Conclusioni, sul tema della famiglia nella Chiesa e nella città, di S.Em.card.
Camillo Ruini al Convegno della Diocesi di Roma (12 giugno 2003) in vista dell'anno 2003/2004 (tpfs*)

Vi riproponiamo integralmente la relazione del cardinal vicario, che già abbiamo meditato nei tre week-end estivi dedicati agli adulti della nostra parrocchia in questo giugno 2003. Le riflessioni del card. Ruini saranno il punto di riferimento della pastorale delle parrocchie di Roma – e quindi anche della nostra – e dell'intera Diocesi sia nell'anno 2003/2004 che nel successivo. Mettendole a disposizione on-line ne sottolineiamo l'importanza e l'attualità nel cammino che la Chiesa di Roma ci incoraggia a percorrere.

L'Areopago


Indice


Convegno della Diocesi di Roma
Insieme alla famiglia costruiamo una società migliore
Roma, Basilica di San Giovanni in Laterano,

12 giugno 2003
Vocazione e missione della famiglia nella Chiesa
e nella città. Conclusioni del cardinale vicario

1. Premessa

Le mie conclusioni si articolano in cinque punti, il primo dei quali è introduttivo. Sono conclusioni provvisorie: nel Programma Pastorale le ritroverete meglio maturate, insieme a indicazioni operative più puntuali. Vorrei anzitutto ringraziare il Signore e ciascuno di voi per questo ottimo Convegno su quella grande realtà cristiana e umana che è la famiglia. In particolare ringrazio i relatori dei cinque gruppi di studio. In tutta la nostra riflessione dobbiamo tenere ben presente la prospettiva missionaria che ho sentito echeggiare con forza nelle relazioni di questa sera. In effetti la famiglia ha una grande potenzialità missionaria e umanizzante. Essa infatti, almeno in Italia è una realtà ancora molto solida ed estremamente importante: non è dunque soltanto “in crisi”. Ciò è evidente sul piano economico e pratico (basta pensare alle reti di solidarietà familiare e alla loro capacità di sopportare i costi sociali, ad esempio della disoccupazione giovanile), ma anche sul piano dei valori morali e comportamentali che la famiglia riesce a trasmettere in misura assai maggiore di quel che spesso si pensi e si dica. Esistono inoltre molte famiglie cristiane, che sono autenticamente tali e cercano di esserlo in maniera consapevole: tra queste voi famiglie qui presenti questa sera. Vi sono poi altre famiglie nelle quali l'eredità cristiana rimane viva, sia pure in maniera meno consapevole. Queste famiglie cristiane le troviamo nelle nostre parrocchie, associazioni e movimenti, intorno alle case religiose, ma anche al di fuori del cerchio più interno delle realtà ecclesiali. I due motivi delle grandi potenzialità missionarie e umanizzanti sono dunque questi: la solidità e importanza della famiglia in Italia e l'esistenza di molte famiglie cristiane.
Si pongono però due domande cruciali: come valorizzare e mettere a frutto queste potenzialità e, nello stesso tempo, come alimentarle e conservarle, nonostante le spinte in senso contrario presenti nella nostra società e nella nostra cultura. Dobbiamo chiederci anzitutto quale sia il soggetto che può operare in questo senso, ossia “a chi tocchi” fare tutto ciò. La risposta è duplice: questo soggetto è anzitutto la Chiesa, cioè noi tutti, e nella Chiesa la famiglia stessa. Ma anche, su un versante diverso, questo soggetto è la società, e di nuovo – nella società - la famiglia: non dobbiamo infatti stancarci di ripetere che la questione della famiglia è vitale non soltanto per la Chiesa, ma anche per la società. In altre parole, occorre valorizzare sul serio la famiglia, senza cadere in visioni unilaterali: è chiaro infatti che la Chiesa e la società non sono fatte solo di famiglie, però in esse le famiglie hanno un grandissimo rilievo. In concreto, come diceva Mons. Anfossi nella sua relazione, occorre rispettare nella nostra pastorale come nella vita sociale i tempi e le esigenze delle famiglie, dando però alle famiglie stesse, in maniera sistematica e non occasionale, tutto lo spazio che esse possono occupare, sia nella pastorale sia nella vita sociale.

2. La famiglia nella Chiesa

L'attenzione della Chiesa alla famiglia è un dato molto tradizionale: la cura per la famiglia c'è infatti sempre stata, ma era una cura e un'attenzione diffusa, come tale non indirizzata verso momenti specifici, sebbene anche questi non mancassero, a cominciare da quello della celebrazione del matrimonio. Pensiamo inoltre all'importanza che ha avuto per la famiglia tutta l'educazione morale che la Chiesa ha sempre cercato di dare alla gente e che verteva in grande misura, direttamente o indirettamente, intorno alle tematiche della famiglia. Con la messa in discussione del modello cristiano di famiglia, la Chiesa ha cominciato a cercare di dare delle risposte più specifiche. La prima sono i corsi prematrimoniali, che ben conosciamo. Essi rappresentano una conquista importante, costata fatica e da non disperdere. L'esperienza ci dice però che questi corsi, da soli, restano qualcosa di incompiuto, bisognoso di integrazione prima e dopo i corsi stessi, ma bisognoso anche di un proprio sviluppo interno, cioè nel modo di realizzare i corsi, nella forma e nel significato che essi hanno.
Il primo obiettivo concreto, sul quale siamo chiamati a una riflessione e una verifica, sono dunque i corsi di preparazione al matrimonio. A mio avviso occorre farli evolverli, per quanto possibile, nella direzione della comunità e dell'amicizia, tra le coppie che partecipano al corso e con i sacerdoti e gli animatori del corso stesso. Questo fare comunità non deve però rimanere fine a se stesso, ma muoversi nella prospettiva dell'iniziazione alla vita cristiana e, in concreto, alla vita della famiglia cristiana. A questo proposito abbiamo non poche esperienze positive in Diocesi: mi limito a ricordare quella il cui iniziatore è stato Don Stefano Tardani. Ma è necessario anche dilatare nel tempo la nostra attenzione alla famiglia, guardando al prima e al dopo del matrimonio. Nella nostra Diocesi la consapevolezza di questa necessità è ormai diffusa e molte parrocchie cercano di operare in questa direzione.
Il nostro secondo obiettivo riguarda dunque il "dopo” il matrimonio. Dobbiamo cercare di far continuare nel tempo quei legami di comunità e di amicizia che si sono realizzati nella preparazione al matrimonio, pur dovendo fare i conti con tutte le difficoltà che nascono dal trasferirsi delle nuove famiglie in zone diverse della città. Queste reti di amicizia e solidarietà tra le famiglie rappresentano anche una delle vie fondamentali per la pastorale delle famiglie in difficoltà: rimanendo agganciate a queste reti esse possono infatti trovare un aiuto per non sentirsi escluse e non perdere il collegamento con la Chiesa.
Per il tempo dopo il matrimonio è naturalmente assai importante anche tutta l'opera formativa delle famiglie e con le famiglie. Pure in questo campo abbiamo in Diocesi molti tentativi e iniziative in atto: i gruppi familiari, la Lectio divina per le famiglie, gli incontri nei caseggiati. Le stesse Comunità neocatecumenali sono basate soprattutto sulle famiglie e sull'integrazione tra le famiglie.
Un ulteriore versante è quello della ricerca missionaria delle famiglie che non frequentano la parrocchia: dobbiamo infatti mantenere sempre chiara la prospettiva che il nostro servizio pastorale è rivolto, per quanto possibile, a tutte le famiglie. In concreto, qui è fondamentale la missione nelle case e mi ha fatto piacere che due relazioni dei gruppi di lavoro abbiano sottolineato come durante la Missione cittadina questa esperienza fosse iniziata in maniera felice e fruttuosa, mentre in seguito essa è continuata soltanto in misura troppo parziale. Nella medesima prospettiva missionaria vanno rivalorizzate le benedizioni delle case, per farle diventare una vera visita alle famiglie, a cui possono partecipare e contribuire anche dei laici. Sono inoltre molto importanti reti di solidarietà interfamiliare che siano aperte a tutte le famiglie, anche non praticanti.
Questo genere di impegni è certamente difficile e faticoso, risulta spesso parziale e avaro di risultati. E' tuttavia una strada che dobbiamo imboccare, o meglio proseguire, con risolutezza. Questa infatti è anche la via principale per fare davvero quella pastorale degli adulti, e non solo dei ragazzi e dei giovani, di cui molto parliamo e della cui necessità siamo tutti consapevoli: la pastorale degli adulti non può non essere, in larga misura, pastorale delle famiglie e con le famiglie.
Un'altra pista molto importante sia di formazione sia di ricerca missionaria delle famiglie è l'iniziazione cristiana dei figli, a cominciare dal loro battesimo. La preparazione al battesimo e, nella misura del possibile, il “dopo battesimo” sono infatti uno stimolo alle famiglie perché rafforzino o ritrovino la fede e la prassi di vita cristiana: le ritrovino per il desiderio di trasmetterle ai figli.
Sappiamo bene che anche questa non è una ricetta di facile e sicura applicazione. Tutte quelle che ho indicato sono piste da cercare di percorrere, senza certezze preventive dei risultati. In ogni caso, anche a proposito della pastorale del battesimo si conferma l'importanza di una rete di rapporti tra le famiglie, affinché anche i bambini i cui genitori non sono o non vogliono essere in grado di educare cristianamente i propri figli non restino privi di una prima educazione alla fede, negli anni iniziali della loro vita, che sono anni fondamentali per la formazione della persona e per tutto il corso successivo della sua vita, nel bene e nel male.
E' chiaro dunque che la pastorale della famiglia non è semplicemente un settore, ma piuttosto una dimensione fondamentale di tutta la pastorale: ne avremo ulteriori conferme. Anche nei confronti degli altri sacramenti dell'iniziazione cristiana, la prima Comunione e la cresima, il compito che compete alla famiglia è evidentemente assai grande. Vorrei ricordare, ad esempio, le esperienze di “catechesi familiare”, fatta per le famiglie e dalle famiglie insieme ai sacerdoti e ai catechisti: sono esperienze da coltivare, forse più di quello che si è fatto finora. Parlando dell'iniziazione cristiana siamo già passati, per un certo verso, dal “dopo il matrimonio” al “prima del matrimonio”, cioè all'impegno per la preparazione al matrimonio assai prima dell'inizio dei corsi prematrimoniali: questo è il nostro terzo obiettivo concreto. Il matrimonio cristiano suppone infatti la persona cristiana, l'uomo e la donna cristiani. Dal momento in cui cominciano a svilupparsi la pubertà e la sessualità (oggi più precocemente che in
passato), con la loro specifica affettività, diventa necessaria una formazione cristiana a sua volta più specifica di questa fondamentale e pervasiva dimensione della vita: così, almeno in maniera remota, ha inizio la preparazione al matrimonio cristiano.
Proprio qui troviamo la lacuna forse maggiore, e meno citata, della nostra attuale pastorale. Mi riferisco al silenzio su queste tematiche con i nostri ragazzi, adolescenti e giovani. Non è possibile infatti avere un rapporto serio con loro, che vivono intensamente questi problemi, lasciandoli da parte come se non esistessero. Dobbiamo invece saperne parlare in termini positivi e propositivi, e allo stesso tempo seri e rigorosi: è un'impresa faticosa ma pagante. Altrimenti nei nostri ragazzi, adolescenti e giovani si forma una specie di “falsa coscienza”: sanno infatti, comunque, che c'è un aspetto della loro vita non in regola con la Chiesa – lo sanno se non altro perché il Papa dice loro chiaramente quello che la Chiesa pensa in maniera, ed è certamente un grave errore lasciare solo al Papa questo compito. Non si tratta di far loro delle prediche, ma di “tirar fuori” con loro il problema, con molta cordialità e amicizia.
Questa educazione dell'affettività, che è certamente educazione etica, ma non soltanto etica, deve evidentemente svilupparsi di pari passo con lo sviluppo dei soggetti (dai ragazzini e ragazzine agli adolescenti ai giovani) e delle relazioni tra i soggetti (i primi legami affettivi, poi pian piano fino al “fidanzamento”, parola ormai fuori moda…). C'è dunque un duplice legame tra la pastorale familiare e quella giovanile: i ragazzi infatti ricevono dalle loro famiglie di origine (ma anche, spesso, le stimolano) e preparano le famiglie future: la loro integrazione reciproca aiuterà perciò entrambe queste pastorali.
Nella pastorale familiare, a somiglianza della pastorale vocazionale, è essenziale la preghiera. Dobbiamo pregare regolarmente per le famiglie, anzitutto nelle Messe festive; inoltre nella preparazione e celebrazione dei matrimoni e degli anniversari dei matrimoni, come anche nelle feste annuali delle famiglie celebrate in parrocchia. La preghiera in comune dovrebbe essere una consuetudine di vita all'interno delle famiglie stesse: quanto meno ciascun membro della famiglia deve pregare per la propria famiglia, e questa, fortunatamente, è una pratica molto diffusa.
A conclusione di questo punto sulla famiglia nella Chiesa possiamo dire riassuntivamente che il nostro obiettivo pastorale è la soggettività ecclesiale delle famiglie e al contempo la dimensione “familiare” della comunità cristiana, che è famiglia dei figli di Dio e, in larga misura, famiglia di famiglie.

3. Il Vangelo della famiglia

Un'importanza decisiva hanno evidentemente i contenuti della nostra pastorale familiare, quello che possiamo chiamare il Vangelo della famiglia, con riferimento speciale ma non esclusivo alla famiglia cristiana. A questo proposito sono molto importanti il n.2 del Sussidio di preparazione al nostro Convegno e le relazioni della Prof. Scabini e di Mons. Anfossi. La famiglia è unione di vita e di amore, patto stabile e pubblico, che ha rilevanza sociale, tra l'uomo e la donna, anche in vista della generazione dei figli, i quali rappresentano un bene sociale fondamentale, come ha sottolineato la Prof. Scabini. La medesima famiglia è investita da una speciale grazia e vocazione in Cristo, per l'edificazione della Chiesa. Questo rapporto tra la realtà naturale del matrimonio e della famiglia, che attraversa l'intera storia dell'umanità, e il matrimonio come sacramento si configura secondo il principio teologico per il quale la grazie non toglie, ma presuppone e perfeziona la natura, e la risana dalle ferite del peccato. Esiste quindi una profonda sinergia tra la realtà umana e la realtà cristiana del matrimonio.
Questi contenuti vanno proposti e motivati, in maniera piena e integrale, nella nostra pastorale, quindi nelle omelie, nelle catechesi, nei vari incontri. Ma vanno anche presentati e motivati, per quanto riguarda la loro dimensione “naturale”, in tutta la cultura, la vita sociale, le istituzioni. In tutta quest'opera ha un ruolo decisivo la famiglia stessa, sul versante ecclesiale come su quello sociale. Infatti la famiglia autentica e il Vangelo della famiglia devono anzitutto essere mostrati come una realtà, come qualcosa di praticabile oggi e anche di gratificante, nella società e all'interno della Chiesa (anche nella Chiesa infatti questo talvolta non è del tutto chiaro e pacifico).
Un tema essenziale è quello del figlio: da una parte infatti abbiamo il fenomeno della denatalità: senza forzature, e muovendoci al di fuori di ogni ottica confessionale, possiamo ripetere quello che il Papa ha affermato il 14 novembre al Parlamento italiano: il maggior problema dell'Italia è oggi la denatalità. Gli uomini politici, gli economisti, i sociologi oggi riconoscono sempre più che questo problema è gravissimo, anche sotto il profilo sociale, pratico ed economico, sebbene di esso si parli pubblicamente ancora troppo poco.
Dall'altra parte abbiamo un fenomeno assai più confortante: il “desiderio del bambino”, di cui ha parlato con efficacia la Prof. Scabini. Uso come lei la parola “bambino”, piuttosto che figlio. La relazione che nasce con la nascita del bambino è tenacissima, come ancora ha sottolineato la Scabini: si può essere “ex moglie” o “ex marito”, ma non si può essere “ex padre” o “ex figlio”; padre, o madre, o figlio, o figlia, si rimane per sempre. Su questo desiderio e su questa relazione tenacissima dobbiamo lavorare, pastoralmente e culturalmente. Dobbiamo lavorare intorno al “bambino”, per far percepire, capire e gustare che il bambino è figlio, nel senso pieno della parola, figlio cioè della coppia (e non della singola persona), nella prospettiva della continuità della vita e del significato della vita.
Vi sono qui un problema socio-politico e un problema culturale ed esistenziale. Il problema socio-politico è che il sostegno dei figli è una fondamentale questione di giustizia, che riguarda tutta la società: le nuove generazioni sono infatti la prima risorsa e speranza di futuro per la società stessa. La solidarietà, anche economica, nei confronti delle famiglie che hanno figli è dunque un dovere che investe l'intera società, e non un privilegio accordato a quelle famiglie.
Il problema più profondo è però quello esistenziale e culturale. Su di esso siamo sfidati anche specificamente come cristiani, cioè nel nostro approccio cristiano alla vita: non mi riferisco soltanto alla procreazione, ma al senso della vita nel suo complesso. Soltanto in una logica di amore e donazione di sé infatti questo problema esistenziale può trovare risposta. Dobbiamo fare di tutto questo un grande argomento di preghiera e di riflessione nelle nostre comunità, affinché vengano progressivamente maturate scelte libere e convinte riguardo alla generazione e all'educazione dei figli.

4. La famiglia nella società

Avvertiamo tutti una difficoltà di fondo, che viene da una situazione socio-culturale che sembra imporre alle famiglie, e ai giovani prima del matrimonio, modelli di vita e di comportamento per certi aspetti (non dunque sotto ogni aspetto!) sempre più lontani da quelli cristiani e dalle stesse esigenze fondamentali dell'antropologia, cioè della nostra natura umana, e della vita sociale. Più esattamente, ciò che manca, o è troppo debole, dimenticato e contestato, è il riconoscimento nella “cultura pubblica” (quella che troviamo alla televisione o sui giornali, ma che poi ritroviamo anche nel vicino di casa o di lavoro o nel compagno di scuola) del valore sociale dei ruoli familiari (il ruolo del padre, della madre, dei figli, dei fratelli…). Per conseguenza viene a mancare la plausibilità sociale della missione generativa ed educativa della famiglia. Dobbiamo quindi anzitutto cercare di colmare queste mancanze, non solo nella Chiesa ma nella cultura e nella società, nelle leggi e nelle istituzioni, e finalmente all'interno delle persone stesse e delle famiglie.
L'espressione emblematica degli obiettivi e delle ragioni di questo nostro impegno la troviamo nel discorso pronunciato dal Papa quando, il 17 maggio scorso, gli è stata conferita dall'Università “La Sapienza” la laurea honoris causa in giurisprudenza: “la famiglia è il luogo privilegiato dell'umanizzazione della persona e della società e per essa passa il futuro del mondo e della Chiesa”. Queste parole sono vere a titolo speciale per l'Italia e sono il motivo dell'impegno anche pubblico della Chiesa sulle frontiere della famiglia come della vita.
In concreto, si è cominciata a promuovere a questo scopo, accanto a quella ecclesiale, la “soggettività” sociale delle famiglie, specialmente attraverso il Forum delle Associazioni familiari e a Roma tramite l'Associazione “Famiglie insieme”. Queste realtà richiedono un sostegno molto più concreto e diffuso da parte delle parrocchie, delle associazioni e movimenti ecc.. Abbiamo sentito anche dalle relazioni dei gruppi di lavoro che esiste una eccessiva dicotomia tra la pastorale familiare propriamente detta e questa dimensione di presenza e di testimonianza sociale: è una dicotomia che si può comprendere, ma alla quale non possiamo fermarci; occorre cercare di superarla.
Un campo di azione molto importante del Forum e delle realtà analoghe è quello del rapporto con le istituzioni, con il mondo della politica e della legislazione ecc.. In questo ambito anche il Papa e noi Vescovi facciamo sentire spesso la nostra voce, sia che venga percepita come opportuna o come importuna, ma c'è bisogno della sensibilità e dell'impegno di tutti i cattolici, in collaborazione con quanti condividono il valore della famiglia. A questo proposito molta strada rimane da fare.
Ugualmente importanti, anzi forse ancora più importanti, sono i versanti della cultura e dei mezzi di comunicazione, del vissuto sociale e delle relazioni interpersonali e interfamiliari. Evidentemente vi è un forte influsso reciproco tra loro e con la politica e la legislazione. Sul versante del vissuto e delle relazioni di cui esso è intessuto abbiamo, come cattolici e come Chiesa, una presenza e una forza di cui non siamo pienamente consapevoli e che però dobbiamo alimentare e far crescere, principalmente attraverso le reti di solidarietà e amicizia interfamiliare, alle quali si può dare anche una consistenza pubblica e giuridica mediante le cooperative, le associazioni e le varie iniziative che da queste possono essere promosse.
L'attenzione va indirizzata principalmente verso gli ambiti dove sono più grandi i bisogni, le attese e anche le disponibilità di impegno delle famiglie: pensiamo ad esempio all'accoglienza dei bambini piccoli, all'assistenza domiciliare agli anziani e ai malati, all'assistenza scolastica, agli oratori estivi, agli aiuti per l'inserimento nel mondo del lavoro o anche al lavoro a domicilio, destinato a diventare una realtà sempre più diffusa. Tutto ciò va fatto in un'ottica aperta anche alle famiglie non praticanti e sollecitando l'impegno delle istituzioni, con piena disponibilità a collaborare con esse. Dove arriva l'esperienza diretta di un vissuto familiare ricco e solidale, anche una cultura pubblica ostile alla famiglia viene smentita e ridimensionata.
E' vero però che la cultura pubblica e la rappresentazione della vita sui mezzi di comunicazione hanno un grandissimo peso ed influenza, sono capaci di far evolvere e di rendere omogenei in tutta una nazione, e anche oltre, i comportamenti e i criteri di giudizio. Ne sono un grande esempio i 50 anni trascorsi da quando, nel 1953, sono iniziate le trasmissioni televisive in Italia. Su questo versante dobbiamo registrare una nostra perdurante debolezza complessiva e tendenza alla subalternità (non ha senso dunque parlare di “egemonia cattolica”). Siamo chiamati perciò a pensare di più ed a elaborare di più, a comunicare e a rappresentare la vita in maniera più efficace.
In verità riguardo alla famiglia le nostre capacità di pensare e progettare sono buone e non certo inferiori a quelle di altri orientamenti culturali, mentre siamo deboli per quanto riguarda la comunicazione e la rappresentazione mediatica. Si può parlare a questo proposito di una situazione di svantaggio strutturale, perché l'erotismo e il “nuovismo” libertario sono capaci di un appello facile e immediato. E' anche vero però che i valori solidi e reali possono essere a loro volta comunicati e proposti a tutti in maniera concreta e convincente.
Occorre dunque prendere atto delle nostre lacune, per reagirvi con decisione e con coraggio, sia attraverso la comunicazione di matrice cattolica (dove l'impegno della CEI è massiccio ed è destinato a crescere ma non è adeguatamente condiviso, anche a livello ecclesiale), sia mediante la presenza di cattolici nella comunicazione che chiameremo “comune” (anche se spesso non è priva di ben determinati orientamenti), sia anche – e questo ci riguarda tutti in maniera diretta e ha una grande influenza concreta – attraverso le nostre capacità di scelta e di discernimento, come utenti della comunicazione.
E' questo , in concreto, il “progetto culturale orientato in senso cristiano”, nell'ambito della famiglia e di tutto ciò che la riguarda: si tratta di uno spazio di lavoro in larga parte sguarnito, ma che può essere riempito, nelle parrocchie come in tutto il tessuto della Diocesi e nella vita sociale. Il Convegno nazionale “Parabole mediatiche”, tenutosi a Roma nel novembre 2002, è una buona premessa in questo senso. Permettetemi però una piccola provocazione: Roma deve “sprovincializzarsi”, non chiudersi in se stessa e pensarsi come autosufficiente, particolarmente nel campo della cultura e della comunicazione: in realtà siamo tutti su una medesima barca, in Italia e ormai in Europa, e anche più oltre.

5. Vie di attuazione pratica

Abbiamo delineato, sia pure in maniera molto sommaria, i due grandi versanti di impegno, ecclesiale e socio-culturale, delle famiglie e per le famiglie (nn. 2 e 4), rannodati intorno al “Vangelo della famiglia” (n. 3). Un'ultima riflessione vogliamo dedicarla alle vie di attuazione pratica, con speciale attenzione al livello diocesano, perché l'esperienza della missione cittadina, dove l'impulso della Diocesi è stato forte, anche sul piano concreto e pratico, ed efficace, e poi di questi anni dopo il Giubileo, dove l'impulso diocesano è stato minore a livello pratico – e se ne sono sentite le conseguenze – , induce a un ripensamento e a un rilancio, che sarà presentato in maniera più ordinata nel Programma pastorale.
Per quanto riguarda il versante ecclesiale, non ripeto gli obiettivi indicati nel n. 2, come la visita alle famiglie (forse durante la Quaresima), la rivisitazione dei corsi di preparazione al matrimonio, le reti di solidarietà familiare, l'attenzione ai primi anni di età, la catechesi familiare, il rilancio dell'educazione dell'affettività dei ragazzi, adolescenti e giovani. Almeno su alcuni di questi temi è necessario un impegno sistematico a livello di Diocesi e di prefetture e non basta – anche se rimane sempre fondamentale – l'iniziativa delle singole parrocchie, movimenti ecc..
Perciò ogni prefettura dovrà riprendere il progetto pastorale che emerge dal Convegno, mediante un'assemblea di inizio dell'anno pastorale (se necessario articolata anche in più momenti), con la partecipazione di tutte le componenti ecclesiali e in particolare delle famiglie. La Diocesi offrirà il suo sostegno attivo, attraverso le sussidiazioni di strumenti di lavoro ma anche con la presenza diretta di persone opportunamente preparate, e si farà carico di accompagnare questo cammino anche con incontri diocesani di animatori (o categorie di animatori). E' fondamentale qui il ruolo del Centro per la pastorale familiare e sono necessari un maggiore coordinamento e collaborazione tra questo Centro e le altre strutture pastorali sia diocesane sia sparse sul territorio, anche al fine di superare – o almeno attenuare – la frammentarietà delle iniziative pastorali, raggiungendo una maggiore organicità e anche completezza, non nel senso di fare tutto, ma di non dimenticare aspetti fondamentali, di non essere troppo parziali e unilaterali.
Per quanto riguarda invece il versante socio-culturale, dobbiamo promuovere iniziative, sia a livello cittadino sia sul territorio (in quei punti strategicamente importanti del territorio di Roma che non sono poi troppo numerosi), per far conoscere quei contenuti essenziali che sono stati felicemente evidenziati nella relazione della Prof. Scabini e per far riflettere su di essi.
Dovremo inoltre confrontarci con i rappresentanti della politica, dell'economia, della cultura e della comunicazione sociale, ma dovremo anche raggiungere direttamente le famiglie, con materiali semplici ma puntuali e concreti: è sufficiente infatti far parlare i fatti perché le persone e le famiglie abbiano modo di riflettere e di convincersi.
Occorre ugualmente sviluppare le reti di solidarietà interfamiliare e le iniziative a cui ho accennato nel n. 4 (che vanno dai bambini agli anziani): tutto questo presso le parrocchie e le altre strutture ecclesiali, con l'impulso e il coordinamento del Centro diocesano per la pastorale familiare e delle associazioni di famiglie. Cercheremo inoltre la collaborazione con le strutture pubbliche, che del resto, almeno in parte, è già in atto. Dobbiamo dare così delle testimonianze che tutti possano toccare con mano e che risultino convincenti, almeno per chi osserva senza pregiudizi.
Termino dicendo che personalmente ho delle grandi attese per il cammino che ci aspetta in questi due anni: un cammino di missione e di missionarietà, ma anche di servizio alla gente di Roma, alle nostre famiglie e a questa meravigliosa città.


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