La fede come incontro che deve essere “detto” (da Sergio Bastianel)

La fede come incontro che deve essere “detto”
da Vita morale nella fede in Gesù Cristo, San Paolo,
di Sergio Bastianel


Quando parliamo di fede cristiana non parliamo di una filosofia su Dio. Non basta la convinzione che "esiste un Essere supremo" per qualificare una persona come cristiana. Anche se tale "Essere supremo" fosse riconosciuto in quel Dio di cui parla la Bibbia, non si tratterebbe ancora di fede cristiana.

Cristiana è quell'esperienza di fede che nasce e matura in forza di un personale incontro con Dio in Gesù Cristo, rimanendo ancora­ta a quell'incontro come realtà sempre presente (anche se non in ogni momento tematicamente esplicita). Parliamo della fede nel Padre di nostro Signore Gesù Cristo.

Nel "credere" indichiamo innanzitutto un affidarsi a Colui nel quale crediamo (pisteuein eis, credere in) e all'interno di questo affermiamo pure delle verità di fede (pisteuein hoti, credere che), le quali in tanto sono "di fede", in quanto appartengono a quel medesimo affidarsi, e in forza di esso hanno il loro proprio rilievo per il credente. Realtà fondante è l'aver incontrato nella propria vita Gesù Cristo Signore.

Con la figura dell'incontro intendo qui sottolineare un preciso significato: nella sua vita (non dunque, per esempio, in un libro che durante la sua vita ha letto, bensì dentro il suo vivere stesso, nella realtà vivente della sua esperienza personale) il cristiano ha incontrato Dio in Gesù Cristo e ne è stato preso, coinvolto, così da dover rispondere come davanti ad una persona, non semplicemente come davanti ad un'idea, ad un libro, ad un evento (anche se forse ciò è accaduto attraverso un evento, un libro, un'esperienza estetica o intellettuale, una persona incontrata). Nel medium di un'esperien­za umana, o di molte e diverse successive esperienze umane, è suc­cesso che una persona "si è incontrata" con Gesù Cristo, si è trova­ta davanti a lui, ha sperimentato la sua presenza vivente come quel­la di un "tu" che gli salva la vita, che gliene svela il senso e la rende possibile.

Ciò può avvenire a livelli di consapevolezza esplicita assai diffe­renti da persona a persona. È realtà che matura spesso in buona parte nell'implicito, non nel senso che la persona non se ne accorga affatto, ma nel senso che non lo ha tematicamente presente e forse non saprebbe farne un discorso.

Pensiamo a un contadino, o a una casalinga, o a un operaio, an­ziani e senza istruzione, nati e vissuti in un ambiente cristiano e che vivono effettivamente la loro vita di credenti: se chiedessimo loro che cos'è l'incontro con Gesù Cristo, forse non capirebbero esattamente neppure il senso della domanda. Ma non è questo che ha importanza. Ha importanza la realtà, visibile e indicabile nei suoi frutti, che nella vita di quelle persone l'aver incontrato Gesù Cristo è effettivamente presente, è anzi un evento centrale: dall'interno della loro vita Egli ha indicato loro come vivere correttamente, ha fatto loro comprendere che è possibile vivere in quel modo e quello è il senso della loro vita, li ha fatti capaci di sperare, li ha fatti capaci di pronunciare dentro la loro esperienza quotidiana il nome di Gesù Signore. Questa realtà essi la esprimeranno a loro modo, nel gesto della decisione e nella parola di fede. Forse chiameremmo una tale fede "semplice". In tal caso dovremmo ricordare che la semplicità della fede non viene da sé: anche la fede semplice, in quanto dono accolto, ha bisogno di cura e prende il nome della fedeltà e della preghiera.

Un evento che è realtà di incontro sta, dunque, all'origine, come senso e come storia, di qualsiasi vita cristiana, nel suo nascere e nel suo maturare. Se questo non c'è, per quanto dipende da noi, si trat­terà di fare il possibile perché avvenga, creandone le condizioni e le occasioni. Se tale realtà di incontro è presente, ma debole, si tratte­rà di averne cura per favorire il suo approfondimento e la sua matu­razione. Se è presente e vivace, occorre non presumerne il "posses­so", ricordare che si tratta di un dono da custodire, promuoverne l'ulteriore crescita e maturazione. Il senso dell'incontro con Dio, nella consapevolezza del cristiano, esprime la radicale esperienza di essere salvato, l'esperienza di una salvezza donata nel perdono: Dio mi si è fatto prossimo, mi ha donato con la sua prossimità la possi­bilità di una vita "compiuta" in lui e nella comunione fraterna che in lui pure mi è resa possibile. Con ciò è indicata la verità e la den­sità personale di un rapporto verticale con Dio, che è capace di animare e sorreggere fino al compimento il rapporto interpersona­le umano nelle sue molteplici espressioni.Questo medesimo rapporto interpersonale umano, che nell'esperienza di fede viene illuminato e meglio compreso nel suo significa­to più profondo, è, d'altra parte, il termine di esperienza più eviden­te e significativo per comprendere analogamente il senso e il modo del nostro rapporto con Dio. In ordine alla nostra risposta all'incon­tro che egli opera, e in riferimento al tema della preghiera, dovremo ricordare che un incontro interpersonale certo non si riduce alla parola, ma neppure si fa senza "parola", senza esplicitazione. Per chiarire il ruolo essenziale della esplicitazione, della parola interpretante, all'interno del rapporto interpersonale, potremmo ri­cordare la controprova delle esperienze negative, purtroppo non così rare.

Quando, per esempio, un rapporto matrimoniale, vissuto anche intensamente per un tempo, poi un po' alla volta si fa inconsistente, svilisce, diventa addirittura realtà di scontro interpersonale, fino alla rottura e al fallimento della vita familiare stessa; anche senza arrivare a questi limiti, quando il rapporto diventa piuttosto formale, quando continua a reggersi in buona parte per motivi estrinseci, per motivi di convenienza, o perché non si ha la forza di romperlo apertamente; in questi e simili casi, ciò succede solitamente anche - e talvolta soprattutto - attraverso il venir meno di una volontà e capacità di esplicitazione, nei mille modi del linguaggio, della paro­la e del gesto espressivo.

Analogamente per il rapporto di amicizia. Là dove il rapporto stesso non ha sufficiente esplicitazione anche "linguistica", dove non è sufficientemente "detto", il rapporto interpersonale tenden­zialmente si estingue.

Ciò avviene precisamente perché appartiene alla natura dell'incontro interpersonale il suo essere una realtà vivente: non lo si co­struisce una volta per tutte; se c'è, vive crescendo, maturando, adat­tandosi alla novità delle condizioni; è una realtà dinamica, ha biso­gno di trovare sempre nuove forme espressive, nelle quali si invera e che lo fanno essere.

L'esplicitazione di cui andiamo parlando non va intesa come un semplice "manifestare all'esterno" una realtà che comunque ci sarebbe a prescindere dalla manifestazione. Certo, la singola espres­sione o manifestazione, considerata come singola, non è in se stessa essenziale, né in se stessa costitutiva della realtà dell'incontro inter­personale: però è costitutivo della realtà dell'incontro interperso­nale che la manifestazione ci sia.

L'esplicitazione non è una realtà accessoria, rispetto a ciò che essa esprime, manifesta, esteriorizza; essa appartiene alla realtà e alla verità dell'incontro, è costitutiva del suo esserci e della sua qua­lità. Senza "espressione" non c'è incontro, non c'è interpersonalità.

L'immagine di due persone che stanno l'una accanto all'altra, ma non esprimono il loro rapporto, è l'immagine di due persone che non hanno rapporto fra loro; ciò che le mette in relazione è solo l'esteriore dimensione spazio-temporale: succede per caso che sono vicine, come quando una persona abita al piano di sopra e l'altra ai piano di sotto, senza neppure saperlo, avendo tra loro soltanto il pavimento/soffitto che le unisce/divide. Un rapporto interperso­nale c'è solo dove esso si esprime, anche se non si riduce a manifestazione.

Così pure la vita di fede. Il momento del "dire", il momento del­la professione di fede nelle sue varie forme, non è tutto. Il momento della preghiera è l'esplicitazione del vivere la fede, non è, da sola, la fede stessa. In questo senso è vero che si prega con la vita, che l'incontro con Dio si fa nel vivere da persone che hanno incontrato Dio, dunque nella prassi etica del credente. Però, la verità dell'affermazione dipende dal fatto che ci sia una preghiera che anima la vita, così da rendere la vita stessa "credente".


 

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