Perdere la fede 

 

Da La confessione

di Tolstoj

 


  

Persi la fede nello stesso modo in cui l’hanno perduta e continuano a perderla coloro che hanno ricevuto il nostro stesso tipo di educazione. Nella maggior parte dei casi ciò accade nel modo seguente: si vive come vivono tutti, e tutti vivono basandosi su principi che non solo non hanno nulla in comune con la fede professata, ma che anzi le sono generalmente contrari e opposti; la religione non entra nella vita, e non accade mai, sia nei rapporti con gli altri che in privato, di doverci confrontare o fare i conti con essa. Viene professata e praticata in qualche regione indeterminata, lontano dalla vita e indipendentemente da essa. Quando entriamo in contatto con la fede, la consideriamo normalmente come un fenomeno esteriore, non collegato all’esistenza.

Fondandosi sulla vita di un uomo e sulle sue azioni è assolutamente impossibile capire – sia ai giorni nostri che in passato – se costui sia credente o meno. Se vi è una differenza tra coloro che professano esplicitamente la fede e quelli che la negano, ebbene, tale differenza non va certo a favore dei primi. Sia ai giorni nostri che in passato, l’esplicita accettazione e professione della fede ortodossa si riscontra generalmente in persone ottuse, crudeli, immorali, con un alto concetto di se stesse, mentre l’intelligenza, l’onestà, la bontà, la rettitudine e il sentimento etico si ritrovano generalmente in persone che si professano non credenti.

Nelle scuole s’insegna il catechismo e si costringono gli allievi ad andare in chiesa; agli impiegati vengono richiesti dei certificati di comunione. Ma una persona del nostro ambiente, che abbia smesso di studiare e non occupi un posto nell’amministrazione dello stato, sia oggi sia – e ancor più – in passato, può vivere decine d’anni senza ricordarsi neppure una volta di vivere in mezzo a cristiani e di venir considerato egli stesso un seguace della religione ortodossa.

Quindi, sia oggi che in passato, la fede religiosa accettata passivamente e fondata su pressioni esteriori si dissolve a poco a poco sotto l’influenza delle conoscenze e delle esperienze della vita ad essa contrarie, e molto frequentemente accade che si viva a lungo immaginandosi di conservare intatta quella fede che ci è stata trasmessa sin dall’infanzia, mentre in realtà già da gran tempo in noi non ne è rimasta più traccia.

Il mio amico S., uomo intelligente e sincero, mi ha raccontato come smise di credere. Aveva già ventisei anni e, trovandosi una volta a passar la notte fuori di casa durante una partita di caccia, la sera, prima di coricarsi, s’inginocchiò per recitare le preghiere secondo un’antica abitudine contratta fin dall’infanzia. Il fratello maggiore, che era a caccia con lui, se ne stava coricato sul fieno a guardarlo. Quando S. ebbe finito e si fu coricato a sua volta, il fratello gli chiese: “Così tu lo fai ancora?”.

Non si dissero altro, ma da quel giorno S. smise di recitare le preghiere e di recarsi in chiesa, e ormai da trent’anni non prega, non si comunica e non frequenta la chiesa. E questo non perché conoscesse le convinzioni del fratello e le avesse accettate, o perché avesse preso una qualsiasi decisione cosciente, ma soltanto perché le parole pronunciate dal fratello erano state come la pressione di un dito contro una muraglia che stava già per crollare sotto il suo stesso peso; quelle parole gli avevano fatto capire che là dov’egli credeva che ci fosse ancora la fede ormai da tempo c’era in realtà soltanto un vuoto, e che quindi le parole che diceva, i segni di croce e le genuflessioni che faceva durante la preghiera erano assolutamente privi di senso. Avendone riconosciuta l’assurdità, non poteva più continuare a ripeterli.

La stessa cosa è accaduta e accade – così almeno io credo – alla stragrande maggioranza delle persone. Parlo di quanti hanno ricevuto la mia educazione e sono sinceri con se stessi e non di coloro per i quali la fede è soltanto un mezzo per il raggiungimento di qualche fine temporale. (Costoro sono in realtà i più radicali miscredenti, giacché se per loro la fede è soltanto un mezzo per il raggiungimento di fini mondani, è chiaro che non può chiamarsi fede). Il mondo della scienza e quello della vita hanno ormai distrutto per loro l’edificio artificiale della fede, e qualora se ne siano resi conto hanno già sgombrato il posto vuoto, oppure non se ne sono ancora accorti.

Io persi la fede trasmessami nell’infanzia più o meno allo stesso modo, ma con questa differenza: poiché avevo cominciato, appena quindicenne, a leggere opere di filosofia, la mia rinuncia alla fede religiosa fu ben presto cosciente. Fin dall’età di sedici anni per convinzione interiore smisi di pregare, di andare in chiesa e di digiunare. Non credevo in ciò che mi era stato insegnato nell’infanzia, ma credevo pur sempre in qualcosa, anche se non avrei assolutamente saputo dire in cosa. Credevo in Dio, o meglio non lo negavo, ma di quale Dio si trattasse non avrei saputo dirlo; non negavo il Cristo e il suo insegnamento, ma in che cosa consistesse questo suo insegnamento non avrei saputo dirlo.

Oggi, ricordando quei giorni, vedo chiaramente che l’unica mia vera fede – ossia quanto, escludendo gli impulsi animali, guidava la mia vita – era a quell’epoca la fede nell’autoperfezionamento. Ma in cosa consistesse e quale fosse il suo scopo, non avrei saputo dirlo. Cercavo di perfezionarmi intellettualmente, imparando tutto quel che potevo imparare e studiando tutto ciò verso cui la vita mi spingeva; cercavo di perfezionare la mia volontà ponendomi regole di comportamento che mi sforzavo di osservare; mi perfezionavo fisicamente compiendo esercizi di tutti i generi, esercitando la forza e la destrezza, abituandomi alla resistenza e alla temperanza con privazioni di ogni sorta. Era questo che io consideravo autoperfezionamento. All’inizio, naturalmente, si trattava di un perfezionamento morale, ma ben presto venne sostituito dall’autoperfezionamento in generale, ossia dal desiderio di diventare migliore non davanti a me stesso o davanti a Dio, bensì davanti agli altri. E ben presto questa aspirazione a diventare migliore al cospetto degli uomini si mutò in quella a diventare più forte, più famoso, più importante e più ricco di loro.

 


 

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