Tutto l’amore di un «no». I nostri figli, le vacanze, i loro desideri, la crisi e certi dolorosi dinieghi, di Davide Rondoni

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 16 /06 /2012 - 21:36 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo da Avvenire del 13/6/2011 un articolo scritto da Davide Rondoni. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.

Il Centro culturale Gli scritti (16/6/2012)

E nella estate di crisi cosa facciamo fare ai ragazzi? Dico i nostri figli, che magari vorrebbero e si meriterebbero una vacanza un po’ più costosa di quella che possiamo offrire loro. E magari vorrebbero andare, i più grandicelli, a fare un viaggio, un giro con gli amici… E invece no, non si può. Non si sa cosa sia essere genitori se non si conosce questa mortificazione. La mesta umiliazione che questa estate conosceranno più famiglie di sempre.

Non si sa cosa sia essere genitori senza conoscere la luce dura in cui si rientra dopo aver detto un «no» che si desiderava fosse un «sì». Quando il cuore vorrebbe dire «sì, voglio darti questa possibilità così che tu sia più contento, perché lo desideri» e invece si pronuncia un «no». Magari più infermo, più piano. Ma inamovibile. Perché ci sono dei «no» che si dicono volendoli dire, pensando che sia giusto dirli. E anche se il ragazzino o la ragazzina sbuffano, si chiudono in stanza o cacciano due urli, è giusto che rimangano «no». Sono dei «no» giusti, o almeno ci paiono tali.

E poi ci sono dei «no» che diciamo, ma sappiamo sono un po’ «ingiusti». O meglio, che vorremmo fossero «sì». E quando ci voltiamo dopo averli pronunciati, ecco che la luce ci colpisce il viso. E vorremmo sparire. Ma non può che essere «no». E allora si conosce la luce dura dell’essere padre e madre. La mortificazione, che è pari all’esaltazione di altri momenti. La malinconia che è profonda quanto la allegria di altri momenti.

Tale è l’altalena, l’andirivieni, il saliscendi del cuore di padre e di madre. Un movimento quasi insopportabile. Che sarebbe insopportabile se non ci fosse quello speciale tipo d’amore. L’amore – forse l’unico – che sostiene le più vertiginose altalene, le più faticose alternanze di soddisfazione e umiliazione. E un ragazzino mica può capire che fatica si fa a campare, ora. Sì, un po’ forse sì. Ma non gli si può chiedere di portare troppo il peso di cosa significa ora garantire una vita degna. Rispetto a cui certe esigenze diventano in più. Anche se non sembra.

Anche se non sembrava, fino a ieri. Non si può chiedere ai nostri figli di alleviarci il peso dei «no» che pronunciamo in una luce dura di mortificazione. Loro devono fare, per così dire, il loro mestiere di figli. E devono continuare a chiedere. Ma noi dobbiamo fare il mestiere di padri e di madri. Che oggi – più di ieri – è proporre l’essenziale. E rispondere anche attraverso un «no» alle domande più vere dei nostri figli. Così che anche la domanda delusa possa aprirsi, possa per così dire fiorire in un acquisto di coscienza. Sta a noi offrire, anche nel modo di fare vacanza, un ideale di gioia che non coincida con il possesso o con la soddisfazione delle possibilità. Qui sta la vera sfida educativa di questo periodo estivo e «critico» che si apre – almeno per coloro, la gran maggioranza, che sente la crisi mordere e non poco.

Dire dei «no», privare senza che il «no» sia privare dell’essenziale. Della gioia. In questo senso, la funzione delle mille e mille proposte di ogni genere che nascono dal petto fantasioso e generoso del popolo cattolico. Vacanze in montagna, campi estivi per i piccoli, ritrovi, feste. E, accanto a queste, le mille e mille occasioni che i genitori possono individuare, tra vacanze­studio, viaggi economici, ritrovi. Insomma, un periodo in cui anche le circostanze esterne – non desiderabili – possono contribuire a guardarsi negli occhi con più attenzione. E dirsi cosa si vuole veramente.

Anche attraverso un «no» che non fa stare male solo una parte, ma entrambe. Così che si possa stare meglio e crescere – in profondità – insieme ai nostri figli anche in tempo di crisi.