1/ Mannaggia, non c’è una sola cosa che sia avvenuta come la raccontano i nostri libri di storia ideologicamente scritti, neanche la storia di Jesse Owens. L’apartheid che negli USA circondò l’eroe di Berlino. Breve nota di Andrea Lonardo 2/ Atletica, Owens: da Roosevelt la ferita più grande, di Massimo Lopes Pegna

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 18 /06 /2017 - 22:03 pm | Permalink | Homepage
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1/ Mannaggia, non c’è una sola cosa che sia avvenuta come la raccontano i nostri libri di storia ideologicamente scritti, neanche la storia di Jesse Owens. L’apartheid che negli USA circondò l’eroe di Berlino. Breve nota di Andrea Lonardo

Riprendiamo sul nostro sito una breve nota di Andrea Lonardo, che ha come fonte l’articolo redazionale Jesse Owens e Berlino 1936. La storia del grande atleta che divenne famoso per un incidente con Hitler che in realtà non avvenne mai, pubblicato su Il post del 12/9/2013. Per approfondimenti, cfr. le sezioni Storia e filosofia e Sport.

Il Centro culturale Gli scritti (18/6/2017)

Owens si allena sulla nave nel salto in lungo, 
in viaggio verso Berlino

Jesse Owens, dopo aver vinto i 4 ori alle Olimpiadi di Berlino, dovette tornare negli USA alla segregazione razziale ancora in vigore (lo sarebbe stato per altri trent’anni). Il presidente degli Stati Uniti Franklin Delano Roosevelt non lo invitò alla Casa Bianca e non gli fece nemmeno una telefonata di congratulazioni.

In Germania Owens aveva dormito negli alberghi insieme agli altri atleti e alle altre celebrità. Quando negli Stati Uniti partecipò a una manifestazione all’albergo Waldorf Astoria, fu costretto a entrare dall’ingresso posteriore e a utilizzare l’ascensore di servizio invece di quello riservato agli ospiti bianchi dell’albergo. Raccontò in un’intervista: «Dopo tutte queste storie su Hitler e il suo affronto, quando sono tornato nel mio paese non potevo ancora sedermi nella parte anteriore degli autobus ed ero costretto a salire dalla parte posteriore. Non potevo vivere dove volevo. Allora qual è la differenza?».

Hitler dal canto suo non fu così infastidito dalle vittorie degli afroamericani. Albert Speer, che all’epoca era l’architetto più famoso della Germania ed era molto vicino al partito nazista (sarebbe diventato ministro degli Armamenti durante la Seconda guerra mondiale), scrisse nelle sue memorie che Hitler liquidò la questione sostenendo che essendo gli afroamericani un popolo primitivo, avevano una costituzione fisica più robusta e più adatta alla corsa. Probabilmente salutò direttamente Owens come altri atleti afroamericani, ma, appunto, conservando il suo disprezzo razziale.

Owens vinse la quarta medaglia, quella della 4 x 100 alla quale non era iscritto, perché gli USA decisero di non far gareggiare nella staffetta 2 altri atleti che erano ebrei statunitensi.

2/ Atletica, Owens: da Roosevelt la ferita più grande, di Massimo Lopes Pegna  

Riprendiamo sul nostro sito un articolo da La Gazzetta dello Sport del 25/2/2016. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradito a qualcuno degli aventi diritto.

Il Centro culturale Gli scritti (18/6/2017)

Le belle parole di Gloria, Marlene e Beverly, le tre figlie ormai anziane di Jesse Owens, pesano come macigni al termine della proiezione di "Race", il film sulla vita del loro famosissimo padre, uscito venerdì scorso in tutte le sale americane. Una benedizione che di fatto assegna alle due ore e un quarto di pellicola del regista Stephen Hopkins una matrice di verità ineccepibile. "Ogni volta che lo rivedo mi metto a piangere: non ci posso fare nulla", dice Gloria Owens Hemphill, l'unica delle sorelle già nata (1932) ai tempi dell'Olimpiade di Berlino. Chiarisce Marlene Owens Rankin: "Quando ci hanno mostrato il copione eravamo un po' scettiche. Ma dopo averlo letto ci è piaciuto. Soprattutto ci hanno permesso di modificare i punti che non ci convincevano".

EPISODIO — Per chi conosce la storia com'è descritta nelle enciclopedie e nella stessa autobiografia di Owens, alcuni degli avvenimenti narrati in "Race" si possono considerare in parte inediti. Il film trova forse la soluzione più realistica, anche se non necessariamente quella reale, sul controverso episodio in cui Hitler si rifiutò di stringergli la mano dopo l'oro nel lungo. Owens viene accompagnato in tribuna dal presidente del comitato olimpico Usa del tempo, Avery Brundage (magistralmente interpretato da Jeremy Irons), il vero cattivo della vicenda, per le congratulazioni del Fuhrer, ma il dittatore non si fa vedere. C'è invece il ministro della propaganda nazista, Joseph Goebbels, che rivolto al dirigente Usa sibila con spregio: "E lei davvero pensava che Hitler avrebbe stretto la mano a quello lì?".

VETRINE — Race ha il merito di mettere a fuoco il periodo storico. Hitler salito al potere in Germania, la caccia agli ebrei: alcune scene sono eloquenti, come i primi rastrellamenti delle Camicie Brune o le scritte sulle vetrine dei negozi di Berlino ("Vietato l'ingresso ai cani e agli ebrei"). E poi c'è uno sguardo sull'America, dove i negroes (gli afro-americani) sono segregati e gli stessi ebrei sono discriminati e non hanno accesso a molti ristoranti, hotel o club privati. Nonostante questo scenario, gli Usa vanno molto vicini al boicottaggio dei Giochi di Berlino, proprio per la smaccata politica anti-ebraica del nazismo. Dopo un acceso dibattito vincerà di misura il partito "interventista" di Brundage per 58-56. Owens (l'attore canadese Stephan James, anche nel cast di "Selma: la strada per la libertà") è un ragazzo di Cleveland di origini umili che sceglie Ohio State "perché c'è l'allenatore più bravo del mondo" e vorrebbe soltanto correre veloce e vincere. Ad Ann Arbor nel '35 lo fa: in meno di un'ora conquista tre record del mondo (lungo, 220 yards in rettilineo e 220 yards ostacoli in rettilineo) e ne eguaglia un quarto (100 yards) e la sua fama arriva fino in Europa. La sensazione è che l'obiettivo di "Race" sia non tanto accanirsi sul Nazismo, di cui si conoscono perfettamente le nefandezze, ma piuttosto evidenziare la spiccata discriminazione di certe minoranze negli Stati Uniti, sulla quale spesso si è sorvolato. Marty Glickman e Sam Stollen, gli unici ebrei della spedizione Usa in Germania, verranno esclusi dalla finale della staffetta 4x100 senza una spiegazione convincente. Il film ne fornisce una: Goebbels convoca Brundage, che aveva collaborato con il regime come costruttore negli anni precedenti, e lo ricatta: "Non vogliamo quegli ebrei in squadra, altrimenti renderemo pubblica la sua connivenza con noi".

INFAMITÀ — Owens torna in patria con quattro ori al collo: gli organizzano una parata per le strade di Manhattan e una festa in suo onore dentro al Waldorf Astoria. Ma uno dei portieri del celebre hotel lo costringerà a usare l'ingresso di servizio: "Mi spiace signore, ma questa è la regola". Quella regola, l'infamità della segregazione, verrà abolita solo nel 1964. È l'ultima scena del film, ma la storia prosegue nei titoli di coda. Il Presidente Franklin D. Roosevelt non lo inviterà alla Casa Bianca per congratularsi e successivamente gli verrà tolto lo status di dilettante. Brundage sarà eletto presidente del Cio nel 1952 e regnerà fino al 1972, coincidenza l'altra Olimpiade tedesca. "A mio padre non è mai importato di essere stato snobbato da Hitler, il dispiacere più grande fu di non essere stato chiamato da Roosevelt", rivela Marlene Owens Rankin. Perché non c'è ferita più dolorosa che il disprezzo del proprio Paese.

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