ebbe paura di passare nuovamente in Licaonia. La sopportazione della persecuzione si tramutò così in uno dei momenti più fecondi dell’apostolato paolino, proprio a motivo della chiamata di Timoteo, che proseguirà l’opera dell’apostolo.

Si è sottolineato come Iconio sia un invito a vincere la paura che blocca la possibilità di vivere il vangelo e di annunciarlo. Quante volte la paura di ciò che gli altri pensano, il timore di perdere qualcosa, la fatica di essere pazienti nel cammino, l’incapacità di sopportare le avversità, paralizzano l’uomo.

Si è fatto riferimento ad un passaggio di un omelia del cardinal Ruini nella quale egli così commentava, a partire dalla testimonianza di Stefan Wyszyński e di Giovanni Paolo II la necessità di vincere la paura:

«Dice Gesù ai suoi discepoli: “Non temete gli uomini,… non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; temete piuttosto Colui che ha il potere di far perire e l’anima e il corpo nella Geenna”. Pertanto, “Quello che vi dico nelle tenebre ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio predicatelo sui tetti”. Un commento esistenziale a questo testo, da parte di un Vescovo, lo ha offerto Giovanni Paolo II nel suo libro Alzatevi, Andiamo!, nel capitolo intitolato “Dio e il coraggio”. Egli cita le parole pronunciate in tempi difficili dal Cardinale Primate di Polonia Stefan Wyszyński: “Per un Vescovo la mancanza di fortezza è l’inizio della sconfitta. Può continuare a essere apostolo? Per un apostolo, infatti, è essenziale la testimonianza resa alla Verità! E questo esige sempre la fortezza”, e ancora “La più grande mancanza dell’apostolo è la paura. A destare la paura è la mancanza di fiducia nella potenza del Maestro; è questa che opprime il cuore e stringe la gola”».

Questo il brano di At 14, 1-28, che racconta i fatti paolini di questa città:

Anche ad Icònio essi entrarono nella sinagoga dei Giudei e vi parlarono in modo tale che un gran numero di Giudei e di Greci divennero credenti. Ma i Giudei rimasti increduli eccitarono e inasprirono gli animi dei pagani contro i fratelli. Rimasero tuttavia colà per un certo tempo e parlavano fiduciosi nel Signore, che rendeva testimonianza alla predicazione della sua grazia e concedeva che per mano loro si operassero segni e prodigi. E la popolazione della città si divise, schierandosi gli uni dalla parte dei Giudei, gli altri dalla parte degli apostoli. Ma quando ci fu un tentativo dei pagani e dei Giudei con i loro capi per maltrattarli e lapidarli, essi se ne accorsero e fuggirono nelle città della Licaònia, Listra e Derbe e nei dintorni, e là continuavano a predicare il vangelo.

C'era a Listra un uomo paralizzato alle gambe, storpio sin dalla nascita, che non aveva mai camminato. Egli ascoltava il discorso di Paolo e questi, fissandolo con lo sguardo e notando che aveva fede di esser risanato, disse a gran voce: «Alzati diritto in piedi!». Egli fece un balzo e si mise a camminare. La gente allora, al vedere ciò che Paolo aveva fatto, esclamò in dialetto licaonio e disse: «Gli dei sono scesi tra di noi in figura umana!». E chiamavano Barnaba Zeus e Paolo Hermes, perché era lui il più eloquente.

Intanto il sacerdote di Zeus, il cui tempio era all'ingresso della città, recando alle porte tori e corone, voleva offrire un sacrificio insieme alla folla. Sentendo ciò, gli apostoli Barnaba e Paolo si strapparono le vesti e si precipitarono tra la folla, gridando: «Cittadini, perché fate questo? Anche noi siamo esseri umani, mortali come voi, e vi predichiamo di convertirvi da queste vanità al Dio vivente che ha fatto il cielo, la terra, il mare e tutte le cose che in essi si trovano. Egli, nelle generazioni passate, ha lasciato che ogni popolo seguisse la sua strada; ma non ha cessato di dar prova di sé beneficando, concedendovi dal cielo piogge e stagioni ricche di frutti, fornendovi il cibo e riempiendo di letizia i vostri cuori». E così dicendo, riuscirono a fatica a far desistere la folla dall'offrire loro un sacrificio.

Ma giunsero da Antiochia e da Icònio alcuni Giudei, i quali trassero dalla loro parte la folla; essi presero Paolo a sassate e quindi lo trascinarono fuori della città, credendolo morto. Allora gli si fecero attorno i discepoli ed egli, alzatosi, entrò in città. Il giorno dopo partì con Barnaba alla volta di Derbe.

Dopo aver predicato il vangelo in quella città e fatto un numero considerevole di discepoli, ritornarono a Listra, Icònio e Antiochia, rianimando i discepoli ed esortandoli a restare saldi nella fede poiché, dicevano, è necessario attraversare molte tribolazioni per entrare nel regno di Dio. Costituirono quindi per loro in ogni comunità alcuni anziani e dopo avere pregato e digiunato li affidarono al Signore, nel quale avevano creduto. Attraversata poi la Pisidia, raggiunsero la Panfilia e dopo avere predicato la parola di Dio a Perge, scesero ad Attalìa; di qui fecero vela per Antiochia là dove erano stati affidati alla grazia del Signore per l'impresa che avevano compiuto.
Non appena furono arrivati, riunirono la comunità e riferirono tutto quello che Dio aveva compiuto per mezzo loro e come aveva aperto ai pagani la porta della fede. E si fermarono per non poco tempo insieme ai discepoli.

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