Presentiamo on-line un articolo del prof.Giancarlo Biguzzi, docente di Nuovo Testamento presso la Pontificia Università Urbaniana, apparso sulla rivista Euntes Docete. Commentaria Urbaniana 2007.
Il Centro culturale Gli scritti (26/2/2007)
Nel dicembre del 1945 due fratelli di al-Qasr, l’antica Chenoboskion, che scavavano ai piedi
  di un picco roccioso in cerca di sabakh, un tipo di terra soffice da usare come fertilizzante, fecero fare un
  grande passo in avanti nella conoscenza dello gnosticismo: i loro colpi di vanga portarono alla superficie una giara
  in ceramica rossa che conteneva tredici codici[1]
  rilegati in pelle che contevano 52 trattati gnostici o gnosticizzanti.[2] L’importanza del ritrovamento sta nel fatto che sullo gnosticismo, un misto di
  religione e di speculazione filosofica che caratterizzò soprattutto il II secolo d.C., fino ad allora si
  avevano conoscenze solo indirette e polemiche attraverso gli scrittori cristiani della Grande Chiesa, mentre ora si
  poteva ascoltare la viva voce degli gnostici. Di quei trattati, che divennero immediatamente oggetto di accurato
  studio, si possono ricordare qui i diversi vangeli: il Vangelo di verità (terzo trattato contenuto nel
  Codice I, e secondo trattato nel Codice XII), il Vangelo di Tommaso e il Vangelo di Filippo (secondo e
  terzo trattato del Codice II), e il Vangelo degli Egiziani (secondo trattato del codice III).[3]
  Ad essi ora si aggiunge il Vangelo di Giuda che, reso di pubblico dominio il 9 aprile del 2006, è stato
  presentato come il testo antico non-biblico più significativo che si sia rinvenuto dagli Anni quaranta ad
  oggi.[4]
Il codice che contiene il Vangelo di Giuda (d’ora in poi VdG) non proviene da
  un regolare scavo archeologico ma dal mercato antiquario clandestino, con tutte le incertezze che ne conseguono circa
  la provenienza e la data di rinvenimento. Sembra che sia stato trovato nel 1978 e, dagli schemi linguistici del suo
  testo che sono quelli della lingua copto sahidica,[5]
  si può ricavare che è originario del Medio Egitto. Anche il luogo del ritrovamento sembra essere da
  collocare nel Medio Egitto: la candidatura più forte è quella di Beni Masar, 16 km a nord di El
  Minya.
  Venuto in possesso di Hanna, un commerciante antiquario di Eliopoli, sobborgo del Cairo, mentre erano in corso le
  prime trattative per la vendita, il codice è stato trafugato in Europa. Ricomparso a Ginevra e ritornato in
  possesso di Hanna, fu da lui messo al sicuro nel caveau di una banca a Hicksville, alla periferia di New York, dopo
  che egli aveva rifiutato l’offerta di 50.000 dollari. Nel corso di una delle schermaglie per la compravendita,
  nel 1983 un coptologo di fama internazione ebbe la possibilità di vedere il reperto. Lo studioso era Stephen
  Emmel, il quale aggirò la proibizione di fotografare e di trascrivere, perché fu ugualmente in grado di
  mettere per iscritto quella che si può chiamare una ricognizione. Poiché in seguito il codice fu
  gravemente danneggiato, come si vedrà subito, la relazione di Emmel resta un punto fermo per la ricostruzione
  del testo del VdG.
  Il 3 aprile dell’anno 2000 l’antiquaria Frieda Nussberger Tchacos acquistò il codice, avendo tra
  l’altro la ventura di dare ad esso il nome: anche nella pubblicazione del 2006 il codice viene chiamato
  «codice Tchacos». Il 9 settembre dello stesso anno la Tchacos vendette il codice all’antiquario
  statunitense Bruce Ferrini che lo congelò danneggiandolo gravemente,[6] proprio mentre pensava di sottrarlo al deperimento. Il Ferrini poi, perché
  insolvente, fu costretto a restituire il reperto. Ma pare non lo abbia restituito integralmente di fatto pagine
  separate di esso sono comparse sul mercato così che nella pubblicazione dell’aprile 2006 gli editori
  scrivono: «Mentre il volume in inglese andava in stampa è stata individuata e sottoposta alla nostra
  attenzione un’altra porzione di un foglio di papiro del Vangelo di Giuda, che costituisce le parti inferiori
  delle pagine 37 e 38. Nel minor tempo possibile abbiamo prodotto una trascrizione e una traduzione del testo copto di
  tali pagine, ma non siamo riusciti a esaminare, nei saggi compresi nel commentario, i passaggi ivi
  contenuti».[7]
  Le peripezie del codice Tchacos finirono il 19 febbraio 2001 quando esso entrò in possesso della Maecenas
  Foundation for Ancient Art da poco costituitasi a Basilea. Le ulteriori tappe della storia del codice, per
  fortuna finalmente positive, furono il (difficile) distacco di ogni singola pagina dall’altra, il restauro e la
  messa al sicuro di ogni pagina sotto vetro, la riproduzione fotografica, la decifrazione del testo e la traduzione in
  inglese e, infine, la pubblicazione. Per finire, la Maecenas Foundation ha annunciato di volere donare il
  codice al Museo del Cairo nell’anno 2009.
  Bisogna aggiungere a questo punto che la ricostruzione storica appena proposta è quella, un po’
  oleografica, che si ricava dal volume della National Geographic Society, ma articoli di giornali
  statunitensi,[8] siti-Internet, rapporti di
  polizia ecc. lasciano intravedere interessi privati e illegalità a non finire in tutta la vicenda. Basti
  pensare che la Maecenas Foundation fu fondata ad hoc da Mario Jean Roberty, che egli è il legale
  della signora Tchacos, che egli è l’unico agente della Foundation, e poi che al codice è
  stato dato il nome della Signora, che la National Geographic non ha acquistato dalla Foundation il
  codice ma solo il suo contenuto perché il codice, provenendo dal mercato clandestino, non può essere
  legalmente venduto,[9] e che il VdG è
  stato lanciato nel commercio mondiale «con una copertura mediatica senza precedenti, con tanto di diretta in
  mondo-visione sui canali del network National Geographic»[10] e, infine, che Herbert Krosney, autore del secondo libro edito dalla National
  Geographic Society,[11] è non a caso un
  produttore televisivo.
Il coptologo Rodolphe Kasser, cui nel frattempo il testo del VdG era stato affidato per la
  traduzione, fu autorizzato dalla Maecenas Foundation di annunciare il ritrovamento nell’ambito
  dell’ottavo Congresso dell’Associazione Internazionale di Studi Copti che si tenne a Parigi nel
  2004:[12] l’annuncio fu da lui fatto il 24
  luglio. Quasi due anni dopo, il 6 aprile 2006 a Washington fu annunciata la pubblicazione e tre giorni dopo, il 9
  aprile, e cioè il giorno in cui la liturgia ricorda l’annuncio del tradimento di Giuda nel corso
  dell’Ultima Cena, il libro con il testo del ritrovato vangelo gnostico fu mandato nelle librerie.
  Il libro, che nell’edizione italiana è intitolato Il Vangelo di Giuda. Estratto dal Codex
  Tchacos, comprende una Introduzione di Marvin Mayer (pp. 1-15), il testo del VdG in traduzione
  inglese[13] con la numerazione in base alle facciate
  del codice, da 33 a 58 (pp. 17-43), la storia del codice (sopra riassunta) ad opera di Rodolphe Kasser (= «La
  storia del Codex Tchacos e del Vangelo di Giuda», pp. 45-72), un saggio di Bart D. Ehrman dal titolo
  provocatorio «Cristianesimo capovolto: la visione alternativa del Vangelo di Giuda» (pp. 73-114), un
  saggio di Gregor Wurst sul VdG nell’antichità («Ireneo di Lione e il Vangelo di
  Giuda», pp. 115-129), un ultimo saggio sui collegamenti del VdG con lo gnosticismo, scritto da Marvin
  Mayer: «Giuda e la relazione gnostica» (pp. 131-162), e una nota post-editoriale della National
  Geographic di tre pagine in caratteri minutissimi (pp. 172-174).
Il VdG non è l’unico testo che si trova nel codice Tchacos il quale contiene
  invece quattro diversi trattati: (1) l’Epistola di Pietro a Filippo (da p. 1 a p. 9), sostanzialmente
  già conosciuta dal ritrovamento del codice VIII di Nag Hammadi, (2) un trattato intitolato (Lettera di)
  Giacomo (da p. 10 a p. 32), anch’esso sostanzialmente conosciuto dal codice I di Nag Hammadi, (3) il
  Vangelo di Giuda (da p. 33 a p. 58), e (4) il Libro dell’Alloghenes (da p. 59 a p. 66),
  sostanzialmente conosciuto dal codice XI di Nag Hammadi.
  L’intero codice viene datato dal Comitato degli editori secondo due diverse datazioni: sarebbe stato scritto
  intorno al 280 secondo B.D. Ehrman (p. 77) e verso la prima metà del IV secolo secondo Gregor Wurst (p. 127).
  Probabilmente i due autori si rifanno all’uno o all’altro degli estremi della datazione al radiocarbonio
  (l’ultimo quarto del II secolo - la prima parte del IV secolo).[14] Quanto al VdG, a motivo dei danni subiti dal codice nei decenni precedenti
  la sua pubblicazione, è conservato per tre quarti del totale e molte lacune rendono incomprensibili ampi
  stralci di testo.
  La data di composizione invece viene stabilita in via ipotetica in base alla sua menzione da parte di Ireneo che
  intorno al 180 d.C. scriveva: «[Gli gnostici Cainiti] dicono che Giuda aveva una conoscenza accurata di tutto
  questo, che fu l’unico tra tutti i discepoli ad avere la conoscenza della verità, e che compì
  perciò il mistero del tradimento (…). Essi presentano un’opera costruita in questo senso cui
  danno il nome di “Vangelo di Giuda”».[15] Nel volume della National Geographic B.D. Ehrman scrive: «Gli studiosi
  discorderanno circa la data della sua prima composizione, ma la maggior parte di esso dovrebbe risalire al
  140-160».[16]
Giuda è l’eroe di questo scritto, anche più di Gesù che, se parla, lo fa per esaltare la figura di colui che lo avrebbe poi tradito. A lui Gesù trasmette la rivelazione, per gli altri incomprensibile. Il testo infatti si apre con il titolo:
«Spiegazione segreta della rivelazione che Gesù rese conversando con Giuda per una settimana, tre giorni[17] prima di celebrare la Pasqua» (VdG 33).
Bisogna aggiungere che le aperture come questa sono caratteristiche degli scritti gnostici. A titolo di esempio, nel Vangelo di Tommaso, nel Vangelo dell’atleta Tommaso e nell’Apocrifo di Giovanni l’apertura dice rispettivamente:
«Sono queste le parole segrete che Gesù, il vivente, ha proferito e Didimo Giuda Tommaso ha messo in iscritto» (Vangelo di Tommaso, titolo [1]; Traduzione di M. Erbetta, in Gli Apocrifi del NT, I/1, p. 262),
«Sono queste le parole segrete che il Salvatore ha detto a Giuda Tommaso e che io stesso, Matteo, ho messo per iscritto, Mentre passeggiavo, li udii discorrere insieme» (Vangelo dell’atleta Tommaso, titolo [1]; Traduzione di M. Erbetta, in Gli Apocrifi del NT, I/1, p. 284),
«Questi misteri nascosti egli [il Salvatore] li rivelò in un silenzio (…) e li insegnò a Giovanni, il quale vi prestò attenzione» (Apocrifo di Giovanni; Traduzione di L. Moraldi, in Testi gnostici, p. 124).
A Giuda il VdG attribuisce poi una professione di fede analoga a quella che i vangeli sinottici mettevano in bocca a Pietro e che il Vangelo di Tommaso mette in bocca a Tommaso:
«So chi tu sei e donde sei giunto: Tu vieni dal reame[18] immortale di Barbelo.[19] E io non sono degno di pronunciare il nome di colui che ti ha inviato. Sapendo che Giuda rifletteva su altre cose elevate, Gesù disse a lui: “Partiti dagli altri e io ti dirò i misteri del regno» (VdG 35),
«Rispose Simon Pietro: “Tu sei il Cristo il Figlio del Dio vivente”. E Gesù: “ Beato tu, Simone figlio di Giona, perché non la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli”» (Mt 16,16-17),
«Gesù disse ai suoi discepoli: “Paragonatemi e ditemi a chi sono simile”. Gli disse Simon Pietro: “Tu sei simile a un angelo giusto”. Matteo gli disse: “Tu sei simile a un filosofo intelligente”. Tommaso gli disse. “Maestro la mia bocca non permetterà in alcun modo che io dica a chi tu rassomigli”. Gesù disse: “Non sono io il tuo maestro, ché tu hai bevuto e sei diventato ebbro alla sorgente zampillante che ho misurato?”. Egli lo prese, si tirò indietro egli disse tre parole. Quando poi Tommaso tornò ai suoi compagni, gli chiesero: “Che cosa ti ha detto Gesù?”. Disse loro Tommaso: “Se vi dicessi una sola delle parole che mi ha dette, prendereste sassi e li scagliereste contro di me» (Vangelo di Tommaso 12-13; Traduzione di M. Erbetta, in Gli Apocrifi del NT, I/1, p. 265).
Infine, il VdG fa di Giuda colui che è degno di entrare nella nube luminosa (noi diremmo la nube della trasfigurazione), mentre si ode una voce che, come nei vangeli sinottici a proposito di Gesù, parla del trasfigurato:
«E quelli a terra udirono una voce venire dalla nube che diceva [segue una lacuna]» (VdG 57-58),
«Dalla nube uscì una voce che diceva: “Questo è il mio figlio diletto. Ascoltatelo”» (Mc 9,7, e paralleli).
Gli editori della National Geographic hanno suddiviso il testo con venti titoli redazionali. Quei titoli possono servire a farsi un’idea del contenuto dello scritto perché riportano il nome di alcuni protagonisti, riassumono il contenuto di dialoghi, rivelazioni, visioni ed eventi: per questo è utile riportarli, ma danno soltanto una vaga (e disordinata) rassegna del contenuto, non tenendo conto del progredire della narrazione.
Una migliore suddivisione è quella del quadro temporale. S’è intravisto nell’Incipit che Gesù parlerebbe con Giuda in tre degli otto giorni che precedono la Pasqua e in effetti la narrazione, dopo un sommario di poche righe sul ministero pubblico di Gesù,[21] si articola in tre giorni di dialoghi:
«Un giorno egli [Gesù] era con i discepoli in Giudea e li trovò insieme, seduti in pia osservanza» (VdG 33; inizio del primo giorno),
«Il mattino seguente, dopo che questo era accaduto, Gesù apparve ancora ai discepoli» (VdG 37, inizio del giorno successivo),
«Un altro giorno Gesù venne a loro. Ed essi dissero a lui…» (VdG 37, inizio di un terzo giorno, non necessariamente successivo).
Ebbene, nel primo e nel terzo giorno (il secondo giorno è brevissimo e il suo contenuto irrilevante) il VdG conduce un duplice confronto tra gli Undici e Giuda, confronto che porta sempre alla superiorità di Giuda sugli altri.[22] Nel primo giorno il confronto è sulla possibilità degli uni e dell’altro di reggere alla presenza e allo sguardo di Gesù, e nel terzo giorno il confronto è sulla differente visione che gli Undici da una parte e Giuda dall’altra hanno avuto.
La ricapitolazione iniziale rievoca i miracoli, la chiamata dei Dodici e i discorsi a loro rivolti sui «misteri»:
«Quando Gesù apparve in terra, compì miracoli e grandi meraviglie per la salvezza dell’umanità. E poiché alcuni [camminavano] sulla via della rettezza,[23] mentre altri andavano per la via delle trasgressioni, furono chiamati i dodici apostoli. Egli prese a parlare con loro dei misteri oltremondani e di quanto sarebbe occorso alla fine» (VdG 33).
Segue poi una nota sorprendente, tipica però della concezione gnostica, secondo la quale Gesù non ha consistenza fisica ma, apparendo, prende o può prendere aspetti mutevoli. Qui è detto che era solito apparire come un bambino:
«Spesso non appariva ai suoi discepoli come se stesso, ma si trovava fra loro come un bambino» (VdG 33).
Anche nell’Apocalisse di Paolo Gesù si mostra in sembianze di fanciullo, nella Sofia di Gesù Cristo appare invece come un angelo, nel Vangelo di Filippo adatta il suo aspetto a colui cui appare, mentre nell’Apocrifo di Giovanni egli addirittura sconcerta lo stesso veggente per la sua trimorfia:
«Il fanciullo gli rispose [a Paolo che chiedeva della via per andare a Gerusalemme e congiungersi con i Dodici]: “Dimmi il tuo nome perché io possa indicarti la strada”. Il fanciullo sapeva chi era Paolo, ma voleva intrattenersi con lui ecc.”» (Apocalisse di Paolo 18; Traduzione di L. Moraldi, in Le Apocalissi gnostiche, p. 65),[24]
«Apparve loro [ai dodici discepoli e sette donne] il Salvatore, ma non nel suo primo aspetto, bensì quale spirito invisibile. La sua figura era la figura di un grande angelo della luce (La Sofia di Gesù Cristo, 78; Traduzione di L. Moraldi, in Testi gnostici, p. 456),
«Egli [] non si rivelò com’era veramente, ma si rivelò così come quelli erano capaci di vederlo. A loro tutti si rivelò: ai grandi si rivelò grande; ai piccoli, piccolo; agli angeli, angelo; agli uomini, uomo. Perciò il Logos sfuggi a tutti (Il Vangelo di Filippo, 78; Traduzione di M. Erbetta, in Gli Apocrifi del NT, I/1, p. 225),
«Io ebbi paura, e mi gettai a terra allorché vidi, nella luce, starmi di fronte un fanciullo. Tuttavia allorché lo guardavo aveva l’aspetto di un vecchio. Ma cambiò (di nuovo) forma divenendo come una donna (…). Davanti a me, nella luce, c’era come una unità dalle molte forme, e le forme si manifestavano in modo alternato. Dato che era uno, come poteva avere tre forme?» (Apocrifo di Giovanni, Introduzione, 2; Ricostruzione e traduzione di L. Moraldi, in Testi gnostici, p. 125).[25]
In tal modo, nelle sue battute iniziali il VdG si preoccupa di mostrarsi in continuità sia con la tradizione dei vangeli canonici (miracoli, chiamata dei Dodici, consegna a loro dei misteri ultramondani ed escatologici) sia con i temi degli altri scritti gnostici (polimorfia di Gesù, sua evanescenza fisica).
Il confronto del primo giorno tra gli Undici e Giuda è ambientato in un
  interno,[26] nel quale i discepoli, al
  sopraggiungere di Gesù, si siedono e offrono «una preghiera di ringraziamento sopra il pane» (n.
  34). In questo modo il VdG è cronologicamente ambientato nell’imminenza della Pasqua e
  logisticamente nella sala che noi chiameremmo dell’Ultima Cena.
  Gesù reagisce alla loro preghiera di ringraziamento ridendo. Nei vangeli canonici non è mai detto che
  Gesù rida o sorrida, mentre il breve VdG parla del riso di Gesù una decina di volte. In questa
  prima volta il suo riso (non «sorriso» ma piuttosto «derisione») si accompagna a tutto un
  atteggiamento critico che egli ha verso i discepoli. Infatti la preghiera di ringraziamento sul pane è
  preghiera loro, non sua; il dio al quale essi la offrono è il loro dio, non il suo; e il suo riso è
  motivato dal fatto che è errata la convinzione secondo cui quella preghiera darebbe gloria alla
  divinità:
«I discepoli dissero a [lui]: “Maestro perché ridi della [nostra ] preghiera di ringraziamento? Abbiamo fatto ciò che è giusto”. Ed egli rispose loro e disse: “Io non rido di voi (…) ma perché si crede (…) che il vostro dio [ne sarà] glorificato» (VdG 34).
Alla motivazione di Gesù, i discepoli reagiscono con il risentimento e con la bestemmia contro di lui:
«Quando i discepoli udirono questo, si risentirono e si adirarono, e nei loro cuori presero a bestemmiare il suo nome» (VdG 34).
Anche il riso è un tratto che ricorre frequentemente negli scritti gnostici dove deve dire la superiorità di conoscenza di chi ride su chi viene deriso:
«Quando egli diceva queste cose, io lo vidi come ghermito da essi, e dissi. “Che cosa vedo, Signore? Sei proprio tu quello che afferrano, sebbene tu ti intrattenga con me? O ancora, chi è quello che sereno e sorridente è sull’albero? È un altro quello al quale colpiscono le mani e i piedi?”» (Apocalisse di Pietro 81; Traduzione di L. Moraldi, in Le Apocalissi gnostiche, p. 28),
«Il primo è Colui che afferrarono e rilasciarono, Colui che allegro guarda coloro che gli fecero violenza,…. Perciò Egli ride della loro intellettuale cecità: Egli sa che sono nati ciechi» (Ibidem 30, p. 29),
«Allora dal cosmocrator venne un grido rivolto agli angeli: “Io sono dio, e all’infuori di me non ve n’è alcun altro. All’udire quel borioso vanto, io feci una allegra risata» (Secondo discorso del grande Seth 53; Traduzione di L. Moraldi, in Testi gnostici, p. 318),
«Tutto l’esercito dei suoi angeli, alla vista di Adamo e della sua dimora, risero della sua esiguità» (Ibidem 54).
A questo punto è del tutto evidente l’ostilità del VdG contro gli Undici così che è oramai maturo il confronto tra loro e Giuda. Gesù allora invita gli Undici a trarre fuori da sé l’uomo perfetto e a stare eretti dinanzi al suo volto, e, mentre essi non ne sono capaci, Giuda lo è: lui solo. Ed è qui che Giuda si sostituisce al Pietro dei vangeli sinottici nel proclamare la fede in Gesù a nome del gruppo:
«Ma i loro spiriti [dei Dodici] non osavano stare dinanzi a [lui], eccetto Giuda Iscariota (…). E Giuda disse a lui: “So chi tu sei e donde sei giunto. Tu vieni dal reame immortale di Barbelo» (VdG 35).
È qui, infine, che Gesù invita Giuda a separarsi dagli Undici perché gli diventi possibile di rivelargli i misteri del regno:
«Pàrtiti dagli altri e io ti dirò i misteri del regno» (VdG 36).
Alla domanda di Giuda che gli chiede quando avverrà la rivelazione, Gesù si allontana da lui perché il tempo opportuno non è questo primo giorno. Lo sarà il terzo giorno, dopo un ulteriore confronto tra lui e gli Undici.
Nel terzo giorno di colloqui, non necessariamente successivo al secondo, gli Undici narrano a Gesù una loro visione: hanno veduto una grande casa con un altare dove dodici uomini, attorniati da una grande folla di gente, ricevono offerte e offrono sacrifici animali. Spiegando la visione ai discepoli, Gesù dice con parole molto dure che i dodici uomini da loro intravisti nella visione sono loro stessi,[27] e dice che le bestie offerte in sacrificio sono la gente da essi portata fuori strada:
«Quelli che avete veduto ricevere le offerte all’altare, quello è ciò che voi siete… Siete voi i dodici uomini veduti. Le bestie che avete veduto condurre al sacrificio sono le molte genti che voi sviate dinanzi a quell’altare» (VdG 39-40).
Come nel primo giorno, anche qui agli Undici subentra Giuda il quale chiede a Gesù di ascoltare ora lui, come prima ha ascoltato gli altri. Gesù ora ride di Giuda e lo rimprovera perché egli è il tredicesimo e non ha nulla da spartire con gli Undici. Ma poi consente a Giuda di fare il suo racconto:
«Udito ciò, Gesù rise e gli disse: “Tu, tredicesimo spirito, perché ti affatichi tanto? Ma parla, e avrò pazienza con te» (VdG 45).
La visione di Giuda è duplice: prima dice di avere veduto i Dodici intenti a lapidarlo e
  poi di avere veduto una grande casa attorniata da molte persone, così che chiede a Gesù di portarlo
  insieme alla gente intravista.
  Gesù spiega la visione e dice che quella casa è il luogo dei beati. Luogo che è a lui destinato
  in quanto è il tredicesimo che saprà distaccarsi dalla generazione cui appartengono gli Undici, anche
  se quello strappo gli costerà molte sofferenze e persecuzioni. Poi Gesù chiama Giuda presso di
  sé perché è giunto il momento della rivelazione di misteri. Gli parla del regno e dello Spirito
  (= il Dio massimo e innominabile) da cui per emanazione sono venuti l’Autogenerato e tutta la gerarchia degli
  «eoni», dei «luminari», dei «firmamenti», degli «arconti», delle
  potenze angeliche e l’umanità. Tutta la rivelazione consegnata da Gesù a Giuda è fatta
  secondo gli schemi, il vocabolario, le concezioni e gli interessi tipici della letteratura gnostica. Basti elencare i
  nomi che vi ricorrono: Adamas, Seth, Nebro, Saklas o Jaldabaoth, Harmathoth, Galila, Yobel, Adonaios…
  Anche il dettaglio della lapidazione cui Giuda si vede sottoposto nella sua visione è un tratto tipico degli
  scritti gnostici. Lo si è già intravisto nel Vangelo di Tommaso, ma il tema della lapidazione
  ricorre per esempio anche nell’Apocalisse di Pietro e nella Seconda Apocalisse di Giacomo:
«Quando poi Tommaso tornò ai suoi compagni, gli chiesero: “Che cosa ti ha detto Gesù?”. Disse loro Tommaso: “Se vi dicessi una sola delle parole che mi ha dette, prendereste sassi e li scagliereste contro di me» (Vangelo di Tommaso 13; Traduzione di M. Erbetta, in Gli Apocrifi del NT, I/1, 265).
«Mentre egli [il Salvatore] parlava così, io [Pietro] vidi i sacerdoti e il popolo correre verso di noi con pietre, come se volessero ucciderci. Io ebbi paura che fossimo in procinto di morire» (Apocalisse di Pietro 72; Traduzione di L. Moraldi, in Le Apocalissi gnostiche, p. 22).
«Essi [i sacerdoti] dicevano tutti concordemente: “Venite! Lapidiamo il Giusto!”…. lo alzarono di nuovo, poiché era ancora vivo, e gli fecero scavare una fossa. Ve lo posero dentro, lo ricoprirono fino al ventre e, in questa posizione, lo lapidarono» (Seconda Apocalisse di Giacomo 61. 62; Traduzione di L. Moraldi, in Le Apocalissi gnostiche, p. 60).
Dopo la lunga rivelazione dei misteri della cosmogonia e della cosmologia (nn. 47-55) viene la conclusione, rapida e fulminante, con
- La parola-vertice. Giuda chiede a Gesù di osservare i battezzati nel suo nome (= i cristiani della Grande Chiesa), ma Gesù contrappone un’ultima volta loro a lui, Giuda. Essi offrono sacrifici a Saklas, il dio ottuso e cattivo che è responsabile della creazione,[28] malvagia e negativa, dicendo che ciò che essi fanno è male. Lui, Giuda, è superiore a loro, e il motivo è che egli libererà Gesù dall’uomo che lo riveste. In altre parole permetterà a Gesù di fuggire dal corpo e dall’umanità, liberando il suo spirito il quale, in tal modo, potrà fare ritorno al regno dello Spirito Supremo da cui è venuto. Anche questo è un tratto comune agli scritti e alle varie ideologie gnostiche:
«Ma tu sarai maggiore tra loro. Poiché sacrificherai l’uomo che mi riveste» (VdG 56).
«Quando volle, allora venne, innanzitutto per portarla via [l’anima], perché essa era custodita come ostaggio, era capitata tra i predoni, i quali l’avevano fatta prigioniera. Egli la salvò e redense i buoni nel mondo e i cattivi» (Il Vangelo di Filippo 9; Traduzione di M. Erbetta, in Gli Apocrifi del NT, I/1, p. 221)
«Se tu volessi numerarle [precede una lacuna], non saresti capace di farlo fino a quando non avrai allontanato da te la cieca mentalità di questa catena della carne che ti circonda. Allora potrai giungere a Colui che è» (Prima Apocalisse di Giacomo 27; Traduzione di L. Moraldi, in Le Apocalissi gnostiche, p. 35)
«Ti rivelerò [il Cristo rivelerà a Giacomo] ogni cosa: mio diletto, comprendi e conosci ogni cosa affinché tu possa sfuggire da questo corpo, come ho fatto io» (Seconda Apocalisse di Giacomo 57; Traduzione di L. Moraldi, in Le Apocalissi gnostiche, p. 57).
- La glorificazione di Giuda nella nube. Terminata la rivelazione, Giuda si sente invitato a guardare la nube teofanica e in essa poi sale per quella che è la sua glorificazione:
«“Ora guarda: ti è stato detto tutto. Leva gli occhi e osserva la nube e la luce in essa, e le stelle intorno (…)”. Giuda levò gli occhi e vide la nube lucente, ed entrò in essa. E quelli a terra udirono una voce venire dalla nube che diceva [lacuna testuale]» (VdG 57-58).
- Il tradimento. Il VdG non è minimamente preoccupato di tacere che Giuda è il traditore e che ricevette del denaro come ricompensa per il suo tradimento perché proprio attraverso il tradimento egli dimostra di essere il vero discepolo per Gesù e il suo benefattore. La scena si svolge nella stanza degli ospiti: c’è la richiesta dei sacerdoti e degli scribi e c’è la pronta risposta di Giuda che acconsente alla loro volontà, accettando i denari da loro offerti:
«I loro alti sacerdoti si lagnavano perché [egli, Gesù] era andato nella camera degli ospiti per la preghiera. Ma alcuni scribi erano là a osservare cautamente per arrestarlo in preghiera, poiché temevano il popolo, ché da tutti egli era reputato un profeta. Essi si fecero accosti a Giuda e gli dissero: “Che fai tu qui? Tu che gli sei discepolo!”. Giuda rispose a quelli come essi volevano. E ricevette dei denari e lo consegnò loro» (VdG 58).
- Il titolo finale. Il titolo finale o colofone, suona: il Vangelo di Giuda. I commentatori della National Geographic scrivono al proposito: «Qui la formulazione del sottoscritto titolare non è “Vangelo secondo Giuda” [pkata o kata] Giuda], come invece avviene nel caso della maggior parte dei testi evangelici, ma è “Vangelo di [en-] Giuda”. È possibile che tale titolo sia inteso a suggerire che questo è il vangelo, o Buona Novella, su Giuda e non sul suo posto nella tradizione. Ciò che egli compì - il testo conclude - non è una “cattiva novella”, ma buona per Giuda e per tutti coloro che avrebbero seguito lui, e Gesù».[29]
Del VdG si è fatto fin qui un resoconto per piccoli estratti e più volte si è avvertito l’eco di episodi conosciuti dai vangeli canonici. Ciò che sorprende nel VdG è il capovolgimento dei ruoli positivi e negativi, ma il confronto con i quattro vangeli della Grande Chiesa è ancora più interessante e illuminante là dove il VdG fa allusioni così reticenti da risultare pressoché incomprensibili.
Nel VdG Giuda è dunque il vero discepolo di Gesù, lui che è capace di
  stare davanti a lui, lui che è degno di ricevere la sua rivelazione e capace di comprenderla, lui che merita
  di entrare nel mondo divino salendo sulla nube lucente, lui che di tutto questo è capace perché
  è capace di infrangere il numero dodici dei discepoli e di imporsi come il Tredicesimo.
   Il suo tradimento non è ambientato nell’Orto degli Ulivi, ma è ambientato al chiuso della sala
  degli ospiti, il tradizionale cenacolo dell’Ultima Cena. Il tradimento è poi il vertice di tutta la
  narrazione ed è vertice positivo. La morte di Giuda, di cui fanno cenno Mt 27,3-10 e At 1,16-20, qui è
  taciuta: ad essa si allude come in profezia nella visione che Giuda dice di avere visto e nella quale i Dodici lo
  stavano lapidando.
Nel VdG Gesù non è un essere reale, non ha corpo, ed è per questo che
  di lui si dice che «appare». Venendo dal «regno immortale di Barbelo», egli può
  manifestarsi negli aspetti più diversi e imprevedibili, come bambino, come anziano, o come donna.
  Essendo emissario del vero Dio per portare la conoscenza e la rivelazione e venendo dal vero mondo, egli ride di
  questo mondo. Ride per l’ottusità dei discepoli che sono nell’ignoranza più fonda circa il
  vero dio (n. 34), ride di Giuda quando non è deciso e determinato a separarsi da loro (n. 44). Soprattutto
  ride poi degli «errori delle stelle» (n. 55), e cioè ride di questo mondo che è sprofondato
  nella materia e nella negatività per il peccato delle divinità malvagie, ottuse e sanguinarie.
  Del Gesù dei vangeli canonici si rievocano con un fuggevole accenno solo i miracoli, ma non le parabole
  né gli esorcismi. Non si fa mai il nome di regioni e città che Gesù ha frequentato. Non è
  menzionato il lago né Gerusalemme, al posto della quale è sorprendentemente nominata la Giudea:
  «Un giorno egli era con in discepoli in Giudea, e li trovò insieme, seduti in pia osservanza» (n.
  33). Non c’è nulla sulla passione, morte e resurrezione, se non quello che è possibile
  esplicitare dal tradimento di Giuda. Ma soprattutto Gesù ha, lui stesso, bisogno di essere liberato, e
  liberato sarà con la morte, non con la resurrezione.[30]
Nel VdG il tradimento è detto in modo molto impressionistico («Giuda rispose a
  quelli come essi volevano. E ricevette dei denari e lo consegnò loro»), per pennellate veloci,
  comprensibili solo a chi conosceva il più ampio e più dettagliato racconto dei vangeli canonici. Lo
  stesso è da dire del rimando all’Ultima Cena per la preghiera di ringraziamento sul pane o eucarestia,
  e, come si è visto, del rimando ai miracoli di Gesù e della chiamata dei Dodici
  nell’Incipit.
  Ci sono poi dettagli di rilevanza minima per l’economia della narrazione, la cui aggiunta lascia intravedere la
  diffusa e oramai antica conoscenza dei racconti canonici, di cui bisognava tenere conto nell’atto di
  confezionare un nuovo vangelo. Il VdG dice per esempio che gli scribi «erano là [nella sala degli
  ospiti] a osservare [Gesù] cautamente per arrestarlo in preghiera, poiché temevano il popolo,
  ché da tutti egli era reputato un profeta». Ora, l’arresto di Gesù mentre era in preghiera
  non elimina ma piuttosto aumenta l’appoggio popolare a Gesù come profeta. Ma il dettaglio della
  preghiera legittimava il nuovo racconto e la nuova ambientazione perché per i vangeli canonici l’arresto
  era avvenuto nell’Orto degli Ulivi proprio mentre Gesù era in preghiera.
  La conclusione è che, al momento della composizione del VdG, i vangeli canonici erano da lungo tempo in
  circolazione ed ampiamente già conosciuti, anche e soprattutto da coloro cui il VdG era destinato. In
  altre parole, il VdG è uno scritto secondario, di imitazione.
  Dal testo stesso del VdG si può poi ricavare l’atmosfera storico-religiosa in cui esso fu
  composto.
L’immagine negativa dei Dodici da una parte e, al contrario, l’immagine positiva di
  Giuda dall’altra dicono che il VdG viene da un gruppo “cristiano” ostile alla Chiesa
  apostolica, o Grande Chiesa. Il punto di vista è quello di un gruppo gnostico che, accusato dalla Grande
  Chiesa di aver tradito il vangelo di Gesù, accetta di essere sovrapposto alla figura del traditore,
  trasformandolo in eroe, da anti-eroe che era.
  «La scelta di Giuda riflette molto bene i crescenti sentimenti di mutua ostilità degli gnostici nei
  confronti degli altri cristiani, i quali alla pretesa di una superiore conoscenza rispondevano agli gnostici con
  l’accusa di «tradimento/eresia». Ovvio quindi che questi finissero con l’identificarsi
  proprio con il traditore Giuda, ribaltando con moto geniale e paradossale l’accusa: Giuda (al pari della
  comunità gnostica) non è il traditore ma colui che ha ricevuto da Gesù l’autentica
  rivelazione che fu negata agli altri discepoli».[31]
  La non poco sorprendente positivizzazione di Giuda si inscrive nelle abitudini gnostiche perché, nella loro
  ostilità al Dio dell’AT (perché responsabile della creazione), gli gnostici selezionano nella
  Bibbia ebraica i protagonisti negativi e li trasformano in protagonisti positivi. Così vengono trasformati in
  eroi Adam(as) e Caino tratti dal ciclo dei progenitori (Gen 3-4), e poi gli abitanti di Sodoma e Gomorra ed
  Esaù dal ciclo dei Patriarchi (Gen 18-19; 27-33), e Core tratto dal ciclo dell’esodo (Num
  16).[32]
In particolare, la positivizzazione del tradimento di Gesù nel VdG è da
  vedere nel quadro delle speculazioni gnostiche circa la soteriologia. Nello gnosticismo il mondo creato era visto con
  grande disprezzo: per un dramma cosmico di degradazione della realtà celeste, esso era divenuto una prigione
  per gli esseri umani. Gli dèi responsabili della creazione sono El, il cattivo dio dell’AT, e poi il suo
  aiutante Nebro o Jaldabaoth (che significa «ribelle, lordo di sangue») o Saklas («lo
  stolto»).[33]
  L’uomo ha dunque bisogno di salvezza, la quale è salvezza da questo mondo ed è ritorno al mondo
  dello Spirito indicibile. Bisogna negare il mondo, la materia, la carne, il corpo, e per raggiungere la salvezza
  bisogna fuggire da questa realtà mondana.[34]
  Poiché per il VdG anche Gesù ha bisogno di questa liberazione, Giuda è il suo benefattore
  perché lo emancipa dall’umanità che lo imprigiona.
I tratti con cui Gesù viene presentato nel VdG sono in buona parte comuni agli altri scritti gnostici (inconsistenza fisica e polimorfia, rivelatore di conoscenza, il riso). Non è così né per Giuda, che non ricorre altrove quale protagonista positivo e discepolo ideale. Ma soprattutto non è così per i Dodici che qui sono protagonisti negativi, discepoli ottusi, bestemmiatori di Gesù, adoratori di un dio che non è il dio di Gesù, e sacerdoti che portano fuori strada le folle dei loro seguaci. La biblioteca di Nag Hammadi ha invece restituito scritti in cui molti dei Dodici, e poi Giacomo e Paolo, sono protagonisti positivi, privilegiati ed esemplari,[35] visionari che salgono al decimo cielo (Apocalisse di Paolo), e martiri uccisi per fedeltà all’insegnamento esoterico di Gesù (Prima Apocalisse di Giacomo, Seconda Apocalisse di Giacomo). Anche quando sono menzionati come gruppo, i Dodici figurano sempre come veri discepoli di Gesù e destinatari della sua rivelazione:
«Ora tu [Paolo sulla montagna di Gerico] andrai dai dodici apostoli, poiché essi sono gli spiriti eletti ed essi ti saluteranno. Egli alzò gli occhi e li vide: essi lo salutarono (…). Egli [salito al quarto cielo] lanciò uno sguardo verso Dio che è al di sopra della creazione. Poi guardò su in alto e vide i dodici apostoli alla sua destra e alla sua sinistra (…). La porta si aprì ed io giunsi in alto al quinto cielo. Vidi gli apostoli, miei compagni, che camminavano con me, mentre lo Spirito ci accompagnava» (Apocalisse di Paolo 19. 19-20. 21-22; Traduzione di L. Moraldi, in Le Apocalissi gnostiche, p. 66),[36]
«Ecco, vi ho rivelato il nome perfetto (…). A voi, come figli della luce, ho dato potere su ogni cosa (…)”. Così parlò loro il beato Salvatore, e scomparve da loro. Essi furono presi da grande e indescrivibile gioia nello spirito. Da quel giorno, i suoi discepoli iniziarono a predicare il vangelo di Dio, del Padre Eterno il quale è intramontabile nell’eternità» (La Sofia di Gesù Cristo 126. 127; Traduzione di L. Moraldi, in Testi gnostici, pp. 471, 472).[37]
Per spiegare differenze così profonde nei confronti degli altri scritti gnostici bisogna pensare che il VdG sia nato all’interno di un gruppo minoritario, particolarmente aggressivo. Si trattava forse di un gruppo ritenuto marginale, se non proprio ereticale, anche dal resto dell’ampio e variegato universo gnostico, il quale era bensì polemico con la Grande Chiesa, ma non con la cerchia dei discepoli di cui Gesù si era circondato.[38]
Il volume con cui è stato offerto al pubblico il VdG, come si è detto,
  contiene i contributi di un coptologo di fama mondiale (lo svizzero Rodolphe Kasser, dell’università di
  Ginevra), quello di uno studioso della Chiesa antica e della Patristica (il tedesco Gregor Wurst,
  dell’università di Augsburg), e quello di uno studioso di gnosticismo e dei testi di Nag Hammadi (Marvin
  Mayer, della Chapman University, Orange, CA). A questi contributi che si possono definire tecnici, si aggiunge un
  quarto contributo, il più ampio (di 41 pagine), che invece è un contributo d’opinione,
  evidentemente l’opinione della National Geographic.[39] Il titolo del contributo è «Cristianesimo capovolto: la visione
  alternativa del Vangelo di Giuda».
  La tesi che ispira tutto il contributo (e quelli apparsi nel libro di H. Krosney e nel numero di maggio del 2006
  della rivista che ha lo stesso nome della Society) è che il VdG è uno dei molti vangeli
  legittimamente provenienti da Gesù e che trasmettevano uno dei molti legittimi cristianesimi
  dell’antichità.[40] Nel secondo secolo,
  scoppiata una lotta furiosa fra tutti quei cristianesimi rivali, capitò che vincesse il cristianesimo di
  Ireneo di Lione e degli altri vescovi. Essi avrebbero eliminato i vangeli dei cristianesimi alternativi e avrebbero
  imposto i 27 libri che ora figurano nel canone delle Chiese cristiane. Se avesse vinto il cristianesimo che è
  riflesso nel VdG, tutti ora professeremmo senza complessi quel cristianesimo, ingiustamente oscurato dalle
  vicende storiche.
  Scrive l’opinionista a p. 112: «In breve, uno dei gruppi concorrenti nella cristianità giunse a
  soverchiare tutti gli altri, guadagnandosi più convertiti dei suoi oppositori e riuscendo a relegarli ai
  margini. Fu questa corrente a stabilire come sarebbe stata la struttura organizzativa della Chiesa, decidendo quali
  credo avrebbero dovuto recitare i suoi fedeli e che libri accettare come Scrittura. Era il gruppo cui apparteneva
  Ireneo, insieme ad altre figure ben note del II-III secolo, come Giustino e Tertulliano. Tale gruppo divenuto
  “ortodosso”, una volta posto il sigillo sulla propria vittoria riscrisse la storia, affermando di avere
  sempre rappresentato l’opinione maggioritaria del cristianesimo, che le sue concezioni erano sempre state
  quelle delle chiese apostoliche e degli apostoli, che i suoi credo affondavano le radici direttamente negli
  insegnamenti di Gesù».
  A questa lettura cristiano-religiosa del I-II secolo si oppongono difficoltà insormontabili tra le quali vale
  la pena di elencare la difficoltà cronologica, l’estensione della polemica gnostica anche all’AT,
  la corretta ricostruzione dell’origine del canone, e l’argomento a partire dagli effetti nella
  storia.
Il VdG è inequivocabilmente figlio del tardo secondo secolo, come dicono i molti
  paralleli con la biblioteca di Nag Hammadi messi in luce più sopra, e come dicono la terminologia gnostica
  (eoni, luminari, firmamenti, arconti…), e l’onomastica gnostica: nomi come Barbelo, Saklas,
  Jaldabaoth… non ricorrono mai nel primo secolo. Dall’altra parte, invece, molti dei 27 scritti del
  canone neotestamentario sono citati fin dagli ultimi decenni del primo secolo: da Clemente di Roma nella sua lettera
  ai Corinzi (95 d.C.), dalla Didachè dei Dodici Apostoli (circa 90-100), dalle sette lettere di Ignazio
  di Antiochia (circa 110), e da Papia di Gerapoli (circa 110-120). Le lettere di Paolo (al plurale) sono anzi
  menzionate all’interno dello stesso NT: «La magnanimità del Signore nostro giudicatela come
  salvezza, come anche il nostro carissimo fratello Paolo vi ha scritto, secondo la sapienza che gli è stata
  data; così egli fa in tutte le lettere, in cui tratta di queste cose. In esse ci sono alcune cose difficili da
  comprendere e gli ignoranti e gli instabili le travisano, al pari delle altre Scritture, per loro propria
  rovina» (2 Pt 3,15-16).
  Per tutto questo non è corretto mettere gli scritti gnostici in parallelismo cronologico con gli scritti del
  NT. In aggiunta bisogna dire che i vangeli gnostici, compreso quello di Giuda, come si è visto, traggono dalle
  scene narrative dei vangeli canonici o li presuppongono, rivelando di essere letteratura secondaria e
  d’imitazione, e l’imitazione è loro dettata dal bisogno di legittimare ciò che non era
  tradizionale.
Non è possibile dire, poi, che il «cristianesimo capovolto» del VdG e
  dello gnosticismo viene da Gesù, perché quel capovolgimento è da essi applicato anche
  all’AT che era già da secoli costituito. In altre parole, se quella di alterare l’AT è
  senza via d’uscita una operazione dello gnosticismo, allora lo è anche l’alterazione di personaggi
  del NT, come i Dodici e Giuda. In altre parole ancora, la positivizzazione di Giuda (NT) è figlia del II
  secolo così come lo è la positivizzazione di Caino o dei Sodomiti (AT), perché l’una e
  l’altra sono la stessa, tardiva operazione, senza alcuna continuità storica con Gesù e con il suo
  originario vangelo.
  Allargando il discorso al contenuto ideologico del VdG e dello gnosticismo, in particolare alla concezione
  gnostica del divino e del mondo, il discorso non può non cadere sul politeismo o sui politeismi degli scritti
  gnostici, che finiscono con il fare di Gesù un politeista e del “cristianesimo” una fede
  politeistica che ora noi professeremmo senza sussulti né scrupoli, se avesse prevalso su Ireneo e sulla Grande
  Chiesa nella «furiosa lotta del II secolo». Ancora prima, ci si dovrebbe anzi chiedere come possano
  venire dallo stesso Gesù due cristianesimi che si elidono a vicenda.
Il canone dei libri sacri del NT non è nato con Ireneo nel 180, ma è nato fin dal
  primo giorno del culto cristiano, ed è nato nelle liturgie domestiche. I cristiani hanno inizialmente fatto
  quello che si faceva nelle sinagoghe giudaiche: leggevano e commentavano l’AT, anche se in riferimento al
  Cristo. Subito, insieme con l’AT, hanno cominciato a leggere anche gli scritti che noi chiamiamo del NT. Lo
  dice il testo già citato della Seconda lettera di Pietro: «In esse [nelle lettere di Paolo] ci
  sono alcune cose difficili da comprendere e gli ignoranti e gli instabili le travisano, al pari delle altre Scritture
  (hōs kai tas loipas graphas), per loro propria rovina» (2 Pt 3,15-16).
  La lettura dei libri neotestamentari nelle liturgie proto-cristiane è documentata già all’interno
  degli stessi scritti del NT. Nel testo neotestamentario più antico, la Prima lettera di Paolo ai
  Tessalonicesi, Paolo scrive: «Vi scongiuro per il Signore di leggere questa lettera a tutti i
  fratelli» (1Ts 5,27). In Col 4,16 è invece documentata la consuetudine delle comunità cristiane
  di scambiarsi le lettere e gli scritti apostolici, per cui, in secondo luogo, si intravede come una lettera destinata
  a una Chiesa particolare cominci ad aver valore anche per un’altra a cui quel documento non era diretto:
  «E quando questa lettera sarà stata letta fra di voi, fate in modo che sia letta anche nella
  Chiesa di Laodicea, e la lettera di Laodicea leggètela anche voi». Ap 1,3.11 documenta poi il
  dato di fatto che uno scritto doveva essere letto nelle assemblee pubbliche non di una sola Chiesa ma di ben sette
  Chiese: «Beato colui che legge e beati coloro che ascoltano le parole di questa profezia. (...) Quello
  che vedi, scrìvilo e màndalo alle sette Chiese: a Efeso, Smirne, Pergamo, Tiatira, Sardi, Filadelfia e
  Laodicea».[41]
  In tutta la tradizione cristiana seguente la lettura liturgica di uno scritto equivaleva a dichiararlo libro canonico
  e ispirato. Scrive per esempio Giustino martire: «Nel giorno, chiamato giorno del sole, (...) si fa
  lettura delle memorie degli Apostoli» (1Apol 1,66-67, anno 150 d.C.). Il Canone Muratoriano si
  rifà alla stessa regola e registra l’opposizione di alcuni alla lettura pubblica del Pastore di
  Erma: «... Accogliamo inoltre solo l’Apocalisse di Giovanni e quella di Pietro, anche se alcuni dei
  nostri fratelli non vogliono che quest’ultima venga letta nella chiesa. (...) Quanto al Pastore di Erma
  (...), è un libro molto utile da leggere, ma non può essere letto pubblicamente nella chiesa al
  popolo», (Enchiridion Biblicum 6-7). Sulla stessa linea, più tardi Cirillo di Gerusalemme
  scriverà: «(Del NT) ci sono poi le quattordici lettere di Paolo. Tutto il resto mettilo in secondo piano
  e quello che non è letto nella chiesa, non leggerlo neanche tu in privato» (380 d.C.;
  Enchiridion Biblicum 10).
  La stessa regola sarà ripresa, seguita e ribadita dai concili locali: «Non devono essere letti
  pubblicamente nella chiesa salmi privati né libri non canonici (akanonista), ma solo i libri
  canonici (kanonika) dell’AT e del NT» (Concilio [provinciale] di Laodicea; 360 d.C.
  circa);[42] «È stato stabilito che al
  di fuori delle Scritture canoniche non venga letto niente nella chiesa con la denominazione di Scritture
  divine» (Concilio [provinciale] di Ippona, presente Agostino; 393 d.C.; Enchiridion Biblicum 16);
  «Dai nostri padri abbiamo accolto questi testi, perché siano letti nella chiesa»
  (Concilio [provinciale] di Cartagine; 397 d.C.; Enchiridion Biblicum 20).
  La regola è stata sempre la medesima: l’uso delle Chiese di leggere libri provenienti dalle origini.
  Altri libri, anche se edificanti e pienamente ortodossi, erano da leggere in privato, perché ciò che
  non si era letto da sempre non lo si accettava per la lettura pubblico-liturgica. E questo fu il destino dei vangeli
  o delle lettere devozionali che proliferarono nel II secolo e, a maggior ragione, degli scritti devianti dalla fede
  trasmessa fino ad allora. Questo fu il destino anche del Vangelo di Giuda, perché non veniva da
  Gesù, né dai suoi discepoli.
A prescindere dalle considerazioni teologiche ed ideologiche, 
  si può argomentare anche dalla storia: dagli effetti che l’insegnamento 
  di Gesù ha prodotto o che avrebbe potuto produrre. Se la tesi della National 
  Geographic fosse vera, ci si troverebbe infatti di fronte ad un paradosso 
  senza l’eguale. Da una parte si avrebbe che i Dodici, discepoli ottusi, 
  bestemmiatori di Gesù e assolutamente incapaci di capirne l’insegnamento, 
  avrebbero dato vita a una religione mondiale, non poco feconda nel campo dello 
  spirito, della civiltà, della santità, del costume, del pensiero 
  o in quello dell’arte. Dall’altra parte, invece, l’unico discepolo 
  che aveva capito Gesù sarebbe stato cancellato dalla storia e, con lui, 
  sarebbe stato cancellato il «vero» Gesù e il «vero» 
  cristianesimo.
  La inevitabile conclusione per tutto il discorso che si può fare sul 
  ritrovato Vangelo di Giuda, come molti hanno già fatto osservare, 
  è che esso ha molto da dire sullo gnosticismo del tardo II secolo, ma 
  che non ha alcun legame né storico né dottrinale con Gesù 
  di Nazareth e con il cristianesimo apostolico.[43]
Masada, la prima rivolta giudaica ed il 
  suicidio di massa di Eleazar e dei suoi nel racconto di Flavio Giuseppe: alla 
  ricerca della verità storica, del prof. Giancarlo Biguzzi
  YHWH: il Tetragramma, le quattro lettere del Nome 
  divino, del prof. Giancarlo Biguzzi
  Il kibbutz di Ginnosar sul lago di Tiberiade e la scoperta 
  della “barca di Gesù”, del prof. Giancarlo Biguzzi
  Introduzione all’epistolario 
  paolino, del prof. Giancarlo Biguzzi
Il vangelo apocrifo di Giuda e la storicità degli apocrifi: il testo ed i suoi commenti
Per altri articoli e studi del prof.Giancarlo Biguzzi o sugli apocrifi presenti su questo sito, vedi la pagina Sacra Scrittura (Antico e Nuovo Testamento) nella sezione Percorsi tematici
[1] Per un’informazione preliminare sugli scritti gnostici di Nag Hammadi cf. L. Moraldi, Testi Gnostici, (Classici delle Religioni, Le altre confessioni cristiane), UTET, Torino 1982, pp. 61-99; B.A. Pearson, «Nag Hammadi», in Anchor Bible Dictionary, Doubleday, New York - London - Toronto - Sydney - Auckland 1992, vol. IV, coll. 982-993; G. Wurst, «Nag Hammadi», in S. Döpp - W. Geerlings ed., Dizionario di Letteratura Cristiana antica, Urbaniana University Press - Città Nuova, Roma 2006 (dal tedesco, Freiburg im B. Basel, Wien 2002), coll. 619-622. - Circa il numero dei codici rinvenuti, se essi sono 13 o soltanto 12, cf. B.A. Pearson, «Nag Hammadi», col. 985. Il codice XIII è in realtà parte (otto fogli) del codice VI.
[2] Le pagine dei manoscritti di Nag Hammadi sono in totale 1.240. Poiché alcuni scritti sono riportati due e perfino tre volte, i trattati diversi l’uno dall’altro sono 46, dei quali 40 erano fino ad ora completamente sconosciuti. Di essi 30 sono (quasi) integri, e 10 molto frammentari (L. Moraldi, Testi Gnostici, pp. 76, 79; B.A. Pearson, «Nag Hammadi», coll. 987-988).
[3] Il Vangelo di Tommaso (il più studiato di tutti gli scritti rinvenuti a Nag Hammadi) contiene 114 detti di Gesù e il suo rinvenimento sembrò venire a conferma della «teoria delle due fonti» secondo la quale i vangeli canonici di Matteo e di Luca avrebbero in Marco la fonte degli episodi di cui Gesù è protagonista, e in Q (= Quelle, in tedesco Fonte [dei detti di Gesù]) la fonte dei discorsi evangelici di cui Matteo e Luca sono ricchi e di cui Marco è invece abbastanza povero.
[4] Gli Anni quaranta, di cui si parla sono, gli anni in cui venne alla luce la biblioteca di Nag Hammadi (1945) e la biblioteca di Qumran, presso il Mar Morto (1947). L’affermazione, che si può certamente condividere, è di Terry Garcia, vicepresidente della National Geographic Society.
[5] Gli editori affermano che si tratta di una traduzione da originale greco a motivo dei numerosi prestiti che il copto trae dal greco (per esempio: logos, apophasis, emmustērion, euereukharisti): «Il testo copto del Vangelo di Giuda comprende un numero rilevante di parole di derivazione greca, usate come prestiti» (p. 17, nota 1).
[6] Il congelamento danneggiò il papiro «in modo catastrofico», scrive R. Kasser (in R. Kasser - M. Meyer - G. Wurst ed., Il Vangelo di Giuda. Estratto dal Codex Tchacos, National Geographic Society, Washington DC 2006, p. 57), il quale alla pagina seguente precisa: «Lo sventurato congelamento causò la distruzione parziale della linfa che teneva insieme le fibre del papiro, rendendolo notevolmente più fragile e suscettibile di sbriciolamento e producendo i peggiori fogli di papiro mai visti da papirologi professionisti (…). In più, il congelamento aveva fatto migrare in superficie, prima che evaporasse, tutta l’acqua contenuta nelle fibre, che dall’interno delle stesse portò con sé una quantità di pigmenti che scurirono molte pagine e resero lo scritto estremamente difficile da leggere».
[7] M. Mayer, «Introduzione», Ibidem, p. 13.
[8] Cf. il Washington Post del 7 aprile 2006, e il New York Times del 13 aprile 2006.
[9] Anche se con beneficio d’inventario, conviene citare qualche epiteto con cui i protagonisti della vicenda e i loro intermediari o interlocutori vengono qualificati, e qualche frase con cui vengono qualificate le non proprio trasparenti transazioni che hanno interessato il codice Thacos. In lingua italiana: «[Il codice] è passato di mano in mano nel sottobosco oscuro dei traffici clandestini di materiale archeologico, comprato e venduto più volte in Europa e infine negli Stati Uniti», «… problemi non risolti sulla provenienza», «il manoscritto non era accompagnato dalla documentazione, obbligatoria per le opere archeologiche che ne attesta la regolare esportazione e proprietà», «… testo monco, fatto a pezzi da trafficanti di pochi scrupoli», «[persona] arrestata a Cipro, su richiesta della polizia italiana, per avere portato via di nascosto dall’Italia delle antichità ed averle vendute ad ignoti», «trafficante», «[persona] attiva nel discutibile mondo dei trafugatori e contrabbandieri d’arte». In lingua inglese: «[N.N.] is the evil genius in this conspiracy», «[N.N.] acts in the interests of several key-players on the black market of stolen art», «two unparalleled digital bombardments», «in the hands of money hungry art dealers», «the two most notorious cultural heritage thieves in the world», «smuggler, forger», «shady alleys of the antiquity market», «the biggest robber of protected cultural heritage in the world», «involved in ninety percent of all art smuggling operations in the world according to Scotland Yard», «a clear case of blackmail», «known worldwide as biggest buyer of stolen antiquities», «the money he earned with art smuggling finances weapons for terrorist attacks», «two convicted criminals», «signature forged», «website [attacked by] digital bombardment», «threatened in an anonymous e-mail to use heavier tools», «working together with terrorists?». - Circa tutto questo la National Geographic ha dichiarato, per bocca del suo vicepresidente Terry Garcia, di avere sentito circolare «some rumors about possible legal problems involving Ms. Tchacos Nussberger», rumori che – si aggiunge - non è stato possibile confermare. - Di tutto questo non hanno il minimo sentore A. Malnati, P. Mastrolilli e A. Flores d’Arcais che commentarono la comparsa del VdG su La Stampa (11 gennaio 2006; 7 aprile 2006) e rispettivamente su Repubblica (il 18 aprile 2006).
[10] Così Domenico Savino in http://www.effedieffe.com/interventizeta.php?id=1193¶metro=religione.
[11] H. Krosney, The Lost Gospel: The Quest for the Gospel of Judas Iscariot, National Geographic Society, Washington DC 2006.
[12] Il primo congresso dell’Associazione si tenne al Cairo nel 1976 in contemporanea con una riunione del Comitato Internazionale per la pubblicazione dei codici di Nag Hammadi.
[13] La National Geographic Society ha curato direttamente la traduzione in tutte le principali lingue. In questo articolo si cita la traduzione italiana, stampata in Italia, a Vercelli, contemporaneamente alla edizione inglese. È bene però tenere presente che il testo italiano viene da una lunga sequenza di traduzioni: la traduzione italiana è traduzione dalla traduzione inglese, la quale è traduzione dal testo copto, la quale a sua volta forse fu nell’antichità ricavata da un originale greco.
[14] R. Kasser - M. Meyer - G. Wurst ed., Il Vangelo di Giuda, pp. 10, 127.
[15] «Et haec Iudam proditorem diligenter cognouisse dicunt, et solum prae ceteris cognoscentem ueritatem, perfecisse proditionis mysterium (…). Et confinctionem adferunt huiusmodi Iudae Evangelium illud vocantes» (Ireneo di Lione, Adversus haereses I,31, 1. - Mentre in tutta la letteratura fiorita attorno alla pubblicazione del VdG gli eresiologi antichi, con Ireneo in testa, vengono presentati come polemisti viscerali e mistificatori, almeno a proposito del VdG Ireneo si dimostra ben informato e corretto.
[16] B.D. Ehrman, «Cristianesimo capovolto», p. 86.
[17] A detta degli editori «per una settimana» è traduzione libera al posto di «in otto giorni» (cf. p. 17, nota 3). L’alternativa tra le due espressioni di tempo non è giustificata se non dalla paura che il lettore senta l’espressione «in otto giorni» come inconciliabile con «tre giorni prima della Pasqua». Come si vedrà più sotto, il timore non è giustificato, perché il terzo giorno non è necessariamente successivo, come invece il secondo lo è del primo.
[18] Così la traduzione italiana di Enrico Lavagno nel volume della National Geographic, ma «reame” (= territorio geografico-politico) si potrebbe migliorare con «regno» (= ambito spirituale): «Tu vieni dal regno immortale di Barbelo».
[19] Qui il VdG è molto a vicino a Pistis Sophia, in cui è detto: «Ho portato l’acqua e il fuoco dal luogo della luce delle luci del tesoro della luce. Ho portato il vino e il sangue dal luogo di Barbelo» (141,9). - Barbelo, la/il metropator (madre-padre), maschio-femmina, è frequentemente ricordata/o nella letteratura gnostica. A titolo di esempio cf. la cosmogonia nell’Apocrifo di Giovanni (4-7), e poi il Vangelo degli Egiziani (61, 69), e la seconda preghiera nelle Tre stele di Seth (121-124). L’interpretazione del nome è molto discussa. La più accreditata è quella ripresa in R. Kasser - M. Meyer - G. Wurst ed., Il Vangelo di Giuda, p. 21, nota 22: «Sembra che il nome Barbelo sia basato su una forma del tetragrammaton, il sacro nome in quattro lettere del Dio giudaico, e apparentemente deriva dall’ebraico: forse “Dio (El) in (be) quattro (arba)”».
[20] La numerazione è quella delle facciate del codice Tchacos.
[21] Mentre i vangeli canonici si inscrivono nel genere letterario della biografia, il VdG (se si fa eccezione della breve ricapitolazione iniziale del ministero pubblico e della notizia finale della consegna o tradimento) ha la forma di dialoghi tra Gesù e i Dodici, e tra Gesù e Giuda.
[22] Cf. Mc 4,11 dove è ai Dodici che Gesù rivela i misteri del regno.
[23] La traduzione italiana dall’inglese lascia intravedere qua e là inglesismi facilmente evitabili (in questo stesso periodo «quanto sarebbe occorso (= ciò che serviva)» sta al posto di «quanto sarebbe accaduto / avvenuto / successo») e introduce termini inusitati che sarebbe troppo chiamare neologismi: «rettezza» (dall’inglese righteousness) qui sta al posto del più corretto «rettitudine». – Sull’imprecisa traduzione italiana della National Geographic dall’originale inglese cf. C. Marucci, Il Vangelo di Giuda. Un vangelo apocrifo, “La Civiltà Cattolica” CLVIII (I, 2007), 244-254.
[24] Cf. l’ampio commento di L. Moraldi (Le Apocalissi gnostiche, pp. 222-224), il quale cita anche testi antichi non gnostici
[25] A commento del testo L. Moraldi (Testi gnostici, p. 126, in nota) parla di polimorfia del Cristo risorto, ma anche del Cristo della vita pubblica.
[26] Si tratta della stanza che verso la fine del VdG sarà chiamata «sala degli ospiti» (n. 58).
[27] Di per sé il testo dovrebbe qui parlare degli Undici ma la formula «i dodici» va compresa alla luce di quanto era detto al n. 36: «Un altro ti sostituirà, al fine che i dodici [discepoli] possano ancora giungere a completezza con il loro dio». Per l’integrazione di «un altro» fra i Dodici in sostituzione di Giuda cf. l’elezione di Mattia in At 1,15-26. Da questo rimando al libro degli Atti degli Apostoli risulta evidente la posteriorità cronologica del VdG rispetto agli Atti.
[28] Di Saklas l’Apocrifo di Giovanni 11 dice: «Divenne né luce né tenebra ma divenne malato», «L’arconte malato ha tre nomi: il primo è Jaldabaoth, il secondo è Saklas, il terzo è Samael», e: «Nella sua ignoranza egli è empio». - A proposito di Samael L. Moraldi (Testi gnostici, p. 178, nota 5) scrive: «Samael deriva dall’aramaico same “cieco” e el “dio”, termine comune nel tardo giudaismo per designare satana [cf. G. Scholem, Samael, in «Encyclopedia Judaica», 14, 1972, 19-22]». E a proposito di Saklas scrive: «in aramaico “folle”».
[29] R. Kasser - M. Meyer - G. Wurst ed., Il Vangelo di Giuda, p. 43, nota 151.
[30] Gli editori della National Geographic parlano della resurrezione non secondo la concezione cristiana, perché la definiscono come il «ridestarsi di una salma». Può infatti essere così definita la cosiddetta resurrezione di Lazzaro ma non la vittoria di Gesù sulla morte e l’inaugurazione, con il suo ritorno alla vita, della nuova creazione, del mondo escatologico, della vita eterna.
[31] G. Boccaccini, Il Vangelo di Giuda. Gnosticismo e ricerca del Gesù storico, in “Il Regno” LI (2006), 8, 222-223.
[32] Cf. Ireneo di Lione, Adversus haereses I, 31, 1: «Alii autem rursus Cain a superiore Principalitate dicunt, et Esau et Core et Sodomitas et omnes tales cognatos suos confitentur».
[33] «Così le divinità responsabili del nostro mondo sono il dio (cattivo) dell’AT, un ribelle sanguinario e un idiota» (B.D. Ehrman, «Cristianesimo capovolto», p. 95).
[34] Non per nulla i termini «fuga, fuggire, sfuggire» ricorrono non meno di 17 volte da p. 80 a p. 109 del libro curato dalla National Geographic.
[35] Cf. Preghiera dell’Apostolo Paolo, Lettera di Giacomo, Apocrifo di Giovanni, Vangelo di Tommaso, Vangelo di Filippo, L’atleta Tommaso, Prima / Seconda Apocalisse di Giacomo, Atti di Pietro e dei Dodici Apostoli, Apocalisse di Pietro, Lettera di Pietro a Filippo.
[36] L. Moraldi, Le Apocalissi gnostiche, p. 230, a commento scrive: «In uno scritto così breve gli apostoli sono menzionati sei volte, e sempre come il più nobile termine di paragone in merito alla gnosi».
[37] I Dodici nella Sofia di Gesù Cristo figurano qua e là come gruppo mentre nel corso del trattato, per interrogare il Salvatore «sulla natura del tutto e sul piano salvifico del Salvatore» (n. 80), prendono la parola individualmente Filippo, Matteo, Tommaso ecc., e ognuno di loro è presentato in luce positiva.
[38] Anche i trattati rinvenuti a Nag Hammadi non provengono da una medesima corrente gnostica: «[The Nag Hammadi collection] is not a “library” of a single group at all, but a collection of disparate works of various origins. Not all of the texts are “gnostic,” and the Gnosticism represented in the texts that are gnostic is of various types» (B.A. Pearson, «Nag Hammadi», col. 989).
[39] Una delle sette regole di redazione della National Geographic Society (Washington), «la più grande istituzione scientifica e culturale di pubblica utilità del mondo» come essa si definisce, chiede ai suoi collaboratori di «... pubblicare solo informazioni positive», per cui «ogni dato spiacevole e ogni critica inopportuna devono essere evitati». Fu l’accoglimento di questa regola che a partire dal 1897 salvò dal fallimento la Society la quale, sorta nel 1888, precedentemente non era riuscita a decollare. Ligia alla sua norma del parlare sempre in positivo, la rivista omonima National Geographic giunse a elogiare l’efficienza tedesca della Berlino hitleriana, senza eccepire sulle leggi e sulla prassi del nazismo, e fu anche così che si è conquistata l’adesione di 40 milioni di lettori.
[40] Il capofila di questo modo di interpretare il Cristianesimo delle origini è Helmut Koester, con il suo Ancient Christian Gospels. Their History and Development, London - Philadelphia, 1990. - Tra i molti discepoli di Koester (R. Funk, J.D. Crossan, J. Downing, M. Borg…), Elaine Pagels parla di lui definendolo «la mia prima e insostituibile guida nella storia del cristianesimo», cf. Il Vangelo segreto di Tommaso. Indagini sul libro più scandaloso del cristianesimo delle origini, Mondadori, Milano 2005, (The Segret [sic] Gospel of Thomas, 2003), p. 174, nota 68. Il sottotitolo del libro della Pagels, aggiunto dall’editrice Mondadori nell’edizione italiana, dice come le origini cristiane siano talvolta discusse giornalisticamente, in chiave sensazionalistica.
[41] Si può dire anzi che, prima della stesura di ognuno dei quattro vangeli, è esistito un antichissimo racconto della Passione, racconto che certamente è nato per rispondere a esigenze liturgiche. Infatti anche l’autore del Quarto Vangelo, che di solito non segue i Sinottici, nel narrare la Passione li segue, proprio perché condizionato dal racconto antico di essa.
[42] Qui ricorre per la prima volta il termine «canonico / kanonikos» applicato alla lista dei libri ispirati.
[43] Basti citare Gregor Wurst, uno dei contributori del volume della National Geographic, il quale, intervistato dalla Stampa di Torino il giorno 7 aprile del 2006, due giorni prima della pubblicazione del VdG, avrebbe dichiarato che esso è soltanto «un passo importante nello studio dell’antico gnosticismo precedente Ireneo», e poi James Robinson, editore dei testi di Nag Hammadi, secondo il quale «il testo [il VdG] è utile agli studiosi che si occupano del secondo secolo, ma non perché permetta una conoscenza maggiore del NT».