Cenni per una visita nell'antico ghetto di Roma

a cura del SIDIC


Il testo che mettiamo a disposizione on-line è stato preparato dal SIDIC (Service International de Documentation Judéo-Chrétienne, delle suore di nostra Signora di Sion, fondate dai fratelli p.Théodore e p.Alphonse Ratisbonne), per fornire una serie di indicazioni e di suggerimenti per i docenti che desiderano, attraverso la visita dei luoghi, far conoscere ai loro alunni la storia dell'ex-ghetto ebraico di Roma.
Ringraziamo il SIDIC di Roma - che dalla sua fondazione incoraggia con passione la conoscenza dell'ebraismo ed il dialogo ebraico-cristiano - per aver autorizzato la pubblicazione on-line sul nostro sito. Il SIDIC organizza anche visite guidate, per gruppi, all'antico ghetto di Roma.

L'Areopago


Portico di Ottavia Da questo punto è agevole verificare quanto fosse esiguo lo spazio del Ghetto: 3 ettari, con perimetro dall'ipotetica linea spartitraffico in mezzo all'attuale via di Portico d'Ottavia a piazza delle Cinque Scole, al Tevere (all'epoca privo dei muraglioni, eretti dopo l'Unità d'Italia e la proclamazione di Roma capitale). Il primo nucleo ebraico si forma qui nel secolo XVI, proveniente dal Trastevere.

Elementi da rilevare: ciò che resta del portico di Ottavia (fatto restaurare da Augusto in nome della sorella) fra le colonne del quale è stata eretta nel '200 circa la chiesa di S. Angelo in Pescheria, sede delle prediche coatte durante il periodo del ghetto. Il nome “in pescheria” si riferisce al mercato del pesce fiorente in questa zona fin dall'antichità. Lo slargo davanti al portico è il punto dove, la mattina del 16 ottobre 1943, i nazisti disposero i camion con cui furono deportati gli ebrei presi durante la razzia. Una lapide ricorda e ammonisce, senza parole di vendetta.

Procedendo in direzione dell'Arenula, si può vedere a destra il vicolo della Reginella, utile a dare un'idea, insieme a quello di S.Ambrogio, dei vicoli esistenti prima della ristrutturazione. Un vistoso cartello dice “Sabra-Kosher”: indica un negozio dal tipico nome ebraico (Sabra è chi sia nato in Israele) nel quale si vendono cibi “secondo le regole alimentari ebraiche” (Kosher) con garanzia del Rabbinato. L'isolato compreso tra i due vicoli, dipinto in rosso, corrisponde all'edificio inserito nel perimetro del ghetto a partire dal 1825, sotto Leone XII, per intervento dei banchieri ebrei Rothschild che con cospicui prestiti avevano aiutato l'erario pontificio.

Dal portico d'Ottavia in direzione del Tevere si trova: nei pressi del Ponte Quattro Capi la chiesa di S. Gregorio in Divina Pietà. La chiesetta è dedicata a S. Gregorio perché nella zona sorgevano le case degli Anicii, nobile famiglia romana che ha dato i natali a Papa Gregorio Magno (590-604) difensore dei diritti degli Ebrei. Sulla facciata è stato posto dal 1858 il 'cartiglio' che si trovava prima altrove nel ghetto, con la scritta in ebraico e in latino dei versetti di Isaia 65,2—3: “Ho steso tutto il giorno le mani a un popolo incredulo, che cammina seguendo le sue idee per una via non buona; ad un popolo che continuamente mi provoca all'ira”.

Il Ponte Quattro Capi è detto anche “Pons Judaeorum” e collega con l'Isola Tiberina dalla interessantissima storia. Per quanto riguarda la presenza ebraica, sull'isola, nei locali dell'antico ospedale ebraico, ora adibiti ad ambulatorio, sono presenti due piccole stanze, adibite a “sinagoga dei giovani” e che sono molto care ai romani ebrei perché qui essi sono andati, a rischio della vita, a pregare durante i terribili nove mesi di presenza nazista in città. Un altro ricordo molto triste si riferisce all'altro ospedale, quello dei Fatebene Fratelli, dove sono stati curati i circa quaranta feriti in seguito all'attentato terroristico compiuto da membri dell'OLP nel 1982. In quell'episodio, terribile per la comunità ebraica romana, rimase ucciso un bambino di due anni, ricordato ora in una piccola lapide presso la Sinagoga.

Adiacenze: Nella vicina piazza Mattei (si percorre vicolo della Reginella) sorge la famosa fontana delle Tartarughe. I Mattei erano fra le famiglie cristiane le cui case erano adiacenti al ghetto e che avevano le chiavi dei portoni che venivano chiusi all'Avemaria e riaperti la mattina, dall'esterno, nel periodo del ghetto.

Dietro il Portico di Ottavia si vede l'abside di S. Maria in Campitelli: qui, durante il periodo del grande pericolo nazista, gli ebrei dell'antico ghetto trovarono più volte rifugio fraterno. Nel 1990 qui è stata celebrata solennemente per Roma la prima delle Giornate per l'Ebraismo che la CEI desidera siano celebrate da tutti i cristiani, il 17 gennaio di ogni anno.

Casa di Lorenzo Manili: nel 1497 il mercante Lorenzo Manili, volendo contribuire all'abbellimento della città in quel periodo di risveglio edilizio dell'Urbe, costruisce la propria casa “ad forum Judaeorum”: prospiciente la Piazza degli Ebrei, o Piazza Giudia che verrà più tardi letteralmente divisa in due dal muro del ghetto. La facciata porta la lunga iscrizione in greco e latino di cui si è detto, più alcuni bassorilievi di abbellimento.

Nell'angolo di casa Manili la piccola porta di uno dei punti del ghetto più popolari in Roma: la pasticceria che sforna quotidianamente ghiottonerie tipiche ebraiche. Girato l'angolo, si vede un tempietto attualmente mal coperto di lastre arrugginite, ma dalle linee squisite. Un tempo era un'edicola della Madonna.

Nel lato opposto, la chiesetta di S. Maria del Pianto, sorta intorno a un'immagine dipinta sul muro e legata al racconto di un miracolo. E' una delle ben sedici chiese che sorgevano in questo che è sempre stato il più piccolo dei Rioni di Roma. Nelle vicinanze sono rimaste la chiesa di S.Tommaso ai Cenci, di S. Caterina dei funari, S. Stanislao dei Polacchi e quella che sorge sulla casa della famiglia di S. Ambrogio.

Di fronte a casa Manili, nella piazza Giudia, si ergeva la bella fontana che ora troviamo dietro S. Maria del Pianto e davanti a palazzo Cenci Bolognetti. E' del Della Porta e ha una storia travagliata perché fu più volte rimossa e modificata. Palazzo Cenci venne temporaneamente incluso nel ghetto in seguito all'ampliamento resosi necessario nel 1836 sotto Gregorio XVI.

Proseguendo troviamo la “piazza delle Cinque Scole”: il nome porta il ricordo del palazzetto delle Cinque Scale o Sinagoghe che sorgeva in questo punto, e che scomparve con la ricostruzione. Uno dei divieti del tempo del ghetto consisteva nella proibizione di avere più di una sinagoga, indipendentemente dal numero degli ebrei e soprattutto senza tener conto della estrema varietà di provenienze (catalani, aragonesi, siciliani e altri). La difficoltà fu in parte aggirata comprendendo all'interno di un unico palazzetto, locali diversificati per i diversi gruppi.

La Sinagoga [1] : visibile da molti punti della città con la sua cupola quadrata, la sinagoga o Tempio, come amano chiamarla gli ebrei romani, rappresenta architettonicamente la riconquistata cittadinanza della comunità dopo la vergogna del ghetto. Gli architetti Armani e Costa che la costruirono nel 1904 erano non ebrei: la comunità non aveva ancora potuto avere architetti propri. Fu inaugurata con grandissima solennità e devozione. E' tuttora frequentata praticamente da tutti gli ebrei romani, anche se nella città vi sono almeno altre cinque sinagoghe più piccole in vari rioni. Lo stile è un misto di Liberty e di arte babilonese, con evidente richiamo all'origine mediorientale della religione ebraica e allo stile dell'epoca di costruzione. Non porta immagini, solo simboli: la menorah, le tavole della legge, i “lulav”. Le molteplici scritte in ebraico sono quasi tutte versetti della Scrittura che esaltano la sacralità del luogo. Sul lato sinistro di chi guarda la facciata si vedono ancora i segni dell'attentato compiuto da membri dell'OLP il 9 ottobre 1982 nel quale rimasero ferite più di 40 persone e morì Stefano Tachè di due anni.
Proseguendo il giro intorno alla sinagoga si passa davanti al piccolo ingresso che porta alla sottostante sinagoga spagnola, poi si arriva davanti alla chiesa di S. Gregorio di cui già abbiamo parlato, ci si trova di fronte l'Isola Tiberina. All'interno degli edifici annessi alla Sinagoga troviamo il Museo Ebraico. Sul lato verso il Tevere, il muro della sinagoga porta diverse lapidi di notevole interesse storico; ricordano il lungo elenco di ebrei caduti nella prima guerra mondiale; gli ebrei caduti alle Fosse Ardeatine; invocano pace per tutti.

Il “giro del ghetto” può chiudersi qui. Raramente è dato trovare in uno spazio così piccolo tanta memoria, tanto dolore e tanta speranza.


Breve cronologia del ghetto di Roma e delle sue porte


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Note

[Nota 1] (Nota dell'Areopago) Il 13 aprile 1986 il papa Giovanni Paolo II si è recato in visita alla Sinagoga, pronunciando, fra l'altro, queste parole: “Siamo tutti consapevoli che, tra le molte ricchezze del numero 4 della dichiarazione Nostra Aetate, tre punti sono specialmente rilevanti...
Il primo è che la Chiesa di Cristo scopre il suo “legame” con l'ebraismo “scrutando il suo proprio mistero”. La religione ebraica non ci è “estrinseca”, ma in un certo qual modo, è “intrinseca” alla nostra religione. Abbiamo quindi verso di essa dei rapporti che non abbiamo con nessun altra religione: Siete i nostri fratelli prediletti e, in un certo modo, si potrebbe dire i nostri fratelli maggiori.
Il secondo punto rilevato dal concilio è che agli ebrei come popolo, non può essere imputata alcuna colpa atavica o collettive, per ciò “che è stato fatto nella passione di Gesù”. Non indistintamente agli ebrei di quel tempo, non a quelli venuti dopo, non a quelli di adesso. E' quindi inconsistente ogni pretesa giustificazione teologica di misure discriminatorie o, peggio ancora, persecutorie. Il Signore giudicherà ciascuno “secondo le sue opere”, gli ebrei come i cristiani.
Il terzo punto che vorrei sottolineare nella dichiarazione conciliare è la conseguenza del secondo; non è lecito dire, nonostante la coscienza che la Chiesa ha della propria identità, che gli ebrei sono “reprobi o maledetti”, come se ciò fosse insegnato o potesse venire dedotto dalle Sacre Scritture, dell'Antico come del Nuovo Testamento. Anzi, aveva detto prima il concilio, in questo stesso brano della Nostra Aetate, ma anche nella costituzione dogmatica Lumen Gentium, citando san Paolo nella lettera ai Romani, che gli ebrei “rimangono carissimi a Dio”, che li ha chiamati con una “vocazione irrevocabile”.  


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