Islam e fede cristiana
di padre Maurice Borrmans

Il testo che mettiamo a disposizione on-line è la trascrizione della conferenza tenuta da p.Maurice Borrmans, professore del PISAI (Pontificio Istituto di Studi Arabi e di Islamistica) il 22/11/1995, presso la parrocchia di San Frumenzio in Roma. Il testo ci è stato gentilmente fornito dal sito www.sanfrumenzio.it e non è stato rivisto dal relatore. Sono stati omessi alcuni riferimenti a fatti attuali al tempo della relazione, ma non più comprensibili a distanza di anni.

Il Centro culturale Gli scritti (15/2/2007)


Il mio cognome è fiammingo, sono francese di anagrafe, arabo di cuore e di cultura, romano per lavoro. Ho vissuto venti anni in Francia, venti anni nell’Africa del nord, in Tunisia e in Algeria dove ho fatto i miei studi all’università, poi parecchi anni nel Medio Oriente. Dall’ ‘81 all’ ‘84 sono stato assistente parrocchiale nel golfo arabo, nello stato del Bahrein, dove in mezzo a 400.000 musulmani, metà sunniti e metà sciiti, c’erano circa 100.000 stranieri, il 20% della popolazione, fra i quali 20.000 cattolici prevalentemente asiatici. Il venerdì e la domenica sera si celebrano 3-4 messe con tante persone, naturalmente in inglese, e con una piccola comunità di cristiani arabi del Medio Oriente. Da più di trenta anni sono docente in questo Pontificio Istituto dove noi prepariamo in tre anni, in forma intensiva, alcuni studenti a diventare esperti del dialogo islamico-cristiano, per l’Africa e per l’Asia ed ora anche per l’Europa e l’America.

Sapete che sul nostro pianeta oggi siamo cinque miliardi di essere umani e tutti creati ad immagine del Signore; un miliardo rappresenta l’islam. Una persona su cinque, dunque, è musulmana. Una volta molti paesi erano di tradizione musulmana e talvolta senza una piccola comunità cristiana locale; come da noi c’erano molti paesi di tradizione cristiana senza comunità musulmane. Oramai dappertutto stiamo gomito a gomito, più o meno, in maggioranza o in minoranza relativa. Ci sono delle minoranze musulmane, delle diaspore, ormai in tutti i paesi dell’Europa occidentale e dell’America, e ci sono delle comunità cristiane, certo di stranieri, in tutti i paesi della penisola araba: basta pensare soltanto ai 300.000 filippini e filippine che lavorano nell’Arabia Saudita.

Nel quadro degli incontri Fede e religioni che avete organizzato, mi è stato chiesto di presentarvi un approccio di tipo comparatistico tra l’islam e la fede cristiana o direi tra la fede musulmana e la fede cristiana.
Dobbiamo per questo, innanzitutto, purificare i nostri cuori da ogni tipo di malinteso, di pregiudizio o di rancore; la storia è la storia, e direi che sulle sponde del Mediterraneo tutti noi, dall’una e dall’altra parte, dobbiamo batterci il petto. Nella storia abbiamo fatto delle cose bellissime e anche talvolta, forse spesso, delle cose che non corrispondono all’ideale di dialogo, di collaborazione o di emulazione tra credenti sinceri.

Ora come possiamo superare le vicende della storia perché domani l’incontro quotidiano sia proficuo? Io ripeto molto spesso questa formula ai miei studenti: nello specchio dell’altro e della religione dell’altro, ritrovo la specificità della mia propria fede. Siamo così costretti a praticare il dialogo, diciamo, “delle vette” e non “delle pianure”.

Io direi, in un certo senso, che il vero dialogo spirituale tra credenti, è quello dei mistici. Però prima bisogna sapere un po’ che cos’è la fede del musulmano e che cos’è la fede del cristiano. Naturalmente qui siamo in una comunità parrocchiale ed è superfluo parlare di fede cristiana. Parleremo soprattutto della fede musulmana, alludendo ogni tanto alla fede cristiana, per vedere i punti di contatto, la piattaforma direi di valori comuni, ed ogni tanto i punti di divergenza.

I musulmani hanno una lunga tradizione di quattordici secoli, hanno il libro sacro, il Corano, pensano che questo libro sacro dia loro un insegnamento fondamentale sulla volontà di Allah, Dio, su di loro e per quanto riguarda l’approccio con Dio stesso - dunque credo, culto, morale - e per vivere insieme una morale individuale, sociale e politica. Dicono che tendono ad imitare il modello perfetto, che è il profeta fondatore, Muhammad, Maometto, e poi che costituiscono la grande comunità internazionale, una volta dall’Atlantico al Pacifico, oramai dappertutto. Si sentono solidali e naturalmente tutto questo lo dicono praticando un culto, vivendo una morale, tentando di realizzare un ideale. Naturalmente per noi si pone subito il problema di come è possibile vivere insieme in società di tipo pluralistico.

Trovo strano in Italia sentire la parola islamici, per nominare i musulmani. Vedete, la parola islamico è da utilizzare per le istituzioni, per le cose, per le realtà, mentre la parola musulmano viene riservata alle persone. Giustamente, perché la parola muslim, musulmano, significa sottomettersi. Se togliete il prefisso mus, rimane la parola slim, cioè salam, pace. Islam, sottomissione a Dio, che mette nella pace. Dunque tutti i musulmani vi diranno: “Noi siamo fondamentalmente dei sottomessi a Dio”. Nel Corano stesso il primo ad essere chiamato muslim, il primo musulmano della storia per l’Islam, è Abramo, forse anche Noè prima di lui. Così nel Corano viene detto che anche Gesù è un sottomesso a Dio, un musulmano, e che i suoi discepoli, anche loro, sono sottomessi.

Dunque vedete che al livello del Corano, la sola parola muslim, musulmano, e islam, l’atto di essere musulmano, significa spiritualmente una sottomissione perfetta alla volontà di Dio. Ogni cristiano potrebbe dire che il più grande musulmano, nel senso spirituale, è Gesù, nella famosa notte in cui dice: “Padre sia fatta la tua volontà e non la mia” - è questo l’atteggiamento perfetto.

Sennonché nel Corano stesso la parola musulmano viene riservata a coloro che seguono l’insegnamento di Maometto, soprattutto nel secondo periodo della sua predicazione, quando lui, dopo aver lasciato La Mecca, la sua città nativa, nel 622, va al nord, in una città, un gruppo di villaggi, che poi si chiamerà Medina, la Città, cioè la città del profeta.

Sembra che allora la sua comunità abbia dovuto distinguersi dalle altre comunità di monoteisti e perciò prendere un colore specifico, un rituale particolare e naturalmente dare alla parola musulmano oramai non soltanto il suo significato religioso, fondamentale, ma anche quello di una appartenenza socio-etica ed anche socio-politica. Ed è forse per questo che ben presto nel Corano, gli ebrei ed i cristiani sono chiamati la gente del libro e tuttora nei manuali dei nostri amici musulmani, i cristiani e gli ebrei sono chiamati scritturali, coloro che seguono una scrittura, un libro. La famosa parola kitab (libro) la ritroviamo dappertutto nelle 114 sure, cioè capitoli, del Corano.

Se interrogate un musulmano sulla sua fede, ben presto, se ha fatto un po’ di catechismo e ha studiato un pochino la sua cultura islamica vi dirà che il credo musulmano consiste in sei obblighi: credere in Dio, Allah, credere nei suoi angeli, credere nei suoi libri, credere nei suoi profeti e messaggeri, credere nella escatologia e credere nella predestinazione. Ecco i sei punti chiave del credo musulmano, sia che i musulmani siano sunniti, sciiti o kharigiti. Naturalmente questi sei articoli vengono sviluppati in modi molto diversi tra i catechismi e i manuali di teologia.

La formula di professione di fede del musulmano insiste soprattutto sul confessare l’esistenza di Dio: “Dio c’è. Non c’è altro Dio che Iddio”. E’ la prima parte della formula, la seconda è: “Maometto è il suo messaggero”.

Dio è chiamato Allah dai nostri amici, in quanto rifiutano di tradurre Dio, Dieu, God, preferendo mantenere nelle nostre lingue la parola Allah, perché dicono il suo nome è proprio. Tanto più il nostro modo di nominare Dio sembra a molti musulmani macchiato di politeismo e questo è uno degli ostacoli.

Dopodiché di questo Dio per i musulmani sembra inutile trovare le prove della sua esistenza - benché i loro filosofi e teologi le cerchino - perché di solito per i musulmani Dio è Il Vivente e il Corano infatti propone al musulmano una meditazione continua sui segni di Dio nell’opera sua. Come noi troviamo nei salmi tante meditazioni sulla grandezza del grande patto del Creatore, del Dio provvidenza, del Dio giudice, del Dio che perdona, ecc.

Il Dio del Corano è molto vicino al Dio dei salmi e della letteratura sapienziale. Vedremo poi i collegamenti tra il Corano e l’Antico Testamento, in particolare il Pentateuco. Al musulmano interessa la questione del come nominare Dio nella relazione con Lui e qui subentra la bellissima litania dei novantanove bei nomi di Dio - spesso vengono meditati dai più devoti prendendo in mano una piccola corona, un rosario di 33 granelli, che per 3 volte viene ripreso, permettendo così di elencare i 99 bei nomi di Dio (quasi tutti si trovano nel Corano, alcuni centinaia di volte, altri due-tre volte, altri una volta). Per fare alcuni esempi, Il Santo viene detto una sola volta nel Corano, mentre Il Misericordioso centinaia di volte. Purtroppo abbiamo talvolta anche delle espressioni terribili, Dio è veloce nel fare i conti ed anche nel castigare.

Naturalmente il credente ha tutta la sua libertà di scegliere in questa grande folla dei bei nomi quelli che a lui interessano immediatamente. Dice un teologo musulmano: “Qual è il nome più bello, più importante?” Risponde: “E’ quello che ti permette di avvicinare Dio più da vicino”.

Nel Corano, però, il musulmano non pensa a trovare una autorivelazione di Dio - e qui troviamo la prima differenza fondamentale tra il libro dei musulmani e i libri della nostra Bibbia, Antico e Nuovo Testamento. La visione musulmana del mistero di Dio è quella di una trascendenza assoluta che non permette neanche di immaginare teoricamente che il trascendente possa immergersi nell’immanenza della sua creatura. Dio è il tutt’altro. Nell’elenco dei bei nomi, soprattutto degli attributi divini, l’attributo più fondamentale che viene meditato è la dissomiglianza assoluta. Non è a caso, penso, che a causa di questo a Bagdad, nell’VIII e nel IX secolo della nostra era, ci fu il confronto fra due scuole teologiche musulmane. I Mutaziliti volevano inserire nella teologia musulmana il retaggio ellenistico e soprattutto la filosofia dell’analogia dell’essere, ma non ci sono riusciti. Hanno vinto gli Ashariti, affermando la dissomiglianza assoluta, sicché un buon teologo dirà: Io so che esiste la misericordia divina, devo affermare che Dio è misericordioso, ma come Dio sia misericordioso non lo so. E’ del tutto diverso. Allora, non sappiamo il com’è.

E questo è uno dei sei principi della teologia classica: affermare le cose che Dio ha detto nel Corano, pur sapendo che è del tutto diverso. Sarà una teologia negativa, apofatica direi, il che in un certo senso è molto bello perché Dio è tutt’altro. Il Corano ripete in continuazione, nessuno a Dio è simile; questa differenza fondamentale è e sarà per sempre. Io sono creatura e lo sarò sempre, anche al di là della morte e della resurrezione. Dunque una trascendenza assoluta che vede in Dio, dal punto di vista umano, il totalmente altro e che, in un certo senso, aprioristicamente, rifiuta l’ipotesi di una venuta di Dio in mezzo a noi in qualsiasi forma.

Molte ipotesi proposte da alcuni teologi sono rifiutate a causa di questo principio fondamentale e naturalmente questo vi fa capire che questo aspetto dà l’indirizzo definitivo a tutti gli altri aspetti, sia della fede, sia del culto. Con Dio non si scherza. Dio è Il Santissimo. Ed è per questo che nelle moschee c’è una assenza-presenza. La navata principale sbocca su un abside a semicircolo chiuso che indica la direzione della Mecca, ma non c’è, come nelle nostre chiese, questo calore di una presenza, il Santissimo. E’ un’assenza-presenza: Dio è vicino, ma non abbiamo nessun collegamento diretto e neanche indiretto. E allora il credente cerca di sapere cosa ha detto questo Dio di se stesso nel Corano, per poterlo nominare bene e adorare, servire, seguire. E subentra qui allora il culto con i suoi insegnamenti fondamentali e la morale.

Il culto si sviluppa con la preghiera, con il digiuno, con l’elemosina e con un pellegrinaggio. La morale raggiunge pressappoco, sura XVII del Corano, i dieci comandamenti dell’AT.

Il mistero di Dio rimane irraggiungibile e sono i profeti, i messaggeri all’uomo nella storia, che suscitano sia nel Corano, sia nella tradizione, la sunna, sia nei manuali il punto più avanzato dei commenti e naturalmente delle elaborazioni teologiche.

Ma prima di questo bisogna dire che il secondo articolo prevede una fede accertata nella presenza e nella missione degli angeli. Accanto agli angeli, il Corano ci parla di Gabriele, una o due volte di Michele. Parla, però, spesso di uno spirito di Dio, anche talvolta di uno spirito di santità, che sarebbe un arcangelo, benché nel testo stesso si potrebbe supporre che si tratti dello Spirito Santo. Problemi di ermeneutica a non finire.

Il dramma all’inizio della storia umana è questo: Allah ha voluto creare l’uomo, ed ecco che inizia il mistero della nostra storia. Nel Corano abbiamo parecchi racconti in cui c’è una forma di conversazione fra Allah e gli angeli. Allah disse loro: “Sto per creare l’uomo”. “Ma, Signore non pensarci, sai benissimo che sarà un ignorante, che spargerà il sangue, ti disobbedirà. Accontentati di noi, noi siamo sempre obbedienti a cantare le tue lodi”. “Io so meglio di voi ciò che sto per fare”; ed infatti lui crea l’uomo, Adamo, di argilla. Poi insuffla il suo spirito e poi chiede agli angeli di prostrarsi davanti ad Adamo, una creatura umana. Mistero! Praticare davanti all’uomo la prostrazione, il sujud, fronte a terra, un atto dovuto soltanto all’Onnipotente! Alcuni angeli e soprattutto il loro capo, Satana, rifiutano assolutamente: “Signore mi hai ordinato di adorare Te e nessun altro e mi ordini adesso di fare lo stesso davanti a quell’uomo fatto di argilla che puzza. Mai!”

I mistici musulmani mediteranno a lungo questa strana manifestazione dell’orgoglio angelico, di rifiuto dell’umiltà davanti all’uomo. Perché l’uomo era chiamato da Dio ad essere investito di una dignità tale da meritare la prostrazione degli angeli davanti a lui? Forse perché l’uomo è stato voluto da Dio come il suo califfo, il suo rappresentante, il viceré in mezzo al creato, al vertice delle creature. Perciò Satana ha avuto il permesso di Dio di tentare l’uomo fino alla fine della storia.

Se noi abbiamo un atto drammatico, nella visione musulmana della storia è proprio lì. E non è a caso che nella spiritualità dei musulmani si tenta sempre di mettersi al riparo di Satana. Prima di citare un versetto del Corano ogni musulmano dirà Nel nome del Dio misericordioso, compassionevole, cerco rifugio presso Dio contro Satana che merita di essere lapidato. Abbiamo la storia dei versetti satanici, dell’intrusione di questo personaggio che sussurra nei petti degli uomini per portarli al male. Dio però manda nella storia dei profeti. Nel Corano abbiamo una lista di 25 personaggi chiamati dal Corano o profeti, nabi, o messaggeri, rasul.

Sono 25. Se io tolgo Maometto, l’ultimo, ne rimangono 24. Tolgo tre che sono di storia araba, ne rimangono 21 che io trovo nella Bibbia. Però non sono i nostri profeti, sono i grandi personaggi dei libri così detti storici dell’Antico Testamento: Adamo, Noè, Enoch, Abramo, Ismaele, Isacco, Lot, Giacobbe, Giuseppe, Mosè, Aronne, Davide, Salomone, Elia, Eliseo, Giobbe, Giona, Zaccaria, Giovanni (Battista), Gesù – ed una volta appare il nome di Esdra. Maometto è l’ultimo, il suggello, il perfetto.

Ora qual è la visione della teologia nell’islam? E’ molto importante capirlo bene. Presentandosi come una religione naturale voi capirete che sia le verità ultime che quelle immediate che la religione musulmana intende proporre ai suoi fedeli siano tutte verità raggiungibili dalla ragione umana. E spesso i nostri teologi diranno: “Tutto sommato le verità raggiunte dal filosofo sono quelle proposte dal profeta”. Che ci sia un Dio creatore, provvidenza, giudice, remuneratore o castigatore alla fine della storia, tutte queste cose il filosofo le può scoprire e dimostrare perché è genialmente dotato di una ragione superiore. La povera gente, però, non è capace. E allora Dio manda alla povera gente dei profeti, che sono illuminati da lui per quanto riguarda queste verità e che trovano, mediante l’ispirazione divina, il modo pedagogico per far aderire il popolo a queste verità, che siano verità conoscibili o verità da praticare, donde la necessità delle parabole, delle ricompense e dei castighi.

Mi pare importante sottolineare questo aspetto, perché spesso l’islam afferma che nella sua religione misteri non ce ne sono, che tutto è alla portata direi della ragione umana - e critica così il cristianesimo. I cosiddetti misteri cristiani - Trinità, Incarnazione, redenzione - tutto questo viene negato in alcuni versetti del Corano.

La missione di tutti questi profeti e messaggeri era proprio di portare ai loro popoli lo stesso messaggio: Dio c’è, è l’unico, aspetta l’adorazione e l’obbedienza, ricompenserà e castigherà. Voglio dire che dal punto di vista della visione della storia secondo il Corano e l’ortodossia musulmana, non c’è un progresso nel contenuto della rivelazione. Ciò che è rivelato è sempre lo stesso. Se c’è un progresso è nella manifestazione profetica dei personaggi che portano agli uomini e alle donne il contenuto del messaggio.

Questo fa capire che quando il musulmano dice di credere in 4 libri, la Torah, i Salmi, il Vangelo e il Corano, egli vuol dire che crede - lo dicono tutti quanti i catechismi islamici - nella Torah che è stato dettata da Allah a Mosè, lui crede al Vangelo che è stato dettato da Allah a Gesù, come lui crede nel Corano che è stato dettato da Allah a Maometto. Così che noi dobbiamo considerare il susseguirsi del fenomeno della comunicazione del messaggio.

Ora quasi subito in quasi tutti i catechismi musulmani verrà detto che cosa si deve pensare della Torah che sta nelle mani degli ebrei e dei cristiani di oggi. Non corrisponde alla Torah dettata da Allah a Mosè in tanti punti, e allora dicono che questa Torah ebraica è stata falsificata ed allora è inutile andarla a leggere, così come è inutile leggere il Vangelo del cristiano.

D’altronde quando si ha un libro perfettamente conservato, mai tradotto e ripetuto a memoria durante i secoli, si può pensare che è inutile andare a cercare le edizioni anteriori dei libri sacri e rivelati da Allah ai popoli anteriori.
Direi che il libro dei salmi ha una posizione particolare in quanto non porta un messaggio, neanche una legge, ma soltanto propone delle invocazioni, delle meditazioni e delle suppliche. Però troppo spesso purtroppo anche il libro dei salmi viene ignorato dai musulmani. Hanno tutto nel Corano. Oltretutto nel Corano hanno dei capitoli che assomigliano tanto ai nostri salmi.

Davanti a questi fatti si pone subito il problema del collegamento tra Corano e Bibbia e ci sarebbe da parlare ore e ore sull’argomento. Brevemente, il Corano si presenta con un volume pressappoco simile al nostro NT, ha 6248 (6236) versetti divisi in 114 capitoli. I capitoli del Corano non si presentano secondo la loro progressione storica, ma la seconda sura è la più lunga, ha più di 250 versetti e la terzultima è la più breve, soltanto tre versetti. Quindi vedete paradossalmente l’ordine dei capitoli del Corano, dalla sura 2 alla sura 112 è molto pragmatico, dalla più lunga alla più breve, un po’ come nelle lettere di S.Paolo. Ogni capitolo ha un suo titolo, comporta un numero preciso di versetti, elaborato dopo uno o due secoli dalla nascita dell’islam.

I musulmani hanno anche un diverso modo di indicare le sure, non semplicemente numerico, ma riferito alla loro origine. Dicono, ad esempio: la sura 2 è di Medina, la sura 96 è della Mecca, è del primo periodo, è del secondo periodo, ecc. Così, tenendo conto delle loro spiegazioni, ci è possibile rileggere insieme i capitoli del Corano, a seconda della progressione storica dal 610, inizio della predicazione di Maometto alla Mecca, al 632, anno della sua morte.

Paradossalmente potremmo dire che il Corano per intero è stato realizzato prima che morisse Maometto. Non dico che lui l’abbia scritto. Secondo i musulmani è stato messo per iscritto dai suoi discepoli dopo 10, 20, 30 anni e parecchie vicende e con un modo di scrivere che era ancora abbastanza arcaico - mancavano ancora i punti diacritici tra le consonanti e non potevano essere scritte dall’inizio le vocali brevi che si scrivono sopra e sotto.

Naturalmente per i musulmani tutti questi personaggi dell’Antico Testamento si presentano quasi tutti secondo lo stesso schema. Ogni profeta è mandato da Dio al suo popolo per portare lo stesso messaggio: “Dio c’è, è l’unico, provvede, giudica, ricompensa o castiga, chiede l’adorazione, la fedeltà, la sottomissione, ecc.”

Naturalmente nel popolo un piccolo gruppo segue il profeta, come il piccolo resto di Israele nell’AT; mentre la maggioranza rifiuta il messaggio. Nel Corano ci sono le storie profetiche, tali e quali. Dio distrugge alla fine la maggioranza ribelle del popolo al quale per misericordia Lui aveva mandato il suo profeta. Dio non può subire disfatte, non può conoscere il tradimento nella sua impresa di mandare agli uomini i suoi profeti.

Il personaggio presentato più di sovente nel Corano - questo è strano - è Mosè. Di Maometto si parla pochissimo; il Corano non è la storia di Maometto, è la predicazione di Maometto su temi per certi aspetti simili all’AT ed un pochino al NT.

Quasi 500 versetti nel Corano parlano di Mosè, quasi la dodicesima parte. Sottolineo però la differenza: se voi nella vostra Bibbia cercate la storia di Mosè, la trovate tutta dal libro dell’Esodo alla fine del Pentateuco, dal punto primo al punto finale. I 500 versetti che io trovo nel Corano su Mosè vengono raggruppati, direi, in una sessantina di passi, di brani, di pericopi che poi devo andare a trovare in una quarantina di capitoli diversi e talvolta trovo dei brani che sono paralleli, simili totalmente o quasi. E’ un mosaico in cui il disordine della trasmissione non è stato ricomposto tenendo conto logicamente dei personaggi. E sarà lo stesso per Abramo di cui si parla in 250 versetti circa, ma anche lì devo andare a cercare un po’ dappertutto per ricostruire logicamente il personaggio, la sua storia, la sua predicazione; mentre nella Bibbia, nella Genesi in pochi capitoli trovo tutto. Di Noè si parla in 150 versetti, di Gesù in 100 versetti circa.

Il “modello” profetico è importante: per i musulmani, l’ultimo profeta, Maometto, non soltanto ha abrogato con il suo messaggio tutti i messaggi anteriori, ma con la sua vita esemplare – anche se non direi che cancella -mette in ombra i profeti anteriori.

Nel Corano viene detto che nel profeta, Maometto, c’è un modello stupendo che si deve imitare. Questo vi spiega perché, morto Maometto, i musulmani hanno raccolto ben presto, durante un secolo, tutti i suoi detti, tutti gli atti e tutti i suoi silenzi. Tutto questo si chiama “la raccolta delle sentenze di Maometto”, le sentenze profetiche, che costituiscono tuttora la seconda fonte fondamentale della loro fede e del loro diritto - si chiama “la tradizione”, la sunna.

Tramite questo insieme, migliaia e migliaia di testi, i musulmani pensano di ritrovare il modello perfetto del primo musulmano della storia, in quanto essere musulmano è seguire Maometto ed essere uguale a lui.

Ben presto nell’esaltare il modello profetico, Maometto, nel corso della storia mi sembra si sia passati da quello che noi potremmo chiamare, dal punto di vista cristiano, il Maometto della storia al Maometto della fede. Come noi abbiamo Gesù Cristo prima di Pasqua e Gesù Cristo dopo Pasqua, se si può usare questo modo di esprimersi.

Mi pare che sia importante per capire la devozione del popolino nei riguardi di Maometto, tanto è vero che tanti ragazzi, almeno nella società tradizionale, si chiamavano Muhammad.

Fede in Dio, fede nei suoi angeli, fede nei libri e nei profeti, messaggeri, fede nell’escatologia. Sembra a differenza di molti libri dell’AT. che il primo periodo meccano della predicazione di Maometto sia stato centrato soprattutto su due temi: giustizia sociale contro i ricchi e l’escatologia. I due temi vanno insieme perché si dice ai miscredenti: “Non pensare che tutto finisca con questo mondo; dovrete rendere conto dell’uso e dell’abuso della vostra ricchezza, non avete aiutato la vedova, l’orfano, lo straniero, ecc. Avete calpestato la giustizia sociale”. Ai tempi di Maometto la Mecca si arricchisce, causa le vicende economiche e politiche del Medio Oriente. E’ a motivo di tutto questo che troviamo l’insistenza sul giudizio finale che può donare la resurrezione dei corpi e una ricompensa definitiva nel giardino o un castigo definitivo nel fuoco.

Su questi temi abbiamo in decine dei capitoli del Corano delle descrizioni molto, molto belle e dure nello stesso tempo. Belle per quanto riguarda il paradiso, il giardino, e dure per il fuoco. Anche se qui si è sempre davanti alla difficoltà ermeneutica: come interpretare tutti questi testi? Letteralmente, come pensavano molti, soprattutto nel popolino, o come parabole, immaginario collettivo con simboli e espressioni idiomatiche? E’ molto difficile; non bisogna pensare che il modo di lettura dei nostri amici musulmani sia un modo semplice e chiaro. E’ complesso come il nostro; la loro teologia si è posta molti problemi senza risolverli tutti, come è avvenuto nella nostra tradizione.

Gesù, secondo il Corano è uomo come gli altri. Certo ha una madre vergine che si chiama Maria, che era consacrata a Dio, ma lui era un uomo come gli altri. Non si dice quasi niente del suo insegnamento, doveva pregare, praticare il digiuno e predicare il Dio unico, fare i miracoli per giustificare la sua missione, miracoli che vengono riassunti in 2 versetti soltanto. Poi, non muore sulla croce; un altro è stato reso simile a lui e, secondo la maggioranza dei musulmani, sarebbe Giuda il traditore a morire allora sulla croce. Gesù è sempre vivente, ma della sua prima vita, mentre per noi è vivente in una vita da risorto.

Naturalmente nel Corano viene rimproverato ai cristiani di averlo esaltato fino a dire che lui sia Dio. Dio non può avere un figlio e sono miscredenti coloro che dicono che il Messia Gesù, figlio di Maria sia Dio. Non siate stravaganti nella vostra religione dice il Corano, non dite tre, basta, Dio è unico. Dio non ha bisogno di compagne, nemmeno di figli, ed è per questo che il rimprovero finale, alla fine della sura 5, è questo: “I cristiani avrebbero tre dei, Allah, la sua compagna Maria e il terzo dei tre, Gesù”, che non è la nostra fede è ovvio. Questo malinteso genera tanti altri malintesi nella storia.

Il quinto articolo del credo, l’escatologia, prevede dunque che alla fine del mondo ci sarà una resurrezione generale; il ritorno di Gesù ne sarà un segno, perché Gesù si farà musulmano, distruggerà le croci, ucciderà tutti i maiali, si sposerà e chiamerà alla preghiera musulmana dal minareto di sud-est della moschea degli Ommayyadi di Damasco.

Dunque ci sarà il giudizio finale e le nostre opere saranno poste sulla bilancia per vedere se il positivo supera il negativo. Ci sarà il giardino per coloro che avranno avuto successo e un fuoco per il castigo eterno di coloro che avranno dato a Dio un socio, un figlio, un partner. Tutto lì; l’unico peccato irremissibile è aver dato a Dio qualcuno che gli fosse più o meno simile.

I politeisti naturalmente sono da mandare subito all’inferno. Però, dicono i grandi teologi della storia musulmana, anche i cristiani professano un politeismo, sebbene un triteismo clandestino, minore; hanno introdotto nell’unicità divina l’assurdo pluralismo. Il musulmano, allora, anche se ha commesso tutti i peccati del mondo, nell’ultimo momento del giudizio o viene perdonato da Dio e se ne va subito nel giardino o deve pagare un tanto, cioè alcuni mesi o alcuni anni, nel fuoco e poi raggiunge il giardino. L’unico peccato che condanna all’inferno per sempre è aver dato a Dio qualche socio.

Vedete come tutto è incentrato sull’unicità del Dio vivente. Naturalmente il musulmano crede che nel giardino avrà tutti i piaceri di questa prima vita, perché si chiama la vita ultima - non è l’altra vita - e il problema della visione di Dio è molto marginale, appena studiato. Per l’Islam il buon esito del giudizio è soprattutto quando uno viene ammesso ed accettato in quel giorno. E’ tutto lì. La vocazione ultima del credente nell’islam non è il faccia a faccia con il Dio vivente, questo è tipico del cristianesimo. Per l’Islam servitori siamo, lo saremo; creature siamo, lo saremo sempre.

Il sesto articolo del credo, la predestinazione, è stato sviluppato soprattutto a causa di evoluzioni di tipo popolare e mistico, perché nel Corano come nell’AT troviamo centinaia di versetti a favore della predestinazione assoluta, Dio guida chi vuole e travia chi vuole, Dio perdona chi vuole e Dio castiga chi vuole, però abbiamo anche altri versetti, creda chi vuol credere, non creda chi non vuol credere. Sennonché la sunna, la tradizione, ha insistito sul primo gruppo di tre versetti, dimenticando l’altro gruppo. Nella mentalità popolare si è insistito purtroppo sulla predestinazione assoluta: non c’è quasi niente da fare per cambiare il corso del nostro destino. Nel popolino si è così creata la formula: “Tutto è stato già messo per iscritto. Non possiamo cambiare tanto. Dio ha voluto e ha deciso”. Questa visione viene a smorzare la responsabilità umana e l’educazione della coscienza.

Erano questi i sei articoli del credo, che costituiscono l’ossatura della fede, però nei catechismi contemporanei tutto questo occupa meno di un terzo dei testi. La parte più importante è il culto, bisogna essere un praticante e naturalmente qui la prima cosa è la volontà di fede. E’ questa che fa, di una persona, un musulmano. Il popolino pensa che la circoncisione sia una regola, ma la circoncisione non esiste nel Corano, non se ne parla. Per gli Ebrei è il segno dell’alleanza, nel Corano non se ne parla, però è una tradizione riferita a Maometto ed è diventata regola per tutti, come in alcuni paesi musulmani, soprattutto l’Egitto o il Sudan, dove la “circoncisione” anche delle ragazze è di regola.

Il secondo rito fondamentale è la preghiera. E qui abbiamo capitoli a non finire, non tanto sul contenuto della preghiera, perché è sempre la stessa, non cambia e non cambierà mai e si fa in due-tre minuti con gesti che sono sempre gli stessi e le stesse frasi molto semplici. Ma è vero che il musulmano o la musulmana per pregare debbono essere purificati. Proprio qui i nostri amici musulmani hanno gareggiato con gli ebrei e li hanno superati. Il musulmano crede che ogni volta che esce dal suo corpo qualche cosa, liquido, gassoso o duro, è impurità minore, bisogna fare abluzioni minori. E questo vi spiega come all’ingresso delle moschee abbiamo sempre delle aiuole con tanti rubinetti per le abluzioni. Rischia di diventare una fissazione. Il Corano prevede di purificare le mani, le braccia fino al gomito, la faccia, le orecchie, strofinare i capelli e poi lavare anche i piedi fino alle caviglie. E se caso mai l’uomo o la donna, anche legittimamente sposati, preparano o compiono l’atto d’amore è impurità maggiore, che richiede purificazione maggiore e cioè andare nei bagni turchi o nelle terme.

Alcune scuole diranno che se l’ombra di un cristiano si proietta sul tappeto di preghiera dove prega un musulmano, la preghiera non è valida. Dobbiamo capire tutte queste cose nelle nostre amicizie quotidiane e questo vi spiega come la separazione di uomini e donne in tutte le moschee sia di regola. Io non ho mai visto una famiglia musulmana pregare, marito e moglie, papà e ragazze insieme. Altra regola da rispettare: prima di entrare nelle moschee bisogna togliere le scarpe. Naturalmente alcuni, in forma più mistica, diranno, riprendendo l’atteggiamento di Mosè, che davanti al sacro bisogna essere molto attenti.

La preghiera è importante. La moschea è il luogo dove bisognerebbe pregare il venerdì a mezzogiorno, dopo una doppia predica, però la preghiera musulmana si può fare dappertutto.

L’elemosina è stata ripresa dall’AT, la decima, su tutti i redditi dell’anno a favore dei mendicanti, dei poveri, dei viandanti, di coloro che combattono perché la fede dell’islam sia proposta dappertutto nel mondo.

Il ramadan, un digiuno diurno, che dura un mese lunare, permette alla comunità musulmana di ritrovarsi unanime per seguire determinate norme alimentari, moltiplicando anche altre preghiere, le rogatorie, di notte, nelle moschee o moltiplicando i divertimenti serali per chi non può. Diceva un musulmano: “E’ come la vostra quaresima di giorno ed è il vostro carnevale di notte”. Un modo diverso di vedere le cose. E’ duro il ramadan: dalla prima alba fino al tramonto non mangiare, non bere, non fumare, non profumarsi, non avvicinare la moglie e viceversa. Tutto questo per l’onore di Dio, per ricordare che è il Provvidente, è lui che provvede a tutto, e per solidarietà con il povero, con chi ha fame, pur sapendo che tale pratica nella società moderna genera un sacco di problemi economici, culturali, industriali, ecc.

Ogni musulmano (ed ogni musulmana) ha il dovere una volta nella sua vita di andare alla Mecca, di fare un pellegrinaggio, di rifare quanto facevano Maometto ed i suoi antenati. Sette giri attorno alla kaaba della Mecca e poi una corsa tra due piccole colline per ricordare la corsa di Agar che cercava acqua per il figlio Ismaele, e poi nella pianura di Arafat una “stazione” in piedi per chiedere perdono e poi il ritorno alla Mecca, lapidando simbolicamente Satana, e poi sgozzando indirettamente, tramite il macellaio, un animale per ricordare l’offerta mancata di Abramo del suo figlio sostituito da un montone.

Chi pratica il pellegrinaggio quando torna a casa dovrebbe essere - e infatti molti lo sono - un musulmano esemplare. Si ha spesso, tramite il fenomeno del pellegrinaggio alla Mecca, una conversione talvolta in profondità; perciò molti fanno il loro pellegrinaggio quando hanno raggiunto i 50 anni.

Per cogliere un po’ l’insieme del credo, del culto, della morale, avevo già detto che riprende pressappoco i 10 comandamenti ed è molto: è una piattaforma comune per vivere insieme nelle città moderne. Nel Corano come nell’AT, troviamo centinaia di versetti di tipo giuridico, per regolare il diritto della famiglia ed il codice penale. La guerra è una istituzione del buon Dio. E qui potremmo talvolta paragonare alcuni capitoli del Corano al Deuteronomio dell’AT. E, naturalmente, in materia di morale familiare l’Islam e l’AT vanno spesso di pari passo: da entrambi le parti abbiamo il permesso di praticare la poligamia, il ripudio, la guerra e la distribuzione del bottino. Nell’Islam la fornicazione è vietata, la pena prevista dalla sura 24 è cento colpi di frusta, però la sunna prevede la lapidazione per chi pratica la fornicazione essendo sposata, proprio come nell’AT.

Allora vedete sia per i personaggi della storia biblica, sia per il diritto, mi sembra che tra il Corano e l’AT siamo davanti a due testi che hanno molte similitudini. Naturalmente nel Corano abbiamo alcuni versetti che potrebbero servire di base all’ordinamento politico della società: divisione tra le persone, tra musulmani titolari di pieni diritti, da un lato, i protetti, la gente del libro (ebrei e cristiani), dall’altro, ed, infine, gli altri: posizione molto difficile.

Nel Corano si parla della schiavitù. Abbiamo degli uomini liberi e delle persone che sono schiave. Abbiamo cioè alcuni versetti del Corano che permettono, che sopportano, che tollerano una distinzione tra essere libero ed essere schiavo, o tra uomo e donna, o tra musulmano e non musulmano. Tutto dipende dai metodi dell’ermeneutica, dai giureconsulti e dagli uomini della politica che interpretano i suddetti versetti.

Tutto questo vi permette di capire quanto è importante il libro per i musulmani, più di quanto lo è per noi la Bibbia. Ed è per questo che con i nostri amici io rifiuto l’appellativo di gente del libro per i cristiani. Agli ebrei tocca prendere posizione. Dico loro: “Voi musulmani siete gente del libro, noi cristiani non siamo gente del libro, siamo gente di Gesù Cristo ed è completamente diverso”. Di Gesù Cristo abbiamo rivelazione nel NT, preparata dall’AT – quest’ultimo riletto alla luce del NT. Però la piena rivelazione di Gesù Cristo noi l’avremo alla fine dei tempi. Ogni cristiano realizza nella sua vita un quinto Vangelo, con l’aiuto dello Spirito. Siamo un popolo profetico, ricordiamolo. I nostri santi, i nostri mistici ci dicono tante cose sul mistero di Gesù Cristo nella storia.

Abbiamo parecchie cose in comune e queste cose in comune sono state ripetutamente proposte dai due testi fondamentali del Vaticano II. Nostra Aetate, documento fondamentale per noi, dice al n.3: “La Chiesa guarda anche con stima i musulmani che adorano l'unico Dio, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini. Essi cercano di sottomettersi con tutto il cuore ai decreti di Dio anche nascosti,(dunque apertura possibile) come vi si è sottomesso anche Abramo, a cui la fede islamica volentieri si riferisce. Benché essi non riconoscano Gesù come Dio, lo venerano tuttavia come profeta; onorano la sua madre vergine, Maria, e talvolta pure la invocano con devozione. Inoltre attendono il giorno del giudizio, quando Dio retribuirà tutti gli uomini risuscitati. Così pure hanno in stima la vita morale e rendono culto a Dio, soprattutto con la preghiera, le elemosine e il digiuno”.
Questi tre pilastri del culto sono i tre atti di culto di cui Gesù ci dice nel discorso della montagna, Matteo cap. 5, e come noi li dobbiamo vivere sotto gli occhi del Padre.

Prosegue nel secondo paragrafo il n.3:
Se nel corso dei secoli non pochi dissensi ed inimicizie sono sorti tra cristiani e musulmani il Sacrosanto Concilio esorta tutti a dimenticare il passato ed esercitare sinceramente la mutua comprensione. Tocca ai cristiani iniziare, pronti a difendere e promuovere insieme per tutti gli uomini, senza discriminazione, la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà”.

Ed è tutto questo che i nostri papi, Paolo VI e soprattutto Giovanni Paolo II, ripetono nella sostanza nei loro discorsi, come quello che fece Giovanni Paolo II a Casablanca in Marocco, nell’agosto del 1985, dieci anni fa.

Però forse per noi è più importante ancora il piccolo paragrafo della costituzione dogmatica sulla chiesa, la Lumen Gentium: “Ma il disegno di salvezza abbraccia anche coloro che riconoscono il creatore e fra questi in particolare i musulmani, i quali professando la fede di Abramo, adorano come noi un Dio unico, misericordioso, che giudicherà gli uomini nel giorno finale”.

Vale dire che ebrei, musulmani e cristiani quando pregano sinceramente sotto l’ispirazione dello Spirito del Padre, raggiungono il Dio vivente, l’unico che si è rivelato in Gesù Cristo. Però, ben presto, quando si mettono gli occhiali della teologia tutto diventa più o meno oscuro. Abbiamo approcci abbastanza diversi se non contrastanti e io penso che è importante di nuovo ricordare la differenza fondamentale. Perché, come avete sentito, le parole del testo della Nostra Aetate sembrano costituire una piattaforma molto ricca, però appena spieghiamo il significato delle parole, ci troviamo quasi subito su due sponde diverse, soprattutto quando la teologia viene a precisare le cose. Per fortuna la brava gente talvolta sente meglio del teologo i valori possibili di apertura al di là delle frontiere di un credo troppo precisato. Però rimane la grande differenza, e credo che qui, davanti allo specchio, siamo costretti a ritrovare la specificità.

Alcuni anni fa, durante la messa dell’Assunta nella casa generalizia di un gruppo di suore missionarie, un prete mio confratello fece la predica su come la missione era andata avanti nel continente dell’Africa nera e la sua gioia di avere potuto aiutare tante persone a credere in Dio, la bellezza della creazione, la provvidenza, la vita corrente, i comandamenti, l’onestà. Ha detto tutto questo. Ha parlato una sola volta di Gesù Cristo. In sacrestia una suora mi disse: “Padre che bella omelia ha fatto”. Le ho risposto: “Si e no”. Davanti alla mia riservatezza mi chiese perché. Gli dissi: “Sa, un missionario ebreo o musulmano avrebbero detto lo stesso”. Finché non abbiamo rivelato ad una persona che Dio ci ama, che ci ha creato ad immagine del suo Verbo, pensando all’incarnazione di questo Verbo, che aspetta da noi la vita autentica da figli e da figlie, per condividere con Lui i suoi segreti e dunque la sua santità, finché non abbiamo detto alla gente che è chiamata ad essere divinizzata da Gesù Cristo con la forza dello Spirito perchè tutti diventiamo figli e figlie per adozione, non l’abbiamo cristianizzata. L’abbiamo monoteizzata, ma non l’abbiamo cristianizzata.

Rileggiamo insieme il primo capitolo della epistola agli Efesini, rileggiamo il secondo capitolo della epistola ai Colossesi. Oppure basta rileggere il prologo, il primo capitolo, del Vangelo secondo san Giovanni: credo che sia molto importante. E qui ci troviamo davanti alla grande differenza tra islam e cristianesimo. La grandezza della visione della trascendenza di Dio nell’islam è bellissimo e a volte ci fa bene. E’ qualcosa che ci interpella perché talvolta noi trattiamo Dio un po’ troppo da faciloni: si chiacchiera nelle chiese, si fa confusione nei luoghi santi. Ma, d’altro canto, dobbiamo anche testimoniare questo fatto: Dio è talmente trascendente che è capace di uscire dalla sua trascendenza ed è questa la grazia della rivelazione cristiana. E naturalmente ricordate 1Cor: Cristo è “scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani”. Così dice san Paolo. Io direi che per i musulmani è tutti e due.

Concludo citando un versetto del Corano ed un versetto di san Matteo. La fine della sura 5 conclude il dibattito tra Dio e Gesù. Sembra che nel Corano Allah rimproveri a Gesù di aver più o meno facilitato la pretesa ad essere Dio. Come mai? Ti ho dato tanti privilegi e la gente se ne va a dire che tu sei Dio, ma cosa hai fatto?

E quando Dio disse: Gesù, figlio di Maria! Sei tu che hai detto agli uomini: prendete me e mia madre come dei, oltre a Dio? Ecco vedete la presupposta trinità o triade che viene rimproverata ai cristiani. Rispose Gesù: Gloria a te, come potrei dire ciò che non ho diritto di dire? Se lo avessi detto, tu lo avresti saputo. Tu conosci ciò che è nell’intimo mio, io non conosco ciò che è nell’intimo tuo. Il Gesù coranico non sa niente del mistero del Dio vivente. Tu sei - finisce di dire Gesù nel suddetto versetto - il Supremo conoscitore dell'inconoscibile. Il mistero di Dio rimane per sempre, Dio è irraggiungibile, inconoscibile per tutti noi e naturalmente per Gesù che è uno di noi.

In san Matteo 11,25-27, avete tutta un’altra prospettiva. Questi versetti sono nella forma di una preghiera:

In quel tempo Gesù disse: “Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te. Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare.
Ecco vedete il regalo tremendo che Dio ha fatto a noi cristiani? Ma di questo regalo che cosa ne abbiamo fatto nella storia?

A questo punto è stata data la possibilità di rivolgere domande a p.Borrmans e ne sono state espresse cinque:

  1. Lei ha detto che noi cristiani dobbiamo essere i primi in questo dialogo, comprensivi con i musulmani. Lei li ha chiamati sempre amici. Questa è profezia del Vaticano II, certo calata nella storia e nel mondo. Volevo sapere se c’è stato un cammino e che cosa c’è di nuovo in questo dialogo soprattutto dalla parte dei musulmani?

 

  1. Uno degli ostacoli più forti che personalmente sento in questo processo di conoscenza e avvicinamento è l’aspetto del jihad, della guerra santa. Volevo sapere se questo argomento è specificamente trattato nelle scritture del Corano o nelle altre scritture islamiche. E - una ulteriore precisazione - se così è, c’è la richiesta di un comportamento differenziato con gli infedeli, cioè i non credenti o i politeisti in genere e i possessori delle scritture, i cristiani e gli ebrei?

 

  1. Attraverso lo studio delle scritture, quindi anche del Corano, si vede che il Padre Eterno si rivela attraverso i profeti. Questi sono sempre maschi fino a Maometto. Dopo Maometto i musulmani prevedono altri profeti? Secondo: perché il ruolo della donna è così sottovalutato in queste tre religioni, ebraismo, cristianesimo e islamismo?

 

  1. Nell’islam c’è un’organizzazione ecclesiastica come la nostra?

 

  1. Vorrei sapere qualche cosa sul sufismo.

P.Borrmans ha così risposto:

Posso rispondere solo brevemente, non posso entrare nelle sfumature e il rischio è di non rispondere alla domanda. Mi scuso anticipatamente.
Nel corso di 14 secoli purtroppo troppo spesso fra cristiani e musulmani abbiamo avuto scontri culturali e bellici, basta pensare alle conquiste musulmane, poi alle crociate, poi alle lotte nel mediterraneo, poi all’epoca coloniale, ecc. Abbiamo anche avuto tutta una letteratura polemica da entrambe le parti. Il Corano stesso - basta leggere i suoi capitoli - riecheggia la polemica tra ebrei e cristiani nella penisola araba e fa polemica con gli uni e con gli altri.

La storia ci ha insegnato che tutti questi metodi finora non sono stati proficui e poi il Vaticano II ha pensato che la chiesa doveva riformarsi ma il vecchio principio esisteva da 20 secoli! - Ecclesia riformanda est, sempre. Significa che secondo il Concilio si è pensato di rivedere in modo più evangelico come guardare alle altre religioni, tutte. Se noi abbiamo la Nostra Aetate, testo molto ampio, è perché il nostro famoso cardinale Bea era stato sollecitato dal buon papa Giovanni a fare un piccolo testo a favore degli ebrei, per eliminare per sempre il cosiddetto antisemitismo teologico cattolico. Ci vorrebbe però un’ora per spiegarvi come è venuto fuori il documento.

Da allora in poi si è creato un Segretariato per i non cristiani, diventato pochi anni fa il Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso. E’ a Roma; oltre al cardinale ed al suo vice, ci sono persone specializzate nei diverso campi, c’è un esperto per le religioni della Cina e del Giappone, c’è un prete per le religioni tradizionali, un altro, di origine araba, per il mondo arabo musulmano e anche per l’islam in Europa, c’è una signora per le sette, per tutti i nuovi movimenti, il New Age americano, ecc.

Dalla Nostra Aetate in poi si sono tenuti diversi incontri. Io sono soltanto impegnato nel settore del dialogo con i musulmani. E’ una chiamata personale, è un segreto tra me e il Signore: da 45 anni tento di far sì che i cristiani amino i musulmani e i musulmani amino i cristiani. Tentiamo di essere luoghi di riconciliazione e poi artefici, operatori di riconciliazione - e non è facile.

Da parte cristiana quindi iniziative numerose tramite questo ente che dipende direttamente dal Vaticano. La stessa cosa si cerca a Ginevra, tramite il Consiglio Ecumenico delle Chiese, che ha una sezione speciale per il dialogo interreligioso. Vi posso dire che molte cose sono state tentate in trenta anni. In trenta anni però non si può rovesciare una storia che ha 14 secoli, con fatti accumulati e malintesi generati. Bisogna lo stesso riconoscere che così facendo alcuni amici musulmani sono entrati nel processo. Non tutti, parecchi.

A Tunisi, all’Università di Tunisi, si è avuto quattro volte un incontro islamico-cristiano e si è potuto discutere di molte cose fondamentali. Vi posso dire che da quasi sette anni, l’Accademia Reale della Giordania, il re e suo fratello, il principe ereditario, hanno organizzato una serie di conferenze con gli anglicani, gli ortodossi, il Centro Ecumenico del Patriarcato di Istanbul a Ginevra e poi l’ente romano di cui ho parlato.

Spesso nell’Africa del Nord suore e preti hanno preso iniziative nel creare associazioni per curare gli handicappati e ben presto dei musulmani sono venuti a lavorare con loro e spesso oggi queste associazioni sono interamente musulmane. Ed è forse per questo che il governo dello Yemen repubblicano, dopo la guerra rivoluzionaria, ha chiesto alle Organizzazioni non governative internazionali la disponibilità di per i suoi ospedali di handicappati e di anziani.
Nello Yemen da trenta anni abbiamo venti suore di Madre Teresa e sei delle nostre che curano i malati. Per 14 secoli mai un cristiano era stato autorizzato a lavorare nello Yemen. Questi sono solo alcuni fatti.

Naturalmente tutto questo pone il problema della rappresentatività, e così faccio un salto alla quarta domanda, quella sull’organizzazione. Perché l’utilità degli incontri dipende anche dal fatto che poi le conclusioni siano messe in atto – e non è facile! Voi sapete che la chiesa cattolica romana è molto strutturata; talvolta molti cristiani non cattolici criticano questo aspetto. Ricordiamo che le chiese ortodosse sono molto legate alla nazione, allo stato o alla cultura. Ora nell’islam tradizionalmente abbiamo avuto il califfo che era più o meno come una chiave, che teneva insieme i musulmani e che dava alla comunità internazionale un punto di riferimento. Era il vicario del messaggero di Dio e ben presto avevano cancellato “del messaggero” e i califfi di Medina, poi di Damasco, poi di Bagdad, poi del Cairo e poi di Istanbul, erano considerati, come Maometto stesso, vicari di Dio. Alcuni si facevano chiamare l’ombra di Dio.

Sennonché dal 1924 la Turchia moderna ha abrogato l’istituzione del califfato e da allora in poi si sono create tre organizzazioni islamiche internazionali. La prima si chiama tuttora Congresso del Mondo Musulmano ed ha sede a Karachi, la seconda è la Lega del Mondo Islamico che ha sede alla Mecca (è la Propaganda Fide dell’islam) nata nel ‘62, infine c’è, dal ‘69, l’Organizzazione della Conferenza Islamica, organismo intergovernativo che raduna 45 Paesi che si autodefiniscono islamici, nata in risposta ad un tentativo fallito di dare alle fiamme una moschea a Gerusalemme.

Ora si tratta di avere collegamenti con queste istituzioni. Sono organismi direi di intercollaborazione, poiché in ogni Paese tra il governo e l’islam nazionale c’è un’alleanza molto sottile che fa sì che il governo nomini i rappresentanti superiori dell’islam nazionale. E’ il governo che crea i manuali scolastici per l’insegnamento della religione e che dirige pedagogicamente l’insegnamento. E’ il governo che, tramite l’informazione fa sì che radio e televisione siano in continuazione coranizzati.

Dobbiamo capire tutto ciò. Allora in ogni paese l’islam nazionale ha il suo colore, la sua interpretazione, il suo modo, le sue forme. In un certo paese, ad esempio la Tunisia, la poligamia è vietata, ed è la monogamia che è di diritto. Il ripudio è abrogato da quaranta anni. In un altro non abbiamo tutto questo. Ogni paese ha fatto il suo cammino, ha le sue interpretazioni; e capite allora che i rappresentanti dell’islam nazionale non possono fare un passo di dialogo con noi, senza avere il semaforo verde del governo, sicché la difficoltà per noi nel dialogo interreligioso con molti rappresentanti delle istituzioni islamiche è quello della dimensione politica del fenomeno, il che ci crea un sacco di problemi.

Spesso l’organizzazione tipica del mondo musulmano fa sì che nei paesi dove le norme classiche dell’islam regolano i rapporti, il musulmano sia un cittadino “di prima categoria”; c’è posto, certo, anche per la gente del libro, ebrei e cristiani, ma solo se hanno accettato l’ordinamento islamico dello Stato. A volte i non musulmani debbono pagare una tassa ad personam, debbono accettare alcuni regolamenti religiosi, ecc. - vale a dire sono comunità di minoranza, protetti, e non pienamente come gli altri. In particolare, ad esempio, non possono crescere. Ebrei e cristiani possono convertirsi all’islam, ma nessun musulmano ha il permesso di convertirsi all’ebraismo o al cristianesimo. Per gli altri – per coloro che non sono neanche cristiani od ebrei - in teoria non c’è posto; in pratica c’è tolleranza, perché noi sappiamo che mai la sharia islamica viene applicata al 100%, ci sono sempre accomodamenti nella storia, l’uomo è fatto di compromessi.

Il fatto è che la mancanza di organizzazione strutturata al vertice fa sì che dobbiamo ricominciare spesso di nuovo e moltiplicare gli incontri.

La guerra santa come la possiamo valutare? E’ vero che il Corano ha dei versetti a favore della guerra come noi li abbiamo nell’AT - l’anatema a Gerico o a tante città di Canaan. Prima di valutare una religione dobbiamo vedere se a casa nostra, o almeno in una parte di casa nostra, non ci sono state delle cose simili.

Abbiamo nel Corano due tipi di guerre: la parola jihad, significa fare sforzo; però, nel corso dei secoli e tuttora, abbiamo tre categorie di dotti musulmani che interpretano diversamente questa famosa jihad che falsamente viene tradotta con guerra santa.

I mistici, i fatalisti e talvolta gli economisti dicono che la grande jihad è la lotta contro i difetti, i peccati, l’ingiustizia, l’arretratezza, il sottosviluppo: dunque è una guerra morale contro tutte le imperfezioni umane della società. Il secondo gruppo dice: “L’islam deve espandersi, aprire tutti i paesi del mondo alla sua predicazione e dove questo pacificamente non è possibile, occorre farlo con le armi”. Qui allora abbiamo due ulteriori atteggiamenti; alcuni dicono: “Fino a quando noi non siamo attaccati, non siamo autorizzati a fare la guerra, dunque l’interpretazione di jihad è guerra difensiva. Ci sono alcuni scrittori che hanno scritto in quel senso, talvolta spingendosi più oltre ed affermando che la guerra difensiva deve essere preventiva.

Abbiamo poi il terzo gruppo; conosciamo la storia, che è strapiena di esempi di questo genere. Abbiamo i fondamentalisti moderni, i Fratelli musulmani dell’Egitto e dei paesi arabi, forse Khomeini, nel campo iraniano e sciita, e Maududi al tempo della conversione del Pakistan islamico, che dicono che l’islam è di per sé bellico e deve portare la guerra ovunque diffondere la legge, perché il mondo intero obbedisca a Dio. La finalità è sottomettere tutto il pianeta all’islam. La legge di Dio deve essere applicata per forza.

Accanto a questa jihad, di cui noi abbiamo tre interpretazioni, dato che non abbiamo un magistero autentico che possa dire che questa terza interpretazione era valida all’inizio, ma non più ora, ci troviamo davanti a delle difficoltà non minori, oggi.

Accanto a questo abbiamo nel Corano dei versetti a favore del combattimento: Combattete coloro che non credono alla religione di Allah, finché non paghino umiliati. Dunque la guerra esiste e purtroppo, nella seconda parte della predicazione, Maometto ha utilizzato la guerra per radunare sotto la sua autorità le tribù della penisola araba e riconquistare la sua città nativa, la Mecca.

Gli storici musulmani quando vi raccontano la storia di Maometto vi dicono che lui ha organizzato e capeggiato almeno 24 piccole campagne militari e poi ne ha organizzato una decina che ha affidato ad alcuni dei suoi compagni. All’inizio dell’islam c’è una dimensione bellica. Il problema dell’ermeneutica coranica è questo: dobbiamo contestualizzare questi fatti per l’epoca, come dobbiamo contestualizzare la conquista di Canaan da parte delle tribù ebree, al tempo di Mosé, o dobbiamo vedere in questi versetti dei comandamenti, degli ordini validi in ogni tempo e in ogni luogo? Non possiamo sfuggire al problema dell’ermeneutica.

Ora la libertà di analisi, di commento, di interpretazione, nel campo musulmano oggi non è un granché. E’ vero che nell’islam per contrastare questa tendenza bellica, ben presto abbiamo avuto degli “spirituali”, degli uomini ed alcune donne che hanno ritenuto inutile ricorrere alle armi e alle lotte. Già sul finire del primo secolo dell’islam, quando abbiamo le lotte per il potere, Assad a Bassora, nel sud dell’Iraq, disse: “Dio non prende la spada, non ho mai visto un problema risolto con la spada, lasciamo a Dio decidere”.

Questo vi spiega che nella storia dell’islam abbiamo sempre avuto dei gruppi di minoranza - relativa certo - che hanno sviluppato un islam interiorizzante; per tre, quattro secoli sono stati influenzati dal monachesimo del Medio Oriente, dalla spiritualità dei Padri del deserto e tutto questo è finito con la condanna al patibolo a Bagdad nel 922 di al-Hallaj, decapitato, ridotto in ceneri, perché aveva scritto delle cose bellissime e soprattutto insegnato che Dio è amore.

Dopodiché questo sufismo è stato particolarmente influenzato dall’ellenismo, dalle antiche religioni dell’Iran e soprattutto dalla mistica dell’India, con altri atteggiamenti a livello dogmatico e alcune forme sincretistiche

In mezzo a tutto questo, nel XIII secolo sono nate le confraternite religiose, gruppi di laici musulmani che avevano delle sedute di meditazione e che ben presto si sono sviluppate anche come associazioni di assistenza sociale e talvolta anche con autonomia politica. Questi sono alcuni aspetti della storia del sufismo, ma ci vorrebbero ore per spiegarlo in particolare.

E’ ovvio, al tempo di Maometto c’erano nella penisola araba al sud e al nord delle comunità di ebrei, di cui non si sa quando si fossero stabilizzate nella penisola araba. C’erano anche delle comunità cristiane un po’ dappertutto. Lo Yemen era cristiano. Questi cristiani arabizzati al sud e al nord partecipavano a tre cristologie diverse: quella di prima di Calcedonia - i nestoriani, in Iraq - i monofisiti, in Giordania, Egitto, Etiopia; e poi quelli fedeli alla fede ortodossa vicini a Costantinopoli, i melchiti, coloro che seguivano il re. C’erano anche i pagani, il culto politeista della Mecca, che come il Medio Oriente ellenistico aveva conosciuto tanti dei e dee.

Maometto in tutto questo ha avuto una sua evoluzione e si è confrontato con queste realtà. Da chi era stato informato? Come gli sono state trasmessi oralmente tutti questi depositi di varie scuole, tradizioni e libri? Dio lo sa! Io posso solo ipoteticamente ricostruire un po’ le cose tenendo conto del contenuto del Corano e dei detti attribuiti a Maometto. Cosa vedo nel Corano? Che a Medina, 14 o 16 mesi dopo la “migrazione”, fecero dei versetti che chiedono ai musulmani di pregare diretti verso la Mecca. Prima pregavano verso Gerusalemme. Allora che significa per una prima comunità musulmana alla Mecca pregare verso Gerusalemme? Perché? Questa e molte altre usanze erano quasi ebree; c’erano costumi ebraici nella purificazione, nel rito del matrimonio, ecc. E c’è questa onnipresenza nel Corano del libro, del kitab, con questa pretesa continua di riprendere la Torah, di confermarla.

I cristiani di cui parla il Corano erano melchiti, nestoriani, monofisiti o forse soltanto giudeo-cristiani, per i quali Gesù Cristo non era il Verbo incarnato, ma un superarcangelo. Tante ipotesi; però tutto questo vale per l’inizio dell’islam, non per oggi. Oggi sarebbe disonesto interpretare direttamente il Corano dei musulmani senza tener conto della lunga meditazione che ne hanno fatto durante quattordici secoli, come io chiedo ai musulmani di tener conto dei venti secoli di meditazione cristiana sul NT.

Non si tratta di dialogare come se fossimo quattordici o venti secoli fa - e naturalmente il libro del Corano è la fotografia quasi perfetta della società dell’epoca. Per questo la posizione della donna nel Corano si rivela molto inferiore, in quanto riflette la situazione dell’epoca, pur avendo già delle modifiche e delle riforme a favore di una condizione migliorata. La prima moglie di Maometto, alla Mecca era general manager di una impresa di import-export. Comunque significa che c’erano già dei mutamenti e perciò nel Corano vediamo, per esempio, che le donne, le più vicine alla persona defunta, uomo o donna, sono chiamate ad ereditare. Prima questo non c’era.

Nel Corano abbiamo pochissimi nomi propri, sia di uomini che di persone; anche questo ci fa molto riflettere sull’aspetto del genere letterario del Corano. Una sola donna vede il suo nome parecchie volte citato nel Corano. Il suo nome ha anche dato il titolo alla sura 19, e quella donna si chiama Maria. Il Corano difende la sua verginità e la sua onestà contro le “accuse di prostituzione” degli ebrei. Maria è vergine e madre di un profeta privilegiato, è considerata come una santa e, dice il versetto del Corano: “E’ stata prescelta al di sopra di tutte le donne del mondo e con il suo figlio”. Dice un altro versetto: “Costituisce un segno o un miracolo” - la stessa parola vale per le due cose.

Questo fatto che il Corano utilizzi poco i nomi propri, mi fa pensare che lo potremmo collocare, in modo particolare, nel genere della letteratura sapienziale, in quel tipo di libri simili ai sapienziali dell’AT. Se io prendo il libro della Sapienza, dei Proverbi, l’Ecclesiastico, trovo pochissimi nomi di luogo o di persona; trovo, invece, una meditazione sulle virtù degli antenati e io penso che il Corano potrebbe essere inserito così, in questa tradizione. Non è dunque senza legame con l’AT, mostrandoci un certo parallelismo di forma.

Davanti all’intransigenza degli ebrei e dei cristiani, che ripetutamente gli dicono: “Tu non sei ebreo, tu non sei cristiano, non c’è niente da fare”, lui, Maometto, nell’ultimo periodo di Medina sembra risalire indietro nella storia e agganciare il suo islam ad Abramo stesso, ripetendo “Abramo non era né ebreo, né cristiano, io mi accontento di Abramo; mi accontento della religione dei patriarchi”.

Ignora anche le promesse fatte ad Abramo. Perché ha fatto questa scelta? Un giorno forse ce lo dirà. Il Signore della gloria ce lo dirà. Però può darsi che ci siano stati allora tanti malintesi tra lui, i suoi, e le prime comunità cristiane ed ebree della penisola araba. Vale a dire che può darsi che questa grande avventura dell’islam storico, che da quattordici secoli ci dà da pensare, ci da fare e talvolta da soffrire, sia il risultato di malintesi di fondo risalenti a quei tempi ed allora, tanto più, vale la pena oggi di impegnarci per cambiare il corso delle cose, tenendo conto che durante i quattordici secoli l’emulazione storica tra le società musulmane e le società cristiane hanno generato tante cose negative, ma anche molte cose positive ed è questo soprattutto che noi dobbiamo sottolineare.

Da venti anni in campo musulmano le parole, i valori, fanno pian piano la loro strada, tenendo conto di un contesto speciale. Tocca a noi di avere persone che studino il loro libro, le loro filosofie. Da alcuni anni c’è un patto culturale tra l’università di Ankara, nella Turchia, e l’Università Gregoriana di Roma con scambio di professori. Io conosco un padre gesuita che insegna ogni anno nella facoltà di teologia musulmana della Turchia storia del cristianesimo.
E’ un fatto nuovo.

Abbiamo venti persone pronte a fare lo stesso in venti facoltà di teologia musulmana nel mondo dell’islam oggi? Non li abbiamo! Perché non abbiamo le persone preparate e da parte loro è lo stesso. Perciò si è costituita la fondazione “Nostra Aetate” che dà delle borse di studio a degli studenti musulmani che vengono a Roma a studiare il cristianesimo per due anni alla Gregoriana o per progetti simili. E’ un fatto nuovo. Seminiamo, la semente domani darà una messe; questo il Santo Padre ci ha detto nella sua ultima enciclica missionaria Redemptoris Missio.

Tenendo conto che il dialogo interreligioso fa parte integrante della missione evangelizzatrice della chiesa, parlando dei fratelli delle religioni monoteiste, il Papa diceva: “In molte situazioni i missionari non possono fare altro che il dialogo interreligioso per rendere gloria a Gesù Cristo e onore all’uomo”.

Vi posso raccontare, ad esempio, di una situazione in cui sono coinvolte le nostre suore che lavorano nello Yemen: per loro non è possibile conferire battesimi né oggi, né domani, né dopodomani. Per accettare situazioni del genere quando si ha Gesù Cristo nel cuore bisogna avere una spiritualità particolare. Ora tutto questo talvolta bisogna pagarlo caro. L’anno scorso, subito dopo Natale, in una città algerina, quattro dei miei confratelli sono stati uccisi, e uno dei quattro era stato nostro studente a Roma, tre anni fa.

Pensiamo allora a tutti i testimoni del dialogo e tentiamo di trovare anche nuovi araldi di tale impegno, perché penso che domani o dopodomani ci saranno nuove possibilità. Dobbiamo avere persone preparate. Ora preparare qualcuno a tale dialogo richiede venti anni di studi, di esperienze, di servizio. Dio ne è testimone.

Testi dello stesso autore presenti sul nostro stesso sito www.gliscritti.it

Gesù nella prospettiva del Corano: l’Islam di Maometto ed i musulmani del XX secolo dinanzi al Cristo
I matrimoni islamo-cristiani: la condizione giuridica della famiglia islamica e le problematiche di un matrimonio misto
Quale evoluzione possiamo oggi aspettarci dal mondo islamico?

Alcuni testi presenti nel nostro sito www.gliscritti.it che affrontano argomenti correlati a questo testo

I matrimoni islamo-cristiani di Maurice Borrmans
Quale evoluzione possiamo oggi aspettarci dal mondo islamico? di Maurice Borrmans
Gesù nella prospettiva del Corano: l’Islam di Maometto ed i musulmani del XX secolo dinanzi al Cristo di Maurice Borrmans
Dal Corano all´elaborazione della tradizione islamica di Giovanni Amico
Appunti da/di viaggio: Granada e l’Islam andaluso
Breve nota sul significato del termine arabo “Islām” di Massimo Rizzi
Islam e Occidente
La Bibbia nell´Islam
I profeti biblici nel Corano
Gesù nel Corano
Gesù negli Hadith


[Approfondimenti]