Essenza 
    del cristianesimo
    
     Romano 
    Guardini 
    (da L’essenza del cristianesimo)  
Il 
    cristianesimo non è una teoria della Verità, o una interpretazione 
    della vita. Esso è anche questo, ma non in questo consiste il suo nucleo 
    essenziale. Questo è costituito da Gesù di Nazaret, dalla sua 
    concreta esistenza, dalla sua opera, dal suo destino — cioè da 
    una personalità storica. Una certa analogia di tale situazione avverte 
    colui per il quale un uomo acquista un significato essenziale. Non «l’Umanità» 
    o «l’umano» divengono in tal caso importanti, ma questa 
    persona. Essa determina tutto il resto, e tanto più profondamente e 
    universalmente quanto più intensa è la relazione. Ciò 
    può avvenire in un modo così possente che tutto, mondo, destino, 
    compito si attua attraverso la persona amata; essa è come contenuta 
    in tutto, tutto la fa ricordare, a tutto essa dà un senso. Nell’esperienza 
    di un grande amore tutto il mondo si raccoglie nel rapporto Io-Tu, e tutto 
    ciò che accade diventa un avvenimento nel suo ambito. L’elemento 
    personale a cui in ultima analisi intende l’amore e che rappresenta 
    ciò che di più alto c’è fra le realtà che 
    il mondo abbraccia, penetra e determina ogni altra forma: spazio e paesaggio, 
    pietre, alberi, animali.
    Tutto ciò è vero, ma ha una risonanza solo tra questo Io e questo 
    Tu. A misura che l’amore si fa più illuminato, sempre meno pretenderà 
    che ciò che costituisce per lui il centro focale del mondo debba esserlo 
    anche per gli altri. Una simile pretesa potrebbe essere sincera dal punto 
    di vista lirico, ma per il resto sarebbe stolta. Nel cristianesimo le cose 
    stanno altrimenti. Non si fa dipendere dal presentarsi di un incontro d’amore 
    che la persona unica di Gesù diventi per l’uomo la realtà 
    religiosa decisiva, ma essa è tale incondizionatamente e per se stessa. 
    E che essa sia afferrata come tale dal singolo uomo, non è una possibilità 
    lasciata al libero accadere, come lo svegliarsi di una inclinazione, che viene 
    quando viene, ma è un’esigenza posta alla coscienza.
    Il cristianesimo afferma che per l’incarnazione del Figlio di Dio, per 
    la sua morte e la sua risurrezione, per il mistero della fede e della grazia, 
    a tutta la creazione è richiesto di rinunciare alla sua — apparente 
    —autonomia e di mettersi sotto la signoria di una persona concreta, 
    cioè di Gesù Cristo, e di fare di ciò la propria norma 
    decisiva. Dal punto di vista della logica questo è un paradosso, perché 
    sembra mettere in pericolo la stessa realtà della persona. Ma anche 
    il sentimento personale si ribella contro questo. Poiché l’accettare 
    una legge generale che si è dimostrata giusta — sia essa una 
    legge della natura o del pensiero o della moralità — non è 
    difficile per la persona. Essa avverte che in tale legge essa continua ad 
    essere se stessa; anzi, che il riconoscimento di siffatte leggi generali può 
    tradursi senz’altro in un’azione personale. Ma all’esigenza 
    di riconoscere un’«altra» persona come legge suprema di 
    tutta la sfera della vita religiosa e con ciò della propria esistenza 
    — la persona contrasta con vivacità elementare, e si capisce 
    che cosa può significare la richiesta di «rinunciare alla propria 
    anima».