Il Catechismo della Chiesa cattolica: «disancorare il cristianesimo dal concetto di verità non mette in forse soltanto i contenuti della fede (la fides quae creditur), ma anche l’atto di fede in quanto tale (la fides qua creditur)». Una relazione del card. Camillo Ruini

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 21 /04 /2013 - 15:17 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo sul nostro sito la relazione tenuta del card. Camillo Ruini al clero romano nella Basilica di San Giovanni in Laterano, l’11 aprile 2013. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti sul CCC, vedi la sezione Catechesi e pastorale.

Il Centro culturale Gli scritti (17/4/2013)

Concilio, Sinodo del 1985 e Catechismo

Per comprendere meglio il senso e lo scopo del Catechismo della Chiesa cattolica può essere utile inquadrarlo nel contesto da cui ha avuto origine e cioè nel Sinodo straordinario dei vescovi a vent’anni dal Concilio, svoltosi nel 1985 e conclusosi con un Messaggio e con una Relazione finale approvati dai Padri sinodali. Il Sinodo aveva come suo scopo celebrare, verificare e promuovere il Vaticano II. Qualifica il Concilio come “un dono di Dio alla Chiesa e al mondo”, anzi come “la massima grazia di questo secolo”.

Esamina però con attenzione e obiettività luci e ombre nell’accettazione del Concilio, ponendosi soprattutto la domanda perché, nel mondo occidentale, dopo una dottrina sulla Chiesa spiegata dal Concilio in modo tanto ampio e profondo, si manifesti abbastanza spesso una disaffezione verso la Chiesa. Riconduce le “cause esterne” di questo fenomeno a un certo immanentismo che porta all’idolatria dei beni materiali e alla cecità verso le realtà e i valori spirituali, oltre che alla presenza di forze capaci di grande influenza che agiscono con spirito ostile verso la Chiesa. Dietro a ciò vede l’opera del “principe di questo mondo” e del “mistero di iniquità”.

Alle cause esterne il Sinodo aggiunge però l’esame delle cause interne alla Chiesa stessa: “una lettura parziale e selettiva del Concilio e un’interpretazione superficiale della sua dottrina, in un senso o nell’altro”. Tra i suggerimenti che il Sinodo offre per superare queste difficoltà vi è il desiderio, espresso da moltissimi Padri sinodali, “che venga composto un catechismo o compendio di tutta la dottrina cattolica per quanto riguarda sia la fede che la morale, perché sia quasi un punto di riferimento per i catechismi o compendi che vengono preparati nelle diverse regioni. La presentazione della dottrina deve essere biblica e liturgica. Deve trattarsi di una sana dottrina adatta alla vita attuale dei cristiani”.

Giovanni Paolo II decise immediatamente di accogliere questo suggerimento del Sinodo e incaricò il Card. Ratzinger di presiedere alla redazione del Catechismo. Il Papa poté quindi firmare l’11 ottobre 1992, nel trentesimo anniversario dell’apertura del Vaticano II, la Costituzione Apostolica Fidei depositum per la pubblicazione del Catechismo della Chiesa cattolica. Nel titolo stesso di questa Costituzione si precisa che il Catechismo è “redatto dopo il Concilio ecumenico Vaticano II”.

La nostra situazione spirituale e pastorale

Il Sinodo del 1985 ha offerto una lettura della nostra situazione spirituale che, pur risalendo a ventotto anni fa, è ancora valida e calzante per vari aspetti. Anche per questo il Catechismo della Chiesa cattolica è e rimane uno strumento prezioso messo nelle nostre mani. Per vedere come meglio impiegarlo, fermiamoci brevemente sulla situazione spirituale e pastorale di oggi.

Come hanno mostrato molte indagini socio-religiose e come consta dalla diretta esperienza pastorale, da un lato non soltanto una generica religiosità, ma anche la convinzione soggettiva di essere “cattolici” sono ancora assai largamente diffuse tra gli italiani. Pur in termini meno ampi, anche un più preciso riferimento di fede in Cristo e di adesione alla Chiesa appaiono fortemente presenti, nettamente al di sopra di quanto avviene nella maggior parte dei paesi dell’Europa occidentale. Tutto ciò spesso non si traduce in una regolare pratica religiosa, anche se il numero di coloro che partecipano in maniera abbastanza assidua alla vita della Chiesa rimane consistente.

Assai significativo è poi il fatto che un’aliquota più modesta ma pur sempre rilevante di fedeli è impegnata e coinvolta in senso attivo con la Chiesa e manifesta, sia sul piano della testimonianza e della comunicazione della fede sia su quello del volontariato e dell’impegno sociale, una forte vitalità e un animo generoso e creativo. A Roma ne abbiamo avuto una conferma di grande portata con la Missione cittadina degli anni 1996-1999 e in particolare con l’impegno dei laici in questa Missione.

Un discorso a parte riguarda però i giovani, a proposito dei quali Don Armando Matteo ha potuto parlare di “prima generazione incredula”, mentre a proposito delle donne ha scritto della “fuga delle quarantenni”.

Una religione disancorata dal concetto di verità

Scendendo più in profondità nell’analisi dei problemi e nella ricerca delle più idonee risposte pastorali, appare molto diffusa anche tra coloro che si considerano cattolici l’idea secondo la quale non esisterebbe una religione “vera”, ma sarebbe più saggio accogliere le verità e idee giuste presenti, insieme a limiti, ritardi ed errori umani da superare, nelle diverse religioni e proposte di vita.

Un atteggiamento per così dire eclettico e relativista ha dunque ormai permeato l’idea stessa di religione, il modo di concepirla e di viverla, senza dubbio in rapporto di stretta dipendenza con il clima diffuso di pluralismo e relativismo culturale e in concreto con la diffidenza verso l’idea di una verità oggettiva e valida per tutti.

Perciò Franco Garelli ha potuto scrivere di “una religione disancorata dal concetto di verità” e quindi dello “stemperamento del concetto di religione” e dello “scadimento delle credenze religiose dal ruolo di certezze al rango di opinioni”.

In fondo è  la stessa diagnosi fatta da Joseph Ratzinger, quando scriveva che al termine del secondo millennio il cristianesimo si trova, specialmente in Europa, in una crisi profonda, basata sulla crisi della sua pretesa di verità. Le conseguenze di questo cambiamento di fondo si manifestano nell’accoglienza molto differenziata che viene riservata ai singoli contenuti della fede e della morale, ad esempio su quei temi essenziali per una proposta cristiana piena e autentica che sono la vita eterna e la risurrezione dei morti, e su quegli aspetti morali del messaggio cristiano che incidono in maniera più diretta ed esigente sui nostri comportamenti e scelte concrete di vita personale, familiare e sociale.

Spingono in questa direzione fattori in qualche misura nuovi, come quel clima di disincanto che si è rafforzato anche in Occidente a seguito della caduta delle ideologie per così dire “classiche” della modernità, e che dà luogo a una certa qual decomposizione o dissoluzione culturale, favorita al contempo dall’esperienza della sempre crescente complessità del mondo sociale nel quale viviamo e sempre più pesantemente dal declino dell’Occidente nel mondo globalizzato.

Per un altro verso abbiamo a che fare qui con un esito di lungo periodo del processo di secolarizzazione, che appare più penetrante e potenzialmente più distruttivo della stessa diminuzione della pratica religiosa. Riducendo la verità cristiana a livello di opinione si elimina infatti la struttura portante dell’atteggiamento di fede, ossia l’adesione a Dio che si manifesta e si dona a noi in Cristo e così opera gratuitamente la nostra salvezza: la rivelazione di Dio non può essere un’opinione o una proposta tra le altre, a cui dedicare un poco della nostra attenzione e del nostro tempo, ma o è la verità che libera e salva oppure oggettivamente non esiste.

Detto in altri termini, questi atteggiamenti non mettono in forse soltanto i contenuti della fede (la fides quae creditur), ma anche l’atto di fede in quanto tale (la fides qua creditur). E’ qui anche la radice più profonda del fenomeno, a sua volta assai diffuso, dell’appartenenza “debole” e parziale alla Chiesa: esso ha certo svariati motivi di ordine sociale e pratico, o riconducibili ai peccati di opere e omissioni dei cristiani e uomini di Chiesa,  e oggi a comportamenti divenuti di dominio pubblico che affliggono le stesse strutture ecclesiastiche centrali, ma la sua causa fondamentale sta nel non cogliere più, alla base dell’appartenenza alla Chiesa, la fede in Dio che ci viene incontro in Gesù Cristo e che costituisce la Chiesa stessa come luogo privilegiato di questo incontro.

Il contributo del Catechismo della Chiesa cattolica alla nuova evangelizzazione

Se il punto di maggior delicatezza e rischio per la vita cristiana è oggi da individuarsi in una “religione disancorata dal concetto di verità”, risulta chiara la necessità di un forte impulso nel senso dell’evangelizzazione, e più specificamente della catechesi degli adulti e dei giovani. E’ questo l’insegnamento di Paolo VI,  Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, che ha una sua chiara fondazione nel Concilio Vaticano II, i cui obiettivi, secondo l’Evangelii nuntiandi (n. 2), “si riassumono in definitiva in uno solo: rendere la Chiesa del XX secolo sempre più idonea ad annunziare il Vangelo all’umanità del XX secolo”. Gli episcopati delle varie nazioni, non soltanto europee, si muovono da molto tempo su questa lunghezza d’onda, calandola naturalmente nel concreto delle diverse situazioni. I vescovi italiani, in particolare, insistono su questa linea fin dagli anni '70.

In questo contesto assume tutto il suo significato la pubblicazione del Catechismo della Chiesa cattolica. Esso viene incontro all’esigenza diffusa di una presentazione autorevole e organica dei contenuti della fede e della morale, che costituisca per tutti i credenti un preciso, oggettivo e impegnativo punto di riferimento, e così contribuisce già di per sé a superare i fenomeni di “soggettivizzazione” e frammentazione che conducono a un’adesione parziale al credo della Chiesa. Esso si situa però a livello della fides quae creditur e non direttamente della fides qua creditur, e così potrebbe sembrare non raggiungere la radice delle attuali difficoltà, ma a questo proposito sono necessarie alcune considerazioni.

Anzitutto ogni separazione tra i due aspetti sarebbe artificiosa e infondata: come l’adesione ai contenuti deve fondarsi sul “motivo” della fede, sull’obbedienza a Dio che si rivela (cfr. Dei Verbum n. 5), così l’atteggiamento di fede non può rimanere privo del suo contenuto, che è trascendente ma anche concreto e determinato, e proprio nell’accoglienza di questo contenuto esso si esplicita e si rafforza. La proposta stessa del contenuto della fede, cioè del mistero cristiano, nella sua integralità e al contempo nella sua profonda unità, che è cristologica e così inseparabilmente teologica e antropologica, costituisce infatti uno stimolo altamente efficace a percepirne la verità, non come un’opinione umana tra le altre, ma come il dischiudersi a noi del mistero di Dio.

Non va dimenticato inoltre che il Catechismo della Chiesa cattolica offre al suo inizio (prima sezione della prima parte) una spiegazione e motivazione dell’atto di fede, come risposta all’iniziativa di Dio che si rivela, che viene giustamente premessa alla presentazione dei contenuti del Simbolo apostolico: siamo orientati così a sviluppare una catechesi che vada in profondità e che, prendendo sul serio la radicalità dei problemi posti dall’odierno ambiente sociale e culturale, non dia per scontata la struttura basilare dell’atteggiamento di fede, ma al contrario la proponga e la giustifichi in termini espliciti, mettendo in questione i presupposti teorici e pratici della mentalità relativista e oggi direi specialmente “scientista”: quell’idea cioè, divulgata e sostenuta anche da qualche uomo di scienza ma contrastante con i limiti, anzitutto metodologici, che la scienza impone a se stessa, secondo la quale l’unica forma di conoscenza oggettivamente valida sarebbe quella scientifica.

Possiamo precisare meglio il rapporto tra evangelizzazione e catechesi rifacendoci a quanto dice al riguardo il Catechismo della Chiesa Cattolica, nella sua Prefazione (n. 6): la catechesi si articola “in” (forse sarebbe meglio dire “con”) un certo numero di elementi della missione pastorale della Chiesa che, senza confondersi con la catechesi, la preparano o ne derivano. In primo luogo l’annuncio del Vangelo e la predicazione missionaria, al fine di suscitare la fede; inoltre la ricerca delle ragioni per credere; l’esperienza della vita cristiana, la celebrazione dei sacramenti, l’integrazione nella comunità ecclesiale, la testimonianza apostolica missionaria. E’ bene aggiungere, in termini più generali, la testimonianza di una vita cristiana, in particolare la testimonianza dell’amore concreto e operoso del prossimo.

Il Catechismo della Chiesa cattolica punto di riferimento certo per la fede dei credenti

E’ stata spesso proposta la questione della qualificazione o “nota teologica” che compete a quanto è contenuto nel Catechismo della Chiesa cattolica: mi riferisco evidentemente non alla qualificazione delle sue singole affermazioni, che dipende anzitutto dalle fonti da cui sono tratte, ma alla qualificazione che compete globalmente a ciò che in esso è insegnato, per il fatto stesso di essere insegnato in questo Catechismo. Giovanni Paolo II, nel n. 4 della Costituzione Apostolica Fidei depositum, dedicato al valore dottrinale del testo, qualifica il Catechismo come “un’esposizione della fede della Chiesa e della dottrina cattolica, attestate o illuminate dalla sacra Scrittura, dalla Tradizione apostolica e dal Magistero della Chiesa” e lo riconosce come “una norma sicura per l’insegnamento della fede”, chiedendo pertanto ai Pastori e ai fedeli “di accoglierlo in spirito di comunione e di usarlo assiduamente nel compiere la loro missione di annunziare la fede e di chiamare alla vita evangelica”. Lo propone quindi “come testo di riferimento sicuro e autentico per l’insegnamento della dottrina cattolica, e in modo tutto particolare per l’elaborazione dei catechismi locali”. Né si può trascurare qui quanto detto al n. 2 della medesima Costituzione Apostolica su questo Catechismo come “frutto di una collaborazione di tutto l’episcopato della Chiesa cattolica”.

Alla luce di queste chiare affermazioni pontificie, e per la natura stessa del testo, ritengo si possa sostenere con certezza che quanto è insegnato nel Catechismo, per il fatto stesso di esservi insegnato, è “dottrina cattolica”, nel senso preciso di quegli insegnamenti che la Chiesa presenta in modo autentico anche se non infallibile e irreformabile (a meno che, evidentemente, l’infallibilità di proposizioni contenute nel Catechismo consti per altra via, in particolare per la fonte da cui sono tratte).

Dopo la crisi della sistemazione neoscolastica del sapere teologico e il profondo rinnovamento apportato dal Concilio Vaticano II, abbiamo attraversato un non breve periodo di difficoltà a individuare un punto di riferimento sicuro che si estendesse non soltanto ai singoli temi via via affrontati dal Magistero, ma alla dottrina della Chiesa nella sua globalità e organicità. Di questa difficoltà hanno indubbiamente sofferto la catechesi e l’evangelizzazione, e finalmente la coscienza di fede dei credenti. E’ pertanto di grande significato, allo stesso fine dell’evangelizzazione e della fede, che nella Chiesa cattolica, dopo il Vaticano II, esista nuovamente un tale riferimento sicuro per la dottrina della Chiesa nella sua globalità e organicità. E’ indispensabile però che non esista solo sulla carta ma che noi per primi lo prendiamo sul serio.

Destinatari e uso del Catechismo della Chiesa cattolica

L’autorevolezza del Catechismo della Chiesa cattolica è confermata dai suoi destinatari. Essi sono “in primo luogo i vescovi, come maestri della fede e pastori della Chiesa, e attraverso di essi i redattori dei catechismi locali, i presbiteri e i catechisti” (n. 12). Naturalmente la lettura del Catechismo della Chiesa Cattolica può essere utile anche per tutti gli altri fedeli ma, data l’ampiezza del testo, sembra essere più accessibile alla lettura diretta dei fedeli il Compendio, redatto a domande e risposte e pubblicato nel 2005, che Benedetto XVI ha definito “una sintesi fedele e sicura del Catechismo della Chiesa cattolica”, che contiene in modo conciso tutti gli elementi essenziali e fondamentali della fede della Chiesa”.

Molto interessante è anche la precisazione, fatta dal Catechismo stesso (n. 24), che “adattamenti dell’esposizione e dei metodi catechistici sono richiesti dalle differenze di cultura, di età, di vita spirituale e di situazione sociale ed ecclesiale di coloro a cui la catechesi è rivolta”. Questi adattamenti il Catechismo della Chiesa cattolica non li contiene, ma li affida a catechismi appropriati, di cui, come si è visto, il Catechismo della Chiesa cattolica è “testo di riferimento sicuro e autentico”.

Fede e giusta libertà dei credenti

Nello stesso tempo è chiaro, e risulta ampiamente dal Catechismo stesso, che tale autorevolezza non può e non deve motivare un ritorno a concezioni non sufficientemente rispettose della giusta libertà dei credenti e in particolare dei teologi, o una perdita di senso storico o, su un altro piano, una minor attenzione alla “gerarchia delle verità”. Dobbiamo cioè camminare in avanti, ma nell’adesione piena e cordiale alla parola autentica della Chiesa, che proprio quando è così accolta è stimolo al pensare e fonte di libertà interiore. In ogni caso non possiamo ignorare come sia grande e sostanziale il contributo alla causa della fede e dell’evangelizzazione che può venire da una sincera e convinta recezione del Catechismo a ogni livello della vita della Chiesa, dai vescovi e dai sacerdoti impegnati in cura d’anime come dalle università ecclesiastiche e dai seminari, dai religiosi e dalle religiose e anche dai fedeli laici, in particolare dai movimenti e aggregazioni ecclesiali. Questo Catechismo è cioè per tutti noi una forte occasione per approfondire e irrobustire l’indole propriamente ecclesiale, quindi comunitaria e marcata dal carisma dell’unità, della fede e della proposta della fede, in vista dell’autenticità e dell’efficacia dell’evangelizzazione.

L’inculturazione della fede e il Catechismo della Chiesa cattolica

Un’altra considerazione, complementare alla precedente, riguarda il Catechismo della Chiesa cattolica in rapporto a quella grande necessità e sfida per l’evangelizzazione che è l’inculturazione della fede. Mi riferisco qui non tanto all’inculturazione della medesima fede nei diversi contesti geografici e antropologici, quanto piuttosto a quella inculturazione che è sempre di nuovo richiesta, anche in uno stesso territorio, tra i popoli di antica tradizione cristiana, a causa del cambiamento rapido e incessante che caratterizza, come già insegnava il Concilio (Gaudium et spe, nn. 4-10), la società e la cultura contemporanee, globalmente considerate.

Il Catechismo della Chiesa cattolica, per il suo alimentarsi della lettera e dello spirito del Vaticano II e del Magistero successivo, costituisce già di per se stesso una grande opera di inculturazione della fede nel nostro tempo, che pone in essere la richiesta di Giovanni XXIII, formulata nel discorso di apertura del Concilio, di approfondire e presentare la dottrina certa e immutabile in modo che risponda alle esigenze attuali. In effetti il Catechismo, con la sua capacità di nutrirsi, anche in questo del resto nella linea del Concilio, di tutta la ricchezza della Scrittura e della Tradizione, realizza questa rinnovata inculturazione non a prezzo di una cesura rispetto al passato, ma al contrario facendo vivere nel presente la verità perenne e la forza spirituale che sono all’origine della Chiesa e che sotto la guida dello Spirito si sono progressivamente esplicitate nel suo cammino attraverso la storia e le esperienze umane. Sulla base del Catechismo è quindi concretamente possibile andare avanti nel processo di inculturazione, approfondendo il senso degli interrogativi attuali e delle risposte che essi richiedono, senza dimenticare che attraverso questi interrogativi affiora la domanda che l’umanità da sempre porta scritta nel proprio essere, fatto a immagine del Creatore.

Non si può dimenticare però che dal Concilio sono ormai passati cinquant’anni. Il Sinodo del 1985 non elude questo problema e propone, in certo senso, un aggiornamento degli insegnamenti del Concilio, in particolare della Gaudium et spes, alla luce dei segni dei tempi percepibili nel 1985 e in parte diversi da quelli del tempo del Concilio, “con problemi e angosce maggiori”. Sembra pertanto che Dio “voglia insegnarci più profondamente il valore, l’importanza e la centralità della croce di Gesù Cristo”. La relazione tra storia umana e storia della salvezza va quindi spiegata alla luce del Mistero pasquale: teologia della croce e teologia della creazione e dell’incarnazione non sono affatto alternative ma si implicano reciprocamente. Fare riferimento alla croce non significa pertanto essere pessimisti, ma fondarsi nel realismo della speranza cristiana, non confinata dentro a questo mondo.

In questa chiave il Sinodo precisa anche il concetto di inculturazione, che non è un semplice adattamento ma significa l’interna trasformazione dei valori culturali “mediante l’integrazione nel cristianesimo e il radicamento del cristianesimo nelle varie culture umane”.

Benedetto XVI, nella memorabile lezione sul Concilio Vaticano II che ha offerto a voi il 14 febbraio scorso, ha messo in evidenza come la Gaudium et spes vada letta insieme alla Dichiarazione sulla libertà religiosa e a quella sulle religioni non cristiane: solo con questo “trittico”, infatti, possiamo cogliere in maniera più adeguata la situazione della Chiesa nel mondo contemporaneo, come si è evoluta dagli anni del Concilio fino a oggi. 

Fede, testimonianza dell’amore, esperienza della preghiera

Vorrei accennare infine a un ultimo ordine di considerazioni, ispirate dall’articolazione delle parti del testo del Catechismo, sempre in rapporto alle esigenze della nuova evangelizzazione. Ho sottolineato all’inizio la questione della verità e il suo oscurarsi nella nostra cultura. Non è però affatto mia intenzione ridurre la fede alla sua sola dimensione veritativa. In realtà la fede è vita, è esperienza e scelta globale, concreta e pratica, che impegna tutta la persona. In termini biblici è adesione alla verità di Dio che si rivela e consustanzialmente è fiducia in lui e obbedienza della vita.

Per conseguenza l’evangelizzazione e la catechesi non possono mai prescindere dalla testimonianza di vita, personale e comunitaria, degli “operai del Vangelo”. E questa testimonianza è, essenzialmente, la testimonianza dell’amore. Attraverso di essa infatti l’amore di Dio per l’uomo, che è il cuore dell’annuncio cristiano, può essere in qualche modo sperimentato e così farsi vicino e credibile. E’ quindi molto significativo, ai fini dell’evangelizzazione, che nel Catechismo della Chiesa cattolica alla presentazione dei contenuti della fede sia intimamente raccordata la presentazione della vita morale e che questa sia incentrata sul duplice comandamento della carità.

Ma è altrettanto significativo che l’ultima parte del testo sia dedicata alla preghiera. In realtà l’esperienza della preghiera non è meno essenziale di quella dell’amore del prossimo per aprirsi alla fede: c’è infatti un passaggio, che dev’essere anch’esso a suo modo esperienziale, dal rapporto con gli altri uomini al rapporto con Dio, più esattamente con le Persone divine del Padre, del Figlio e dello Spirito.

E questo passaggio si compie appunto nella preghiera, personale, comunitaria e liturgica. Perciò la preghiera è il risvolto e la concretizzazione della fede nella nostra coscienza e nella nostra vita, e senza preghiera l’evangelizzazione e la catechesi restano prive del loro soffio vitale. Così ogni nostro impegno viene ricondotto a Dio e resta affidato a lui.

Il carisma di Papa Francesco, con la sua disarmante semplicità e con il suo calore umano, ma anche con la profondità dei suoi riferimenti a ciò che, per i discepoli di Gesù, è essenziale, sembra fatto apposta per aiutare la Chiesa e ciascuno di noi, in particolare noi vescovi e preti, a tenere saldamente unito tutto il nostro lavoro pastorale, e specialmente l’annuncio e la catechesi, alla preghiera e alla testimonianza della vita. Se il Signore ci darà questa grazia non saranno insuperabili nemmeno gli ostacoli più duri che oggi incontriamo nell’evangelizzazione.