La catechesi a Firenze al tempo della programmazione iconografica degli affreschi della cupola brunelleschiana. Rilievi e confronti, di Gilberto Aranci

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 27 /01 /2013 - 14:00 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo per gentile concessione dalla rivista Vivens homo 7/1, 1996, 99-118, un articolo di Gilberto Aranci. Il passaggio dal testo stampato alla sua versione informatica è stata curato da Maria D’Amico. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per l'utilizzo in catechesi dei settenari dei doni dello Spirito, dei vizi e delle virtù, vedi su questo stesso sito, I doni dello Spirito, i vizi e le virtù, nel pellegrinaggio alle sette chiese di San Filippo Neri: indicazioni per un cammino verso la Cresima. Breve nota di Andrea Lonardo.

Il Centro culturale Gli scritti (27/1/2013)

Indice

Questo intervento si compone di due parti. Nella prima parte mi fermerò ad esporre brevemente alcuni aspetti della catechesi vigente a Firenze al tempo dell’ideazione e della realizzazione degli affreschi della cupola brunelleschiana (1570-1580).

Nella seconda parte presenterò alcuni rilievi di natura catechistica del programma iconografico ideato dal Borghini e realizzato dal Vasari e dallo Zuccari mettendo a confronto alcune tematiche dello stesso programma con la tradizione catechistica.

1. La catechesi a Firenze tra il 1570 e il 1580

Come in altre parti dell’Europa cattolica anche a Firenze l’attività catechistica negli anni 1570-1580 è ormai in via di rinnovamento e di trasformazione a partire dalle istanze rinnovatrici dei decreti del Concilio di Trento.

In generale occorre ricordare almeno due fatti: la multiforme risposta cattolica alle iniziative catechistiche di Lutero, di Calvino e degli altri riformatori, rappresentata dai catechismi dei gesuiti Canisio, Auger, e Ledesma;[1] e la pubblicazione del Catechismo romano nel 1566 con la sua partizione innovativa rispetto ai catechismi coevi: Credo, sacramenti, comandamenti e preghiera.[2]       

Si andava ormai operando il passaggio da una catechesi di tipo “penitenziale” legata alla predicazione morale che insisteva sul binomio vizi-virtù in funzione della confessione annuale dei fedeli, ad una catechesi di tipo “battesimale” legata all’impostazione dottrinale basata sullo schema delle virtù teologali: Fede (Cristo), Speranza (preghiera), Carità (comandamenti e sacramenti), a cui seguiva sempre la parte dedicata alla giustizia cristiana riassunta nello schema fuga dei vizi/pratica delle opere buone (esercizio delle virtù).  Schema seguito ormai da tutti i catechismi.

1.1. La catechesi dei gesuiti

Le prime novità nel campo dell’insegnamento delle verità di fede e della formazione cristiana furono introdotte a Firenze dai gesuiti che avevano la loro sede e il loro collegio accanto alla chiesa di S. Giovannino. Tra queste iniziative spiccavano i dialoghi o dispute della dottrina cristiana composti dall’allora rettore del collegio Ludovico de Coudret che venivano recitati pubblicamente dagli allievi delle loro scuole.

Grande risonanza ebbe una manifestazione di questo tipo che si tenne nel 1556 proprio nel duomo di S. Maria del Fiore a cui assistettero migliaia di persone.[3] Promotore di questi spettacoli fu il padre Diego Guzmán che era giunto dalla Spagna a Firenze nel 1555, avvalendosi della sua esperienza di catechista dei ragazzi e del popolo fatta alla scuola di S. Giovanni d’Avila.[4] Fu lui anche ad introdurre a Firenze l’uso di insegnare la dottrina cristiana mediante il canto, un modo particolarmente adatto per la catechesi ai fanciulli e al popolo.[5]

Si può inoltre pensare che anche a Firenze i gesuiti seguissero lo stesso metodo usato in altre città, come per esempio a Napoli: la loro azione si rivolgeva «a tutta la gamma sociale; anzitutto, com’è ovvio, sullo studentato; poi sulla nobiltà e la borghesia; infine sugli analfabeti e sui ceti più umili. Palestra sono le aule scolastiche, il tempio, la strada – azione capillare, che penetra nell’interno delle famiglie, dove gli alunni ripetono ai genitori e ai parenti quanto di dottrina cristiana vanno apprendendo nella scuola».[6]

Dell'attività catechistica a Firenze fu solerte promotore e sostenitore il vescovo mons. Altoviti che dal 1567 era ormai rientrato a Firenze dopo il lungo esilio di diciotto anni.[7] Sostenne e promosse la prassi del catechismo festivo, già in uso nelle parrocchie cittadine, al resto della diocesi come appare dalle disposizioni date nel sinodo del 1569, in applicazione dei decreti del Tridentino, in cui ordinava ai parroci della campagna[8] di tenere il catechismo la domenica dopo pranzo; norme ripetute per tutti i parroci nel sinodo provinciale del 1573.[9]

È poi da ricordare che l'arcivescovo mons. Altoviti indirizzò da Roma un catechismo alle compagnie fiorentine di ragazzi e di giovani,[10] dimostrando con questo gesto il suo interessamento per l'insegnamento della dottrina ai fanciulli. Non sappiamo con precisione se l'Altoviti fu il vero autore di questo testo catechistico oppure soltanto il promotore e diffusore. In quest'ultimo caso potrebbe trattarsi della dottrina "piccola" del gesuita Giacomo Ledesma di cui conosciamo l'edizione fiorentina del 1585 curata da Iacopo Ansaldi[11] su ordine del card. Alessandro de' Medici. Ciò vorrebbe dire che dal 1571 a Firenze era ormai di uso comune il catechismo del Ledesma, promosso e diffuso dall'arcivescovo. Potrebbe essere quindi che sulla base dell'amicizia con S. Ignazio di Loyola[12] e in accordo con i gesuiti mons. Altoviti fin dal tempo della sua residenza romana avesse sostenuto e promosso insieme sia il catechismo sia la loro attività catechistica.

1.2. Le compagnie dei ragazzi e dei giovani

Inoltre a Firenze vi erano altri ambienti dove si svolgeva l'istruzione catechistica dei ragazzi e dei giovani: si trattava di quelle compagnie di ragazzi e di giovani che un secolo prima lo stesso S. Antonino[13] aveva confermato e riformato. Si trattava di istituzioni formative per i giovani che erano sorte in pieno clima umanistico e rinascimentale ed in un momento storico, ricco e denso di avvenimenti religiosi per la chiesa fiorentina: il Concilio d'unione, la presenza del papa Eugenio IV, e la consacrazione della Cattedrale. Queste compagnie annoveravano i ragazzi e i giovani della città dai tredici ai ventiquattro anni.[14]

Intorno al 1580 le compagnie dei ragazzi e giovani presenti in città erano undici[15] ed erano ancora molto attive nella catechesi e nella formazione cristiana dei propri giovani membri. Le loro attività formative tradizionali, oltre a leggere e imparare la dottrina scritta su «una tavoletta» o su un grande foglio, erano quelle di far tenere periodicamente ai giovani «una letione», o sermone, su un argomento della dottrina, e di curare la messa in scena di sacre rappresentazioni.

1.2.1. I "sermoni"

Come è stato documentato recentemente

i sermoni venivano recitati dai giovani confratelli non solo in occasione di grandi feste, ma anche nelle domeniche regolari. I sermoni non erano quindi qualcosa di speciale, ma erano una consuetudine, una pratica quasi settimanale. Quando i sermoni venivano organizzati intorno a una serie omogenea quale i sette peccati capitali, o le tre virtù spirituali, o i Dieci Comandamenti, la serie faceva da filo conduttore per un numero di sermoni recitati di domenica in domenica, dai confratelli, secondo un ordine prestabilito o dall'estrazione a sorte, o dal Padre Correttore.[16]

Spesso questi sermoni, recitati dai giovani in lingua volgare, erano composti da adulti. È il caso di una serie di dieci Ragionamenti spirituali che il notaio e drammaturgo fiorentino Giovanni Maria Cecchi aveva cominciato a comporre per essere recitati nelle compagnie dei giovani.[17]

Il curatore dell'edizione di questi "sermoni", analizzando il loro contenuto mette in risalto il tono controriformistico che contraddistingue la trattazione di tematiche dottrinali negate dai protestanti come: fare le opere della carità, la giustificazione, la verginità di Maria, il purgatorio, la comunione dei santi, il culto dei santi e delle loro reliquie, i miracoli, ecc.[18]

Giustamente questi sermoni vengono considerati «uno dei rari documenti che ci permettono di entrare nell'animo religioso del popolo fiorentino nella seconda metà del Cinquecento».[19]

Questo complesso di sussidi catechistici vedrà arricchirsi sempre più delle edizioni a stampa di raccolte più o meno vaste di sermoni e di discorsi preparati per essere recitati o letti.[20] In questo contesto si pongono i cosiddetti "Libri da compagnia" che, oltre ai testi liturgici che regolavano le celebrazioni delle confraternite, contenevano anche dei sermoni per essere recitati durante le riunioni con lo scopo di esortare e richiamare i confratelli alla pratica della vita cristiana.[21]

 1.2.2. Il teatro sacro

Rappresentare scenicamente episodi tratti dalla Bibbia o dalle vite dei santi da parte dei giovani delle compagnie fiorentine costituiva un'altra loro attività caratteristica e tradizionale che investiva non solo la vita propriamente confraternale ma anche quella pubblica cittadina.

Più che l'aspetto letterario e di costume della rappresentazione dei drammi sacri a sfondo biblico e agiografico, è qui interessante mettere in evidenza la sua funzione propriamente culturale e religiosa. Soprattutto nei drammi tratti dagli episodi biblici dell'Antico e del Nuovo Testamento possiamo ritrovare una delle poche possibilità di avvicinare la sacra Scrittura e i misteri della storia della salvezza, oltre, evidentemente, alle letture liturgiche della Messa domenicale e festiva. Anche se il loro scopo era direttamente quello di presentare dei modelli ed esempi di virtù cristiane da acquisire e da imitare, implicitamente veniva comunicata, mediante la conoscenza dei fatti della storia salvifica, larga parte del patrimonio biblico e dottrinale del cristianesimo. Già il D'Ancona a proposito del carattere religioso e morale della sacra rappresentazione annotava:

Entrando laddove si recitavano questi drammi, il cristiano e specialmente l'adolescente, vi accedeva con sentimento misto di curiosità e di devozione: vi s'intratteneva trovandovi pascolo agli orecchi e agli occhi, e insieme all'intelletto e all'anima: ed uscendone dappoi, per mezzo del diletto e con l'aiuto di forme sensibili trovavasi avvalorato nella conoscenza de' misteri della religione.[22]

Basta scorrere solo i titoli delle rappresentazioni sacre scritte dal Cecchi[23] per accorgersi della varietà delle tematiche religiose e morali che venivano veicolate:

La morte del re Acab (4 giugno 1559), La coronazione del re Saul (giugno 1569), L'acqua-vino (Carnevale 1579), L'esaltazione della croce (1583, 1585, 1589);[24] Il Figliuol prodigo (1568-1570), La capannuccia (recitata dalla compagnia dell'Arcangelo Raffaello nel 1573), Tobia (1580); e ancora, ma senza data: Il samaritano (presentato dalla Compagnia di S. Marco), Cleofas e Luca, Datan e Abiron, L'acquisto di Giacobbe, Il cieco nato, Il putto risuscitato.[25]

Tutto ciò sta a confermare come la forza della tradizione catechistica, risalente ai tempi di S. Antonino, mantenesse vive nelle compagnie dei ragazzi le stesse pratiche e attività formative. In queste attività, quali le rappresentazioni dei drammi sacri e la recita dei sermoni, si evidenzia una sempre più curata e attenta specializzazione che finì poi per diventare distintiva ed esclusiva di ogni compagnia.

In sintesi si può affermare che nella Firenze di questi anni dopo il Concilio di Trento accanto ad una catechesi e formazione cristiana rivolta a gruppi elitari e dotti, che aveva la sua radice nel clima rinascimentale del secolo precedente, si andava affermando e praticando, dietro la spinta dei decreti sinodali e della solerte attività dei gesuiti, una decisa e larga attività di istruzione cristiana rivolta a tutti i bambini e i ragazzi della città e della campagna senza trascurare anche gli adulti appartenenti alle fasce più popolari. Attività che troverà la sua piena attuazione solo a metà degli anni Ottanta con l'istituzione delle scuole della dottrina cristiana.

2. La catechesi e gli affreschi della cupola

In questa seconda parte dell’intervento intendo fermare l'attenzione sulla relazione che il programma pittorico ideato dal Borghini ed eseguito dal Vasari e dallo Zuccari nella cupola di S. Maria del Fiore poteva avere con la catechesi del tempo. Una certa funzione catechistica degli affreschi della cupola è affermata esplicitamente nel programma raccomandato dal Borghini al Vasari:

quando queste inventioni si possono accomodare all'uso comune è sempre meglio, perché gli animi già fermi in un concetto, et gli orecchi avvezzi a un suono, facilissimamente vi si quietano, anzi vi si compiacciono.[26]

La finalità catechistica era dunque intesa nel significato di adeguare la rappresentazione iconografica ad una mentalità cristiana già formata perché ognuno potesse "compiacersi" nel riconoscere nelle pitture verità già apprese ed acquisite. Non era quindi, almeno principalmente ed intenzionalmente, un programma che serviva per istruire chi era ancora privo delle prime ed elementari conoscenze dottrinali della fede cristiana. Le preoccupazioni del Borghini si riferivano ad una conoscenza sedimentata, ad una mentalità consolidata di quei giovani e adulti che avevano ricevuto un sistematico e profondo insegnamento dottrinale.

Fatta questa precisazione, mi fermerò a considerare tre tematiche del programma pittorico pensato e realizzato per la cupola brunelleschiana, che hanno un particolare riferimento alla prassi catechistica del tempo testimoniata nei testi catechistici: il giudizio finale visto come tema centrale di tutto il programma iconografico in cui occupa il posto centrale Gesù giudice secondo la sua umanità; tema che nei catechismi troviamo sempre nel commento all'articolo del Credo «Verrà a giudicare i vivi e i morti»; il settenario dei vizi, con le corrispondenti virtù, insieme ai doni dello Spirito Santo e alle beatitudini che occupano i primi due livelli della cupola a partire dal basso; in ultimo la descrizione dell'inferno, tema oltremodo presente nell'insegnamento della dottrina cristiana, oltre che nella predicazione.

2.1. Il giudizio finale nel Catechismo romano

La scelta del Borghini di porre in risalto le parole "Ecce homo" per mettere in evidenza l'umanità di Gesù giudice aveva un riferimento esplicito al Catechismo tridentino a proposito del Giudizio. Affermava infatti il Borghini:

Et qui mi sodisfarebbe molto che e' tenesse il titolo della Croce: I.N.R.I. Et perché ci sono due cori, per l'altro un breve, che dicesse: ECCE HOMO. Che non potrei dire quanto mi piacerebbe, et quanto e quadrerrebbe al senso della Scrittura: come se e' mostrasse la gloria et la potestà di Colui del quale, in tempo che era tanto vilipeso et tanto afflitto, furon dette le medesime parole; et sarebbe una bella contrappositione di quel tempo a questo, et la confirmatione di quelle parole dette allora: Videbitis filium hominis etc.[27]

Il testo del Catechismo romano a commento dell'articolo del Credo, Inde venturus est iudicare vivos et mortuos, a sua volta chiariva bene, in continuità con la tradizione teologica, come il potere di giudicare di Gesù fosse legato strettamente alla sua umanità espressa nel titolo "figlio dell'uomo"; leggiamo infatti:

E che egli come uomo debba giudicare il mondo si conferma col testimonio del Signore il quale disse: Sicut Pater habet vitam in semetipso, sic dedit et Filio vitam habere in semetipso, et potestatem dedit ei iudicium facere, quia Filius hominis est (Gv 5,26-27). Siccome il Padre ha la vita in se stesso, così al Figliuolo ha concesso aver la vita in se stesso, ed a lui dato la potestà di fare il Giudicio, perché è Figliuolo dell'uomo. Ed era cosa molto conveniente, che questo giudicio fosse principalmente essercitato dal Signor nostro Gesù Cristo; accioché, dovendosi giudicare, e determinare circa gli uomini, quelli medesimi con gli occhi corporei potessero vedere il lor Giudice, e con gli orecchi udissero le sentenze, che dovevan proferirsi, ed al tutto comprendessero quel giudicio con li sensi. Era ancora cosa giustissima, che quell'uomo, il quale era stato condannato dalle iniquissime sentenze degli uomini, fosse finalmente veduto sedere da tutti come Giudice.[28]

2.2. I settenari

La particolare attenzione del Borghini alla tradizione dei cosiddetti "settenari" è espressa chiaramente nella sua lettera al Vasari:

distinguerei per 7 gradi, corrispondenti a’ sette Doni dello Spirito santo, et Beatitudini, et Virtù, et altre cose del numero settenario, che si diranno cacciando nel fondo i sette Peccati mortali, con la corrispondentia di quelle Virtù (...), questi numeri della Chiesa, de' Sacramenti, de' Doni dello S.S., delle Virtù opposte a' peccati mortali, Opere della Misericordia, et simile, che son di sette.[29]

Nella realizzazione pittorica ritroviamo disposti nei sette spicchi della cupola nel primo livello, quello dei dannati, i sette vizi capitali rappresentati da animali con funzione allegorica, cui corrispondono nel livello superiore le sette virtù contrarie insieme ai sette doni dello Spirito santo e alle sette beatitudini. Seguendo le indicazioni del Borghini, poi realizzate, abbiamo queste corrispondenze, a partire da sinistra per chi si trova di fronte allo spicchio centrale (1) dove è raffigurato Gesù giudice:[30]

dono S.S. virtù beatitudine vizio
(2). sapienza dilezione pacifici invidia
(3). intelletto prudenza miti accidia
(4). pietà temperanza puri di cuori lussuria
(5). timore di Dio umiltà poveri superbia
(6). consiglio giustizia misericordiosi avarizia
(7). scienza sobrietà aff. e ass. di giustizia gola
(8). fortezza pazienza afflitti ira

2.2.1. La tradizione medievale dei settenari: Ugo di S. Vittore

La combinazione dei quattro settenari (vizi, virtù, doni, beatitudini) non è nuova ma affonda le sue radici nella letteratura patristica, soprattutto per quanto riguarda l'opposizione e il conflitto virtù/vizi, e in quella medievale. Si tratta di una tradizione che nel corso dei secoli successivi venne ripresa, ripetuta, e con molta libertà modificata e ridotta, specie nell'ambito dei manuali in uso ai confessori e ai predicatori con un immediato scopo istruttivo nell'ambito della prassi penitenziale.

La testimonianza che più si avvicina alla combinazione dei quattro settenari presenti nel programma pittorico della cupola è costituita da una piccola opera di Ugo di S. Vittore[31] intitolata De quinque septenis.

Questo autore medievale dopo aver spiegato gli effetti negativi operati dai sette vizi nell'uomo, collega insieme le sette domande del Padre nostro, come invocazioni rivolte a Dio per ottenere le medicine adatte a guarire l'uomo peccatore dai vizi; alle sette invocazioni del Padre nostro fa corrispondere i sette doni dello Spirito santo, i cui effetti sono le sette virtù; alla santità vissuta corrispondono le sette beatitudini nella vita gloriosa.

Questa prima distinzione serve a comprendere che i vizi sono come delle malattie dell'anima, o delle ferite dell'uomo interiore; che l'uomo stesso è come un malato; il medico è Dio; i doni dello Spirito santo sono il rimedio; le virtù, la santità; le beatitudini, la gioia della felicità eterna.[32]

Queste le cinque corrispondenze:

vizi domande doni virtù beatitudini
superbia 1a dom. timore umiltà regno dei cieli
invidia 2a dom. pietà benignità possesso della terra
ira 3a dom. scienza compunzione consolazione
accidia 4a dom. forza giustizia sazietà della giustizia
avarizia 5a dom. consiglio misericordia misericordia
gola 6a dom. intelletto purezza di cuore visione di Dio
lussuria 7a dom. sapienza pace filiazione di Dio

A confronto con questo schema quello degli affreschi della cupola, presenta notevoli diversità: le virtù non sono le stesse; le domande del Padre nostro sono assenti, sono diverse le corrispondenze tra vizi e doni, tra doni e virtù. Inoltre a proposito delle beatitudini mentre negli affreschi sono indicati i beati nel loro atteggiamento terreno (povertà, mitezza, pianto, ecc.) nell'impianto di Ugo sono invece presentate le realtà della beatitudine celeste (regno, possesso, consolazione, ecc.).

C'è quindi una grande libertà nel rielaborare le fonti medievali ed è cosa normale riscontrare le diversità nel ricostruire certe corrispondenze. Gli esempi a questo riguardo che qui potrei portare mostrano nelle corrispondenze tra vizi, virtù e doni quasi una notevole differenziazione. Fa eccezione la corrispondenza tra superbia/umiltà/timor di Dio.

2.2.2. Gli elenchi settenari nella tradizione delle "tavole" o "compendi" della dottrina cristiana

Altri esempi di elenchi settenari si trovano nelle "tavole" o "compendi" o "libretti" di dottrina cristiana che spesso venivano posti o come premessa o come appendice di piccole opere morali e spirituali.[33]

Dalla comparazione delle combinazioni tra vizi/doni, vizi/beatitudini, vizi/virtù di questi elenchi, appartenenti alla tradizione manoscritta dei manuali per confessori e predicatori, con quelle raffigurate nella cupola si hanno questi risultati:        

  • per la combinazione vizi/doni soltanto due coppie si corrispondono: superbia/timor di Dio e avarizia/consiglio;
  • anche per la combinazione vizi/beatitudini sono solo due le coppie che si ripetono: superbia/povertà e avarizia/misericordia;
  • per la combinazione vizi/virtù sono invece tre le coppie che si corrispondono: superbia/umiltà, ira/pazienza, invidia/carità o dilezione.

1. Tavola in un codice del Confessionale Omnis mortalium cura di S. Antonino, del sec. XV:[34]

vizi virtù
superbia umiltà
avarizia benignità
lussuria continenza (castità)
invidia carità
gola temperanza
ira mansuetudine
accidia allegrezza

2. Tavola posta in appendice ad un altro codice del Confessionale Omnis mortalium cura di S. Antonino del sec. XV:[35]

I sette doni i sette vizi le otto beatitudini
timore superbia povertà
scienza ira mansuetudine
fortezza accidia fame di giustizia
consiglio avarizia misericordia
intelletto gola purezza di cuore
sapienza lussuria pace e persecuzione
pietà invidia pianto

3. Compendium de doctrina christiana in un codice del Confessionale Defecerunt di S. Antonino:[36]

sette doni contro i sette vizi
timore contro la superbia
scienza contro l'ira
fortezza contro l'accidia
consiglio contro l'avarizia
intelletto contro la gola
sapienza contro la lussuria
pietà contro l'invidia

4. Tavola in un codice del Confessionale Curam illius habe di S. Antonino:[37]

sette peccati mortali virtù principali doni dello Spirito Santo
Superbia umiltà timore
Ira pazienza pietà
Accidia carità scienza
Gola fortezza fortezza
Luxuria misericordia consiglio
Inuidia astinenza intelletto
Auaritia castità sapienza

5. Trattato della dottrina cristiana che precede l'opera Specchio di croce di Domenico Cavalca, in un codice del sec. XV:[38]

sette doni contro i sette peccati mortali
timore contro la superbia
pietà contro l'invidia
sapienza contro la lussuria
fortezza contro l'accidia
consiglio contro l'avarizia
intelletto contro la gola
scientia contro l'ira

6. Libretto della Dottrina cristiana attribuito a S. Antonino:[39]

virtù vizi
umiltà superbia
liberalità avarizia
castità lussuria
alacrità ira
astinenza gola
carità invidia
magnanimità accidia

2.2.3. I settenari dei vizi e delle virtù nei catechismi del Cinquecento

Anche i catechismi coevi che circolavano in Firenze, come quelli del Canisio, del Ledesma che ho analizzato, conservano tra gli elenchi dell'ultima parte la contrapposizione tra vizi e virtù. La corrispondenza tra vizi e virtù è ormai uniforme e non presenta differenze nei diversi catechismi, mentre non trova un riscontro completo con lo schema raffigurato nella cupola; le coppie che si ripetono sono quattro: superbia/umiltà, ira/pazienza o mansuetudine, gola/sobrietà o astinenza e invidia/carità o dilezione.

La Somma della Dottrina Christiana del Canisio:[40]

peccati capitali virtù opposte
superbia umiltà
avarizia liberalità
lussuria castità
invidia carità
gola astinenza
ira pazienza
accidia devozione, pia diligenza

La "dottrina" breve di Giacomo Ledesma:[41]

le virtù contrarie peccati mortali
umiltà superbia
liberalità avarizia
castità lussuria
pazienza ira
astinenza gola
carità invidia
diligenza accidia

Il manuale catechistico dell'Ansaldi, Discorsi spirituali:[42]

virtù contrarie peccati
umiltà superbia
liberalità avarizia
castità lussuria
mansuetudine ira
astinenza gola
carità invidia
diligenza accidia

Questi dati ci fanno ben comprendere quali e quante fossero le difficoltà a riconoscere queste combinazioni, raffigurate per di più in modo allegorico, a capirne il collegamento teologico-morale ed interpretarne il messaggio.

2.3. La rappresentazione dell'inferno

Un tema sempre presente nell'insegnamento della dottrina cristiana era l'inferno, con la dettagliata descrizione delle pene sofferte dai dannati. Insieme agli altri "novissimi", morte, giudizio e paradiso, era un argomento di predicazione e di istruzione molto raccomandato ai parroci allo scopo di distogliere i peccatori dal male incutendo paura e spavento ed esortare a compiere il bene facendo intravedere le condizioni felici della gloria del paradiso. Significativo a questo riguardo il testo seguente del Catechismo tridentino:

La materia del Giudicio si deve spesso far sentire alle orecchie de' fedeli. Queste cose debbono li buoni Pastori spesso inculcare e replicare agli orecchi de' loro popoli perché, se si crede la verità di questo Articolo, ha una grandissima forza a raffrenare le prave cupidità dell'animo nostro, ritrarre gli uomini da' peccati: onde nell'Ecclesiastico (7,40) ci fu detto: In omnibus operibus tuis memorare novissima tua, et in aeternum non peccabis; In tutte le tue opere ricordati di quelle cose, che al fine ti hanno da avvenire, e così non peccherai mai. E certamente che non è alcuno così rilasciato alli peccati, il quale da tal cogitazione, non sia talora ritirato dal mal fare, al bene, e virtuosamente operare pensando che egli ha pure a venir quel tempo, nel quale non solo di tutte le sue opere, e parole, ma ancora delle sue più secrete, ed occulte cogitazioni, e pensieri doverà rendere ragione esattissima avanti ad un severissimo, e giustissimo Giudice, e secondo li suoi demeriti ricevere la pena. E dall'altra parte il giusto più e più s'eccita all'esercizio dell'opere virtuose, e si riempie d'una somma letizia, quantunque si viva nella povertà, nella infamia, ed in tormenti, ogni volta che quel giorno rivolge l'animo nel quale dopo tanti travagli e combattimenti di questa misera vita, sarà alla presenza di tutti gl'uomini dichiarato vincitore, ed ornato di onori divini ed eterni sarà ricevuto nella celeste patria. Fa adunque bisogno essortare li Cristiani, che trovino ed ordinino un modo di vivere virtuosamente, e Cristianamente, ed essercitano nelle opere di carità, e di pietà, accioché così quel gran giorno del Signore possono aspettare con maggior sicurtà di animo, anzi (siccome alli figliuoli conviene) con somma avidità desiderarlo.[43]

In un codice manoscritto quattrocentesco possiamo leggere questa descrizione delle pene principali dell'inferno che documentano il realismo immaginifico della predicazione atto ad incutere spavento e paura per la dannazione eterna e a "fuggire i vizi" e a "praticare le virtù". Un testo letterario che merita rileggere perché commenta molto bene l'iconografia infernale della cupola così ricca di figure paurose, mostruose, e realistiche pur nella loro fantastica rappresentazione:

Il lume della coscienza non morirà mai. Starà sempre con timore. Avrà un orrore, una paura, una detestazione dei demoni. Pene acerbissime, innumerabili e crudelissime. Voci, grida, urla, mughia (lamenti), stridi, rumori, con tanta confusione che non si può dire. Oscurità, buio, notte e se pure qualche spiraglio vi sarà d'un batter d'occhio, non si vedrà se non diavoli, serpenti, dragoni, scorpioni, botte (rospi), ramarri e tutte le bruttissime bestie che si possano pensare. Puzzo intollerabile di zolfo, di sterco, di carogne, e di tutte le ribalderie. Sete, fame quanto si potesse dire et se pure ti volessi satollare ti sarà cacato, o, pisciato in bocca, o, messo fiele, o, altra tristezza. Toccamenti di tante vituperosisime cose che guai a chi ci anderà, o, a chi v'è. Fuoco di sopra, di sotto, dalla mancina, dalla ritta, dinanzi, di dietro. Ora che farai peccatore? bisogna, che chi è morto abbia patientia; et quanto durerà? per sempre mai. Come disse Dante: Lasciate ogni speranza o voi che entrate, cioè, in inferno. Et noi che siamo in questo mondo c'ingegniamo di vivere in tale modo che non ci abbiamo andare; in però che mi pare una favola queste cose scritte a me, che non l'ho provate et così possono dire tutti i peccatori; ma secondo la fede cristiana che è vera e certa abbiamo avere una piena città di tutti e beni e consolazioni e gaudii e allegrezze, dolcezze, pace che mai non mancheranno a chi ama Iddio e fa e suoi comandamenti e quelli della chiesa romana cattolica. E così per contrario coloro che non faranno bene avranno una città piccolina e stretta.[44]

Diversa è invece la descrizione dell'inferno e delle sue pene nei testi catechistici del Cinquecento dove si preferisce rimanere fedeli alle parole e agli insegnamenti della Sacra Scrittura. Così ad esempio il catechismo del Canisio:

Così nell'inferno, et della sua pena niuna cosa si può imaginare che sia più intollerabile et più infelice. Percioché quivi, sì come testifica la divina scrittura, è il pianto, et lo stridore de i denti, quivi il loro verme non muor mai, et il lor fuoco non si estingue, quivi è la terra tenebrosa, et coperta della caligine della morte, quivi è l'ombra della morte, et niuno ordina, ma qui habita sempre sempiterno spavento (Mat 8.13.22.24.25; Marc 9; Is 66; Tob 10; Apoc 21). Quivi una parte di loro sarà tormentata nello stagno con fuoco ardente, et solfo, che è la seconda morte, la notte, et il giorno nei secoli dei secoli (Apoc 20). Quivi finalmente si ritroverà esser vero quel che il giusto giudice ha predetto a tutti quei che han da essere nello inferno cruciati, con queste parole: Ecco che i miei servi mangieranno, et voi havrete fame. Ecco che i miei servi beveranno, et voi havrete sete. Ecco che i miei servi si rallegreranno, et voi sarete confusi. Ecco che i miei servi lauderanno per l'allegrezza del cuore, et voi gridare te per dolor del cuore, et strida rete per la contritione dello spirito (Is 65). (...) Temete colui, il qual dopo che havrà occiso, ha potestà di mettere nel fuoco eterno, così dico a voi, temetelo (Luc 12; Mat 10). Perché, come è momentaneo quel che in questa vita diletta, così è sempiterno quel che nell'eterno fuoco forte cruccia, perché nell'inferno non vi è redentione alcuna.[45]

3. Conclusione

Se il programma pittorico affrescato nella cupola aveva, come ho anticipato sopra, quale scopo catechistico quello di confermare e rafforzare attraverso la rappresentazione iconografica il patrimonio di verità già acquisito, allora è chiaro che bisogna parlare di una catechesi dotta e comprensibile solo a giovani e adulti già altamente scolarizzati. In tal caso il messaggio articolato e complesso del programmo iconografico realizzato dal Vasari e dallo Zuccari presenta più i caratteri di una catechesi dotta che di una catechesi popolare. Ciò è avvalorato anche dal fatto che se per catechesi intendiamo, come era intesa comunemente, il "volgarizzamento" o divulgazione della teologia, le rappresentazioni allegoriche dei settenari non corrispondevano certo alla esigenza di immediata comprensione delle verità quanto piuttosto esigevano conoscenze previe molto articolate. Non si può negare la difficoltà a riconoscere, al di là della loro rappresentazione allegorica, i vizi (animali), le virtù (donne angeli), i doni dello Spirito santo e le beatitudini.

Ed ancor più difficile rimaneva la capacità di cogliere le correlazioni teologico-morali tra questi settenari, che peraltro si differenziavano da quelli presenti nei catechismi circolanti in quel tempo.

Lo stesso Catechismo voluto dal Concilio di Trento e indirizzato ai parroci, cui sembra riferirsi il Borghini, era una guida dotta per sussidiare la predicazione degli stessi parroci e piuttosto lontana rispetto all'immediata attività pratica dell'insegnamento ai piccoli e ai "rudes".[46]

Di tutto il programma iconografico là rappresentazione dell'inferno era certamente quella che rimaneva di più immediata comprensibilità anche per i più sprovveduti nelle conoscenze dottrinali, sia ragazzi che adulti. Tutti indistintamente vi potevano trovare richiamo e conferma di quella predicazione che ancora era correntemente praticata, specialmente nelle confraternite laicali, e che insisteva sulla "fuga dei vizi", sulla "pratica ed esercizio delle virtù" e sui "novissimi", i temi cioè della morte, del giudizio, dell'inferno e del paradiso.

Considerando infine l'insieme generale di tutto il complesso iconografico resta di indubbia efficacia comunicativa il messaggio globale di tono moraleggiante: la destinazione ultima del cristiano il quale dalla sua condizione peregrinante contempla il giudizio che lo attende e la sorte diversa dei dannati e dei santi; la morte e la vita eterna.

Note al testo

[1] Cf. P. Braido, Lineamenti di storia della catechesi e dei catechismi. Dal “tempo delle riforme” all’età degli imperialismi (1450-1870), Elle Di Ci, Leumann (Torino) 1991, 57.65.75-79.

[2] Cf. ibid., 66-74.

[3] Cf. P. Tacchi Venturi, Storia della Compagnia di Gesù in Italia narrata col sussidio di fonti contemporanee, II.2: Dalla solenne approvazione dell'Ordine alla morte del fondatore (1540-1556), Ed. "La Civiltà Cattolica", Roma 1951, 432-433. Lo stesso storico in altro luogo raccontava: «Solen­ni ancora, per la celebrità del luogo, sono i dialoghi di dottrina cristiana, che, in mezzo a grande coro­na di spettatori, recitarono nel gran tempio di S. Maria del Fiore il 1556 alcuni fanciulli fiorentini, di­scepoli degli stessi Gesuiti nelle loro nascenti scuole di s. Giovannino. Un contemporaneo, forse esa­gerando, fa ascendere a tre o quattromila persone il numero degli intervenuti alla semplice recitazio­ne quasi a non più visto e gradito spettacolo» (Storia della Compagnia di Gesù in Italia, 1.1: La vita religiosa in Italia durante la prima età dell'Ordine, Ed. "La Civiltà Cattolica", Roma 1950-2, 356).

[4] Cf. M. Scaduto, Storia della Compagnia di Gesù in Italia, IV: L'epoca di Giacomo Lainez, 1556-1565. L'azione, Ed. "La Civiltà Cattolica", Roma 1974, 616-618. La dottrina di s. Giovanni d'A­vila fu pubblicata in una riduzione in rima italiana nel 1555 a Messina. Per le opere catechistiche e in particolare per il testo della Doctrina cristiana que se canta cf. Juan de Avila, Obras completas, ed. Sa­la Balust et F. Martin Hernandez, BAC, Madrid 1971, VI, 454-480.

[5] Tale metodo non trovò invece molto favore nell'Italia settentrionale; cf. M. Turrini, "Rifor­mare il mondo a vera vita christiana": le scuole di catechismo nell'Italia del Cinquecento, in «Annali dell'Istituto storico italo-germanico in Trento» 8 (1982) 426-428, in partic. nota 90; M. Scaduto, Storia della Compagnia di Gesù in Italia, IV, 616; P. Tacchi Venturi, Storia della Compagnia di Gesù in Italia, 1.1, 357.

[6] M. Scaduto, Storia della Compagnia di Gesù in Italia, IV, 616.

[7] Era stato tenuto lontano dalla sua sede da Cosimo I per i contrasti politici che dividevano le famiglie Medici e Altoviti.

[8] «De fidei initiis a Parocho tradendis. Parochi rurales nostrae Dioecesis singulis Dominicis, et aliis festis diebus, qui Ecclesiae praecepto coli soleant, pueris singulis in suis Parochiis initia, et ru­dimenta fidei tradant, eosque ad obedientiam, primum Deo, deinde parentibus praestandam eru­diant, ac propterea a prandio, Campanae sono ad id potissimum assignato, ad Ecclesiam convocan­dos curabunt» (Dioecesana synodus Florentiae celebrata tertio nonas maias MDLXIX, Florentiae apud Bartholomaeum Sermartellium, 1569, 10).

[9] «De initiis fidei a Parocho tradendis. Rubr. XXI. Initia fidei pueros docenda. Cap. Unicum. Singulis Dominicis, et festivis diebus stata hora, et proprio campanae sono, Parochi pueros omnes ad Ecclesiam convocent, ubi initia fidei eos doceant, et ad obedientiam primum Deo, deinde parentibus praestandam, atque etiam ad ea omnia, quae ad christianam religionem pertinent, accurata insti­tuant. Hortatur autem parentes, ut idem ipsi domi faciant; atque etiam curent, ut filii hanc tam salu­tarem disciplinam negligere non possint» (Decreta provincialis synodi Florentinae. Praesidente in ea Reverendissimo D. Antonio Altovita Archiepiscopo, apud Bartholomaeum Sermartellium, Floren­tiae 1574, 38).

[10] Abbiamo a questo riguardo due testimonianze. La prima informazione ci viene offerta dal Moreni (D. Moreni [ed.], De ingressu Antonii Altovitae Archiepiscopi Fiorentini historica descriptio incerti auctoris. Edidit praefatus est et notas adjecit Dominicus Morenius in faustissimo desideratissi­mi novi praesulis adventu exultans, Florentiae 1815. In typographia apud vicum Omnium Sanc­tomm, 79-80, nota 22), che cita fra le opere dell'Altoviti: «Elementa Doctrinae Christianae pro Flo­rentinis puerorum Societatibus edita Romae an. 1571 (forsan 1561), et FIorentiae 1582».

La seconda è una postilla di A. Cistellini: «Nel giugno 1571 era nuovamente a Roma, donde spediva con una lettera un suo Breve compendio di dottrina cristiana, diretto ai guardiani delle com­pagnie dei fanciulli; nel 1582 l'opera venne ristampata presso Francesco Tosi a iniziativa del card. Alessandro de' Medici» (A. Cistellini, San Filippo Neri e la sua patria, in «Rivista della Storia della Chiesa in Italia» 23 [1969] 105, nota 162). Questa notizia il Cistellini dice di averla trovata «in una po­stilla del Brocchi al manoscritto della Cronologia del Cerracchini in Biblioteca del Seminario fioren­tino, B.II.7, c. 325» (Ibid.).

[11] Di lui non si hanno molte notizie: «Nacque nel 1537 da Cesare di Jacopo; patrizio pisano per nascita, fu ammesso alla cittadinanza fiorentina nel 1592, dopo essere stato per lungo tempo membro del collegio dei giureconsulti» (A., Aspetti della Controriforma a Firenze, Ministero dell'In­terno, Pubblicazioni degli Archivi di Stato LXXVII, Roma 1972, 299, nota 88). Dal 1580 al 1584 fu af­fiancato all'ormai molto anziano Benedetto Mori, guardiano della Compagnia de’ giovani di s. Mar­co, con l'incarico di istruire e formare quei giovani; cf. ASF, Compagnie Religiose Soppresse da Pie­tro Leopoldo: Compagnia della Purificazione di Maria e S. Zanobi in S. Marco, n. 1647, 352v e 354r. Sui testi catechistici dell'Ansaldi abbiamo già dato ampie informazioni nel nostro studio sulle "dot­trine» del Ledesma; cf. G. Aranci, Le «dottrine» di Giacomo Ledesma s.j. (1524-1575), in «Salesia­num» 53 (1991) 321-328. In particolare si tratta del piccolo manuale intitolato: Dottrina Cristiana. Nuovamente Ristampata et publicata per ordine dell'Illustriss. et Reverendiss. Cardinal di Firenze. Da insegnarsi et esercitarsi dalli Curati, et Guardiani delle Compagnie de' Fanciulli della suo [!] Diocesi per publica utilità. In Firenze, Appresso Francesco Tosi e’ Comp. 1585.

[12] Cf. G. Richa, Notizie istoriche delle chiese fiorentine divise ne' suoi quartieri, Pietro Gaeta­no Viviani, Firenze 1754-1762 (rist. Multigrafica, Roma 1972), VI, 330-331.

[13] Erano le societates puerorum, dette anche scholae o "compagnie di fanciulli"; cf. R. Morçay, Saint Antonin. Fondateur du couvent de saint-Marc. Archevèque de Florence (1389-1459), (s.t.), Tours-Paris 1914, 90-91; S. Orlandi, S. Antonino. Studi biografici, Ed. Il Rosario, Firenze 1960, II, 211-­214; C. Calzolai, Frate Antonino Pierozzi dei domenicani. Arcivescovo di Firenze, Presbyterium, Ro­ma 1961, 79-80.

[14] Cf. G. Aranci, La catechesi a Firenze nel XV secolo, in G. Rolfi - L. Sebregondi - P. Vi­ti (edd.), La Chiesa e la Città a Firenze nel XV secolo, Silvana Editoriale, Milano 1992, 82-85.

[15] Nel 1589 le compagnie di ragazzi erano diventate undici. Le troviamo elencate dal Ferrini nel Sommario delle Compagnie e fraternite della città di Firenze, in M. Poccianti, Vite de sette beati fiorentini fondatori del sacro Ordine de' Servi con un epilogo di tutte le chiese, monasteri, luoghi pii e compagnie della città di Firenze, Firenze, Appresso Giorgio Marescotti 1589, 196-209. Sono le quat­tro compagnie confermate da Papa Eugenio IV nel 1442: la compagnia della Natività del Signore, o della Scala, o dell'Arcangelo Raffaello, nel quartiere di S. Maria Novella; la compagnia della Purifi­cazione della B. V. Maria, o di S. Marco e la compagnia di S. Giovanni Evangelista, nel quartiere di San Giovanni, ed infine la compagnia di S. Niccolò, detta del Ceppo, nel quartiere di Santa Cro­ce. Inoltre sono citate le seguenti: S. Alberto nel Carmine, S. Antonio da Castello, S. Bastiano in bor­go S. Iacopo, S. Bernardino da Castello, S. Francesco in S. Piero Scheraggio, S. Iacopo detta del Nic­chio, Nunziata sulla Costa S. Giorgio.

[16] K. Eisenbichler, Il ruolo delle confraternite nell'educazione dei fanciulli: il caso di Firenze, in Rotondi Secchi Tarugi (ed.), L'educazione e la formazione intellettuale nell'età dell'Umanesimo. Atti del II convegno internazionale - 1990, Guerini e associati, Milano 1992, 115-116. Egli ricorda come Piero Lupivecchi, un ragazzo della compagnia dell'Arcangelo Raffaello nel gennaio del 1583 durò per ben tre domeniche a sermoneggiare sul vizio della lussuria.

[17] G.M. Cecchi, Ragionamenti spirituali (1558). Con introduzione e note a cura di Konrad Ei­senbichler, Dovehouse Editions Canada, Ottawa 1986. Per altre notizie sul Cecchi cf. l'introduzione e il commento di K. Eisenbichler a G. M. Cecchi, Compendio di più ritratti delle cose della Magna Fiandra, Spagna e Regno di Napoli, in «Archivio Storico Italiano» 151 (1993) 449-473.

[18] Eisenbichler, Introduzione, in Cecchi, Ragionamenti spirituali, 11-13.

[19] Ibid., 17.

[20] Per Firenze basta citare le diverse raccolte di sermoni del domenicano Serafino Razzi: Ser­moni [ ...] per le più solenni così domeniche come feste de' santi, In Fiorenza, appresso Bartolomeo Sermartelli, 1575; Sermoni predicabili dalla prima domenica dell'Avvento fino all'ottava di Pasqua di Resurrezione. Con altri cento sermoni più brevi, di diverse materie, da farsi a monasteri e compagnie, e con alcuni altri sermoni di nozze e da morti, In Firenze, nella stamperia di Bartolomeo Sermartelli, 1590; Sermoni predicabili per tutta la Quaresima. Con dieci sermoni di materie importantissime, In Fi­renze, nella stamperia di Bartolomeo Sermartelli, 1590; Sermoni in laude della gloriosissima Vergine e Madre di Dio Maria, In Firenze, nella stamperia del Sermartelli, 1594.

[21] Citiamo come esempio: Libro da compagnia, nuovamente impresso et con somma diligentia corretto, et di nuovo agiuntovi alquanti devoti sermoni et divotione, Florentiae, apud Juntas, 1552. Vi si trovano raccolti quattro sermoni (sull'utilità del frequentare la compagnia, sulla religione, sulla resurrezione di Cristo e sulla morte) e quattro esortazioni da recitarsi durante la disciplina (sulla peni­tenza, sulla perseveranza, sulla passione del Salvatore e sulla resurrezione). Per la descrizione dell'o­pera cf. A. D'Addario, Testimonianze archivistiche, cronistiche e bibliografiche, in La comunità cri­stiana fiorentina e toscana nella dialettica religiosa del Cinquecento, Becocci, Firenze 1980, 181, scheda n. 170. Sull'importanza di questi libri a stampa per le pratiche devozionali delle compagnie cf. G. Al­berigo, Contributi alla storia delle confraternite dei disciplinati e della spiritualità laicale nei secc. XV e XVI, in Il movimento dei Disciplinati nel settimo centenario del suo inizio, Deputazione di Storia Pa­tria per l'Umbria, Perugia, 1962, 209-212; R. Rusconi, Pratica culturale e istruzione religiosa nelle confraternite italiane del tardo medioevo: "libri da compagnia" e libri di pietà, in Le mouvement con­fraternel au Moyen Age. France, Italie, Suisse, Librairie Droz S.A., Genève 1987, 133-153. Va anche ricordato che già nel sinodo provinciale del 1573 si introduceva una certa limitazione e un certo controllo sulla predicazione dei laici nelle confraternite: «Rubr. LI: De Confraternitatibus laicorum (...) Cap. II: Laici prohibentur concionare, ac habere sermones de rebus fidei, et religionis, exceptis (...) qui licentiam ab Episcopo habuerint, qui secundum morales sermones faciant» (Decreta Provincialis Synodi Florentinae. Praesidente in ea reverendissimo D. Antonio Altovita archiepiscopo, Apud Bar­tholomaeum Sermartellium, Florentiae 1574, 110).

[22] A. D'Ancona, Origini del Teatro italiano. Libri tre con due appendici sulla rappresentazio­ne drammatica del contado toscano e sul teatro mantovano nel sec. XVI, Bardi editore, Roma 1966 (rist. anast. secondo l'edizione Loescher 1891), II, 645.

[23] Drammi spirituali inediti di Giovanmaria Cecchi notaio fiorentino del secolo XVI. Introdu­zione e note di Raffaello Rocchi, Le Monnier, Firenze 1899. Sulle recitazioni di commedie e drammi spirituali anche di altri autori, oltre il Cecchi, nelle compagnie di ragazzi e giovani cf. D'Ancona, Origini del teatro italiano, I, 405-412.

[24] Cf. EisenbichIer, Introduzione, in Cecchi, Ragionamenti spirituali, 16; cf. D'Ancona, Origi­ni del teatro italiano, I, 411-412.

[25] L'elenco completo delle opere teatrali a sfondo religioso del Cecchi si trova in R. Rocchi, Prefazione, in Drammi spirituali inediti di Giovanmaria Cecchi.

[26] In C. Guasti, La Cupola di Santa Maria del Fiore, Barbera, Bianchi e Comp., Firenze 1857, 134.

[27] In Guasti, La Cupola di Santa Maria del Fiore, 136.

[28] Catechismo cioè Istruzione secondo il Decreto del Concilio di Trento a' Parochi. Tradotto poi per ordine di Sua Santità in lingua volgare dal R.P.F. Alessio Figliucci dell'Ordine de' Predicato­ri, In Venezia 1772, 91; cf. Catechismus romanus seu Catechismus ex Decreto Concilii Tridentini ad Parochos Pii Quinti Pont. Max. iussu editus, ed. P. Rodriguez, Libreria Editrice Vaticana - Ed. Uni­versidad de Navarra, Città del Vaticano - Pamplona 1989, 90-91.

[29] In Guasti, La Cupola di Santa Maria del Fiore, 134.

[30] Cf. T. Verdon, "Ecce homo"; contesto e senso degli affreschi della Cupola, in Il «Giudizio ritrovato». Il restauro degli affreschi della Cupola di S. Maria del Fiore, Ed. Cooperativa 2000, Firenze 1995, 40-41.

[31] Hugues de Saint-Victor, Six opuscules spirituels. Introduction, texte critique, traduction et notes par Roger Baron, (Sources Chrétiennes, 155), Ed. du Cerf, Paris 1969, 100-117.

[32] «Haec ita primo loco distingue, ut intelligas ipsa vitia quasi quosdam animae languores, sive vulnera interioris hominis; ipsum vero hominem quasi aegrotum; medicum, Deum; dona sancti Spiritus, antidotum; virtutes, sanitatem; beatitudines, felicitatis gaudium» (Ibid., 102).

[33] Cf. G. Aranci, I “Confessionali” di S. Antonino Pierozzi e la tradizione catechistica del ‘400, «Vivens homo» 3 (1992), 273-292.

[34] Bibl. Nazionale Centrale di Firenze, Ms. Conv. soppr. I.1.42, c. 78r. Cf. S. Orlandi, Bibliografia antoniniana, Città del Vaticano 1962, 239-242.

[35] Bibl. Laurenziana di Firenze, Ms. Acquisti e doni, n. 108, cc. 110v-112v. Cf. S. Orlandi, Bibliografia, 244.

[36] Bibl. Ambrosiana di Milano, Ms. A. 176 Suss., c. 93v. Cf. S. Orlandi, Bibliografia, 193.

[37] Bibl. Nazionale di Firenze, Ms Magliab. XXXIX, 95, cc. 101r-102r. Cf. S. Orlandi, Bibliogra­fia, 264-265.

[38] Bibl. Riccardiana di Firenze, Ricc. 1716 = P. IV. XXV, c. (3v].

[39] In appendice al Confessionale Omnis mortalium cura. Seguiamo l'edizione di Venezia, Ri­naldo da Nimega, 23 dicembre 1479 (Bibl. Nazionale Centrale di Firenze, Incunab. E.6.2.71), cc. [70r-71r].

[40] Somma della Dottrina Christiana, chiaramente descritta per via d'interrogationi, Tramezzi­no, Venezia 1568, 140v-141r; cf. Institutiones Christianae pietatis, sive abbreviatus Catechismus (vel Catechismus parvus), Venetiis, Apud Iacobum Comattum, 1588, 23v.

[41] Dottrina Christiana, composta per il R.P. Giacomo Ledesma della Compagnia di Giesù. Di nuovo ristampata, e diligentemente corretta, in Roma, Appresso Luigi Zannetti, 1593, 16-17; cf. l'e­dizione fiorentina Dottrina Cristiana. Nuovamente Ristampata et publicata per ordine dell'Illustriss. et Reverendiss. Cardinal di Firenze. Da insegnarsi et esercitarsi dalli Curati, et Guardiani delle Compa­gnie de' Fanciulli della suo [!] Diocesi per publica utilità. In Firenze, Appresso Francesco Tosi e' Comp. 1585, 41.

[42] Discorsi spirituali et civili, secondo il Catechismo per instruttione de Giovani desiderosi far profitto nella vita Spirituale et Civile, Fatti da M. Iacopo Ansaldi Dottor di Legge, In Fiorenza, Appresso Giorgio Marescotti, 1583, 59-60.

[43] Catechismo cioè istruzione, trad. Figliucci, 94-95; cf. Catechismus romanus, ed. P. Rodriguez, 93-94.

[44] Bibl. Laurenziana di Firenze, Ms Palat. XXXIV, cc. 83v-84r: Confessionale Omnis morta­lium cura di S. Antonino, sec. XV; cf. S. Orlandi, Bibliografia, 245. Ecco il testo originale sopra trascrit­to: «[c. 83v] E lumine della conscientia non morra mai. Stara sempre con timore. Ara uno orrore, una paura una detestatione delle demonia. Pene acerbissime e innumerabile e crudelissime. Boce gridi urla mughia, stridi romori con tanta confusione che non si puo dire. Scurita, buio, notte e se pure qualche spiraglio sara dun batter docchio non uedra se non diauoli serpenti dragoni scarpioni botte ramarri e tutte le bruttissime bestie chéssi possa pensare. Puçço intollerabile di çolfo, di sterco di ca­rogne e di tutte le rubalderie. Sete, fame quanto si potesse dire et se pure ti uolessi satollare ti sara cacato, o, pisciato in bocca, o, messo fiele, o, altra trestitia. Toccamenti di tante uituperosisime cose che guai a chi / [c. 84r] ci andera, o, chi ue. Fuoco di sopra, di sotto, dalla mancina, dalla ritta, dinançi, di drieto. Ora che farai peccatore bisogna, che chi e morto abbia patientia, et quanto durera per sem­pre mai, come dixe dante. Lasciate ogni sperança o uoi che intrate, cioe, in inferno. Et noi chessiamo in questo mondo cingegniamo di uiuere in tale modo che non ci abbiamo andare in pero che mi pare una fauola queste cose scritte a me, che nollo prouate et cosi puo dire tutti e peccatori, ma secondo la fede christiana che e uera e certa abbiamo, auere una piena cicta di tutti e beni e consolationi e gau­dii e allegreççe dolceççe pace che mai non mancheran a chi ama Idio e fa, e suoi commandamenti e quegli della chiesa romana cattolica. Et cosi per contrario coloro che non faranno bene aranno una citta piccolina stretta».

[45] Somma della Dottrina Christiana, 216v-218r.

[46] Cf. P. Braido, Lineamenti di storia della catechesi, 74.