La Parola di Dio nel Concilio e nella catechesi, file audio da una lezione di Andrea Lonardo

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 16 /11 /2011 - 22:47 pm | Permalink | Homepage
- Tag usati: ,
- Segnala questo articolo:
These icons link to social bookmarking sites where readers can share and discover new web pages.
  • email
  • Facebook
  • Google
  • Twitter

Mettiamo a disposizione ad experimentum per valutare l'utilizzo in futuro di files audio le registrazioni ed i testi commentati di un incontro tenuto da Andrea Lonardo il 14/11/2011 sulla Parola di Dio nel Concilio e nella catechesi, in occasione del Corso di formazione per catechisti che si tiene in Vicariato. Il file audio della precedente lezione è on-line al link La quadripartizione del Catechismo della Chiesa Cattolica e l'ispirazione catecumenale dell'iniziazione cristiana.

Il Centro culturale Gli scritti (9/11/2011)

Ascolto Parte 1

Download paroladio01.mp3.

Riproducendo "paroladio01".



Download Parte 1: Download


Ascolto Parte 2

Download paroladio02.mp3.

Riproducendo "paroladio02".



Download Parte 2: Download

TESTO CONSEGNATO AI PARTECIPANTI ALLA LEZIONE CON TRACCIA DELL'INCONTRO

La rivelazione nella Dei Verbum e nella catechesi

Andrea Lonardo www.ucroma.it e www.gliscritti.it

 

1.1/ La Parola di Dio, il Verbum Dei è Gesù Cristo... Dio si è rivelato “in persona”... la rivelazione cristiana è “personale”, è il “volto di Dio” che emerge... (CCC I parte, I sezione, Cap. II articolo I)

dalla Dei Verbum
CAPITOLO I LA RIVELAZIONE
Natura e oggetto della Rivelazione
2. Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelarsi in persona (Seipsum revelare) e manifestare il mistero della sua volontà (cfr. Ef 1,9), mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, hanno accesso al Padre nello Spirito Santo e sono resi partecipi della divina natura (cfr. Ef 2,18; 2 Pt 1,4). Con questa Rivelazione infatti Dio invisibile (cfr. Col 1,15; 1 Tm 1,17) nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici (cfr. Es 33,11; Gv 15,14-15) e si intrattiene con essi (cfr. Bar 3,38), per invitarli e ammetterli alla comunione con sé.

da Henri De Lubac, Esegesi medievale. I quattro sensi della Scrittura, vol. III, trad. it. Jaca Book, Milano 1996; il testo è stato ripreso dal sito www.letterepaoline.it curato da Luigi Walt
In Gesù Cristo, che ne era il fine, l’antica Legge trovava in precedenza la sua unità. Di secolo in secolo, tutto in questa Legge convergeva verso di Lui. È Lui che, della “totalità delle Scritture”, formava già “l’unica Parola di Dio”…
In Lui, i “verba multa” (le molte parole) degli scrittori biblici diventano per sempre “Verbum unum” (l’unica Parola). Senza di Lui, invece, il legame si scioglie: di nuovo la parola di Dio si riduce a frammenti di “parole umane”; parole molteplici, non soltanto numerose, ma molteplici per essenza e senza unità possibile, perché, come constata Ugo di San Vittore, “multi sunt sermones hominis, quia cor hominis unum non est” (numerose sono le parole dell’uomo, perché il cuore dell’uomo non è uno)…
Sì, Verbo abbreviato, “abbreviatissimo”, “brevissimum”, ma sostanziale per eccellenza. Verbo abbreviato, ma più grande di ciò che abbrevia. Unità di pienezza. Concentrazione di luce. L’incarnazione del Verbo equivale all’apertura del Libro, la cui molteplicità esteriore lascia ormai percepire il “midollo” unico, questo midollo di cui i fedeli si nutriranno. Ecco che con il fiat (accada) di Maria che risponde all’annunzio dell’angelo, la Parola, fin qui soltanto “udibile alle orecchie”, è diventata “visibile agli occhi, palpabile alle mani, portabile alle spalle”. Più ancora: essa è diventata “mangiabile”.
Niente delle verità antiche, niente degli antichi precetti è andato perduto, ma tutto è passato a uno stato migliore. Tutte le Scritture si riuniscono nelle mani di Gesù come il pane eucaristico, e, portandole, egli porta sé stesso nelle sue mani: “tutta la Bibbia in sostanza, affinché noi ne facciamo un solo boccone...”.
“A più riprese e sotto varie forme” Dio aveva distribuito agli uomini, foglio per foglio, un libro scritto, nel quale una Parola unica era nascosta sotto numerose parole: oggi egli apre loro questo libro, per mostrare loro tutte queste parole riunite nella Parola unica. Filius incarnatus, Verbum incarnatum, Liber maximus (Figlio incarnato, Verbo incarnato, Libro per eccellenza): la pergamena del Libro è ormai la sua carne; ciò che vi è scritto sopra è la sua divinità…
Le due forme del Verbo abbreviato e dilatato sono inseparabili. Il Libro dunque rimane, ma nello stesso tempo passa tutt’intero in Gesù e per il credente la sua meditazione consiste nel contemplare questo passaggio. Mani e Maometto hanno scritto dei libri. Gesù, invece, non ha scritto niente; Mosè e gli altri profeti “hanno scritto di lui”. Il rapporto tra il Libro e la sua Persona è dunque l’opposto del rapporto che si osserva altrove. Così la Legge evangelica non è affatto una “lex scripta” (legge scritta).
Il cristianesimo, propriamente parlando, non è affatto una “religione del Libro”: è la religione della Parola – ma non unicamente né principalmente della Parola sotto la sua forma scritta. Esso è la religione del Verbo, “non di un verbo scritto e muto, ma di un Verbo incarnato e vivo”. La Parola di Dio adesso è qui tra di noi, “in maniera tale che la si vede e la si tocca”: Parola “viva ed efficace”, unica e personale, che unifica e sublima tutte le parole che le rendono testimonianza.

1 Cor 1,20Dov’è il sapiente? Dov’è il dotto? Dov’è il sottile ragionatore di questo mondo? Dio non ha forse dimostrato stolta la sapienza del mondo? 21Poiché infatti, nel disegno sapiente di Dio, il mondo, con tutta la sua sapienza, non ha conosciuto Dio, è piaciuto a Dio salvare i credenti con la stoltezza della predicazione.

Rom 10,20 Sono stato trovato da coloro che non mi cercano.

cfr. il “mysterion” in Paolo: 1Cor 2,1.7; Rom 16,25; Col 1,26.27; 2,2; 4,3; Ef 1,9; 3,3.4.9; 5,32; 6,19

1.2/ Cristo è il mediatore e la pienezza di tutta intera la rivelazione 

dalla Dei Verbum 2
Questa economia della Rivelazione comprende eventi e parole intimamente connessi, in modo che le opere, compiute da Dio nella storia della salvezza, manifestano e rafforzano la dottrina e le realtà significate dalle parole, mentre le parole proclamano le opere e illustrano il mistero in esse contenuto. La profonda verità, poi, che questa Rivelazione manifesta su Dio e sulla salvezza degli uomini, risplende per noi in Cristo, il quale è insieme il mediatore e la pienezza di tutta intera la Rivelazione.
Preparazione della Rivelazione evangelica

3. Dio, il quale crea e conserva tutte le cose per mezzo del Verbo (cfr. Gv 1,3), offre agli uomini nelle cose create una perenne testimonianza di sé (cfr. Rm 1,19-20); inoltre, volendo aprire la via di una salvezza superiore, fin dal principio manifestò se stesso ai progenitori. Dopo la loro caduta, con la promessa della redenzione, li risollevò alla speranza della salvezza (cfr. Gn 3,15), ed ebbe assidua cura del genere umano, per dare la vita eterna a tutti coloro i quali cercano la salvezza con la perseveranza nella pratica del bene (cfr. Rm 2,6-7). A suo tempo chiamò Abramo, per fare di lui un gran popolo (cfr. Gn 12,2); dopo i patriarchi ammaestrò questo popolo per mezzo di Mosè e dei profeti, affinché lo riconoscesse come il solo Dio vivo e vero, Padre provvido e giusto giudice, e stesse in attesa del Salvatore promesso, preparando in tal modo lungo i secoli la via all'Evangelo.
Cristo completa la Rivelazione
4. Dopo aver a più riprese e in più modi, parlato per mezzo dei profeti, Dio «alla fine, nei giorni nostri, ha parlato a noi per mezzo del Figlio» (Eb 1,1-2). Mandò infatti suo Figlio, cioè il Verbo eterno, che illumina tutti gli uomini, affinché dimorasse tra gli uomini e spiegasse loro i segreti di Dio (cfr. Gv 1,1-18). Gesù Cristo dunque, Verbo fatto carne, mandato come «uomo agli uomini », « parla le parole di Dio » (Gv 3,34) e porta a compimento l'opera di salvezza affidatagli dal Padre (cfr. Gv 5,36; 17,4). Perciò egli, vedendo il quale si vede anche il Padre (cfr. Gv 14,9), col fatto stesso della sua presenza e con la manifestazione che fa di sé con le parole e con le opere, con i segni e con i miracoli, e specialmente con la sua morte e la sua risurrezione di tra i morti, e infine con l'invio dello Spirito di verità, compie e completa la Rivelazione e la corrobora con la testimonianza divina, che cioè Dio è con noi per liberarci dalle tenebre del peccato e della morte e risuscitarci per la vita eterna. L'economia cristiana dunque, in quanto è l'Alleanza nuova e definitiva, non passerà mai, e non è da aspettarsi alcun'altra Rivelazione pubblica prima della manifestazione gloriosa del Signore nostro Gesù Cristo (cfr. 1 Tm 6,14 e Tt 2,13).

dalla relazione Gesù di Nazaret: realtà storica e potenza salvifica. Un approccio teologico al libro di Benedetto XVI , di S.Em. il cardinal Camillo Ruini al Clero della Diocesi di Roma, tenuta presso la Pontificia Università Lateranense, il 6 dicembre 2007
Termino con una considerazione più personale, che riguarda i rapporti tra la nostra conoscenza di Gesù e la nostra conoscenza di Dio. Nella relazione dello scorso anno (N.d.R. Relazione al clero di Roma), dedicata alle strutture del pensiero di Benedetto XVI, osservavo che, in concreto, la via che conduce a Dio è Gesù Cristo: soltanto in lui infatti possiamo conoscere il volto di Dio, il suo atteggiamento verso di noi e il mistero della sua vita intima, e soltanto nella croce del Figlio – manifestazione radicale ed estrema dell’amore di Dio per noi – può trovare una risposta, misteriosa ma convincente, il problema del male e della sofferenza, che è la fonte del dubbio più grave circa l’esistenza di Dio. Vorrei ora percorrere, per così dire, la strada inversa, mostrando che per conoscere davvero Gesù Cristo è necessario fare spazio a Dio. Se infatti Dio non c’è, o comunque non può agire nella storia e manifestarsi personalmente a noi, il Gesù dei Vangeli, in concreto il Gesù reale e storico, perde consistenza e svanisce inevitabilmente: non solo non potrebbe aver operato dei miracoli e tanto meno essere risorto dai morti, ma il suo stesso rapporto intimo, anzi unico con Dio e il suo porsi come colui nel quale si incontra Dio potrebbero essere al massimo una nobile illusione.

1.3/ La fede è la risposta “adeguata” dell’uomo al Dio che si rivela (CCC Parte I sezione I cap. III) 

dalla Dei Verbum
Accogliere la Rivelazione con fede

5. A Dio che rivela è dovuta «l'obbedienza della fede» (Rm 16,26; cfr. Rm 1,5; 2 Cor 10,5-6), con la quale l'uomo gli si abbandona tutt'intero e liberamente prestandogli «il pieno ossequio dell'intelletto e della volontà» e assentendo volontariamente alla Rivelazione che egli fa. Perché si possa prestare questa fede, sono necessari la grazia di Dio che previene e soccorre e gli aiuti interiori dello Spirito Santo, il quale muova il cuore e lo rivolga a Dio, apra gli occhi dello spirito e dia «a tutti dolcezza nel consentire e nel credere alla verità». Affinché poi l' intelligenza della Rivelazione diventi sempre più profonda, lo stesso Spirito Santo perfeziona continuamente la fede per mezzo dei suoi doni.

da «Si dimenticò la brocca»: la donna samaritana incontra Gesù al pozzo, di Bruno Maggioni (su www.gliscritti.it)
Se parti dall'inquietudine dell'uomo non vai lontano; alcuni sono inquieti, alcuni non lo sono, (magari ti dicono che lo saranno nella terza età...). Non è questo il punto, secondo me. Il punto è presentare Gesù Cristo, attirare l'attenzione su di Lui. Non è detto che affascini tutti, lo so benissimo, ma è come quando uno è abituato alla cattiva musica e gli fate sentire della bella musica: c'è caso che vi dica "Non mi piace più quella di prima", proprio perché ha scoperto qualcosa di nuovo, qualcosa di più bello.
Un esempio che racconto sempre, (perché mi sembra così vivo e così comune), è quello dei due ragazzi che si sposano e che, come spesso accade, vogliono aspettare ad avere un figlio per prima pagare il mutuo (i bambini oggi son tutti figli del dopo mutuo!); se però per caso "scappa" un bambino (e i due ragazzi brontolano, perché è un problema, perché cambia tutti i loro progetti, ecc ecc), quando poi il bambino è nato son lì tutti e due che gli muoiono addosso, incantati, "...ma come facevamo a vivere prima, senza questo bambino!". Ma lo dicono adesso, perché hanno avuto l'incontro, prima vivevano benissimo! Questo mi pare davvero il succo, il succo di tutto.
Ecco perché io non parto più dalle domande dell'uomo. Certo, cerco di utilizzarle, là dove c'è un uomo che ha domande o comunque dove sospetto che ci siano domande; però parto dall'annuncio di Gesù Cristo, sperando di riuscire a comunicarne il fascino, la bellezza, sperando che sia Lui poi a far sorgere le domande importanti.
È Gesù Cristo che crea le domande, che fa nascere il desiderio. Non sempre, guardando dentro di te, cogli questo desiderio, può essere tacitato per tanti motivi... Non possiamo partire solo da quello.

cfr. in Hans Urs von Balthasar l’amore come miracolo e l’estetica musicale 

1.4/ L’uomo è capax Dei (CCC parte I, sezione I, cap. I)

capace di Dio... può ricevere questo dono

non la può produrre... la può ricevere...

2/ La Tradizione trasmette integralmente la Parola di Dio (Verbum Dei) ed, insieme, la Sacra Scrittura è Parola di Dio (Verbum/locutio Dei) (CCC I parte, I sezione, Cap. II articoli 2 e 3)

CAPITOLO II LA TRASMISSIONE DELLA DIVINA RIVELAZIONE
Gli apostoli e i loro successori, missionari del Vangelo
7. Dio, con somma benignità, dispose che quanto egli aveva rivelato per la salvezza di tutte le genti, rimanesse per sempre integro e venisse trasmesso a tutte le generazioni. Perciò Cristo Signore, nel quale trova compimento tutta intera la Rivelazione di Dio altissimo, ordinò agli apostoli che l'Evangelo, prima promesso per mezzo dei profeti e da lui adempiuto e promulgato di persona venisse da loro predicato a tutti come la fonte di ogni verità salutare e di ogni regola morale, comunicando così ad essi i doni divini. Ciò venne fedelmente eseguito, tanto dagli apostoli, i quali nella predicazione orale, con gli esempi e le istituzioni trasmisero sia ciò che avevano ricevuto dalla bocca del Cristo vivendo con lui e guardandolo agire, sia ciò che avevano imparato dai suggerimenti dello Spirito Santo, quanto da quegli apostoli e da uomini della loro cerchia, i quali, per ispirazione dello Spirito Santo, misero per scritto il messaggio della salvezza.
Gli apostoli poi, affinché l'Evangelo si conservasse sempre integro e vivo nella Chiesa, lasciarono come loro successori i vescovi, ad essi «affidando il loro proprio posto di maestri». Questa sacra Tradizione e la Scrittura sacra dell'uno e dell'altro Testamento sono dunque come uno specchio nel quale la Chiesa pellegrina in terra contempla Dio, dal quale tutto riceve, finché giunga a vederlo faccia a faccia, com'egli è (cfr. 1 Gv 3,2).
La sacra tradizione
8. Pertanto la predicazione apostolica, che è espressa in modo speciale nei libri ispirati, doveva esser conservata con una successione ininterrotta fino alla fine dei tempi. Gli apostoli perciò, trasmettendo ciò che essi stessi avevano ricevuto, ammoniscono i fedeli ad attenersi alle tradizioni che avevano appreso sia a voce che per iscritto (cfr. 2 Ts 2,15), e di combattere per quella fede che era stata ad essi trasmessa una volta per sempre. Ciò che fu trasmesso dagli apostoli, poi, comprende tutto quanto contribuisce alla condotta santa del popolo di Dio e all'incremento della fede; così la Chiesa nella sua dottrina, nella sua vita e nel suo culto, perpetua e trasmette a tutte le generazioni tutto ciò che essa è, tutto ciò che essa crede.
Questa Tradizione di origine apostolica progredisce nella Chiesa con l'assistenza dello Spirito Santo: cresce infatti la comprensione, tanto delle cose quanto delle parole trasmesse, sia con la contemplazione e lo studio dei credenti che le meditano in cuor loro (cfr. Lc 2,19 e 51), sia con la intelligenza data da una più profonda esperienza delle cose spirituali, sia per la predicazione di coloro i quali con la successione episcopale hanno ricevuto un carisma sicuro di verità. Così la Chiesa nel corso dei secoli tende incessantemente alla pienezza della verità divina, finché in essa vengano a compimento le parole di Dio.
Le asserzioni dei santi Padri attestano la vivificante presenza di questa Tradizione, le cui ricchezze sono trasfuse nella pratica e nella vita della Chiesa che crede e che prega. È questa Tradizione che fa conoscere alla Chiesa l'intero canone dei libri sacri e nella Chiesa fa più profondamente comprendere e rende ininterrottamente operanti le stesse sacre Scritture. Così Dio, il quale ha parlato in passato non cessa di parlare con la sposa del suo Figlio diletto, e lo Spirito Santo, per mezzo del quale la viva voce dell'Evangelo risuona nella Chiesa e per mezzo di questa nel mondo, introduce i credenti alla verità intera e in essi fa risiedere la parola di Cristo in tutta la sua ricchezza (cfr. Col 3,16).
Relazioni tra la Scrittura e la Tradizione
9. La sacra Tradizione dunque e la sacra Scrittura sono strettamente congiunte e comunicanti tra loro. Poiché ambedue scaturiscono dalla stessa divina sorgente, esse formano in certo qual modo un tutto e tendono allo stesso fine. Infatti la sacra Scrittura è parola di Dio (locutio Dei) in quanto consegnata per iscritto per ispirazione dello Spirito divino; quanto alla sacra Tradizione, essa trasmette integralmente la parola di Dio (Verbum Dei) affidata da Cristo Signore e dallo Spirito Santo agli apostoli, ai loro successori, affinché, illuminati dallo Spirito di verità, con la loro predicazione fedelmente la conservino, la espongano e la diffondano; ne risulta così che la Chiesa attinge la certezza su tutte le cose rivelate non dalla sola Scrittura e che di conseguenza l'una e l'altra devono essere accettate e venerate con pari sentimento di pietà e riverenza.

2.1/ Teologicamente e cronologicamente la Tradizione viene prima 

1 Tes 2,13Proprio per questo anche noi ringraziamo Dio continuamente, perché, avendo ricevuto da noi la parola divina della predicazione, l'avete accolta non quale parola di uomini, ma, come è veramente, quale parola di Dio, che opera in voi che credete. 14Voi infatti, fratelli, siete diventati imitatori delle Chiese di Dio in Gesù Cristo, che sono nella Giudea, perché avete sofferto anche voi da parte dei vostri connazionali come loro da parte dei Giudei, 

da Il rapporto Scrittura e tradizione secondo la Dei Verbum, di Umberto Betti, p. 234
A differenza della Scrittura, la predicazione viva traduce in pratica quanto annunzia e ne attualizza, per quanto possibile, la realtà intera. Una cosa, per esempio, è raccontare l’istituzione e la celebrazione dell’eucarestia; altra cosa è celebrarla e parteciparne. Il racconto rimane sul piano storico e nozionale; la celebrazione ne dà esperienza spirituale e conferisce la grazia che salva. La trasmissione della predicazione apostolica al di fuori della Scrittura, come pure tutto ciò che ne è oggetto, si chiama Tradizione.

dalla relazione del cardinal Camillo Ruini sul tema Teologia e cultura. Terre di confine, tenuta alla Fiera Internazionale del libro di Torino, l’11 maggio 2007
(Voglio richiamarmi) all’analisi della natura della divina rivelazione che J. Ratzinger aveva elaborato nello studio su San Bonaventura con cui intendeva conseguire l’abilitazione all’insegnamento accademico e che è riproposta sinteticamente nel suo libro La mia vita (ed. San Paolo, pp. 72 e 88-93). La rivelazione è cioè anzitutto l’atto con cui Dio manifesta se stesso, non il risultato oggettivato (scritto) di questo atto. Per conseguenza, del concetto stesso di rivelazione fa parte il soggetto che la riceve e la comprende – in concreto il popolo di Dio dell’Antico e del Nuovo Testamento –, dato che se nessuno percepisse la rivelazione nulla sarebbe stato svelato, nessuna rivelazione sarebbe avvenuta. Perciò la rivelazione precede la Scrittura e si riflette in essa, ma non è semplicemente identica ad essa, e la Scrittura stessa è legata al soggetto che accoglie e comprende sia la rivelazione sia la Scrittura, ossia alla Chiesa. Concretamente la Scrittura nasce e vive all’interno di questo soggetto. Con ciò è dato il significato essenziale della tradizione ed anche il motivo profondo del carattere ecclesiale della fede e della teologia, oltre che il fondamento della validità di un approccio alla Scrittura che sia al contempo storico e teologico. E’ dunque con buona coscienza e consapevolezza critica che possiamo accogliere, come teologi, quell’intima relazione della Scrittura e della tradizione con tutta la Chiesa e con il suo magistero di cui ci parla il n. 10 della Dei Verbum.

2.2/ Ma la Scrittura è punto di riferimento e regola perché ispirata nelle sue determinazioni concrete

da Il rapporto Scrittura e tradizione secondo la Dei Verbum, di Umberto Betti, pp. 250-255
Ai fini della trasmissione e della conoscenza di tutta la Rivelazione, la Tradizione e la Scrittura, sono tutt’e due necessarie, e quindi né l’una né l’altra è sufficiente da sola. Questo dice che tra di esse esiste un rapporto di mutua interdipendenza, fondato su elementi che ambedue hanno in comune e su elementi propri a ciascuna.
1. Uguaglianza di origine e differenza di espressione
L’elemento fondamentale che la tradizione e la Scrittura hanno in comune è la stessa origine da Dio e lo stesso fine da lui assegnato a tutt’e due: quello di trasmettere la Rivelazione, cioè tutta l’economia della salvezza. Questa trasmissione però avviene in modo diverso, e quindi ha anche espressione diversa. La Scrittura, perché divinamente ispirata, è parola di Dio non solo quanto al contenuto, ma anche quanto alla sua espressione verbale. La Tradizione invece, pur contenendo ugualmente la parola di Dio, intesa nel senso più vasto di tutto ciò che proviene da lui in ordine alla salvezza, non è parola di Dio nelle sue manifestazioni: queste non sono divinamente ispirate, e quindi rimangono sempre semplicemente umane.
Di qui due conseguenze per la Tradizione stessa, che interessano ancora la sua trasmissione nella Chiesa.
La proprietà che essa ha in comune con la Scrittura, di contenere la parola di Dio, esige che questa rimanga inalterata. L’ufficio e il dovere dei successori degli Apostoli di esporla e di propagarla sono perciò vincolati all’ufficio e dovere di conservarla fedelmente. La differenza qualitativa tra gli Apostoli, ministri della Rivelazione nel suo stesso costituirsi, e i loro successori, soltanto depositari della medesima, rende incapaci quest’ultimi di aggiungere quantità nuove all’eredità ricevuta. Quindi il criterio di autenticità della tradizione rimane per sempre la sua apostolicità.
La proprietà che la differenzia dalla Scrittura, di essere sprovvista di ispirazione divina nelle sue manifestazioni, non la costringe in nessuna formula determinata od espressione fissa. Essa perciò ha l’attitudine permanente ad incorporarsi a tutte le situazioni ed istituzioni in cui si concretizza storicamente la Chiesa. L’unica condizione per essere accreditata come veicolo di Rivelazione è che le sue manifestazioni, di qualunque genere esse siano, coincidano con le indicazioni della Scrittura. Questa infatti, non essendo altro che predicazione apostolica in forma di scrittura sacra, non può essere contraddetta da nessuna forma di predicazione non scritta. Come dunque nella Scrittura non può esservi nulla che non concordi con la Tradizione, così niente potrà essere nella Tradizione che non concordi con la Scrittura.
Ciò deriva, in ultima istanza, dal fatto che la Tradizione non è altro che Vangelo vissuto e, in quanto tale, testimonianza insostituibile del Vangelo scritto.

da una lettera di J. R. R. Tolkien a Michael Tolkien in J. R. R. Tolkien, La realtà in trasparenza. Lettere (a cura di Humphrey Carpenter e Christopher Tolkien), Bompiani, Milano, 2001, pag.442.
I “protestanti” cercano nel passato la “semplicità” e il rapporto diretto... la “mia chiesa” non è stata concepita da Nostro Signore perché restasse statica o rimanesse in uno stato di eterna fanciullezza; ma perché fosse un organismo vivente (come una pianta), che si sviluppa e cambia all’esterno in seguito all’interazione fra la vita divina tramandatale e la storia – le particolari circostanze del mondo in cui si trova. Non c’è alcuna somiglianza tra il seme di senape e l’albero quando è completamente cresciuto. Per quelli che vivono all’epoca della sua piena crescita è l’albero che conta, perché la storia di una cosa viva fa parte della vita e la storia di una cosa divina è sacra. I saggi sanno che tutto è cominciato dal seme, ma è inutile cercare di riportarlo alla luce scavando, perché non esiste più e le sue virtù e i suoi poteri ora sono passati all’albero. Molto bene: le autorità, i custodi dell’albero devono seguirlo, in base alla saggezza che posseggono, potarlo, curare le sue malattie, togliere i parassiti e così via. (Con trepidazione, consapevoli di quanto poco sanno della sua crescita!) Ma faranno certamente dei danni, se sono ossessionati dal desiderio di tornare indietro al seme o anche alla prima giovinezza della pianta quando era (come pensano loro) bella e incontaminata dal male.

2.3/ L’importanza di questo nella catechesi 

da J. Ratzinger, Dogma e predicazione, Queriniana, Brescia, 1974, p. 26
I Simboli [della fede], intesi come la forma tipica ed il saldo punto di cristallizzazione di ciò che si chiamerà più tardi dogma, non sono un’aggiunta alla Scrittura, ma il filo conduttore attraverso di essa; sono il canone nel canone, appositamente elaborato; sono per così dire il filo di Arianna, che permette di percorrere il Labirinto e ne fa conoscere la pianta. Conseguentemente, non sono neppure la spiegazione che viene dall’esterno ed è riferita ai punti oscuri. Loro compito è, invece, rimandare alla figura che brilla di luce propria, dar risalto a quella figura, in modo da far risplendere la chiarezza intrinseca della Scrittura. [Contro questa visione del dogma] una tendenza molto più forte considera la fede della comunità in maniera completamente diversa: poiché, si dice, ciò che è comune ed oggettivo non può più essere fondato e colto, la fede allora è, di volta in volta, ciò che la comunità presente pensa e, nello scambio delle idee («dialogo»), raggiunge come convinzione comune. La «comunità» prende il posto della chiesa, la sua esperienza religiosa quello della tradizione ecclesiastica. Con una siffatta concezione si è abbandonato non solo la fede, nel senso vero e proprio del termine, ma si è rinunciato logicamente anche ad una reale predicazione ed alla chiesa stessa; il «dialogo», di cui ora si parla, non è una predicazione, ma un dialogo con se stessi, seguendo l’eco di antiche tradizioni. 

dal Direttorio generale per la catechesi, 128
La catechesi trasmette il contenuto della Parola di Dio secondo le due modalità con cui la Chiesa lo possiede, lo interiorizza e lo vive: come narrazione della Storia della Salvezza e come esplicitazione del Simbolo della fede. La Sacra Scrittura e il Catechismo della Chiesa Cattolica debbono ispirare tanto la catechesi biblica quanto la catechesi dottrinale, che veicolano questo contenuto della Parola di Dio.

3/ L’origine apostolica dei vangeli 

dalla Dei Verbum
Origine apostolica dei Vangeli
18. A nessuno sfugge che tra tutte le Scritture, anche quelle del Nuovo Testamento, i Vangeli possiedono una superiorità meritata, in quanto costituiscono la principale testimonianza relativa alla vita e alla dottrina del Verbo incarnato, nostro Salvatore. La Chiesa ha sempre e in ogni luogo ritenuto e ritiene che i quattro Vangeli sono di origine apostolica. Infatti, ciò che gli apostoli per mandato di Cristo predicarono, in seguito, per ispirazione dello Spirito Santo, fu dagli stessi e da uomini della loro cerchia tramandato in scritti che sono il fondamento della fede, cioè l'Evangelo quadriforme secondo Matteo, Marco, Luca e Giovanni.
Carattere storico dei Vangeli
19. La santa madre Chiesa ha ritenuto e ritiene con fermezza e con la più grande costanza che i quattro suindicati Vangeli, di cui afferma senza esitazione la storicità, trasmettono fedelmente quanto Gesù Figlio di Dio, durante la sua vita tra gli uomini, effettivamente operò e insegnò per la loro eterna salvezza, fino al giorno in cui fu assunto in cielo (cfr At 1,1-2). Gli apostoli poi, dopo l'Ascensione del Signore, trasmisero ai loro ascoltatori ciò che egli aveva detto e fatto, con quella più completa intelligenza delle cose, di cui essi, ammaestrati dagli eventi gloriosi di Cristo e illuminati dallo Spirito di verità, godevano. E gli autori sacri scrissero i quattro Vangeli, scegliendo alcune cose tra le molte che erano tramandate a voce o già per iscritto, redigendo un riassunto di altre, o spiegandole con riguardo alla situazione delle Chiese, conservando infine il carattere di predicazione, sempre però in modo tale da riferire su Gesù cose vere e sincere. Essi infatti, attingendo sia ai propri ricordi sia alla testimonianza di coloro i quali «fin dal principio furono testimoni oculari e ministri della parola», scrissero con l'intenzione di farci conoscere la «verità» (cfr. Lc 1,2-4) degli insegnamenti che abbiamo ricevuto.