Omelia di saluto alla parrocchia di Santa Melania
di d.Andrea Lonardo

Presentiamo on-line il testo dell’omelia del saluto di d.Andrea Lonardo alla parrocchia di Santa Melania, della quale è stato parroco per dieci anni, nella celebrazione del 17 settembre 2006. Le letture erano quelle della XXIV domenica del tempo ordinario dell’anno B. Il testo è stato sbobinato da una registrazione.

Il Centro culturale Gli scritti


Gesù in questo Vangelo conduce i suoi apostoli lontano da tutti gli altri e lì domanda loro: “La gente dice tante cose di me, ma voi chi dite che io sia?”.

Vedete? Il cambiare nella vita, come in questo cambio di parroco, ci pone ancora una volta dinanzi a questa domanda. Ci avete chiesto mille volte se il fatto che un parroco resti solo 10 anni in una parrocchia sia una cosa giusta, se non sarebbe meglio restare più a lungo. Ci avete chiesto perché i preti debbono spostarsi, ecc. ecc. Potremmo parlare all’infinito di queste cose, ma non è questa oggi la domanda importante.

La questione importante è un’altra. La questione è che dinanzi al fatto che cambia qualcosa, noi ci troviamo ancora di più dinanzi al Signore, dinanzi al nostro Dio. E Lui, più liberamente ancora, ci domanda: “Voi chi dite che io sia?” Chi sono io per te? Mi hai scelto per quel prete, per quella persona, per quell’altra o perché hai scelto me?”. Ogni persona - io, d.Francesco, d.Andrea, d.Maurizio, d.Gaetano, i catechisti, i genitori, i nonni - è una persona attraverso cui Gesù ci ama. Ed ognuno di noi è importante. Ma poi Gesù vuole essere amato proprio Lui.

Ci dice: “Ma io per te chi sono?”. Vedete, questa domanda oggi è ancora più evidente. Noi dobbiamo lasciare che questa domanda si posi nei nostri cuori. Devo rispondervi di nuovo io che ora vivrò al centro di Roma e non più qui a S.Melania. Deve rispondervi d.Francesco che è il nuovo parroco, d.Gaetano che è appena arrivato, d.Andrea nel suo nuovo ministero, d.Maurizio che tra un anno sarà nella sua Diocesi. Il Signore ci dice: “Mi ami veramente? Tutto il cammino fatto ti è servito per capire che nella tua vita c’è il Signore? E’ nato questo amore o è ancora tiepido?”.

Ed è l’amore di Cristo che ce lo chiede. È Cristo che ce lo domanda con tutto se stesso. A chi abbiamo detto di sì? Il Vangelo di oggi ci pone questa domanda. Voi sapete che la risposta di Pietro è: “Tu sei il Cristo”. Gli altri avevano risposto che Gesù era come Elia, come un profeta. Tante religioni, allo stesso modo, ci dicono che Gesù è importante, che non c’è nessuno come lui, che è bravo, buono, bello, intelligente. Pietro non dice solo questo, ma dice molto di più: “Tu sei il Cristo”. Cioè tu sei il Messia, l’unico Messia.

Noi cerchiamo di aggiustarci tante cose senza Gesù, quando non lo riteniamo l’unico. Ma in realtà Gesù deve talmente entrare nelle pieghe della vita che, dove lui non c’è, qualcosa non va. Dove invece lui c’è tutto rifiorisce, nei rapporti, nella vita, nel lavoro, nelle cose che sembrano non andare, in quelle che già vanno bene. Questo vangelo ci pone davanti a Gesù stesso che chiede di essere amato.

Se voi leggete la storia della salvezza, vedrete che cambiano continuamente tante cose. Apparentemente niente sembra essere immutabile. Prima c’è il Tempio, poi viene distrutto, poi viene rifatto; e così è per tutte le cose belle che vengono da Dio. Ma tutto questo porta sempre più a quella novità, alla vera novità, che è la presenza piena di Dio in Cristo.

La nostra vocazione e la vostra vocazione stanno in piedi a partire da questa domanda: “Voi chi dite che io sia?”. Noi mettiamo prima tante altre domande, invece questa domanda è quella sulla quale si regge tutto. Poi tutte le altre domande hanno senso, ma questa è la domanda che Gesù stesso pone al nostro cuore: “Voi chi dite che io sia?”. E Pietro risponde: “Tu sei il Cristo”. È la risposta di chi dice: Io sono cristiano, io sono legato alla tua storia per sempre, perché tu sei l’inviato definitivo di Dio. Sei la mia salvezza, la salvezza dei miei bambini, della mia famiglia, della mia parrocchia, della chiesa e così via.

Ho pensato oggi, come in una sintesi, dinanzi a questo vangelo, a cinque aspetti della fede che abbiamo condiviso in questi anni, a cinque aspetti che mi tornano in mente oggi, in questa messa di ringraziamento e di saluto. Sono cinque modi con i quali abbiamo detto che Gesù è il Signore, è il Cristo, cinque vie che abbiamo percorso per comprendere un po’ di più il mistero di tutto ciò che Dio ci ha donato e ci dona.

Dopo che Pietro ha detto che Gesù è il Cristo, “Gesù cominciò ad insegnare loro”. Gesù comincia ad insegnare, ‘perché li ama’. Una prima cosa che mi viene in mente è, allora, che insieme - ma dovete continuare a fare questo - abbiamo amato la vita. Francesco usa questa espressione bellissima quando parla ai genitori, l’ha ripetuta tante volte e riecheggerà ancora tante volte con voi genitori, anche a chi è genitore spirituale: “Voi siete i migliori genitori dei vostri bambini”.

Vedete, Gesù è a suo agio con la vita. Dove c’è la vita è felice, sta bene. Ecco, questi anni sono stati - e gli anni che verranno saranno ancora, devono esserlo - degli anni nei quali noi siamo stati a nostro agio con la vita, perché amiamo quella vita che Dio ha fatto. Pensate solo che in questi dieci anni ho battezzato circa mille bambini, non sono pochi!

Il cristiano è colui che da Dio ha imparato a essere a suo agio, a essere felice dove c’è la vita, dove la vita esiste. Gesù prende questi apostoli e pian piano comincia ad insegnare loro qualche cosa. Ai piccoli, ai giovani, agli anziani, a tutte le condizioni di vita.

Questo – lo vediamo in particolare nella seconda lettura in cui il Signore ci parla della carità - diventa nella fede cristiana anche accoglienza, diventa questa chiamata per la quale ogni vita è importante, ogni vita ci riguarda. È il secondo aspetto che volevo sottolineare. Qualche mese fa avevo letto una lettera di d.Andrea Santoro quando da parroco aveva lasciato la sua parrocchia romana dei Santi Fabiano e Venanzio per diventare missionario in Turchia. Mi aveva colpito una sua espressione: Ringrazio quanti non ho conosciuto perché mi hanno concesso di vivere accanto a loro e di amarli anche se a distanza. Sempre ho pregato per loro e sempre li ho pensati a me vicini, soprattutto la sera quando guardavo le finestre illuminate delle case e a messa quando, alzando il calice del sangue di Cristo dicevo: ‘Questo è il calice del mio sangue, versato per voi e per tutti in remissione dei peccati’. In quel ‘tutti’ comprendevo proprio tutti, nessuno escluso. Nel mio cuore, andando via, porterò ogni persona conosciuta e non conosciuta della parrocchia: sono le pecorelle, i figli, i ‘pesciolini’ affidati alla mia pesca e destinati alla rete del Regno di Dio”.

E’ il dono dell’evangelizzazione, dell’attesa. E posso dire anche questo, posso dirlo di tutti noi sacerdoti ed anche di ognuno di voi: siamo cresciuti in questa attesa di ogni vita, comprendendo sempre più che il Signore ha una parola da dire ad ogni vita. È questa Chiesa che guarda sempre al di fuori di se stessa.

È questo costruire un clima di famiglia, questo sentirsi a casa, questo sapere che c’è un posto per ognuno, che c’è qualcosa che il Signore ci dona di essere e di vivere, perché lui è il Signore dell’annunzio del vangelo, del vangelo che deve raggiungere tutti e dal quale nessuno si deve sentire escluso.

Poi, vedete, in questo vangelo c’è un terzo aspetto. Si dice: Gesù cominciò “ad insegnare loro”. Sapete che a me - ed anche agli altri sacerdoti di Santa Melania - è sempre piaciuto spiegare le cose. Il Papa, in questa sua lezione all’Università di Ratisbona - che è stata molto fraintesa, perché il centro era tutt’altro da ciò che è stato contestato - diceva: “Tra la ragione e la fede c’è un’alleanza”. E diceva così il gusto cristiano per la comprensione, per l’approfondimento.

Noi non abbiamo voluto essere intellettuali in mezzo a voi - avete visto, infatti, come a me piace stare con i bambini, giocare, scherzare. Ma anche spiegare loro le cose, perché da quando si è piccoli bisogna capire. Voler capire, pensare e spiegare, insegnare, questo sì lo abbiamo voluto. Nella fede sempre c’è il domandare, il chiedere, l’ascoltare.

Il Signore ha voluto che ci fosse tutto un cammino della fede per essere amato, per essere capito. Per convincere, non per vincere con la violenza. Si è appassionato a spiegare, a raccontare a tutti quanti. Questo è un altro grande dono con il quale il Signore ci ha fatto camminare: questo voler amarlo capendolo, amarlo conoscendolo, amarlo in questa maniera. Mio fratello Giovanni, che qualcuno di voi ha conosciuto, una volta mi ha raccontato una frase bellissima di un libro. Noi diciamo: “Non è mai troppo tardi per cominciare”. Questo libro diceva: “Non è mai troppo presto per cominciare”. Tu sei bambino, puoi già cominciare a capire tante cose belle, ad avere tante domande. Volersi formare è questo mettere tutti noi stessi in questa sequela.

Poi – è il quarto aspetto - questo cammino è avvenuto nella Chiesa, realmente. Pensavo come in tutti questi anni – nella preparazione delle liturgie di Natale, di Pasqua - in ogni stanza della parrocchia ci fosse qualcuno che faceva qualcosa per gli altri, per tutti. Che fosse poco o tanto non importa... senza ognuno di voi non si sarebbe potuto fare. Ed è il grazie che noi diciamo. Pensate a questo mistero di tutte le vocazioni che abbiamo incontrato in questi anni, all’aver vissuto insieme persone di ogni età - dai più piccoli ai più grandi. Pensate alla fortuna di aver incontrato tanti seminaristi, sia del Capranica che del Seminario Maggiore, insieme alle novizie salesiane, alle pastorelle, a tutti i laici, a noi preti. Questi anni sono stati una esperienza di chiesa, una vita nella chiesa.

Il Signore si rivolge a Pietro e Pietro gli risponde: è la Chiesa che risponde. E’ questa Chiesa in cui noi camminiamo con il Signore. È nella Chiesa che noi impariamo ad amarlo ed essa ci è madre e senza di essa non potremmo fare niente. Tutti quanti noi, lo avete scoperto sempre di più, siamo veramente la Chiesa, ognuno con la sua vocazione, la sua responsabilità. Ed è per questo che sento di dover dire un grazie a tutti – faccio solo il nome di Sirio che ha spesso lavorato alle cose pratiche della parrocchia, a tutte le cose che ci sono continuamente da riparare, proprio per dire che nella chiesa ognuno è importante.

Poi c’è un aspetto ancora, il più difficile. Gesù comincia a dire che incontrerà il male e che ne morirà, che offrirà la vita. Pietro si scandalizza: “Non ti accadrà mai questo”. Invece il Signore lo corregge e comincia a dire che la testimonianza più grande è mettere amore dove c’è il peccato. Questa è la cosa più difficile, forse nessuno di noi è in grado totalmente di farlo, ma questo è il vangelo, questa è la bellezza che ci rende cristiani, che ci fa capire che la fede cristiana è più grande di qualunque altra realtà.

Don Francesco - lo ricordo sempre - usa spesso questa espressione bellissima: “Chi ci farà vedere il bene?” Quando tutti vedono subito il male, chi ci farà vedere il bene, chi ci farà vedere dove Cristo opera, dove Cristo prende su di sé il male, dove lo trasforma, mettendoci il suo amore? Questa è la realtà più difficile, ma è insieme quella che chiediamo con tutta la grazia di poter sempre vivere, quando incontriamo il male fatto da noi, il male fatto da un altro, il male che è nel mondo, il male della società. Come possiamo, come Cristo, mettere proprio lì del bene? E’ la grande domanda, la domanda difficile, ma è l’unica salvezza del mondo.

Ancora due cose mi vengono in mente, oltre questi cinque aspetti. Volevo dirvi con tutta serenità che siamo stati felici in mezzo a voi. Vedete il Vangelo dice: “Chi ha perduto la vita la troverà” e dice che chi lo segue “avrà il centuplo quaggiù”. Questo è proprio un ringraziamento a tutti voi, è un ringraziare il Signore attraverso di voi, perché abbiamo sentito che è bello dare la vita, che è bello per noi dare la vita, che è questo che fanno i sacerdoti, le suore, ma anche i laici. Il cristiano è colui che è felice di ciò che fa.

Pensate solo al fatto che noi sacerdoti di Santa Melania abbiamo mangiato in questi anni grazie alle vostre offerte. Io ci penso ogni tanto, quando voi mettete i vostri soldi nel cestino... la mia pancia dipende anche da questo! E’ stato un motivo di gioia anche questo ed è ora un ringraziamento vero; c’è stato questo dono reciproco. E’ una cosa elementare, uno non ci pensa mai!

Ma oltre a questo dono concreto c’è stato il servizio, l’affetto, la grandezza dei rapporti, la bellezza della fede, la comunione, il perdono. Gesù dice: “Il centuplo quaggiù, insieme a persecuzioni e l’eternità”. Queste tre cose il Signore ce le dona insieme. Questo vangelo parla di questo perdere la vita, di questo riaverla, di questa eternità. Ecco, noi possiamo testimoniare la gioia di avere avuto il centuplo e chiediamo al Signore che ce lo doni ancora, che ci faccia accettare tutta la fatica della vita, che faccia accettare a voi la fatica di essere genitori, nonni, e così via, ma sapendo di avere il centuplo quaggiù e l’eternità.

Penso che questo possa diventare anche una domanda per voi ragazzi, una domanda sulla vocazione. Qualcuno potrebbe domandarsi, proprio oggi che sente come ci sia mancanza di sacerdoti e come noi siamo chiamati a spostarci per questo: “E se diventassi anch’io sacerdote?” Ognuno di voi ragazzi potrebbe domandarsi: “Che cosa sono chiamato a vivere? Vedo i miei genitori, i miei preti, le mie suore: a chi di loro vorrei assomigliare?” E’ come una domanda che abbiamo dentro.

Ho sentito un giorno una frase bellissima di un papà. In un monastero stava raccogliendo delle foglie, stava riposando – era in vacanza - e parlava con un monaco dei suoi figli. Gli ho chiesto: “Ma ti stanchi di più quando sei in vacanza o quando lavori?” Mi ha risposto: “Quando sono in vacanza, perché debbo stare sempre con i bambini che non mi lasciano un attimo di tregua. Quando lavoro i bambini per alcune ore stanno a scuola, poi stanno con mia moglie, poi hanno altre cose da fare, ma in vacanza non li puoi lasciare un attimo”. Gli ho chiesto dove trovasse la forza per fare tutto questo e lui mi ha risposto con una frase bellissima: “Quando non ce la faccio più, penso a quello che hanno fatto i miei genitori per me. Io sono stato un figlio molto più difficile dei miei bambini, i miei bambini sono molto più buoni di come ero io! E appena penso a quello che i miei genitori hanno fatto per me, trovo la forza di fare tutto quello che devo fare per i miei figli”. Attraverso la domanda sui nostri adulti, su cosa ci ha colpito di loro, noi ci interroghiamo su cosa il Signore vuole da noi.

Ed infine c’è il futuro che ci attende. C’è una frase scherzosa che si diceva nel mondo del ciclismo anni fa: “Gambe in spalla e pedalare!”. Ci sono momenti in cui bisogna rimettersi tutti quanti in cammino. Il Signore ci chiama ora tutti quanti a qualcosa di nuovo, ad una responsabilità nuova. Come abbiamo accolto ogni tappa fin qui, dobbiamo accogliere anche quelle nuove con tanta fiducia, con tanto entusiasmo. Conosciamo tutti il grande affetto di Francesco per tutti e il vostro per lui. Abbiamo conosciuto Gaetano che è appena arrivato.

Veramente il Signore ci chiede di impegnarci nel suo nome e nell’affetto che abbiamo. Ci incontreremo certamente ancora tante volte. Il Signore ha fatto ‘piccolo’ il mondo e poi dovremo stare insieme per tutta l’eternità; perciò non vi preoccupate. Adesso è il momento davvero di chiedere la grazia per tutto ciò che inizia e continua, chiedere la sua grazia, la sua fiducia, la sua speranza per camminare. Che ognuno riprenda il servizio che ha fatto. Chi non lo ha mai fatto si chieda se non è il caso di iniziare, perché realmente nella Chiesa c’è bisogno di tutti quanti. E che il Signore ci benedica ancora nel cammino in cui ci troveremo ancora con Lui. E così sia.


[Catechesi e pastorale]