Il potere davvero necessario, di Tommaso Spinelli (sulle dimissioni di Benedetto XVI)

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 12 /02 /2013 - 15:50 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo sul nostro sito un commento di Tommaso Spinelli. Di Tommaso Spinelli vedi su questo stesso sito anche «La nuova evangelizzazione ha bisogno di sostanza». L’intervento al Sinodo del più giovane degli uditori, il catechista di giovani catecumeni Tommaso Spinelli, 23 anni e Ridate loro la parola, di Tommaso Spinelli.

Il Centro culturale Gli scritti (12/2/2013)

Saldo è il tuo trono, da sempre tu sei
Sal 93

La cosa sorprendente della Scrittura è che parla a distanza di millenni. E un passo che uno ha giudicato per anni un’introduzione superflua ad un certo punto diventa cruciale, illumina e dà forza.

Cosa avrebbe mai potuto dire al democratico uomo moderno il salmo 93? Che il mondo non vacilla perché c’è un trono stabile, c’è una maestà che regge il mondo. Tutti ci saremmo messi a ridere fino a ieri. Tutti abbiamo sempre riso quando sentivamo i preti affaticarsi a parlare di famiglia stabile, di gerarchia, di solidità antirelativistica. Che pesantezza questa stabilità, che costrizione l’idea di qualcosa di definitivo!

Oggi però non ci viene più da ridere. Perché oggi abbiamo provato dentro il pungolo dell’inquietudine. Oggi tutti noi praticanti e non, siamo stati costretti a guardarci dentro per capire cos’era quel senso strano che avvertivamo. Perché io che non vado a messa da anni alla notizia che il papa si è dimesso non sono indifferente? Perché mi assale un’inquietudine?

Perché è giunta dentro la domanda a cui il salmo risponde. Perché qualcosa ha vacillato dentro. Qualcosa che la tua coscienza moderna non ti permette di accettare: critichiamo il vaticano, se qualcosa non va ce la prendiamo col papa, ma come il marchese del Grillo, tutti noi nel profondo ci sentiamo legati a quel trono che da 2000 anni vede passare sopra di sé la storia di Roma e del Mondo.

Accorremmo dalle campagne nel medioevo quando il papa poteva permettersi di girare per le strade di Roma travestito da frate senza che nessuno lo riconoscesse. Chiudemmo le nostre finestre quando sembrava che tutto stesse per finire con l’arrivo delle truppe savoiarde. Esultammo quando dopo l’esilio del silenzio tornò ad affacciarsi in processione su piazza San Pietro. Accorremmo in piazza per festeggiare dopo la seconda guerra mondiale quando a Roma non c’era più nessuno, non un Re, non un capo di governo, non un generale, ma solo lui: quel papa che chiamammo “il principe di Dio”.

Quando la fumata è bianca c’è un aria diversa a Roma, e coloro che corrono in piazza sono più di coloro che abitualmente vanno a messa. Ci resta difficile ammetterlo, ma la sede vacante ci spaventa. Spaventa anche coloro che non sanno cosa sia una sede vacante.

Siamo forse una generazione di papisti? Non direi proprio. Siamo una generazione cresciuta nel relativismo e nella relatività. Nessuno ha più il coraggio di fare una scelta definitiva, ma tutti abbiamo disperatamente bisogno di vedere qualcuno che questa scelta definitiva l’ha fatta. Qualcuno che dia una certezza.

Dentro di noi si ripete all’infinito la storia di Genesi 18: non importa che ci siano 50 giusti, che ce ne siano 20 o 10. Ci basta anche uno solo che ci dica con la sua vita che una vocazione certa nella vita esiste. Che non tutto muta sempre. Perché, in fondo, questa estrema mutabilità, che abbiamo scambiato per libertà non ci fa stare tanto bene. Ma ormai non possiamo più ammetterlo visto le energie che abbiamo profuso per destabilizzare ogni cosa che avesse il sospetto di essere stabile. Il papa nel suo involucro antico di Re era quella certezza. Ed eravamo pronti a sopportare l’ansia di un vuoto quando la sala stampa cominciava ad ammettere, dopo mesi di evidente malattia, che il papa non si sentiva più tanto bene.

Questa volta il papa ci ha colti alla sprovvista, perché tutti lo credevamo un uomo del passato e invece si è rivelato più moderno di tutti noi. Come si è permesso di togliersi dalla scena proprio ora che dovevamo dargli la colpa delle elezioni politiche? Il silenzio umile di Benedetto XVI ha costretto per una volta al silenzio tutti noi. E la sua testimonianza più autenticamente cristiana è stata questo silenzio mite che non si oppone al male, il silenzio di quell’agnello condotto al macello nella Scrittura.

Il papa ci ha messo in crisi, eppure ci sarà un altro papa. Siamo inquieti, eppure è da secoli che il diritto canonico dà questa possibilità al vescovo di Roma. In effetti la crisi non è del soglio eterno di Pietro, e non è neanche di Benedetto XVI. La crisi è la nostra, la crisi è esser stati messi con le spalle al muro dalla vera libertà di questo papa. Non ce lo aspettavamo, vedevamo la Chiesa come qualcosa di imbalsamato e ci era comoda così.

Benedetto XVI ci ha mostrato che la Chiesaè viva e che il cristiano è un uomo libero. E così facendo ha creato il silenzio dentro di noi. Nulla è scontato, e quel papa contro cui ci accanivamo tanto volentieri ora già ci manca, ci verrebbe da dirgli: ma mica dicevamo sul serio.

Ma non è qui il problema di Benedetto XVI. Il problema è che la Chiesaè viva, e lo Spirito continua a plasmarla. Sembrava fosse la fine quando il papa perse il regno, e molti dei cattolici si chiusero in protesta per molti anni, poi Dio ci mostrò che aveva dovuto toglierci qualche regione italiana per darci il mondo intero e la vera universalità. Ora le vestigia del papa re, pontificato dopo pontificato, si vanno perdendo.

Sarebbe stato più comodo per noi sapere che il papa è li fermo immutabile. Che quando ci serve sta lì. Ed in parte è così. Ma non dobbiamo dimenticare che la Chiesa è continuamente plasmata dallo Spirito.

Benedetto XVI ha sempre amato insegnare. La ricerca della Verità è sempre stata il suo scopo di vita. Oggi forse ha dato l’insegnamento supremo: quello dell’umiltà del papa. “La Verità vi farà liberi”, dovevamo aspettarci che il papa fosse un uomo autenticamente libero dai nostri schemi.

Siamo in una generazione di immobilità giovanile, di potenti disposti a tutto per conservare il proprio potere. Ratzinger con semplicità ci ha mostrato che davvero è un “umile lavoratore nella vigna”, uno come gli altri, reso libero dalla Verità di Dio. Ci ha insegnato che il potere non è suo, ma di Dio e a Dio va reso. E lo ha fatto con l’unico gesto che potesse aprire a tutti l’orecchio: il martirio silenzioso dell’umiltà.

Questo ci fa strano, che il papa ammetta pubblicamente i propri limiti, che non li mascheri, non li nasconda.

Non vedo differenze tra Benedetto XVI e Giovanni Paolo II, l’uno ha mostrato senza vergogna la sua sofferenza, l’altro giudicandola dannosa per la Chiesa di oggi non ha avuto paura di annunciarla pubblicamente, scegliendo per sé la via della clausura e della preghiera.

Forse non è un caso che questa scelta è caduta nel concistoro per i martiri di Otranto, uccisi dai musulmani 500 anni fa: ci sono i martiri e i dottori della Chiesa. E gli uni non ci sarebbero senza gli altri. Gli uni partecipano di ciò che contraddistingue gli altri. Non c’è dottore che non sperimenti il martirio silenzioso, e non c’è martire che non arrivi alla conoscenza profonda di Dio. Benedetto XVI ha scelto il martirio silenzioso, ha scelto di caricarsi da solo il peso degli ultimi anni della sua vita consegnando la Chiesa in mano ad un nuovo servitore.

Non dobbiamo chiederci cosa accadrà, perché già lo sappiamo: “quel trono è saldo e non vacilla”. Ma… il salmo si riferisce a Dio non al papa! Appunto. Quel trono è saldo perché è il trono di Dio sulla Terra.

Ciò che dobbiamo chiederci è perché ci siamo sentiti all’improvviso come pecore senza pastore, perché ci siamo sentiti frastornati. Forse un po’ soli.

Perché non abbiamo la libertà vera e la fede di questo papa. Perché abbiamo bisogno di un pastore. Ecco l’ultima grande lectio magistralis di papa Benedetto. Questa inquietudine non dobbiamo più scordarla.

Perché oggi era un’impressione, perché la Chiesa avrà prima di Pasqua un nuovo pastore. Ma non è detto che la nostra vita ne abbia uno. Non è detto che i nostri figli avranno la libertà di correre in piazza per vedere la fumata bianca. E con questo dobbiamo fare i conti.

Quando in un rapporto ci accorgiamo del bene che vogliamo ad una persona perché ci viene tolta, solitamente è troppo tardi ormai. La Chiesa invece ci donerà una nuova guida, e dopo l’inquietudine di questi giorni forse saremo meno timidi nell’esprimere il nostro affetto verso il successore di Pietro, e avremo meno vergogna nel dire che il mondo ha bisogno della Chiesa.

Quale insegnamento migliore per un papa che mentre era prigioniero di guerra scriveva poesie in greco antico e sognava di insegnare la Verità agli uomini da grande? Grazie Benedetto.