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Qumran: l'interno di una delle grotte

LA COMUNITÀ DI QUMRAN

Infinite furono le questioni suscitate da queste scoperte, ma su alcuni punti si è raggiunto un sostanziale accordo. Si tratta di una setta che visse ai margini della storia ebraica nel I sec. a.C. e nel secolo successivo. Il nucleo principale viveva a Qumran in forma comunitaria: ivi dovettero essere stati copiati o composti i manoscritti scoperti. Molti di essi sembra siano stati appositamente nascosti, in vista di un imminente abbandono della località (il che avvenne nel 68 d.C. durante la prima guerra giudaica), altri sembra siano stati dimenticati nelle grotte che servivano da abitazione. Per il luogo e per il sistema di vita rivelato dalla «Regola della comunità» comunemente si pensa trattarsi degli Esseni di cui parlano Filone, Giuseppe Flavio e Plinio. Gli adepti della setta chiamavano la loro comunità «Alleanza» o «Nuova Alleanza».

Essi vivevano in un regime comunitario sotto una disciplina molto severa, in una scrupolosa e letterale osservanza della Legge.

La rottura della comunità di Qumran con il Giudaismo ufficiale pare fosse dovuta principalmente a due cause: la legittimità della successione sacerdotale e l’ordinamento del calendario.
Sembra che la diversità di vedute sul sacerdozio sia in rapporto con la grave crisi della classe sacerdotale dopo la morte di Onia III (raccontata in 2Mac 4,30) ed il modo discutibile con cui tale crisi fu risolta da Gionata Maccabeo fattosi nominare Sommo Sacerdote dal re Alessandro Bala (nel 152 a.C. - 1Mac 10). In questo fatto un gruppo di sacerdoti e di fedeli vide un’illegittima sostituzione della linea genealogica del Sommo Sacerdozio. Fecero allora lo scisma ritenendosi i depositari della vera tradizione. Sotto Giovanni Ircano nasce la comunità degli esseni, i "puri", in polemica con il giudaismo ufficiale postmaccabaico, considerato ormai eretico.
Questi esseni si trasferirono proprio a Qumran dove vivevano in comunità con regole molto rigide: il celibato (novità assoluta), la coscienza di essere il vero Israele, mentre il sacerdozio di Gerusalemme aveva tradito la vera fede. Conducevano una vita in comune: pasti in comune (refettorio con 210 piatti e 708 ciotole ammassate in buon ordine, oltre a 75 tazze e 38 pentole), forte disciplina morale, beni in comune, studio accuratissimo della Scrittura (scriptorium), regole di purità (numerosi bagni rituali) che sostituiscono l’assenza del Tempio di Gerusalemme.

Inoltre la setta seguiva un calendario diverso da quello già adottato nel culto ufficiale del Tempio a Gerusalemme. Questo calendario, già noto dal libro dei Giubilei, era indipendente dai mesi lunari: divideva l’anno solare in 364 giorni, in 4 trimestri di 91 giorni, ciascuno dei quali iniziava sempre con un mercoledì. In questo modo le feste delle Capanne, di Capodanno e soprattutto quella di Pasqua cadevano sempre di mercoledì. È probabile che tale computo, molto in armonia con i dati del Pentateuco, fosse l’originario calendario sacerdotale israelitico che i sacerdoti ellenizzanti, al tempo di Antioco IV, avrebbero abbandonato per seguire un calendario civile derivato da quello babilonese. Coloro che ritenevano l’antico calendario corrispondente ad un ordinamento divino del mondo, giudicarono illegittimo il culto templare che lo seguiva e non vi presero più parte.
Non potendo essi sostituire con un altro luogo di culto quello che Dio stesso si era eletto in Gerusalemme (Dt 12), considerarono tutta la loro attività di preghiera e di meditazione come rituale sostituzione dei sacrifici divenuti impraticabili; applicarono così a se stessi per ogni momento della loro vita tutte le regole di purità legale richieste per il sacrificio divino. Questa è forse la spiegazione più ovvia e più vera del celibato che essi praticavano (novità assoluta) e che è testimoniato da tutti gli storici antichi a proposito degli Esseni.

Dal «Documento di Damasco» (siglato CDC) risulta chiaramente che la setta di Qumran rimase per un certo tempo come un movimento religioso senza organizzazione, finché intervenne un personaggio designato con l’appellativo di «Dottore di giustizia», che fu poi probabilmente l’autore della «Regola della comunità» e di parte degli «Inni».

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