Romano è Cristo, Roma ho amato (da Paolo VI)

Romano è Cristo, Roma ho amato
dall’omelia nella Santa Messa per il suo 80° compleanno, domenica 16 ottobre 1977,
di Paolo VI


Io devo vivamente ringraziare di questa ora di preghiera, così piamente, così filialmente, così collettivamente promossa per ottenere l’assistenza divina a questi miei vecchi anni, dei quali riconosco, in ordine al mio destino finale, la loro decisiva importanza. Grazie, Venerabili Fratelli; grazie, carissimi Figli, di cotesto confortante segno della vostra pietà, anzi della vostra comunione. Ebbene lasciate che, per un solo breve momento, anch’io vi manifesti l’attestato della mia corrispondente affezione per voi. Le parole d’infinita carità, che S. Paolo riserva all’amore di Cristo per l’Apostolo stesso: «Egli mi ha amatoe ha dato Se stesso per me» (Gal. 2, 20), a mia confusione e a mio stimolo hanno governato la mia umilissima attività, durante la mia lunga permanenza romana. Sì, Roma ho amato, nel continuo assillo di meditarne e di comprenderne il trascendente segreto, incapace certamente di penetrarlo e di viverlo, ma appassionato sempre, come ancora lo sono, di scoprire come e perché «Cristo è Romano» (Cfr. DANTE ALIGHIERI, La Divina Commedia, «Purgatorio», XXXII, 102).

E a voi, Romani, quasi unica eredità ch’io vi possa lasciare, io raccomando di approfondire con cordiale e inesauribile interesse, la vostra «coscienza romana», abbia essa all’origine la nativa cittadinanza di questa Urbe fatidica, ovvero la permanenza di domicilio o l’ospitalità ivi goduta; «coscienza romana» che qui essa ha virtù d’infondere a chi sappia respirarne il senso d’universale umanesimo, non pure emanante dalla sua sopravvivenza classica, ma ancor più dalla sua spirituale vitalità cristiana e cattolica.

L’augurio si estende. Che tutti i credenti della santa Chiesa ed anche coloro che aspirano ad un ecumenismo religioso autentico, possano a buon diritto, per fede e per amore, far propria la definizione, non tanto giuridica quanto spirituale, che di San Paolo fu data: «Hic homo civis Romanus est», «quest’uomo è cittadino Romano» (Act. 22, 26).

 

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