Croce (dal suo fianco sgorgarono acqua e sangue)


di Joseph Ratzinger
(da Introduzione al cristianesimo)


“Quando sarò innalzato da terra, trarrò a me tutti gli uomini” (Gv. 12,32). Questo asserto intende spiegare il significato della morte di Gesù in croce; e in realtà, dato che la croce costituisce il centro della teologia giovannea, esso addita l’indirizzo in cui l’intero vangelo vuol convogliare gli uomini. L’episodio della crocifissione vi appare come un processo di apertura, in cui le disperse monadi umane vengono riunite nell’abbraccio di Gesù Cristo, nell’immenso spazio delle sue braccia spalancate, per giungere così compatte ed unite a lui, al suo traguardo, alla mèta finale dell’umanità. Se però è così, allora Cristo venturo non è l’uomo esistente per sé, bensì l’uomo esistente essenzialmente per gli altri; egli è l’uomo dell’avvenire proprio in quanto uomo totalmente aperto. L’uomo a sé stante, che vuol esistere solo per conto suo, è allora l’uomo del passato, l’uomo che dobbiamo lasciarci alle spalle per superarlo marciando in avanti. In altri termini, ciò comporta che l’avvenire dell’uomo stia nell’ ‘essere per gli altri’. In sostanza, qui ci viene un’ulteriore conferma di ciò che abbiamo indicato come senso della filiazione divina e prima ancora come significato della dottrina affermante l’esistenza di tre Persone in un unico Dio: la chiara allusione all’esistenza dinamico-attuale, che è essenzialmente apertura in perenne movimento tra il ‘da’ e il ‘per’. E ancora una volta risulta lampante che Cristo è l’uomo totalmente aperto, nel quale le pareti dell’esistenza risultano sfondate, sicché egli è integralmente ‘passaggio’ (‘pascha’).
Ci ritroviamo così di bel nuovo direttamente di fronte al mistero della croce e della pasqua, che dalla Bibbia vien inteso proprio come un mistero di passaggio, di transizione. Giovanni, che ha riflettuto proprio e soprattutto su questo pensiero, conclude la sua presentazione del Gesù terreno con l’immagine simbolica dell’esistenza le cui pareti sono state sfondate, che non conosce più staccionate fisse, ma è essenzialmente apertura. “Uno dei soldati con una lanciata gli aprì il costato; e subito ne uscì sangue ed acqua” (Gv. 19,34). Nella immagine del fianco squarciato, culmina per Giovanni non solo la scena della croce, ma addirittura l’intera vicenda storica di Gesù. Adesso infatti, dopo la lanciata che mette fine alla sua vita terrena, la sua esistenza è completamente aperta; ora egli è integralmente ‘per gli altri’; da questo momento, egli non è davvero più un individuo singolo, ma è invece il vero ‘Adamo’, dal cui fianco nasce Eva, vale a dire un’umanità nuova. Quella profonda descrizione dataci dall’Antico Testamento, in base alla quale la donna è stata tratta dal fianco dell’uomo (Gen. 2,21 ss.), con la quale ci viene significata in maniera grandiosa e inimitabile la perenne mutua correlazione dell’indissolubile unità delle due creature nell’unica essenza umana, sembra riecheggiare qui nella ripresa del termine ‘fianco’ (tradotto per lo più ingiustamente con la parola ‘costola’). Il fianco trasverberato del nuovo Adamo ripete il mistero creativo del ‘fianco aperto’ dell’uomo. Esso è l’inaugurazione d’una nuova, definitiva comunanza di vita che lega gli uomini fra loro; i suoi simboli sono rappresentati qui dal sangue e dall’acqua, coi quali Giovanni allude chiaramente ai sacramenti cristiani fondamentali formati dal battesimo e dall’eucaristia, e tramite essi, alla chiesa vista come segno della nuova vita comunitaria instaurata fra gli uomini.


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