Il sogno di Niccolò. Alle origini della Biblioteca Apostolica Vaticana, di Antonio Paolucci

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 20 /09 /2011 - 22:50 pm | Permalink | Homepage
- Tag usati: , , ,
- Segnala questo articolo:
These icons link to social bookmarking sites where readers can share and discover new web pages.
  • email
  • Facebook
  • Google
  • Twitter

Riprendiamo da L’Osservatore Romano del 17/9/2011 un testo di Antonio Paolucci con l’introduzione che lo accompagnava. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Su Roma e il Rinascimento vedi su questo stesso sito la sezione Roma e le sue basiliche

Il Centro culturale Gli scritti (20/9/2011)

Sabato 17 settembre a Sarzana, città natale di Papa Niccolò V, fondatore della Biblioteca Apostolica Vaticana, è presentato il volume Le origini della Biblioteca Vaticana tra Umanesimo e Rinascimento (1447-1534) a cura di Antonio Manfredi (Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 2010, pagine 531). Parteciperanno il prefetto della Biblioteca, monsignor Cesare Pasini, il curatore del volume e il direttore dei Musei Vaticani del quale anticipiamo l'intervento.

Il sogno di Borges è stato anche il sogno metodico, costante dei romani pontefici. Da quando la Chiesa ha avuto un minimo di organizzazione e di struttura, si è sempre preoccupata di raccogliere, di custodire, di moltiplicare i libri. Non poteva non essere così dal momento che, per i cristiani, tutto "prende avvio da una Parola, il lògos di Dio che si fa carne ed entra nella storia e lascia traccia scritta di sé e del suo messaggio nelle Scritture, il libro fatto di libri che è la Bibbia".

Cito da Cesare Pasini, prefetto della Biblioteca Apostolica Vaticana e dalla sua introduzione che apre il libro imponente e bellissimo fitto di bibliografia e di indici, che inaugura la storia della Biblioteca delle Biblioteche. Perché questo è stata, archetipo e modello per ogni simile istituzione nel mondo, la Libreria dei Papi di Roma.

Il volume di cui qui si parla, curato da Antonio Manfredi con la partecipazione di una folta squadra di eccellenti studiosi (Buonocore, Rita, Di Sante, Cerri, Cantatore, Pesut, Proverbio, Ceresa, Sassòli, Bertoldi) è dedicato alle origini della Biblioteca fino all'età dell'Umanesimo e del Rinascimento. Altri sei volumi seguiranno, di analogo impegno e di simili proporzioni, fino ad arrivare ai nostri giorni e alla grande impresa di riordinamento e di aggiornamento compiuta dal cardinale Raffaele Farina, l'ultimo Bibliotecario apostolico successore di Bartolomeo Platina.

Non a caso ho ricordato il Platina, perché il fuoco di questo primo volume è dedicato agli anni che videro sul soglio di Pietro i Papi umanisti Niccolò V Parentucelli e Sisto IV della Rovere.
La Libreria dei Papi aveva conosciuto nei secoli vicissitudini e dispersioni innumerevoli. Allestita all'origine nel complesso del Laterano, ricordata nel medioevo in una non meglio identificata turris cartholaria presso il Settizonio, poi trasferita ad Avignone, poi frammentata in varie sedi durante il grande scisma che dilaniò la cristianità fra Trecento e Quattrocento, bisogna attendere il pontificato di Niccolò V (1447-1455) perché la Biblioteca Apostolica in Vaticano possa dirsi ufficialmente e definitivamente formata.

Niccolò V era filologo coltissimo, umanista squisito, bibliofilo appassionato. Era amico di intellettuali del calibro di Leonardo Bruni, di Poggio Bracciolini, di Giovanni Aurispa, di Carlo Marsuppini. Di lui il grande editore fiorentino Vespasiano di Bisticci poteva scrivere "due cose farebbe s'egli mai potesse spendere, ch'era in libri et in murare e l'una e l'altra fece nel suo pontificato".

La carriera diplomatica aveva portato Tommaso Parentucelli a Napoli, a Venezia, a Firenze per il concilio del 1439 per l'effimera riconciliazione di Roma con le Chiese d'Oriente e poi legato papale in Germania e in Inghilterra. Aveva conosciuto gli intrighi della Curia Romana, le tendenze scismatiche delle Chiese nazionali, la cupidigia, le ambizioni, la stoltezza degli uomini. Per questo, come Cicerone, come Seneca, come i suoi amati autori latini, trovava pace e consolazione nei libri. E molti libri preziosi per la Biblioteca Apostolica comprò, studiò, catalogò con inflessibile amore.

Quando Niccolò V pensava alla Chiesa che la provvidenza gli aveva affidato la immaginava povera, virtuosa, sapiente ed eloquente. Per mettere in figura questa sua idea di Chiesa chiamò, appena eletto Papa, Giovanni da Fiesole, il frate pittore che noi conosciamo come Beato Angelico. Lo aveva conosciuto a Firenze nel 1439, nel suo ruolo di legato papale al concilio ecumenico.

In quel periodo l'umanista e bibliofilo Parentucelli era in rapporti di fraterna amicizia con Cosimo de' Medici, il dominus della oligarchia bancaria che dominava la Firenze di allora. Nel convento abitato da frate Giovanni, Cosimo volle fondare una biblioteca trilingue greca, latina ed ebraica, aperta a chiunque avesse ragioni e titolo per frequentarla, modello umanista della pubblica biblioteca moderna. Fu il cardinale Parentucelli a selezionare i volumi, a organizzare le sezioni nello spazio mirabile progettato dall'architetto Michelozzo di Bartolomeo. Oggi è rimasto il guscio vuoto.

Dobbiamo immaginare la biblioteca di Michelozzo gremita di libri oggi in buona parte dispersi o transitati nella Medicea Laurenziana, un ambiente affrescato in colore verde - i restauri recenti lo hanno certificato - perché il verde è amico della vista come i sapienti antichi avevano sempre affermato; una biblioteca aperta sul giardino perché la natura e i libri stanno bene insieme come aveva scritto Cicerone nelle Familiares: si hortum cum bibliotheca habebis nihil deherit. Non ti mancherà nulla se avrai accanto a te gli alberi, i fiori e i libri che ami.

L'Angelico conosciuto a Firenze il Papa lo volle a Roma perché dipingesse la sua cappella privata. La Nicolina è un ambiente piccolo, ci stanno non più di venti persone ma gli affreschi dell'Angelico sono un vero e proprio manifesto insieme culturale e religioso.

Ci sono dipinti gli evangelisti e i dottori, quelli greci e quelli latini. Poi ci sono le storie dei santi diaconi Stefano e Lorenzo. Entrambi predicarono la carità e in atti di carità li rappresentò l'Angelico, entrambi erano eloquenti. Sapevano vittoriosamente confrontarsi con i poteri di questo mondo - con il sinedrio dei Giudei, con l'imperatore dei Romani - sapevano convincere ed educare il popolo di Dio. Entrambi fecero dono della propria vita offrendosi eroicamente al martirio.
Una Chiesa dunque colta, eloquente, povera, virtuosa, caritatevole fino all'estremo sacrificio. Questo era il sogno di Chiesa coltivato da un Papa che amava i libri.

(©L'Osservatore Romano 17 settembre 2011)