Appunti sul monte Athos e sulla sua rilevanza nello sviluppo della Chiesa ortodossa

Il monte Athos visto da Pantokratoros
Il monte Athos visto da Pantokratoros


Indice


“La Santa Montagna (Aghion Oros) è la più orientale delle tre propaggini che formano la penisola calcidica, a nord della Grecia. Lunga 45 km per una larghezza compresa tra gli 8 ed i 12 km, la penisola culmina con il monte Athos a 2033 m. Da più di mille anni essa è il giardino della “Madre di Dio”, il santuario del monachesimo, la roccaforte dell'ortodossia. E' stata devastata, saccheggiata, conquistata a più riprese; la vita monastica vi ha conosciuto alti e bassi, ma, sempre, la tradizione vi si è mantenuta” [1].

Il giardino di Maria e la tradizione relativa allo sbarco della Madre di Dio

Le tradizioni dell'Athos tendono a retroproiettare indietro nel tempo le origini della vita monastica all'Athos, fino a giungere addirittura al primo periodo apostolico. Una tradizione tardiva (di cui abbiamo testimonianza certa dal XVI secolo) afferma infatti che all'Athos, nei pressi del monastero di Iviron, sarebbero sbarcati la Madre di Dio e S.Giovanni, poco dopo la resurrezione del Signore. In viaggio dalla Palestina a Cipro, per andare in visita a Lazzaro che in quel tempo avrebbe risieduto nell'isola, in seguito ad una tempesta sarebbero approdati alla Santa Montagna. Maria, colpita dalla bellezza del luogo, avrebbe chiesto al Figlio in dono quel luogo. Una voce del cielo le promise, allora, solennemente che quel “giardino della Vergine” sarebbe stato da allora e per sempre rifugio di tutti coloro che avessero cercato, con l'aiuto della Vergine, la salvezza delle loro anime. “E' altamente simbolico il legame che la leggenda istituisce tra la Vergine e la Montagna: come per lei , anche per il monaco la vita è pienamente consacrata a Dio solo, perché tutto il suo essere diventi conforme alla luce divina; la vocazione monastica è dunque sentita come profondamente “mariana”, e la sua fecondità si rivela non in questa o quella – pur necessaria e santa anch'essa – attività pastorale e di servizio, ma appunto nella esclusiva appartenenza a Dio, dono totale che viene dall'alto e al quale risponde l'umile e generoso “sì” della creatura” [2].

Il monastero di Ivìron
Il monastero di Ivìron

I primi insediamenti in relazione al primo periodo della lotta iconoclasta

Sebbene le prime notizie storicamente accertabili della presenza monastica al monte Athos siano più recenti non vi è, però, dubbio che essa inizi nei primi anni della crisi iconoclasta, spartiacque fondamentale della storia della Chiesa ortodossa e dei suoi rapporti con l'Occidente. Il monte Athos accolse, infatti, sicuramente i monaci costretti alla fuga dalla persecuzione scatenata dall'imperatore Leone III Isaurico (717-741), a partire dal 726 (molti monaci bizantini, in quegli anni, raggiunsero, in cerca di rifugio, anche l'Italia). Non c'è accordo tra gli studiosi sulle cause della persecuzione iconoclasta (chi pensa ad un rigurgito di monofisismo, chi alla presenza di influssi islamici dovuti all'espansione del mondo arabo, chi, invece, alla volontà di ridurre il potere monastico che faceva sentire il suo peso sullo Stato bizantino e la corte di Costantinopoli). E', comunque, certo che all'inizio la politica iconoclasta dell'imperatore incontrò scarsa resistenza presso la gerarchia (a parte il patriarca Germano e qualche vescovo), mentre ne incontrò una fortissima da parte dei monaci – tra i quali soprattutto S.Giovanni Damasceno [3] – e da parte del papa Gregorio II. La violenza iconoclasta crebbe con Costantino V Copronimo fino al “conciliabolo” di Hiereia che chiese la distruzione delle icone. E' così che in questo periodo nacquero le prime esperienze eremitiche all'Athos ed anche le prime piccole lavre cenobitiche (“di vita comune”) ad opera dei monaci che fuggivano dalla persecuzione.

Il secondo periodo della lotta iconoclasta

La legislazione aniconica fu moderata al tempo di Leone IV e di Irene sua moglie. Quando Irene divenne reggente del suo figlio minorenne Costantino VI fece convocare, con l'appoggio di papa Adriano I il II Concilio di Nicea (787) che condannò l'iconoclasmo. Divenuta, però, imperatrice, dopo aver fatto accecare per ottenere il trono il figlio Costantino VI, riaccese la campagna contro le immagini sacre e tale politica durò fino all'imperatore Teofilo, che morì nel 842. Dopo di lui fu Teodora ad assumere la reggenza e, con lei, cessò la lotta iconoclasta. L'istituzione della “Festa dell'ortodossia” l'11 marzo dell'843 – celebrata tuttora nell'anno liturgico bizantino - segnò così la fine dell'iconoclasmo. Infatti con questa data cessarono in Oriente le grandi lotte religiose e fallì il tentativo di subordinare la Chiesa allo Stato, anche se restò una stretta collaborazione, non sempre chiara e lineare, tra i due.

Il senso spirituale della vittoria iconodula

Quali che siano le origini della avversione alle immagini [4], il Concilio Niceno II (787), celebrato dalla Chiesa Cattolica e parte integrante della tradizione d'Oriente e d'Occidente, risolve dal punto di vista cristiano il problema con affermazioni che hanno valore di dogma e sono perciò universalmente valide. Così si pronuncia il Concilio: “Uomini scellerati, e trascinati dalle loro passioni, hanno accusato la Santa Chiesa, sposata a Cristo Dio, e non distinguendo il sacro dal profano, hanno messo sullo stesso piano le immagini di Dio e dei suoi santi e le statue degli idoli diabolici… Se qualcuno rifiuta che i racconti evangelici siano rappresentati con disegni, sia anatema. Se qualcuno non saluta queste (immagini), (fatte) nel nome del Signore e dei suoi santi, sia anatema. Se qualcuno rigetta ogni tradizione ecclesiastica, sia scritta che non scritta, sia anatema”. La motivazione dell'importanza della rappresentabilità della storia salvifica e del Signore stesso, che ne è il cuore, dipende dall'affermazione della realtà della Santa Incarnazione. Solo chi nega l'Incarnazione, può negare anche il senso delle immagini che la riportano ai nostri occhi: “Se qualcuno non ammette che Cristo, nostro Dio, possa essere limitato, secondo l'umanità, sia anatema”. Il senso della venerazione delle immagini non è pertanto quello della “latria” che è riservato solo a Dio, ma quello della “doulia”: “Seguendo in tutto e per tutto l'ispirato insegnamento dei nostri santi padri e l'insegnamento della chiesa cattolica – riconosciamo, infatti, che lo Spirito Santo abita in essa – noi definiamo con ogni accuratezza e diligenza che, a somiglianza della preziosa e vivificante Croce, le venerande e sante immagini sia dipinte sia in mosaico, di qualsiasi altra materia adatta, debbono essere esposte nelle sante chiese di Dio, nelle sacre suppellettili e nelle vesti, sulle pareti e sulle tavole, nelle case e sulle vie; siano esse l'immagine del Signore e Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo, o quella della immacolata Signora nostra, la Santa Madre di Dio, degli angeli degni di onore, di tutti i santi e pii uomini. Infatti, quanto più continuamente essi vengono visti nelle immagini, tanto più quelli che le vedono sono portati al ricordo e al desiderio di quelli che esse rappresentano e a tributare ad essi rispetto e venerazione. Non si tratta, certo, secondo la nostra fede, di un vero culto di latria, che è riservato solo alla natura divina, ma di un culto simile a quello che si rende all'immagine della preziosa e vivificante croce, ai santi evangeli e agli altri oggetti sacri, onorandoli con l'offerta di incenso e di lumi, com'era uso presso gli antichi. L'onore reso all'immagine, infatti, passa a colui che essa rappresenta; e chi adora l'immagine, adora la sostanza di chi in essa è riprodotto”. La chiesa antica ebbe poi il merito di sostenere ed indicare una presentazione globale della fede, attraverso il registro iconografico. Non è pensabile in una chiesa ortodossa – ma neanche in una chiesa cattolica antica – la raffigurazione di una sola immagine di un santo particolare o di un particolare aspetto della fede isolato e a sé stante. Sempre sarà centrale l'immagine di Cristo e della santa Trinità. Sempre incontreremo la rappresentazione dei “misteri” della vita di Cristo, delle storie neotestamentarie, delle feste liturgiche. Sempre avremo a fianco del Cristo la Santissima sua Madre e Giovanni Battista il precursore. Sempre gli apostoli ed evangelisti, come i santi ed i martiri di ogni epoca, faranno corona – comunione di tutti i santi – al santo locale cui la chiesa è dedicata. Sempre Adamo ed Eva faranno comparsa a ricordare il Dio creatore ed il peccato d'origine.

S.Teodoro di Studio (Studita) e la vita cenobitica, futuro modello dell'Athos

Nel secondo periodo della lotta iconoclasta il monaco simbolo della difese delle sante immagini e della loro venerazione (iconodulia) fu S.Teodoro Studita. E' sotto l'imperatore Leone V l'Armeno (813-820) che la processione delle icone organizzata dai monaci del monastero di Studion a Cosantinopoli, venne repressa. S.Teodoro fu flagellato e allontanato dalla capitale. Si appellò a papa Pasquale I (anche lui santo), segno di una profonda comunione con la Chiesa di Roma. Tornato a Costantinopoli fu definitivamente cacciato quando protestò perché l'imperatore Michele II aveva convocato lui stesso un sinodo per regolare la vicenda delle icone e morì in esilio. L'importanza di S.Teodoro per le vicende athonite è dovuta soprattutto al fatto che la sua regola monastica cenobitica, scritta appunto per il monastero di Studion, divenne poi, con leggere modifiche, la regola dei monasteri dell'Athos a partire dalla presenza di S.Atanasio l'Athonita e dalla fondazione della Grande Lavra avvenuta – come poi vedremo – nel 963. Non è da dimenticare che proprio la crisi iconoclasta fu, paradossalmente, uno dei motivi di allontanamento dell'Oriente e dell'Occidente. Infatti, il papa, schierandosi con i monaci, a favore delle icone, dovette dichiararsi contro l'imperatore. Ma ciò ebbe profonde ripercussioni politiche che incoraggiarono, alla fine, a rivolgersi al regno franco. E quando i Franchi, divenuti alleati della Chiesa, strapparono ai Longobardi le terre che essi avevano tolto ai bizantini, le affidarono al papato. Così nacque, proprio in quegli anni, lo stato della Chiesa. La consacrazione di Carlo Magno, nell'anno 800, a Imperatore del Sacro Romano Impero fu avvertita come una rottura in Oriente, poiché l'Imperatore di Costantinopoli era l'erede degli imperatori romani, divenuti cristiani [5].

S.Pietro l'Athonita, prima figura storica della “Santa Montagna”

La prima figura athonita di cui la storia ci conserva il nome è quella dell'eremita S.Pietro. Egli visse nel IX secolo – il terminus ante quem è dato dagli scritti di S.Giuseppe l'Innografo (816-886) che parla di lui – e ci è conservata una sua vita, molto leggendaria, opera del biografo Nicola (X secolo) [6]. Siamo quindi, probabilmente, nel periodo immediatamente successivo alla seconda fase della lotta iconoclasta ed alla sua conclusione. La vita del biografo Nicola – a cui si ispirerà poi la vita scritta da Gregorio Palamas nel XIV secolo – più che fornirci dati storici precisi, ci introduce al senso della vita eremitica. Nei primi tempi della sua vita eremitica, che durerà poi ben 54 anni, Pietro fu sottoposto a quattro tipi di tentazioni diaboliche. Ci sono innanzitutto gli attacchi “fisici” dei demoni. Poi gli attacchi tramite animali velenosi e serpenti. La terza tentazione arriva sotto la forma di un vecchio amico che invita Pietro a tornare a visitare i familiari, dicendogli: “Per quanto riguarda la quiete contemplativa (hesychia), non preoccuparti: anche là ci sono moltissimi monasteri e luoghi per la vita contemplativa, nei quali potrai trascorrere da esicasta tutta la tua vita. Ma, in nome della verità, dimmi tu stesso: quale di queste due cose il Signore apprezza di più? L'abbandono del mondo, la vita solitaria e quieta, il soggiorno tra queste rocce scoscese e questi dirupi, in mezzo ai quali potrai arrecare ben poco giovamento solo a te stesso, e forse neppure a te stesso, o l'insegnamento rivolto agli uomini, guidandoli e convertendoli a Lui dall'errore? Io, per conto mio, sono convinto che la conversione anche di una sola anima dalla via dell'errore varrà più di tante lotte solitarie, e me lo confermano le parole di colui che dice: “Chi riporta indietro una persona degna dalla sua indegnità, sarà come la mia bocca” (Ger 15, 19 LXX). Nel nostro paese c'è tanta gente che vaga sprofondata in innumerevoli passioni peccaminose e che ha tanto bisogno di qualcuno che, dopo Dio, le dia soccorso: ti metterai da parte un'enorme ricompensa se verrai a convertire a Dio gli erranti”. Ma Pietro gli rispose: “In questo luogo mi ha portato non un angelo, non un uomo, ma Dio stesso e l'immacolata sua Madre, la Theotòkos, e da qui non mi allontanerò se non per decisione e comando loro”. “La quarta e suprema tentazione – come sarà, quarta anch'essa, per il Thomas Becket di T.S.Eliot – è quella, sottile, della santità. Il demonio si presenta in forma di angelo di luce (cfr. 2 Cor 11,14) e tesse le lodi della santità di Pietro, paragonandolo (sempre detto nelle Scritture) a Mosè, Elia, Daniele, Giobbe per le sue imprese ascetiche, e invitandolo infine – in cauda venenum – a recarsi nei monasteri del mondo per essere proprio lì di esempio con la sua santità. Ma anche stavolta Pietro risponde: “Se non viene la Theotòkos, che mi assiste in ogni circostanza, e Nicola, mio ardente protettore nelle necessità, io da qui non mi sposto, sappilo!”; e ancora una volta, definitivamente, il demonio si dilegua” [7].

S.Atanasio l'Athonita e la fondazione della Meghìsti Lavra, nuovo modello dell'Athos

Figura decisiva per lo sviluppo spirituale del monte Athos è S.Atanasio l'athonita, che dal 963 cominciò a costruire la Meghìsti Lavra (la Lavra più grande). Essa era organizzata secondo il modello che S.Teodoro (759-826) aveva dato al monastero urbano di S.Giovanni di Studio a Costantinopoli, ispirato alla regola di S.Basilio, come già accennato. La caratteristica principale della proposta atanasiana è quella della vita comune, sotto la presidenza di un igumeno. Mentre l'eremitismo si caratterizza per una grande ascesi vissuta secondo scelte personali, la vita monastica della Grande Lavra afferma il primato dell'obbedienza e la via della relazione con gli altri monaci come via di santità. Si ripropone qui una tensione che molte volte la storia della Chiesa ha conosciuto, fin dalla fondazione del monachesimo in Egitto, con la proposta eremitica di S.Antonio abate e la proposta cenobitica – dal greco “koinos bios” che significa “vita comune” - di S.Pacomio. Ma, ancora una volta, con sapienza, anche all'Athos la Chiesa ha sciolto questa tensione, senza negare certo il valore della vita eremitica, ma affermando con forza la necessità della vita comune, sotto l'obbedienza di un padre spirituale come meta della vita monastica o, almeno, come preparazione alla vita eremitica. La coscienza degli enormi rischi di scelte troppo personalistiche e soggettive e la chiara affermazione della realtà ecclesiale della salvezza, della dimensione di fraternità che è aperta agli uomini dalla salvezza che li deifica conduce anche l'Athos alla scelta della vita comunitaria. All'impostazione atanasiana molti monaci si opposero. In particolare fu rilevante la figura di S.Paolo di Xiropotamou, tenace assertore della validità dell'eremitismo. Ci fu disputa all'Athos e la disputa coinvolse anche il potere imperiale – fra l'altro S.Atanasio era grande amico dell'imperatore Niceforo Foca che, in un primo momento, gli aveva addirittura manifestato il suo desiderio, poi mai realizzato, di scegliere la vita monastica. Quando l'imperatore fu assassinato, il suo successore, l'imperatore armeno Giovanni Zimisce (probabilmente anche lui coinvolto nell'omicidio del suo predecessore) inviò all'Athos come visitatore imperiale lo studita Eutimio. Nel 972, su consiglio appunto di Eutimio, emanò il primo Tipikòn (chiamato Tràgos, caprone, per il materiale su cui è scritto, e conservato nel Protàton di Kariès) con il quale, senza sconfessare l'eremitismo, si affermò l'importanza del cenobitismo. Subito fiorì la costruzione dei grandi monasteri (oggi quelli attivi sono 20) e gli eremiti, come anche i monaci che vivranno in skiti (gruppi di 2 o 3 monaci) avranno, da allora, come punto di riferimento uno o l'altro dei monasteri guidati dagli igumeni. Si sviluppò anche, lentamente, una gerarchia all'interno dei monasteri, a seconda dell'importanza di essi. Fra i primi a sorgere fu il monastero di Ivìron, o “dei Georgiani”, nato da discepoli dello stesso Atanasio. Nella seconda metà del X secolo sorse anche il monastero degli Amalfitani, di rito latino.

Il muro di cinta della Grande Laura, sulla costa orientale dell'Athos
Il muro di cinta della Grande Laura, sulla costa orientale dell'Athos

Nell'impero bizantino il monachesimo diviene il fulcro portante della Chiesa

Il monte ed i suoi monasteri furono spesso devastati dalle incursioni arabe – che procurarono moltissimi martiri - che diminuirono a partire dal 961, quando fu tolta Creta agli arabi, dall'imperatore Niceforo Foca (come abbiamo visto, amico di S.Atanasio l'Athonita). L'organizzazione dei monasteri ebbe come luogo di riunione la kathedra ton gheronton, vicino al Colle di Sigòs e poi la chiesa detta Protàton, cioè del Protos dell'Athos, nella làvra di Kariès (diverrà la capitale dell'Athos). Dopo la crisi iconoclasta i monaci vennero invitati al concilio di Costantinopoli del 842. Basilio I il Macedone, nell'883 emanò un sighìllion, atto imperiale che dava ai monaci il governo del monte e il diritto di interdire l'accesso. Nel 934 Romano I Lecapeno (imperatore con Costantino VII Porfirogenito) istituì una pensione annua (ròga) da dare ai monaci. Il primo Tipikòn fu una tappa decisiva nel rapporto tra l'impero ed il monachesimo. Lentamente i monasteri che erano stati, nella crisi iconclasta, i grandi avversari dell'impero, divennero sempre più i suoi alleati ed i custodi dell'ortodossia della fede. L'organizzazione della Chiesa ortodossa è, sostanzialmente, un'organizzazione monastica, soprattutto nel senso che tutti i vescovi provengono dal monachesimo. Ogni seminarista che non entra in monastero deve, necessariamente, prima sposarsi, per poter poi accedere al sacerdozio. Sposandosi, perde la possibilità di accedere all'episcopato. In una conferenza il cardinal Ratzinger ha sottolineato giustamente come, nella storia dell'ortodossia, sia proprio il monachesimo, custode della conservazione della tradizione liturgica, a svolgere quel ruolo di garante della fede che, in Occidente, ha la Congregazione per la Dottrina della Fede: “Gli ortodossi hanno un modo diverso di garantire l'unità e la stabilità della fede comune, diverso da come lo abbiamo noi nella Chiesa cattolica dell'Occidente. Non hanno una Congregazione per la dottrina della fede. Ma nella Chiesa ortodossa la liturgia ed il monachesimo sono due fattori molto forti che garantiscono una fermezza ed una coerenza della fede. La storia mostra che sono mezzi adeguati e sicuri, in questo contesto storico ed ecclesiale, per servire all'unità fondamentale” [8].

La preghiera di Gesù e l'esicasmo

Caratteristica del monachesimo dell'Athos e del monachesimo orientale in generale è l'esicasmo – dal greco “hesychia” che significa “pace, silenzio dell'unione con Dio”. Per raggiungere l'esichia si è affermata, nei secoli, la pratica della “preghiera di Gesù” – se questa espressione non fosse divenuta proverbiale diremmo “la preghiera a Gesù”, perché ha la caratteristica di rivolgersi direttamente a Lui. E' la ripetizione continua della richiesta del cieco di Gerico: “Signore Gesù, Figlio di Dio, abbi pietà di me” – con l'aggiunta di “peccatore” nella tradizione slava. Questa preghiera ininterrotta vuole realizzare l'espressione paolina: “Pregate incessantemente”. Innumerevoli generazioni di monaci hanno pregato con questa preghiera. S.Simeone il Nuovo Teologo (949-1022) – di poco più giovane di S.Atanasio del monte Athos - viene ritenuto colui che ha insegnato la recita di questa giaculatoria al ritmo del cuore o del respiro, ma, in realtà, il testo che precisa questo metodo, “Il metodo della sacra preghiera e dell'attenzione”, è di 300 anni posteriore a lui. Fu S.Gregorio Sinaita, morto nel 1346, a stabilire saldamente questa pratica all'Athos. Dopo essere stato monaco in molti luoghi ed, in particolare, al Sinai, giunse all'Athos, trovandovi la preghiera in declino. Dal monastero di Grigoriu diffuse l'esicasmo. Fu poi S.Gregorio Palamas a diffondere ulteriormente l'esicasmo.

Gregorio Palamas

La dottrina spirituale dell'esicasmo si chiarificò attraverso la disputa fra Gregorio Palamas (da cui l'esicasmo è chiamato anche palamismo) e Varlaam il calabrese (maestro anche di Petrarca). Con Gregorio Palamas si schierarono anche il protos e Gregorio Sinaita. La diatriba durò molti anni (1331-1351). Per tre anni, prima di divenire arcivescovo di Tessalonica, Gregorio visse nel monastero di Vatopèdi all'Athos. La santificazione del Palamas (1368) fece assurgere l'esicasmo a dottrina ufficiale della chiesa ortodossa. Fondamentale per la teologia ortodossa è la dottrina di Palamas sull'energia increata che Dio fa vedere all'uomo e che gli dona. Per Gregorio c'è una distinzione reale (e non semplicemente nella nostra mente) tra l'essenza di Dio e le sue energie increate. L'essenza di Dio non è partecipabile all'uomo in quanto tale – altrimenti ciò distruggerebbe la differenza infinita fra la creatura ed il Creatore – ma se Dio partecipasse all'uomo solo qualcosa di creato – afferma Palamas – non si avrebbe la “divinizzazione dell'uomo”, la comunione reale tra il Creatore e la creatura. Dio comunica così all'uomo le energie increate. Così il teologo cattolico Y.Congar cerca di definire la posizione di Gregorio Palamas: “Per Palamas, noi diventiamo Dio, diventiamo increati per grazia. Dio fa partecipare la creatura non alla sua divinità in quanto tale – ciò è impossibile sia per noi (cattolici) che per Palamas – bensì a delle somiglianze delle sue perfezioni di essere e mediante la causalità che conferisce l'esistenza”. E' la posizione tuttora sostenuta dai monaci dell'Athos e da essi ritenuta inconciliabile con la dottrina cattolica. Così si sono espressi i monaci athoniti in una lettera indirizzata al patriarca Bartolomeo I l'8 dicembre 1993: “Noi consideriamo come necessario che tra le differenze teologiche (tra la Chiesa ortodossa e la Chiesa cattolica) sia ugualmente sottolineato il tema della distinzione tra l'essenza e le energie in Dio e il carattere increato delle energie divine, perché se la grazia è creata, come sostengono i cattolici romani, la salvezza è resa inutile, come pure la deificazione dell'uomo, e la Chiesa cessa di essere una comunione di deificati, per cadere in una organizzazione legalistico-canonica” (Istina 40, 1995, 417). La posizione palamita lega a questo anche il rifiuto del Filioque. Lo Spirito, dal punto di vista della “teologia” procede dal solo Padre, mentre dal punto di vista dell'”economia” procede anche dal Figlio. Le energie increate sono comuni a tutte e tre le ipostasi, le persone divine, ma poiché seguono la “taxis” trinitaria si può anche dire che sono l'espressione immediata dello Spirito, che sono le energie dello Spirito. Per alcuni teologi (anche ortodossi), invece, questa distinzione reale in Dio, fra essenza ed energie comprometterebbe l'unità di Dio. E', però, più importante, secondo il cattolico Y.Spiteris, che “togliendo ogni concettualizzazione e lasciando da parte la forte carica polemica” degli scritti di Palamas si cerchi di comprendere come la dipendenza temporale dello Spirito anche dal Figlio non sia senza relazione con la vita intratrinitaria. Due spiragli sono offerti ad una conciliazione delle posizioni dagli stessi scritti di Palamas, dove afferma, da un lato, che, poiché le energie sono eterne, è fin dall'eternità che il Figlio possiede il dono, ricevuto dal Padre, di inviare lo Spirito e, dall'altro, che lo Spirito è il mutuo “eros” tra il Padre e il Figlio, eros che anch'Egli, il Verbo, rivolge al Genitore, ma avendolo da Lui. E', comunque, evidente la necessità di un approfondimento del perché la tradizione cattolica, a partire dal pensiero di S.Tommaso d'Aquino, affermi l'esistenza della grazia creata e del perché la teologia ortodossa palamita, invece, la neghi.

L'Athos ed il cattolicesimo latino

Sebbene la crisi iconoclasta contribuì ad allontanare l'Oriente e l'Occidente, nondimeno l'Athos nasce e si sviluppa nel momento in cui ancora la Chiesa è unita. Nel 1054 (anno dello scisma d'Oriente) è ancora, infatti, intatta la relazione tra l'Athos e l'Occidente. Non vengono cacciati i monaci benedettini del monastero degli amalfitani e gli igumeni di quel monastero continuarono a firmare gli atti del monte Athos. Il monastero degli amalfitani fu fondato da Leone di Benevento e, fino al 1045, fu il secondo monastero in ordine di importanza all'Athos. Fu soppresso nel 1287. La situazione divenne disastrosa dopo la IV crociata che, dai veneziani, fu deviata su Costantinopoli. La capitale imperiale fu presa e saccheggiata, fu creato un impero latino ed un principe ed un patriarca latino furono nominati. Dopo la VI crociata (1228-1229), il vescovo latino di Sebaste, nominato responsabile dell'Athos, chiese ingiuste tasse finché fu obbligato alle dimissioni. Gravi violenze ci furono al tempo in cui Michele VIII Paleologo riconquistò Costantinopoli (1261), perché i suoi partigiani, favorevoli ad una politica di avvicinamento a Roma, anche per motivazioni strategiche poiché il papa frenava Carlo d'Angiò nemico di Bisanzio che era così più libera di difendersi dal sultanato di ar-Rum, dai Bulgari e dai Serbi, cercarono di costringere violentemente i monaci a questa politica (molti martiri furono uccisi e lo stesso protos Cosma fu trovato ucciso, durante l'incendio della chiesa del Protàton, provocato dagli “unionisti”). L'unione di Lione (1274) caldeggiata da Michele VIII Paleologo e dal patriarca Bekkos non fu maturata dal popolo e dai monaci. L'Athos fu uno dei focolai principali di resistenza ad essa. Non pochi monaci furono uccisi ed altri, come Niceforo l'Athonita, esiliati. Man mano che la pressione turca aumentò su Costantinopoli, crebbe la coscienza della necessità di una alleanza almeno politica e militare con l'Occidente cristiano [9]. Nel 1438 fu addirittura l'imperatore Giovanni VIII, con il patriarca Giuseppe e molti metropoliti e monaci a presentarsi per l'indizione del Concilio a Ferrara [10]. Il Concilio si spostò l'anno successivo (1439) a Firenze, dove, solennemente, il 6 luglio fu proclamata l'unione. Della delegazione facevano parte anche tre superiori di monasteri ed altri quattro monaci in rappresentanza del monachesimo di Costantinopoli e dell'Athos [11]. Ma essa non produsse gli effetti sperati. Non ci fu la possibilità di un intervento militare occidentale in aiuto ai bizantini e, al ritorno in patria, l'imperatore ed il clero unionista trovarono una resistenza accanita degli anti-unionisti. Addirittura il greco Isidoro, che era stato nominato metropolita di Mosca, fu deposto dal granduca moscovita che, da allora, non accettò più designazioni da Costantinopoli, ma, anzi, si avviò verso una piena autonomia (alla caduta di Costantinopoli Mosca diverrà la “terza Roma”, dopo, appunto, Roma e Costantinopoli, divenendo patriarcato). Gli antiunionisti si rifiutarono per 13 anni di entrare per la liturgia nella Grande Chiesa della Santa Sapienza (Santa Sofia), perché la comunanza con gli unionisti li avrebbe resi impuri. Quando fu il momento di preparare l'elezione di un nuovo patriarca, fra i tre candidati vi era il monaco Gennadio, superiore di Vatopèdi all'Athos, avverso all'unione (ma non fu scelto). La maggioranza dei monaci, ma non la totalità era avversa all'unione. Solo il pericolo incombente dell'assedio turco spinse l'imperatore d il popolo a sostenere con più vigore l'unione. Il 12 dicembre 1452 in Santa Sofia, con una solenne liturgia fu celebrata l'unione con la presenza dei greci unionisti e dei latini. Da quel giorno, fino alla caduta di Costantinopoli, il nome del papa e del patriarca furono ricordati insieme nella liturgia. Il 29 maggio Costantinopoli cadde nelle mani dei turchi. Gennadio, leader del partito antiunionista, fu nominato patriarca dai Turchi, ma non potè mai più celebrare in Santa Sofia, resa ormai moschea dagli ottomani. Anche oggi molti monaci sono strenui avversari dell'ecumenismo. Alcuni monasteri rifiutano il calendario gregoriano adottato dal patriarca di Costantinopoli ed in alcuni monasteri dell'Athos si usa ancora il calendario giuliano. Anche gli atti di riconciliazione di Paolo VI e del patriarca ecumenico di Costantinopoli Athenagoras, con la revoca delle antiche scomuniche, non sono stati accolti ufficialmente dai monasteri, ma solo da singole figure di monaci.

La Filocalia ed il monte Athos; il risveglio del palamismo nel '700

“Filocalia” significa letteralmente “amore per la bellezza”, ma, nell'uso comune, l'espressione in greco designa anche un florilegio, un'antologia di cose belle. La Filocalia per antonomasia è quella raccolta nel 1782 da Macario (Notaras) già metropolita di Corinto e da Nicodemo l'Aghiorita (cioè del monte Athos) [12]. Essa è – come ha scritto O.Clément – “uno dei frutti, nonché uno degli strumenti, di quel rinnovamento spirituale che, negli ultimi decenni del XVIII secolo, strappò la Chiesa ortodossa alla decadenza e la rese capace di affrontare i tempi nuovi dell'Europa dei “Lumi”… La decadenza a cui alludo è quella evidenziata dallo scisma e dalle sette della Chiesa russa, il cui patriarcato era stato soppresso da Pietro il Grande; quella favorita dal dominio della Porta sul patriarcato ecumenico e dei pascià sull'episcopato, spesso forzato alla simonia; quella prodotta dall'oblio, nei monasteri, dei testi fondatori della vita spirituale. Il rinnovamento spirituale che contrastò tale decadenza avvenne grazie alla ripresa di una teologia e di una vita sacramentale fedeli alla tradizione” [13]. Macario scoprì nel monastero di Vatopèdi “un'antologia sull'unione dell'intelletto con Dio, raccolta a partire dagli scritti degli antichi padri, per opera di pii monaci d'altri tempi”. Forse da lì venne l'idea di continuare quel lavoro e riproporlo ai fedeli del proprio tempo. Macario scelse i testi in base alla loro qualità, mentre Nicodemo scrisse la prefazione dell'opera intera e le introduzioni ad ogni singolo scritto. L'opera si rivolge ai monaci, ma anche ai semplici fedeli. Volutamente si astiene dai dettagli della vita monastica ed anche dalle polemiche con gli altri cristiani. Un quarto dei testi raccolti sono di Gregorio Palamas. Da questa riproposizione del palamismo dipende gran parte dell'ortodossia moderna e della sua teologia. Punto qualificante della proposta di Macario e di Nicodemo, oltre ovviamente alla centralità dell'esicasmo, è la raccomandazione della pratica regolare della Santa Comunione, mentre in quel periodo era invalso l'uso della consumazione domenicale sostitutiva delle “collive”, cioè dei “dolci per i morti”, al posto della Comunione.

S.Silvano del monte Athos

Dal 1892 al 1938 visse al monte Athos, nel monastero di S.Panteleimonos [14], lo staretz Silvano del monte Athos. Già convertito, commetterà il suo più grande peccato, esperienza che lo segnerà per tutta la vita. Durante la festa parrocchiale del paese passeggia con la fisarmonica con un suo compagno, quando due calzolai, un po' sbronzi, gli si fanno innanzi e cercano di prendere lo strumento musicale. Silvano prima cede, poi, pensando alla vergogna di perdere la faccia dinanzi alle ragazze del paese, colpisce violentemente uno dei due che cade a terra quasi morto. Silvano, quando sa che il giovane ha avuto salva la vita, decide di vivere una lunghissima penitenza. Di nuovo, nel 1906, Silvano è prostrato, perché è tormentato dall'incapacità di pregare con uno spirito puro e riceve da Dio questa risposta: “Tieni il tuo cuore agli inferi e non disperare!”. E' la parola che vivrà e che testimonierà al mondo. Così descrive questa sua esperienza spirituale: “Straordinario! Il Signore non ha dimenticato me, sua creatura caduta! C'è chi si dispera perché crede che il Signore non perdonerà il suo peccato. Ma pensieri simili vengono dall'avversario. La misericordia del Signore è tale che noi non riusciamo neanche a percepirla in pienezza. L'anima che nello Spirito Santo è stata colmata dall'amore di Dio conosce davvero lo smisurato amore del Signore per l'uomo. Ma quando smarrisce questo amore, allora è angosciata, affranta: la mente non pensa ad altro, ma cerca Dio solo. Un diacono un giorno mi raccontava: “Ho visto Satana vestito da angelo di luce e mi ha lusingato dicendomi: 'Io amo gli ambiziosi: saranno mia proprietà! Tu sei ambizioso e perciò ti prenderò con me!'. Ma io gli risposi: 'Sono il peggiore di tutti'. Satana, allora, immediatamente sparì”. Anch'io ho vissuto qualcosa di simile quando mi apparvero i demoni. Nella mia paura esclamai: “Signore, vedi che i demoni mi impediscono di pregare. Dimmi tu cosa fare perché fuggano lontano da me”. E il Signore mi confidò: “I demoni non cessano di tormentare le anime orgogliose”. Replicai: “Signore, illuminami; quali pensieri renderanno umile la mia anima?”. Questa la risposta che ricevetti: “Tieni il tuo spirito agli inferi, e non disperare!”. Da allora iniziai a fare così e tutto il mio essere ha trovato pace in Dio. L'anima mia impara l'umiltà dal Signore. Mistero insondabile: il Signore mi si è manifestato e ha ferito il mio cuore con il suo amore, poi si è nascosto e ora la mia anima anela a Dio giorno e notte (cfr. Sal 42, 2). Egli, come pastore buono e misericordioso, è venuto a cercare me, la sua pecora ferita dai lupi, e mi ha curato”.

Il monastero di Agiou Panteleimonos, fotografato dal traghetto che si avvia verso il porticciolo di Dafni
Il monastero di Agiou Panteleimonos, fotografato dal traghetto che si avvia verso il porticciolo di Dafni


Note

[Nota 1] Da “La vita di San Silvano”, narrata dal suo discepolo, l'archimandrita Sofronio in Silvano del monte Athos, Non disperare, edizioni Qiqajon, Magnano, 1994, pag. 23.

[Nota 2] M.Capuani-M.Paparozzi, Athos. Le fondazioni monastiche. Un millennio di spiritualità e arte ortodossa, Corpus Bizantino Slavo, Milano 1997, Jaca Book, pag. 18.

[Nota 3] Giovanni di Damasco (da cui il nome Damasceno) fu un arabo-cristiano o, si potrebbe dire, un greco-siriano che fece carriera nell'amministrazione araba, allora in espansione, fino a ricoprire la carica di responsabile per i cristiani a Damasco. Divenuto monaco abitò a S.Saba, nel deserto di Giuda, dove è sepolto. Scrisse tre famosi Discorsi sulle icone, in cui affermava che esse sono la conseguenza dell'Incarnazione: il Dio illimitato diviene contenuto nella materia. Negare le sante rappresentazioni vuol dire distruggere la stessa fede cristiana.

[Nota 4] Il discorso è lungi dall'essere risolto, anche a livello di storia delle religioni. E' ormai certo, infatti, che l'ebraismo, almeno fino al V secolo d.C., non è stato contrario alla presenza di affreschi o mosaici rappresentanti la storia sacra e addirittura la stessa “mano di Dio” (vedi la sinagoga di Dura Europos, come le molte sinagoghe con mosaici presenti in Israele in periodo bizantino). E' certamente sbrigativo ritenere tali opere come “deviazioni”. Anche nella tradizione islamica è accertata la presenza di affreschi e raffigurazioni umane in periodo omayyade. Solo una successiva volontà di uniformare, riterrà scientemente eretiche tali opere, anatematizzando coloro che le avevano volute.

[Nota 5] Tuttora gli arabi chiamano i cristiani ortodossi “rum”, cioè “romani”.

[Nota 6] A.Rigo (a cura di), Alle origini dell'Athos. Vita di Pietro l'Athonita, Qiqajon editore, Magnano, 1999.

[Nota 7] M.Capuani-M.Paparozzi, Athos. Le fondazioni monastiche. Un millennio di spiritualità e arte ortodossa, Corpus Bizantino Slavo, Milano 1997, Jaca Book, pag. 20.

[Nota 8] Dall'intervento del cardinal Joseph Ratzinger al dialogo con il pastore Paolo Ricca su “Ecumenismo: crisi o svolta?” alla facoltà Valdese di Teologia di Roma il 29 gennaio 1993.

[Nota 9] E' indicativa della situazione di stallo la famosa lettera di Manuele II Paleologo al figlio Giovanni VIII alcuni anni prima di Ferrara-Firenze, riportata in un Chronicon del XV secolo. Essa, anche se non fosse “storica”, indica l'incertezza della difficilissima situazione creatasi nella strettoia fra teologia e sopravvivenza: “Figlio mio, sinceramente e veramente sappiamo degli infedeli (cioè i turchi e i musulmani) che sono assai paurosi che noi possiamo unirci e accordarci ai cristiani d'Occidente; sono infatti del parere che se questa unità tra Oriente e Occidente dovesse accadere, un grave danno ne deriverebbe a loro per la nostra opera. Per ciò che concerne il Concilio in vista dell'unione, occupatene quindi, fa ricerche, e ciò soprattutto quando hai bisogno di mettere paura nei musulmani. Quanto a realizzare il Concilio, non intraprendere mai una tale cosa, perché, per quanto vedo io, i nostri non sono pronti a trovare il metodo e il modo di unione e di accordo e di pace e di concordia, se non preoccupandosi che quelli, intendo gli occidentali latini, facciano ritorno indietro, alla situazione in comune in cui eravamo fin dalle origini. Ma ciò in realtà è impossibile. Io temo quasi che se ci fosse un concilio di unione, lo scisma andrebbe ad aggravarsi e noi resteremmo col fianco scoperto nei confronti degli infedeli saraceni”.

[Nota 10] E' commovente vedere rappresentati nella cappella dei Magi di Palazzo Medici a Firenze, affrescata da Benozzo Gozzoli (fra il 1459 e il 1462) l'imperatore di Costantinopoli, il basileus Giovanni Paleologo e, forse, il patriarca Giuseppe, venuti in Italia per chiedere disperatamente la crociata in aiuto contro i Turchi (il patriarca Giuseppe morì a Firenze ed è sepolto in Santa Maria Novella). E' uno degli episodi che mostra quanto sia difficile dare oggi una valutazione di quel fenomeno storico che, semplicisticamente, prende il nome di “crociata”.

[Nota 11] J.Gill, Il concilio di Firenze, Sansoni editore, Firenze, 1967, pag. 106.

[Nota 12] Nicodimo Aghiorita e Macario di Corinto, La Filocalia, Gribaudi editore, Assisi, 1995.

[Nota 13] O.Clément, La filocalia in AA VV, Nicodemo l'Aghiorita e la Filocalia, edizioni Qiqajon, Magnano, 2001, pag. 22.

[Nota 14] Monì Aghiou Panteleimonos (Monastero di S. Panteleimon) è il monastero del monte Athos abitato da monaci russi (anche se molti di loro sono oggi ucraini). Dei venti monasteri oggi esistenti all'Athos, 17 sono abitati da monaci greci, Chilandari dai serbi, Zografu dai bulgari e appunto, Aghiou Panteleimonos dai russi. Una delle caratteristiche del monastero è di non essere circondato da mura. Fu, infatti, costruito, a partire dal 1765, in un periodo in cui le incursioni dei pirati erano ormai un ricordo lontano, vicino alla Chiesa della Resurrezione che già esisteva dal 1660. Gli iniziatori dell'attuale monastero furono i monaci di maggioranza russa che avevano in origine abitato il monastero dedicato a S.Panteleimon alla fine del X secolo più nell'interno e che, dopo generazioni, si erano trasferiti in quello di Xilurgu e lo avevano poi abbandonato. Fu nel 1839 che, di nuovo dopo un periodo di abbandono, i greci chiesero ai russi di abitare il monastero. Nel 1914 il monastero arrivò al numero di 2000 monaci. Dopo il 1917, però, la rivoluzione bolscevica impedì sia l'arrivo di aiuti economici dalla Russia, sia, soprattutto, l'afflusso di nuovi monaci. Iniziò così un nuovo periodo di decadenza, fino alla caduta del Muro di Berlino. S.Silvano visse in questo periodo di splendore e vide poi l'inizio della decadenza.


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