L'amore è la nostra essenza. I mistici fiamminghi. Intervista con il professor Rob Faesen di Paola de Groot-Testoni

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 09 /03 /2012 - 13:57 pm | Permalink | Homepage
- Segnala questo articolo:
These icons link to social bookmarking sites where readers can share and discover new web pages.
  • email
  • Facebook
  • Google
  • Twitter

Riprendiamo dall’Agenzia di stampa Zenit del 5/6/7 marzo 2012 un’intervista al professor Rob Faesen di Paola de Groot-Testoni. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Dalla terza parte dell’intervista sono state omesse sul nostro sito alcune domande non pertinenti all’argomento della mistica fiamminga.

Il Centro culturale Gli scritti (9/3/2012)

Proponiamo di seguito un’intervista con il professor Rob Faesen, docente presso la Facoltà di Teologia e Scienze Religiose dell’Università Cattolica di Lovanio (KULeuven, Belgio) e l’Università di Anversa (UA), esperto dei grandi mistici e mistiche del Trecento e del Quattrocento nei Paesi Bassi. Il prof. Faesen ha collaborato all’edizione critica dell’Opera Omnia di Jan van Ruusbroec nel Corpus Christianorum Continuatio Mediaevalis ed è coautore del volume Late Medieval Mysticism of the Low Countries nella collana Classics of Western Spirituality.

(Prima parte dell’intervista)

Professor Faesen, lei è specializzato in letteratura mistica dei Paesi Bassi e delle Fiandre. Da dove viene questo interesse o passione?

Faesen: Inizialmente, questo interesse nacque dall’incontro con diverse persone che mi hanno fatto conoscere con grande entusiasmo questa letteratura mistica. In particolare, desidero ricordare Padre Albert Deblaere, che è stato professore alla Gregoriana di Roma. Era quasi cieco, ma aveva uno sguardo spirituale e intellettuale molto profondo sulla letteratura mistica. E man mano che venivo a contatto con i testi degli autori mistici dei Paesi Bassi, come Ruusbroec, ne restavo sempre più affascinato. Qui ho scoperto scrittori per i quali Dio è veramente Dio, e l’uomo pienamente uomo, che osavano prendere molto sul serio l’incontro reale tra Dio e l’uomo. Inoltre, questi sono autori che nel loro scrivere, pensare e vivere hanno esplorato la profondità abissale dell’amore. L’amore non come una “sensazione”, ma come vera e propria base senza limite dell’esistenza.

Qual è la specificità della mistica dei Paesi Bassi?

Faesen: Si dice che il cistercense del XII secolo Guglielmo di Saint-Thierry, sia stato il primo autore mistico dei Paesi Bassi. Anche se scriveva in latino, ha effettivamente aperto la strada alla letteratura mistica in lingua olandese. La sua mistica è fondamentalmente trinitaria. Dio è amore, l’amore stesso che si dona. Non solo l’amore verso la creazione, ma anche in se stesso: il Padre ama totalmente il Figlio, il Figlio ama totalmente il Padre e in questo modo diventano uno solo nello Spirito Santo. Proprio questa abissale ed eterna relazione d’amore è la natura divina. Se Dio è essenzialmente una relazione d’amore, non può essere altro che l’uomo (creato da Dio e perciò ne reca le tracce) sia anche essenzialmente orientato all’amore. Inoltre per l’uomo l’amore non è  “qualcosa che eventualmente può esserci”. No, è la nostra essenza, il nucleo della nostra esistenza. Jan van Ruusbroec lo esprime dicendo che noi esseri umani, siamo essenzialmente rivolti all’“altro-da-noi” e quindi a fortiori all’Altro, con la maiuscola. Nell’incontro con l’altro come altro, troviamo finalmente la nostra felicità. L’egocentrismo, il riposare in noi stessi: alla fine non dà all’uomo la felicità, e ciò, ovviamente, non è una coincidenza. La mistica tipica appare quando l’uomo, che fa radicalmente l’esperienza dell’amore, va a sperimentare un po’ dell’abissale, vertiginosa “base” divina di  quell’amore.

Come i grandi Padri della Chiesa, Jan van Ruusbroec ha anche combattuto contro le eresie del suo tempo. Che tipo di eresie c’erano nei Paesi Bassi nel XIV secolo?

Faesen: Non direi che Ruusbroec fosse un “cacciatore di eretici”. Ma ha combattuto con passione contro alcune idee sbagliate, principalmente quelle che venivano sperimentate nei gruppi chiamati dello “Spirito Libero”. Storicamente non sappiamo molto su come questo movimento fosse in realtà. Pare che fosse un movimento sciolto, che aveva originariamente un’autentica anima mistica, vale a dire una forte coscienza di essere profondamente uniti all’amore divino. Questo venne in seguito male interpretato. L’unione con l’amore di Dio (l’amore sconfinato del Padre e del Figlio nello Spirito), fece pensare a queste persone di essere al di sopra dei sacramenti, della cura del prossimo, dei comandamenti, e altro ancora. Ritenevano che ciò fosse solo per i principianti della vita spirituale. Loro credevano di aver passato quella fase della vita spirituale, e che quindi erano diventati “liberi” da queste cose. Il servizio e ciò che ne consegue (il “servizio-a-Dio”, la religione quindi, e l’etica), era qualcosa per i principianti, poi c’era l’esperienza spirituale, interiore e infine l’unione “basica”, senza immagini con Dio, che rende l’uomo completamente libero. Jan van Ruusbroec ha fondamentalmente confutato questa tesi. Non riducendo i suoi avversari al silenzio, ma mostrando che la loro visione era viziata. E il nucleo delle sue argomentazioni giunge a dimostrare che nello sviluppo spirituale dell’uomo, il criterio è l’amore.
La più profonda unione con Dio è quella dell’amore, e come si potrebbe essere uniti con Lui nell’amore, se non ubbidendo, ad esempio ai suoi comandamenti? In altre parole: non si tratta di tre fasi successive, ma in realtà di divenire sempre più profondamente coscienti dell’amore. La vita mistica crea l’etica, la cura per il prossimo, l’impegno concreto non è superfluo, al contrario: è la scoperta della sua profondità.

Ci sono anche donne tra i mistici?

Faesen: Certamente. In realtà la letteratura mistica in lingua olandese comincia con due autrici, vale a dire Hadewijch e Beatrijs. L’opera di Hadewijch è veramente grande: oltre alle sue lettere conosciamo anche le sue visioni e le sue belle poesie, che originariamente venivano cantate. Appartengono al vertice della letteratura europea. Jan van Ruusbroec ha conosciuto i testi di Hadewijch. Lui la cita di tanto in tanto, ma senza menzionare il suo nome. Curiosamente Hadewijch è storicamente del tutto sconosciuta. Non sappiamo chi fosse. Di solito si dice che fosse una “beghina”, ma avrebbe potuto essere anche una monaca cistercense, come l’altra mistica a lei coeva e corregionale Beatrijs di Nazareth, di cui abbiamo un breve e bel trattato di mistica (Sette maniere di amare). Hadewijch e Beatrijs appartengono a quell’affascinante movimento di donne mistiche del XIII secolo (mulieres religiosae) del vescovo-principe di Liegi. Albert Deblaere ha notato che queste donne mistiche sono entrate con grande audacia nella profondità dell’amore mistico in un periodo in cui gli uomini erano intrappolati intellettualmente in una teologia che sottolineava il distacco e l’inconoscibilità di Dio. Di un Dio inconoscibile, non ci si innamora. Il ruolo specifico di queste donne, credo, non sia in primo luogo una questione di genere. Dopo tutto, ciò che queste donne perseguivano in maniera creativa, era una teologia spirituale che in un periodo precedente era stata seguita anche dagli uomini. Basta pensare ai belli ed ardenti cantici-commenti di Bernardo di Chiaravalle e Guglielmo di Saint-Thierry nel XII secolo.

(Seconda parte dell’intervista)

Qual è stato il ruolo o l’influenza dei tedeschi o piuttosto dei mistici “renani”, come Ildegarda di Bingen (circa due secoli prima Ruusbroec) e Meister Eckhart?

Faesen: Mi sembra difficile considerare insieme Hildegard e Eckhart, anche se entrambi sono esponenti di una teologia contemplativa. Nella vita intellettuale del tardo Medioevo, questa dimensione contemplativa diventava a mano a mano sempre meno evidente. E mi sembra che Eckhart nel XIV secolo, ha voluto precisamente fare un tentativo di inserire nuovamente la contemplazione radicale nel pensiero accademico cioè nel posto che gli spettava. Il giudizio di alcune frasi del suo lavoro da parte di Papa Giovanni XXII nel 1329 è significativo. Infatti, nel testo della sentenza si dice che alcune di queste frasi hanno anche un significato ortodosso, ma che devono essere spiegate meglio e più dettagliatamente. Il tentativo di Eckhart di integrare la dimensione contemplativa apparentemente non fu del tutto riuscito. Due secoli prima, ai tempi di Hildegard, questo era diverso. Un esempio significativo: i monaci dell’abbazia di Villers avevano una serie di domande teologiche, e per questo scrissero una lettera alla visionaria Hildegard, non ai docenti dell’Università di Parigi.

Questi autori, spesso poco conosciuti, sembrano appartenere al passato. È così?

Faesen: Infatti, in un certo senso, è vero: quando li ascoltiamo, sentiamo una voce dal passato. Una voce che suona diversa rispetto a quelle del nostro tempo, forse strana, insolita. E mi sembra giusto non scavalcarla troppo in fretta. E, non troppo in fretta, adeguarla a quelle del nostro tempo. Perché questi scrittori sono in grado – proprio perché così “strani” – di aprire i nostri occhi a dimensioni che sono inusuali nella nostra epoca, ma non per questo meno importanti. Una di queste dimensioni è il grande rispetto per la persona umana. I mistici cristiani dei Paesi Bassi di allora hanno una grande attenzione reverenziale per la persona umana, perché ogni uomo ha una vocazione molto speciale ad amare Dio. Come si è già detto, secondo loro, l’amore non è qualcosa “in più” nella vita umana, ma è l’essenza dell’uomo stesso, più profondo del suo pensiero, del suo volere, della sua maniera di sentire. E, naturalmente, l’amore è personale. Nessuno può amare Dio al mio posto. In questo senso, apre i nostri occhi al valore unico di ogni essere umano. L’uomo è più di un ingranaggio sostituibile nella macchina socio-economica. Ancora di più, questi autori sono in grado di aprire i nostri occhi sull’abisso della persona umana. La caratteristica più profonda dell’uomo è l’apertura a Dio, un’apertura abissale. L’uomo non è, in ultima analisi, un’identità chiusa, nessun “io”, ma è essenzialmente una relazione.

Oggi c’è una fioritura di spiritualità orientali e pratiche come il buddismo e il Reiki. Questo significa che le persone, attratte dall’esotico, stanno dimenticando le proprie radici?

Faesen: Questo fenomeno può essere visto in due modi. In primo luogo, penso che sia un segnale che la vita interiore delle persone non è completamente persa. La nostra cultura contemporanea è fortemente rivolta all’esteriore, e si può vedere questo interesse come un contro-movimento. Apparentemente queste persone sentono che c’è una dimensione più interna, che vale la pena di essere scoperta. In secondo luogo, può essere davvero un segnale che semplicemente non si conosce la tradizione spirituale cristiana. Secondo la mia maniera di vedere la tradizione cristiana è altrettanto affascinante, impegnativa e radicale. Quello che si cerca nelle tradizioni orientali (o per meglio dire: nella rappresentazione occidentale di queste tradizioni) è già presente anche nella tradizione cristiana. O meglio, quella cristiana va oltre a ciò che spesso si cerca in quella orientale. Infatti, gli autori mistici cristiani non cercano principalmente l’armonia interiore, ma il compimento del duplice comandamento dell’amore.

Si prevede di fare qualcosa per rendere questi mistici più noti al grande pubblico?

Faesen: In realtà succede già. La società Ruusbroec dell’Università di Anversa esiste dal 1925, e il suo primo compito è uno studio scientifico dei testi spirituali e mistici dei Paesi Bassi. Ma fin dall’inizio, si è cercato di renderli conosciuti anche in ambienti più ampi e ciò accade anche oggi. Ci sono molte iniziative per far conoscere i testi mistici alle persone che sono interessate. Ad esempio, ogni estate nella Abbazia di Drongen (nei pressi di Gand), viene organizzata da oltre quindici anni un settimana di studio sulla letteratura mistica. Ci sono ogni anno circa un centinaio di partecipanti. Relativamente nuovi sono invece gli inviti a volte inattesi provenienti dall’estero. Pochi mesi fa, per esempio sono stato invitato da due delle migliori università in Cina (Nankai University, di Tianjin, e Renmin University di Pechino), e mi ha colpito quanto interesse gli studenti cinesi avessero per questi autori mistici. Tra l’altro, non era la prima volta. Nel 1998 c’è stata una simile sessione di studio su Ruusbroec all’Università di Pechino. E di recente è stata pubblicata una traduzione in cinese di alcune importanti opere di Jan van Ruusbroec nella Repubblica Popolare.

Lei è un Gesuita, un “figlio spirituale” di Sant’Ignazio di Loyola. Nonostante le differenze significative tra loro, ci sono punti di incontro tra la mistica fiamminga e la spiritualità ignaziana?

Faesen: Sicuramente. Direi che Ignazio appartiene al movimento spirituale di fine medioevo della Moderna Devotio. Questo movimento non è strettamente un movimento mistico, ma ha cercato di dare alla vita interiore, quante più opportunità possibili. Si potrebbero descriverlo come un ampio sviluppo della cultura europea occidentale in cui si dava ogni giorno un grande valore alle esperienze interiori. Non che in tal modo gli aspetti esteriori venissero considerati superflui. Ma si provava il più possibile a sfruttare il potenziale dell’“interiore”. Lo si può anche vedere nei dipinti per esempio di Rogier van der Weijden o Dirk Bouts. Quest’ultimo è stato è stato definito a volte il “pittore del silenzio” di cui parla. Credo che sia in questa linea che si può capire meglio la spiritualità d’Ignazio. I suoi “Esercizi Spirituali” mostrare la sua cura di creare un rapporto davvero personale con Cristo. Questo è di grande attualità anche oggi. Ebbene, questo movimento della Devotio Moderna ha le sue radici in Jan van Ruusbroec. Il fondatore della Devotio Moderna, il dotto diacono Geert Grote da Deventer, conosceva personalmente Jan van Ruusbroec  e lo ammirava molto. Ha tradotto i suoi testi in latino, ed è andato anche nel monastero di Ruusbroec per parlare con lui. Senza dubbio, l’ideale della Devotio Moderna è stato ispirato dalla preoccupazione di Ruusbroec per una più profonda esperienza interiore della fede. Ignazio di Loyola, ha ereditato totalmente questa preoccupazione. Anche altri aspetti possono essere considerati. Spesso pensiamo che “contemplativi nell’azione” sia un tipico assunto ignaziano. Ma già da prima era stato molto ben formulato da Jan van Ruusbroec. La sua immagine del contemplativo cristiano maturo (o mistico) non è una persona che scompare in Dio, ma qualcuno che è completamente uomo tra gli uomini, e che li ama grazie all’abbondanza dell’amore ricevuto di Dio. Anche nella riflessione di Hadewijch questo tema è centrale. In realtà, questo ha molto a che fare con l’umanesimo cristiano. Ignazio ne è un noto esponente, ma è completamente in linea con gli antichi mistici.

(Terza parte dell’intervista)

[...]

Professor Faesen, lei è anche un esperto di letteratura inglese, in particolare della poesia di Gerard Manley Hopkins. Che cosa l’ha toccata nella sua opera?

Faesen: Definirmi un “esperto” è probabilmente esagerato! Mi piace leggere la letteratura inglese, ed ho condotto - ormai anni fa - alcuni studi su Hopkins. All’epoca mi concentrai in particolare sui suoi, così chiamati, Terribili Sonetti, poesie scritte negli ultimi anni della sua vita. Quel periodo fu molto pesante per lui, fu un tempo di dimenticanza di Dio. La cosa che più mi colpì fu il fatto che lo scrivere poesie, come pure quei sonetti, venisse da lui vissuto come un’esperienza di preghiera, una preghiera quasi impossibile, in cui si rivolgeva a Dio, che a volte veniva visto come avversario, Colui che ostacolava i suoi progetti. Mi ha impressionato il fatto che si potesse vivere la relazione con Dio in maniera più profonda dei tranquilli sentimenti religiosi. Ho ritrovato ciò in molti altri scrittori della letteratura spirituale cristiana. Jan van Ruusbroec l’ha descritta splendidamente: l’interazione di consolazione e desolazione che può portare una persona alla profonda coscienza che il suo rapporto con Dio può essere molto più profondo delle esperienze. Le confortanti, piacevoli e tranquille esperienze non sono di per sé esclusivo carattere della qualità della relazione. Per Ruusbroec il segno più evidente è l’abbandonarsi all’altro. Ho l’impressione che Hopkins, alla fine della sua vita e nei suoi ultimi scritti, fosse alla ricerca di questo abbandono. Al di là di questo, è naturalmente la forza poetica del linguaggio col quale Hopkins descrive i temi del paesaggio interiore (i cosiddetti inscape e instress) che è particolarmente affascinante.

Hopkins era un convertito, come il grande cardinale John Henry Newman. Che cosa possono insegnarci oggi, in questi giorni di Quaresima e quindi in un momento di conversione?

Faesen: Hopkins è stato profondamente influenzato da John Henry Newman, quando quest’ultimo era impegnato nel lavoro pastorale a Oxford, proprio mentre Hopkins studiava lì. Per entrambi la parola “conversione” ha un significato molto specifico, e cioè il passaggio dalla Chiesa Anglicana a quella Cattolica. Entrambi erano stati in precedenza cristiani convinti. Il passo di diventare cattolici, lo hanno indubbiamente vissuto come un approfondimento alla devozione a Dio, a vivere una vita con un rapporto più intenso con Dio. E forse è proprio questo che ci può ispirare durante la Quaresima. Fondamentalmente, la Quaresima è il periodo in cui ci prepariamo spiritualmente alla grande festa della Pasqua, il mistero della risurrezione, il nucleo abbagliante della nostra fede.

Pertanto, la Quaresima non dovrebbe essere un periodo triste, ma un periodo di dedizione al mistero travolgente dell’amore divino e soprattutto di un grande abbandono ad esso. Il sacerdote francese Max Huot de Longchamp - un mio buon amico e un eccellente conoscitore della tradizione mistica - una volta disse: “Abbiamo paura della morte perché abbiamo paura dell’amore”. Questa frase mi impressionò molto. Infatti, vi è nell’uomo, in tutti noi, una riluttanza profonda ad arrenderci pienamente all’amore di Dio. Jan van Ruusbroec dice che non possiamo davvero fare a meno che “fondare la nostra vita su un abisso”. Intendeva dire: l’abisso di amore che è Dio. L’immagine dell’abisso fa capire bene perché a volte le persone hanno paura.