Le ideologie totalitarie del novecento e la rivoluzione francese. Appunti da un dialogo con il prof.De Luca (di A.L.)

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 30 /10 /2007 - 16:20 pm | Permalink | Homepage
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Incontro un vecchio amico, Stefano De Luca, oggi professore di Storia delle dottrine politiche all’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli. Quando avevamo diciotto anni, il nostro vice-parroco fece preparare tutti noi -che avevamo dato vita con lui al CCGP, il Centro culturale giovanile Protomartiri- alle nostre prime votazioni politiche, attraverso lo studio della storia dei partiti politici. Con Stefano presentammo la storia della DC, mentre altri avevano approfondito la storia del PCI, del PRI, del PLI, del PSI. Conservo ancora i testi dattiloscritti di quegli incontri. Ognuno doveva scrivere un elaborato –erano almeno 50 pagine sulla storia di ogni partito- e presentarlo agli altri. Infine, un incontro fu dedicato al rapporto fra fede e politica.
Oltre a tanti racconti personali, parliamo dell’evoluzione della riflessione politica, in particolare di quel discrimine che è rappresentato dalla rivoluzione francese e del rapporto di quell’emergenza rivoluzionaria con i totalitarismi del XX secolo. Ecco alcuni appunti raccolti dal suo ascolto.
N.B. Ovviamente queste poche righe non rappresentano il pensiero del prof.De Luca.
Sono solo appunti presi per fissare alcuni nodi problematici intuiti ascoltandolo.


La rivoluzione francese rappresenta veramente per l’Europa continentale un discrimine. Basti pensare solo ai termini destra e sinistra che entrano nell’uso a partire dalla distribuzione dei deputati negli Stati Generali che si costituiscono poi in Assemblea costituente. Nei resoconti dell’epoca troviamo scritto: Rumori a sinistra, schiamazzi a destra. Si noti bene che dire Assemblea costituente era allora già un rovesciamento della monarchia, poiché era una affermazione implicita che quell’assemblea era il vero sovrano della nazione.

Ma il discorso del discrimine che quell’evento instaura va molto più in profondità. Ed è una cesura che non è facilmente schematizzabile secondo un facile criterio moralistico di bene e di male, di nero e di bianco. Dall’affermazione che la sovranità appartiene al popolo nasce anche, immediatamente, la possibilità del dispotismo ammantato di legittimità popolare.

Sono note le due forme del giacobinismo e del bonapartismo che seguirono in un breve volgere di anni l’insorgenza rivoluzionaria. Si giunse per queste vie a stritolare la libertà in una forma mai conosciuta prima, perché si richiedeva ora non più solo l’ossequio esteriore, ma si pretendeva l’assenso interiore. Si esigeva, cioè, il consenso del popolo.

Nasce qui il Terrore (e la polizia segreta); ma quel Terrore storicamente determinato sarà solo il preambolo di altre possibilità che da quel momento si instaureranno. Nasce qui anche l’esigenza dell’indottrinamento con la decisione di assumere in pieno il controllo della scuola e dell’educazione giovanile con i suoi movimenti. Questo sfocerà poi nelle forme ideologiche piene del XX secolo dove i dittatori di Italia e Germania, così come nei paesi comunisti, saranno leaders di una costante mobilitazione delle masse (vedi solo, come esempio, il sabato fascista). Tutto questo sarebbe stato impensabile prima di quella cesura.

Napoleone darà sì il suffragio universale, ma per la necessità di giungere ad una dittatura plebiscitaria. Tutti lo voteranno, ma lo voteranno firmando sul registro pubblico dei sì e dei no con nome e cognome (cioè saranno tutti schedati!). Nel voto palese –ha detto un autore– c’è già implicito tutto il terrore.

Il mondo antico aveva meno bisogno del consenso. Non è un caso che la chiesa sia messa nel mirino dalla rivoluzione francese.

Diverso sarà il caso della storia inglese e poi di quella americana. Lì la democrazia maturerà con una storia diversa ed in forme diverse. Diverso, ad esempio, è il ruolo del cristianesimo nelle forme che nacquero nell’Europa continentale, da un lato – dove tutto si svilupperà in esplicita rottura con la chiesa – e dell’Inghilterra e degli Stati Uniti, dall’altro, dove tutto avverrà a partire da istanze cristiane pubblicamente riconosciute. L’odierna differenza del concetto di laicità anglosassone e continentale ha origine nella storia di fine settecento. E’ di nuovo lì il discrimine. A differenza di ciò che avverrà nell’Europa continentale, per il mondo anglo-americano il fondamento dello stato nelle teorie politiche si costituirà in riferimento alla religione e non senza o addirittura contro di essa.

Si potrebbe quasi dire che con i Lumi la politica nell’Europa continentale si carichi di aspettative religiose, poiché l’illuminismo è quasi una religione secolarizzata. Precedentemente, nelle teorie politiche, si era sempre partiti dal presupposto che la politica non potesse che fare i conti con l’uomo così come esso era e che, conseguentemente, il fine politico potesse essere solo quello di governare. Per Locke la visione dell’uomo è più positiva, per Machiavelli ed Hobbes più negativa. Ma il compito della politica è, comunque, solo quello di governare. Con i Lumi il progetto si modifica. Si vuole trasformare l’uomo. Si tratta di ricreare l’uomo. Si può veder soprattutto, in questo senso, il pensiero di Rousseau. L’uomo è buono per natura, sono le istituzioni ad averlo rovinato. Ne consegue che il male è risolvibile; lo è per via politica. E’ palese qui subito il rischio del totalitarismo! Non che i Lumi ne siano la causa, ma è evidente che si apre la possibilità, prima sconosciuta.

L’ideologia del ‘900 è simile alla religione. Il comunismo è ideologico in maniera totale, il nazismo in maniera molto più rozza. Totale o più rozzo, nel senso dell’elaborazione ideologica. Se si domandasse quali sono i testi ideologici del nazismo, non si saprebbe cosa rispondere –al massimo viene in mente il Mein Kampf, che, dal punto di vista della dottrina politica è ben povera cosa. Così per il Fascismo, nello studio del quale si rimanda sempre alla voce Fascismo di Giovanni Gentile sull’ Enciclopedia Italiana e poi non si ha molto di più da aggiungere. La produzione filosofica marxista, invece, è sterminata.

Siamo, comunque, con le ideologie dinanzi alle religioni del XX secolo. Quando crollò il comunismo, per molti fu proprio come il crollo di una fede.

Forse proprio per questo rapporto con il religioso il marxismo ha avuto tanto fascino su alcuni cristiani. E’ tutto da studiare, comunque, questo rapporto fra ideologia e meccanismi scientifici. Per Marx la rivoluzione era una necessità della storia. Sarebbe avvenuta comunque. Non c’era neanche da prepararla. Essa non poteva non avvenire, se anche i marxisti non si fossero mossi. Il volontarismo nasce con Lenin. Con il suo pensiero la rivoluzione si decide. Siamo noi a farla. E questo proprio in Russia, in un paese le cui condizioni non corrispondevano al mondo descritto da Marx. Sarà la vittoria degli alleati –e dell’URSS in particolare- nella II guerra mondiale a lanciare il marxismo sul piano internazionale. Lì crescerà enormemente il prestigio comunista sovietico. Non solo per il fatto ovvio che solo da quel momento la Russia ebbe assegnata una grande fetta di paesi da controllare, ma anche perché crebbe enormemente la sua popolarità. Il comunismo aveva sconfitto il nazismo, si diceva. Anche lì si passava sotto silenzio l’alleanza fra nazisti e comunisti al tempo della spartizione della Polonia, che contribuì all’ascesa del nazismo. Prima della vittoria sul nazismo il comunismo non aveva la buona fama che da quel momento ebbe. Pesarono nell’immaginario popolare le tante vittime immolate dall’Unione Sovietica –insieme a quelle degli altri alleati.- per sconfiggere Hitler. Da Yalta nacque l’espansione dell’ideologia comunista a tutti i paesi dell’est. Se già nell’accordo con Hitler sulla Polonia Stalin aveva dato avvio all’espansione territoriale, sarà solo la fine della guerra a portarla al suo massimo sviluppo.

Lo stato totalitario ha la forza ed il potere seduttivo per far dire al popolo ciò che si vuole che dica.
L’assemblea parlamentare che esprime la voce del popolo viene presentata dalle ideologie come il luogo del potere dal basso, ma essa, con il voto palese, rende quasi impossibile una resistenza ad una decisione.

E’ impressionante vedere i filmati delle manifestazioni popolari a favore di Ceauşescu, ancora pochi giorni prima della sua caduta, con tutte le bandiere sventolanti e, pochi giorni dopo, la popolazione in rivolta che lo vuole morto.

Anche il periodo del Terrore è, in qualche modo, paradigmatico di ciò che seguirà. Lenin considerava il bolscevico come il perfetto giacobino.

Dei tre termini della Rivoluzione francese –libertà, uguaglianza, fraternità– quello che è stato meno discusso, elaborato e sviluppato nei suoi fondamenti teorico-politici è stato il terzo. E’ rimasto sullo sfondo. Anche questo termine lo ritroviamo, comunque, in contesti successivi. L’intervento dell’URSS in Ungheria sarà chiamato intervento fraterno. I partiti comunisti delle diverse nazioni verranno chiamati partiti fratelli. Certo c’è un pervertimento, ma questo avviene perché il sistema è pervertibile, fin dalle sue ambiguità illuministe.

Nel pensiero liberale continentale è Benjamin Constant nel 1806 ad aprire la strada ad una valutazione positiva della religione ai fini di una politica democratica. E’ ora possibile seguire le argomentazioni di Constant in un’opera che l’Autore non pubblicò mai in vita –probabilmente perché il clima era ormai quello del bonapartismo che mal lo avrebbe tollerato- e che è stato solo recentemente scoperto fra le sue carte rimaste fin qui inedite e pubblicato: B.Constant, Principi di politica. Versione del 1806, a cura di S.De Luca, con la prefazione di E.Hofmann, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2007. Constant rifiuta la lettura utilitaristica come chiave interpretativa del ruolo della religione nella teoria politica. Lo studioso liberale rigetta l’idea che la religione potesse avere lo scopo di tenere a freno le masse e che da questo punto di vista andasse considerata. La politica, secondo il suo pensiero, ha piuttosto bisogno di chi sia disposto a lottare per essa. Nessuno –egli afferma- lotterebbe mai con vigore per qualcosa che è solo utile, ma che non è un ideale. La democrazia ha bisogno di una forza morale che la sostenga; non basta una costituzione, per quanto perfetta, se non ci sono uomini disposti a vivere per essa e per la sua difesa. Qui si situa, nella teoria politica di Constant, l’importanza positiva della religione: essa innerva questa forza morale necessaria alla democrazia. Constant anticipa qui le tesi di Tocqueville.