Vattimo: più che debole, pensiero facile, di Vittorio Possenti

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 06 /03 /2012 - 19:56 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo da Avvenire del 3/3/2012 una recensione di Vittorio Possenti a Gianni Vattimo, Della realtà, Garzanti. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.

Il Centro culturale Gli scritti (6/3/2012)

«Un’ermeneutica radicalmente pensata non può che essere nichilistica e cioè pensiero debole». Ad essa si lega la dissoluzione dell’oggettività, il rifiuto dell’idea di verità e della metafisica, l’antirealismo: così Vattimo nel recente Della realtà, che raccoglie lezioni e interventi degli ultimi 15 anni. Il lettore esperto non trova nel volume particolari novità ma la ripetizione di tesi già molte volte esposte, sia pure con alcuni riferimenti nuovi ad autori anglosassoni. Tali esiti erano già chiari vent’anni fa, quando li sintetizzai nella nichilistica consumazione del principio di realtà e nella completa separazione tra verità e realtà, esplicitamente perseguita dall’autore. Lo scopo è colpire la stessa possibilità della filosofia come tale.

Tesi reggente è ancora e sempre l’idea che non vi siano fatti ma solo interpretazioni, e che tale asserto è anch’esso un’interpretazione (Nietzsche). Il volume è costruito in un insistito commento di Nietzsche ed Heidegger, che rischia di avviare una nuova scolastica poco digeribile come tutte le scolastiche. Persiste l’accusa, particolarmente assurda, alla metafisica ed alla verità di essere violente: è una mera espressione verbale sostenere che evidenze e principi hanno a che fare con dominio e violenza.

Non vi sono novità neanche nella completa abolizione dell’elemento teoretico che l’autore pratica da sempre con coscienza sin troppo retta, e che a me pare il «peccato mortale» del debolismo e di non poca filosofia del Novecento. Del realismo classico o metodico non vi è traccia nel volume, dal momento che nessuno degli autori che vi vengono discussi appartiene a tale prospettiva.

Rimane perciò deviante richiamarsi al Rorty dello Specchio della natura come a colui che ha dissolto l’oppressivo realismo che voleva rispecchiare il mondo. Rorty si è ingannato in maniera inusitata nell’intendere la conoscenza come specchio, una banalità di prima grandezza. Rimane comunque alta l’impressione che la metafisica oggettivi­stica contro cui Heidegger e Vattimo si scagliano assomigli a quella del positivismo, non a quella dell’essere. Quanto al realismo, occorrerebbe che si distinguesse al­meno tra realismo come capacità di arrangiarsi nella vita e realismo come compito volto a conoscere la vita e l’essere, mentre il volume dà quasi l’impressione di assimilarli.

Un cambio generale di linguaggio sarebbe auspicabile, poiché l’autore sembra essere vittima di quello di cui si è finora servito. Coerentemente con la dissoluzione del teoretico, Vattimo apre spiragli sulla prassi, che potrebbero forse risultare interessanti se depurati dall’eccesso di commistione tra piano ermeneutico e immediata attualità.

L’avversione per alcuni leaders (o ex) dell’Occidente non è sufficiente garanzia di bontà di diagnosi politiche. In fin dei conti Della realtà manifesta una forma di storicismo in affanno, cosa tutto sommato non incongrua, essendo Heidegger – a detta di Leo Strauss – uno storicista radicale. La mancanza di effettive novità potrebbe segnalare che il «debolismo» ha detto tutto ciò che poteva dire e che sembra avviato a un declino non immeritato. Il nichilismo ermeneutico difficilmente potrà continuare nella sua interpretazione infinita, e la presunzione di poter liquidare la realtà con un testo molteplici volte interpretato mostra ormai la corda.

Mi sembra infatti che pochi – e filtrati da un accademismo di maniera che sta più attento al testo che alla dura realtà – siano i problemi reali cui si allude. È l’idea stessa di filosofia che viene adulterata, essendo il compito del filosofo non quello di interpretare testi ma di meditare sulla verità delle cose. Il debolismo tende a generalizzare e talvolta a profetizzare: non ha la pazienza di confrontarsi coi problemi e di discuterli col dovuto rigore concettuale. Fa riflettere che nei libri della scuola non vi sia traccia di cosa significhi conoscere e come accada la conoscenza. Il pensiero debole dovrebbe essere più consapevole del rischio di mutarsi nel pensiero facile.