Alcune precisazioni storiche sul film “Mission” di Roland Joffé

Testi tratti dalla Civiltà Cattolica


In due occasioni la Civiltà cattolica, rivista italiana dei padri gesuiti, ha offerto alcune precisazioni storiche in merito al film Mission di Roland Joffé. Le osservazioni degli storici della Compagnia di Gesù si indirizzano innanzitutto a far conoscere la realtà e la corretta successione cronologica degli avvenimenti delle “riduzioni”. Aiutano, altresì, a problematizzare la pretesa utopia di quel tentativo, riconducendolo alle intuizioni splendide ed ai limiti di una realizzazione storica della fede cristiana, con le sue ombre e le sue luci dovute al tentativo di svincolarsi quanto più possibile da contaminazioni con la prassi coloniale dell'epoca, ma, sempre, inevitabilmente, espressione di quel tempo. Mostrano, infine, l'ostilità di parte della cultura europea di allora verso la Chiesa e la Compagnia di Gesù, a motivo del clima anticlericale anticipatore dei Lumi, che finì per coinvolgere e, infine, per distruggere il progetto delle “riduzioni”, per giungere fino alla soppressione della stessa Compagnia di Gesù.
Ecco innanzitutto le brevi note del p.Hugo Storni dell'Istituto Storico della Compagnia di Gesù, pubblicate in Virgilio Fantuzzi, “Mission” di Roland Joffé, Civiltà Cattolica, 137 (1986), pp. 362-366:

Più che a una ricostruzione storica vera e propria il film Mission fa pensare a uno di quei romanzi a sfondo storico, che prendono alcuni elementi dalla realtà per disporli in un ordine diverso rispetto a quello che avevano in origine. Non è certo facile racchiudere nello spazio di due ore tutta la varietà di avvenimenti che hanno caratterizzato la storia delle riduzioni del Paraguay, durata più di 150 anni. Conviene tuttavia avvertire gli spettatori che non devono prendere per storico quello che è frutto dell'immaginazione degli autori del film.
La visione delle cascate dell'Iguazù, al confine tra l'Argentina e il Brasile, è spettacolare e il regista vi ricorre di frequente. Esse però non ebbero alcuna funzione di rilievo nella storia delle riduzioni, e vi entrano una sola volta, quando gli indios partendo dall'attuale diga di Sete Quedas, tra il Brasile e il Paraguay, si diressero verso il sud fuggendo e difendendosi dai razziatori, che minacciavano di portarli schiavi nelle zone di San Paolo. Per questo è inverosimile la scena con cui si apre il film. Un gesuita, attaccato a due pezzi di legno incrociati, viene buttato nelle acque del fiume Iguazù, che lo portano alle cascate da dove precipita e muore. In simili casi i guaraní procedevano in maniera più diretta, lasciando da parte sistemi così complicati.
Lo svolgimento dato al finale del film si riferisce ai fatti verificatisi in due occasioni distinte. Una fu l'espulsione dei gesuiti dalle riduzioni, che avvenne nel 1768 per ordine di Carlo III re di Spagna. In quella circostanza non si verificò nessuna lotta o battaglia tra indios e spagnoli. Arrivato l'ordine, i gesuiti obbedirono com'era normale a quei tempi di fronte a un ordine del re. Neppure gli indios si opposero, anche su consiglio degli stessi gesuiti. L'altra circostanza fu quando si vollero obbligare gli indios ad abbandonare sette riduzioni, ora in territorio brasiliano, perché sorgevano in una regione destinata alla Corona del Portogallo dall'accordo tra Portogallo e Spagna firmato a Madrid nel 1750. In una località chiamata Caaybaté, attualmente nel Brasile del sud, si scontrarono l'esercito ispanoportoghese, forte di 1700 uomini, e un numero uguale di indios guaraní ai quali non si può dare il nome di esercito, perché mancavano di capi e di equipaggiamento. Caddero 1311 indios, 152 furono fatti prigionieri e gli altri fuggirono nella vicina foresta. In tutto questo i gesuiti non ebbero parte attiva, anche se in seguito furono accusati da entrambe le parti. Gli europei li incolparono di aver incitato gli indios alla rivolta. Questi ultimi invece rinfacciavano loro di essersi venduti al nemico.
Il solo combattimento terrestre e navale che la storia delle riduzioni ricordi si svolse molti anni prima, nel 1641, in una località lungo il fiume Uruguay, e perciò senza alcuna relazione con le cascate dell'Iguazù, tra l'Argentina e il Brasile. In quel caso una formazione armata fu assalita e vinta da un intervento degli indios guidati dai gesuiti. Circostanze simili si verificarono quando il p. Diego de Alfaro, che qualcuno ha ricordato in questi giorni, fu assassinato dai razziatori mentre cercava di difendere gli indios. In quel tempo i gesuiti non facevano che obbedire agli ordini del re in difesa degli indigeni.
In quei tempi le riduzioni furono visitate da pochi vescovi, meno ancora da governatori, certamente da nessun cardinale, e ciò non per l'opposizione dei gesuiti (come hanno affermato alcuni autori), ma perché il viaggio risultava troppo difficile da affrontare. Le riduzioni si trovavano infatti fuori delle grandi vie di comunicazione. Vi fu un gesuita, di nome Lope Luis Altamirano che fu mandato dai superiori per agevolare l'applicazione dell'accordo del 1750, di cui si é parlato, ma non per ordinare ai gesuiti di lasciare le riduzioni.
 
Alcuni mesi dopo il p.Alessandro Scurani, nell'articolo Le «riduzioni»: una pagina di storia missionaria, Civiltà cattolica 138 (1987) 129-136, ha scritto:

Il modello adottato dai gesuiti nel Paraguay deriva da quello previsto dai decreti reali che, basandosi sulle esperienze dei primi conquistatori, indicavano la necessità di riunire gli indigeni in villaggi vicini a quelli degli spagnoli, affinché questi potessero avere a disposizione la mano d'opera indigena da adibire ai lavori manuali che gli spagnoli si rifiutavano di eseguire. Era previsto che in ciascuno di questi villaggi dovesse esserci un sacerdote che si dedicasse all'evangelizzazione degli indigeni. Le riduzioni si estesero così in tutta l'America iberica, sia spagnola, sia portoghese.
L'originalità delle riduzioni fondate dai gesuiti nel Paraguay, a differenza di quelle preesistenti al loro esperimento, è data da quattro caratteristiche fondamentali. 1) Le riduzioni non sono costruite in funzione delle città spagnole, ma, al contrario, sono tenute lontane da esse per evitare i cattivi esempi e le minacce degli europei. Per decreto reale a questi ultimi non era consentito l'ingresso nelle riduzioni. 2) Il lavoro degli indigeni è realizzato interamente, o quasi, dentro la medesima riduzione e a favore di tutta la comunità. 3) Il lavoro di evangelizzazione è costante e completo, perché non solo la vita religiosa, ma anche quella sociale, politica ed economica è guidata dai gesuiti. 4) La situazione geografica delle riduzioni dei guaranì facilitano le relazioni reciproche tra i diversi villaggi, in modo tale che l'organizzazione interna della Compagnia di Gesù istituisce un superiore unico per l'insieme di esse. La loro autonomia non era però totale, perché politicamente dipendevano dai governatori di Asunción e di Buenos Aires, spiritualmente dipendevano dai vescovi delle stesse città e dai superiori centrali dei gesuiti, economicamente dipendevano dalle città ispanoamericane e perfino dall'Europa, dato che, anche al momento della loro massima espansione, le riduzioni non riuscirono mai a produrre tutto ciò di cui avevano bisogno. Questa sia pure relativa autonomia suscitò ostilità negli encomenderos - i responsabili spagnoli ai quali venivano affidati gruppi di indios perché li facessero lavorare a proprio vantaggio -; sollevò invidie in altri ecclesiastici; continua a suscitare diffidenza negli storici fino a oggi. Ma i gesuiti sapevano quello che volevano: se c'era una cosa che nuoceva alla diffusione del cristianesimo tra gli indiani di America era la presenza, accanto ai missionari, di altri europei mossi da interessi diversi da quelli puramente religiosi. La presenza di governatori, soldati, mercanti, l'esempio delle loro atrocità, avidità, ingiustizie, erano il maggior ostacolo alla conversione degli indios; impediva loro - salvo poche stupende eccezioni - di abbracciare il cristianesimo…

I gesuiti costruirono riduzioni su un'area vastissima, che va dall'Argentina settentrionale alla Bolivia. Non tutte sopravvissero. La maggior parte si concentrò nelle zone impervie dell'alto Paranà e dei suoi affluenti, a nord delle grandi rapide e cascate, abitate dai guaraní. Ancor oggi restano i ruderi imponenti di varie di esse. Altre divennero il primo nucleo di autentiche città. La prima sorse nel 1610. Ne seguirono altre lungo tutto il '600 e la prima metà del '700, con nomi sonanti di santi e madonne: Beata Vergine della Candelora, Sant'Ignazio Guazù, Santa Rosa da Lima, San Giacomo, Sant'Anna, Loreto, Sant'Ignazio Mini, Corpus Domini, Gesù, Trinità, San Giuseppe, San Carlo, Santi Apostoli, Concezione, Santa Maria Maggiore, San Francesco Saverio, Santi Martiri, San Nicola, San Luigi, San Lorenzo, San Michele, San Giovanni Battista, Sant'Angelo, San Tommaso, San Francesco Borgia, Santa Croce, San Gioachino, Santo Stanislao. Di rado avevano nomi indigeni: Ytapuá, Yapeyu. Nel 1731, al massimo della loro espansione, riunivano complessivamente 141.242 indios.Gli inizi furono difficili, perché per rendere possibile l'evangelizzazione degli indios bisognava prima «ridurli». Il raggruppamento di popolazioni abituate a vivere sparpagliate su un vasto territorio poneva seri problemi per la loro alimentazione. Sulle prime, gli indios si mostravano diffidenti nei confronti dei missionari europei. Li osservavano a lungo, sospettosi, prima di avvicinarli. Un fascino enorme esercitava su di loro la musica, la pittura, il coraggio e il disinteresse. Si entusiasmavano facilmente, come i bambini, e, quindi, erano incostanti, imprevidenti. Quando avevano da mangiare, da bere, non sapevano misurarsi. Si ubriacavano e mangiavano fino a star male. Alle sbornie seguivano lunghi periodi di tristezza inattiva, durante i quali si abbandonavano al vizio. Erano sensuali, violenti, bugiardi. Si nutrivano di carne umana. Finché la fame li costringeva di nuovo a scuotersi, a cacciare, a battersi.
Con infinita pazienza i primi missionari escogitarono un sistema sociale adatto a loro. Bisognava eliminare l'ingordigia, l'avidità immoderata abituandoli a una distribuzione equanime dei beni, delle case, dei terreni. Bisognava imporre loro una disciplina, con un orario quasi da collegio o da caserma. Era pericoloso regalare loro strumenti o animali da lavoro: li avrebbero venduti per ubriacarsi. I missionari li davano loro in prestito: finito il lavoro dovevano restituirli. Sorvegliavano attentamente la condotta di ciascuno, presiedevano ai giochi, perché non degenerassero in risse. Conservarono un elementare tessuto sociale, governato dai cacicchi, ma garantito dalla loro autorità personale. Organizzarono la vendita dei prodotti in città. Il ricavato serviva per le spese della comunità e per il pagamento delle modeste tasse al re. Eressero chiese sontuose, dove si svolgevano le grandi solennità liturgiche, il cui sfarzo colpiva la fantasia degli indios. Ad esse accorrevano anche gli indios delle riduzioni vicine, in una gara di giochi, di festa, di entusiasmo che diffondevano la fama di quelle singolari istituzioni. Crearono scuole, anche di musica e di pittura, arti per le quali i guaraní si rivelarono particolarmente dotati.
Tra il 1628 e il 1638 le riduzioni furono assalite a più riprese dai razziatori di schiavi provenienti da São Paulo, i cosiddetti paulisti o mamaluchi. I gesuiti si videro costretti a creare un vero e proprio esercito, con il quale difendere la vita e i beni dei loro neofiti…

Ma i più vedevano nell'esperimento gesuitico una smentita alla teoria del «buon selvaggio», all'immagine culturale di un'America come luogo dei sogni perduti dagli europei. Sospettarono di poca attendibilità le descrizioni circa i vizi degli indiani, immaginarono speculazioni e losche manovre politiche sotto la parvenza innocente della conquista religiosa. La quale, del resto, tradiva la vera identità degli indios, strumentalizzandoli a fini non religiosi.
Voltaire fu quanto mai esplicito a questo proposito. Faceva dire a Candido: “E' cosa ammirevole quel governo. Il reame ha più di trecento leghe di diametro, è diviso in trenta province e Los Padres possiedono tutto e il popolo nulla: capolavoro della ragione e della giustizia. A parer mio questi Padres sono cosa assolutamente divina: lì fanno guerra al re di Spagna e al re di Portogallo e in Europa li confessano; lì uccidono gli spagnoli e a Madrid li mandano in cielo: questo m'incanta”. E insinuava che l'Ordine si fosse molto arricchito con le riduzioni, contrapponendo a questa evangelizzazione dettata da interesse e da sottile calcolo politico dei gesuiti quella del tutto disinteressata, pura e santa dei quaccheri a vantaggio degli indigeni del Nord America. Accuse che saranno ribadite anche da Benedetto Croce, che parlerà di preteso comunismo campanelliano.
Tali accuse contenevano parecchie affermazioni indimostrabili, anzi false. Falso era che i gesuiti si fossero ispirati a La città del Sole di Campanella. Non avevano preso a modello né Campanella, né La repubblica di Platone, né L'Utopia di Tommaso Moro. Unico modello a cui facevano riferimento era la primitiva comunità cristiana di Gerusalemme, descritta negli Atti degli Apostoli. In essa i cristiani avevano praticato un comunismo dei beni di consumo, che continuava a offrire un modello alle comunità religiose di tutti i tempi. I gesuiti non avevano fatto altro che trasferire alla vita sociale degli indios molte delle loro consuetudini comunitarie, quelle che vivevano all'interno delle loro case religiose. Le riduzioni potevano essere concepite come dei grandi conventi, infatti, con qualche adattamento alla particolare indole della popolazione e al suo stato di vita. Tutto vi era comune, ciascuno partecipava alla vita di tutti, tutto era regolato da una disciplina e da un orario.
“Quelle piccole repubbliche - scriveva il Muratori — possono in una certa maniera appellarsi come numerosissimi monasteri, dove son meravigliosamente regolate tutte le faccende sia spirituali che temporali della giornata e provveduto al mantenimento di ognuno” [1] . Vi si viveva una forma di comunismo volontario ad alta ispirazione religiosa, che le stesse circostanze storiche concorrevano a rendere accettabile: il fatto che fuori delle riduzioni gli indios sarebbero stati vittime delle angherie dei bianchi; il forte senso tribale e comunitario degli indios; la dimensione relativamente modesta della popolazione di una riduzione.
Era pure falso che le riduzioni fossero diventate strumento politico-economico per l'arricchimento dell'Ordine. Il successo dell'impresa dipendeva anzi in gran parte dal palese disinteresse dei Padri. Del resto i Generali stessi della Compagnia di Gesù avevano comandato, sotto minaccia di pene severissime, che nessuno, suddito o superiore, potesse “prendere alcuna cosa dai magazzini e dai fondi pubblici e disporre di esse non per il popolo, anche quando si trattasse di elemosine e di opere pie” [2]

Del grande regno dei gesuiti nel Paranà, con i suoi 141.242 abitanti, tutto era finito nel 1767. Nel 1750 spagnoli e portoghesi firmarono il trattato di Madrid, che prevedeva una rettifica dei confini tra i rispettivi possedimenti. Secondo la nuova demarcazione ben sette riduzioni, per un totale di circa centomila indios, venivano a cadere in territorio portoghese. Per loro significava la fine. A Lisbona imperava l'onnipotente Pombal, il nemico numero uno dei gesuiti. Ma anche presso le altre corti europee incominciava a spirare aria ostile nei confronti dell'Ordine, considerato nemico del progresso e della ragione illuministica.
Nel 1752 giungeva a Buenos Aires il padre Lope Luis Altamirano, mandato dal padre Generale dei gesuiti come visitatore delle riduzioni, con pieni poteri per quanto concerneva l'applicazione del trattato dei confini. Gli indios tentarono di opporsi all'applicazione del trattato con azioni di resistenza che però non avevano alcuna possibilità di riuscita. Una simile resistenza non si verificò nel seguito degli eventi, quando i gesuiti furono espulsi dai territori nei quali sorgevano le riduzioni. Nel 1758 i gesuiti venivano cacciati dal Portogallo, nel 1764 dalla Francia, nel 1767 dalla Spagna, nel 1768 dal regno delle due Sicilie e da Malta. La Compagnia di Gesù si avviava così verso la soppressione, avvenuta per ordine del papa Clemente XIV il 21 luglio 1773. Le riduzioni furono affidate a domenicani e francescani.


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Note

[Nota 1] L.A.MURATORI, Il cristianesimo felice nelle missioni dei padri della Compagnia di Gesù nel Paraguqy, Sellerio, Palermo 1985, 163. Il Muratori pubblicò quest'opera piena di entusiasmo per l'opera dei gesuiti nel 1742. Confessava egli stesso: «Sono innamorato di quelle missioni, perché mi pare di trovarvi la primitiva Chiesa» (p. 11). Aveva attinto le sue informazioni da numerose lettere del missionario modenese padre Gaetano Cattaneo, scritte tra il 1729 e il 1730 al fratello Giuseppe. Non pochi accusarono il grande storico di aver voluto fare non opera storica, ma apologetica, il Muratori rispose all'accusa nel 1743, scrivendo a un amico benedettino: «Che poi quello paia un panegirico a me poco importa, purché non mi si possa rinfacciare che abbia detto delle bugie» (p.12).

[Nota 2] Ivi, 204.


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