I Catechismi di Lutero, di Calvino ed il Catechismo del Concilio di Trento. File audio di una lezione tenuta da Andrea Lonardo

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 02 /06 /2013 - 14:18 pm | Permalink | Homepage
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Mettiamo a disposizione sul nostro sito il file audio dell'incontro sui Catechismi di Lutero, di Calvino e sul catechismo del Concilio di Trento tenuto da Andrea Lonardo l'11/5/2013 presso la chiesa di San Lorenzo in Panisperna in Roma. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. Per i precedenti incontri vedi la sezione Roma e le sue basiliche.

Il Centro culturale Gli scritti (2/6/2013)

Registrazione audio

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Riproducendo "slorenzo catechismi".



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ANTOLOGIA DI TESTI COMMENTATA NEL CORSO DELL'INCONTRO

Ufficio catechistico di Roma www.ucroma.it (cfr. anche www.gliscritti.it )

I Catechismi di Lutero, Calvino e del Concilio di Trento (Chiesa di San Lorenzo in Panisperna)

Appuntamenti e news

- su www.gliscritti.it i file audio e le antologie di testo di tutti gli incontri 2012-2103

- viaggio di studi in Terra Santa, 21/30 luglio 2013: entro il 31 maggio il saldo dell’iscrizione

- catecumenato:

  • I anno, 19 maggio, Credo in Dio Padre creatore onnipotente
  • II anno, 26 maggio, Mistagogia: confessare i peccati

1/ Il luogo in cui ci troviamo: San Lorenzo in Panisperna

- il cardinale Guglielmo Sirleto, che presiedette la commissione di redazione del Catechismo Romano o del Concilio di Trento era cardinale di questa chiesa

2/ L’età dei catechismi

da A. Läpple, Breve storia della catechesi, Queriniana, Brescia, 1985, pp. 105-107

Anno Autore Titolo
1501/1503 Erasmo da Rotterdam Enchiridion militis christiani
1512/1513 Erasmo da Rotterdam Christiani hominis institutum
1522   Le domande per bambini dei fratelli boemi
1524 Eustasius Kannel Legge evangelica
1525   Tavola del catechismo di Strasburgo
1525   Tavola del catechismo di Zurigo
1525 Valentin Ickelsamer Dialogo di due fanciulli
1525 Hans Gerhart Belle domande e risposte
1526 Johann Toltz Manualetto per giovani cristiani
1526 Johann Bader Libretto di dialogo
1527 Johann Agricola Elementa pietatis cogesta
1527   Il catechismo di St. Gallen
1528 Andreas Althamer Catechismo
1529 Konrad Sam Istruzione cristiana
1529 Johannes Brenz Domande sulla fede cristiana
1529 Kaspar Loener Insegnamento sulla fede
1529 (aprile) Martin Lutero Grande catechismo
1529 (maggio) Martin Lutero Piccolo catechismo
1535 Johannes Brenz Domande per la gioventù (Schwäbisch Hall)
1535 Georg Wicelius Catechismus Ecclesiae
1537 Johannes Dietenberger Catechismus
1537 Martin Bucer Catechismo breve
1543 Friedrich Nausea Catechismus catholicus
1549 Martin Bucer Catechismo per Hessen
1555 Pietro Canisio Summa doctrinae christianae (Grande catechismo)
1556 Pietro Canisio Catechismus minimus (Piccolo catechismo)
1559 Pietro Canisio Parvus catechismus catholicorum (Catechismo medio)
1562 Julius Pflug Institutio christiani hominis
1566 Concilio di Trento (deliberazione della 25° sessione, 1563) Catechismus Romanus

- ma cfr. anche i Catechismi America Latina

- c’era stata l’invenzione della stampa: Johannes Gutenberg, 1450-1455 a Magonza

3/ Il problema della sintesi

da J. Ratzinger, Queriniana, Brescia, pp 59-61
Un racconto risalente al tardogiudaismo del tempo di Gesù narra che un giorno un pagano si presentò al celebre caposcuola
Rabbi Shammai e gli disse:«Mi convertirò alla religione giudaica se sarai in grado di riassumermene il contenuto stando su un piede». Il rabbi pensò al vasto materiale contenuto nei cinque libri di Mosè e a tutto quello che nel frattempo l’interpretazione giudaica vi aveva aggiunto, dichiarando che si trattava di interpretazioni vincolanti, necessarie e indispensabili per la salvezza. Presa visione di tutto questo, non gli rimase che ammettere che gli era impossibile riassumere in poche e brevi proposizioni tutto il contenuto della religione d’Israele. Chi gli aveva fatto quella domanda singolare non si scoraggiò e si rivolse, se così posso esprimermi, alla concorrenza: andò dall’altro celebre caposcuola, da Rabbi Hillel, e gli pose lo stesso quesito. Diversamente da Rabbi Shammai, Hillel non trovò nulla di impossibile in esso e rispose senza tanti giri di parole: «Non fare al tuo prossimo quel che non ti piacerebbe fosse fatto a te. Questa è tutta la legge. Tutto il resto è spiegazione»[1].
Se oggi quell’uomo andasse da qualche dotto teologo cristiano e gli domandasse di introdurlo nel giro di cinque minuti nell’essenza del cristianesimo, tutti i professori direbbero probabilmente che la cosa è impossibile: essi avrebbero bisogno di sei semestri solo per le discipline più importanti della teologia, e anche così sarebbero arrivati solo ai margini
. E tuttavia sarebbe ancora una volta possibile venire in aiuto di quell’uomo. La storia di Rabbi Hillel e Shammai si ripeté, infatti, ancora una volta pochi decenni dopo, in altra forma. Questa volta un rabbi si presentò a Gesù di Nazaret e gli domandò: «Che cosa devo fare per ottenere la salvezza?». Si tratta della domanda relativa a quel che Cristo considera come contenuto indispensabile e necessario del suo messaggio.

da Tre, cinque, quattro: la triade Parola-Liturgia-Carità, gli ambiti di Verona e/o il CCC, di Andrea Lonardo (in corso di stampa)
Non è scontato affermare che le “sintesi” sono utili. C’è chi sostiene, infatti, che utilizzandole si perde vitalità nella comunicazione: solo uno stile narrativo sarebbe adeguato ad una catechesi degli adulti.
Eppure proprio l’adulto è tale solo perché ha maturato uno sguardo di sintesi, perché sa come orientarsi e consigliare, perché ha faticosamente raggiunto un’armonia. È evidente agli occhi di tutti che la capacità di fare sintesi, di essere semplici nel
vortice della complessità, è al cuore di ogni vera maturità
[2].
Si diffida della sintesi talvolta perché la si contrappone alla vivacità ed alla passione, ma questo vale solo ad uno sguardo superficiale. Nella storia la trasmissione della cultura ha sempre utilizzato la capacità di schematizzare unitamente a quella di appassionare. Ad esempio la Divina Commedia, l’opera italiana più grande, unisce una visione dell’intero universo - nel quale tutto trova una sua precisa collocazione - all’amore per ogni dettaglio “carnale”: essa si imprime nella mente e nel cuore. Il lettore percepisce l’ordine del poema, ma allo stesso tempo
ne esce con un “animo ferito”. Bolzoni ha descritto la poetica dantesca come portatrice di una “
memoria appassionata”, cioè di una visione retrospettiva di sintesi, che è al contempo appassionante e non algida[3].
Questo bisogno dell’uomo di “fare sintesi”, di possedere una visione del mondo, senza perderne la vivezza, mostra che si tocca qui un aspetto essenziale. Senza un ordine l’esistenza è semplicemente confusa: è questo il dramma del post-moderno. Gli Orientamenti Educare alla vita buona del Vangelo lo sottolineano: «La formazione integrale è resa particolarmente difficile dalla separazione tra le dimensioni costitutive della persona, in special modo la razionalità e l’affettività, la corporeità e la spiritualità. La mentalità odierna, segnata dalla dissociazione fra il
mondo della conoscenza e quello delle emozioni, tende a relegare gli affetti e le relazioni in un orizzonte privo di riferimenti significativi
»[4].
Non è adeguata, insomma, per gli adulti una catechesi senza sintesi, solo che esse debbono essere «sorgive come l’acqua, semplici come il pane, chiare come la luce, potenti come la vita»[5].

- la questione dei “misteri” di Cristo o del “mistero” della creazione (Genesi 1-2)

- le domande dei bambini e degli adulti

4/ Una questione di allora e che rimane bruciante anche oggi

da Erasmo da Rotterdam, Paraclesis, ovvero esortazione allo studio della filosofia cristiana, in Erasmo da Rotterdam, Scritti religiosi e morali, Einaudi, Torino, 2004, pp. 128-129
Mi dispiace dovere adesso, per prima cosa, rinnovare una vecchia lamentela: vecchia, ma ahimé!, fin troppo giusta. E non so se sia mai stata più giusta di oggi, quando, mentre i mortali si dedicano con tanta passione ai loro studi, la sola filosofia di Cristo è addirittura derisa da certi cristiani, dalla maggior parte di essi è trascurata, e solo da pochi viene studiata – ma con indifferenza, per non dire con ipocrisia.
Eppure, in tutte le altre discipline create dall’ingegno umano non c’è più niente di così recondito e nascosto tanto difficile che non sia stato compreso grazie a un lavoro incessante. Perché allora accade che noi, che pure ci chiamiamo tutti col nome che ci viene dato da Cristo, non ci dedichiamo a quest’unica filosofia con l’animo che merita?
Platonici, Pitagorici, Accademici, Stoici, Cinici, Peripatetici, Epicurei conoscono profondamente i principi della propria scuola, e li sanno a memoria, e per essi combattono, pronti a morire piuttosto che tradire l’insegnamento del proprio maestro. E noi, perché non dimostriamo una fedeltà anche maggiore al nostro fondatore e maestro Cristo?
Chi non troverebbe assurdo che un seguace di Aristotele ignorasse il pensiero di quel filosofo sulle cause dei fulmini, sulla materia elementare, sull’infinito? Eppure, queste sono cose che non rendono felici a saperle, né infelici a ignorarle. E noi, che siamo stati iniziati e avvicinati a Cristo in tanti modi e con tanti sacramenti, non riteniamo disonorevole ignorare una dottrina che garantisce a tutti una felicità certissima?
Ma a che serve ingrandire qui polemicamente l’argomento, quando è empio e folle il fatto stesso di paragonare Cristo con Zenone o Aristotele, e la sua dottrina con le loro – per parlare educatamente – formulette?
Attribuiscano pure ai capi della loro setta quello che possono o che vogliono: questo è senza dubbio l’unico maestro venuto dal cielo, il solo che abbia potuto, essendo l’eterna sapienza, insegnare certezze; il solo a impartire insegnamenti salvifici, unico autore dell’umana salvezza; il solo ad essere assolutamente coerente con tutto ciò che insegnato; il solo che può mantenere tutto ciò che ha promesso.
Se arriva qualcosa dai Caldei o dagli Egizi, bramiamo ardentemente di conoscerlo proprio perché viene da un mondo a noi estraneo, e l’arrivare da lontano fa parte del suo valore.
Spesso sulle fantasie di un poveruomo, per non dire di un impostore, ci tormentiamo ansiosamente, non solo senza alcun frutto, ma con grande spreco di tempo – per non dir di peggio (sebbene sia già gravissimo non ottenere nessun risultato).
Ma come mai una curiosità di questo genere non stuzzica l’animo dei Cristiani, che sanno benissimo che la loro dottrina non viene dall’Egitto o dalla Siria, ma dal cielo stesso? Perché non riflettiamo tutti che è necessario sia uno straordinario, mai visto, genere di filosofia quello di predicarci il quale colui che era Dio si è fatto uomo, colui che era immortale si è fatto mortale, colui che era nel cuore del Padre è sceso in terra?
È necessario che sia qualcosa di grande, di nient’affatto comune, qualsiasi cosa sia, ciò che è venuto a insegnarci quel maestro tanto ammirevole, dopo tante scuole di filosofi e tanti insigni profeti. Perché, qui, non conosciamo, analizziamo, discutiamo, con pia curiosità, ogni singola cosa?
Soprattutto visto che questo genere di sapienza – tanto esimio da rendere una volta per tutte stolta tutta la sapienza di questo mondo – lo si può attingere, come da limpidissime fonti, da questi pochi libri, con fatica di gran lunga minore di quella che costa attingere da tanti volumi spinosi, da tanto immensi e contraddittori commenti di interpreti la dottrina aristotelica – per non aggiungere con quanto maggior frutto.
Qui infatti non è necessario avvicinarsi muniti di tante angoscianti dottrine. Il viatico è semplice e accessibile a chiunque, purché si abbia un animo pio e disponibile, e soprattutto dotato di fede semplice e pura. Purché tu sia docile, otterrai grandi risultati in questa filosofia. È lei che ci fornisce lo spirito maestro, che non si offre tanto volentieri quanto agli animi semplici.

da F. Ferrario, Introduzione a Lutero, Il Piccolo Catechismo. Il grande Catechismo (1529), Claudiana, Torino, 1998, p. 10
L'istruzione per i visitatori, cioè la direttiva di base a cui essi devono attenersi, constata anzitutto che, avendo Dio deciso di far risuonare in modo speciale la sua parola precisamente in Sassonia, sia il principe che i sudditi sono investiti da una responsabilità particolare a questo riguardo
. Un primo compito consiste nella verifica della condotta e della dottrina dei pastori: quanti non si comportano in modo moralmente esemplare vanno senz'altro rimossi; altrettanto dicasi dei «settari» (cioè i fautori delle tesi di Carlostadio o degli anabattisti), mentre i nostalgici del papato devono essere guadagnati alla causa evangelica, oppure, se irriducibili, messi in pensione, ma in ogni caso provvisti di mezzi di sostentamento. [...]

pp. 11-13
Melantone, poi,
è colpito dall'insufficiente preparazione teologica dei pastori: in particolare, l'evangelo della grazia gli appare predicato in forma grossolana, come annuncio di un perdono esangue, che non impegna al ravvedimento e dunque non è affatto liberatorio. Reagendo a tale situazione, il teologo prepara un testo che serva ai predicatori come punto di riferimento: una serie di articoli, che intendono riassumere gli elementi fondamentali della fede evangelica. Ben presto, tuttavia, l'opera di Melantone è fatta segno di attacchi provenienti dallo stesso fronte luterano. In particolare, il rettore della scuola di Eisleben, Johannes Agricola, gli rimprovera un eccesso di insistenza sulla legge, che riporterebbe la prassi ecclesiale in una logica cattolico-romana. Ne scaturisce il cosiddetto «conflitto antinomistico» (da nomos, legge), che Lutero tende a non prendere troppo sul serio, ritenendo che si tratti anzitutto di una disputa sulle parole. In realtà, la polemica si protrae fino a rendere necessaria una mediazione dello stesso Lutero, richiesta dal principe, preoccupato dalle conseguenze del disaccordo; il compromesso, peraltro, non giunge a superare il dissenso con Agricola, che si riproporrà in seguito, in forma anche più virulenta, coinvolgendo in prima persona lo stesso Lutero.
La linea di Melantone, in ogni caso, resta la piattaforma teologica delle visite; su questa base, egli stesso redige
l'Istruzione per i visitatori dei pastori nel Principato di Sassonia che, dopo varie rielaborazioni e un rinvio dovuto alla carenza di carta, esce a stampa nel marzo 1528, con una prefazione di Lutero. li testo, tenendo conto delle esperienze accumulate, intende essere uno strumento di pronto utilizzo, che pone in primo piano le questioni concrete che si presentano nelle comunità, indicando terapie semplici e chiare, centrate sull'esigenza di ricostruire un ethos cristiano comunemente accettato.
L'insistenza su quest'ultimo aspetto, che già aveva provocato le proteste degli «antinomisti», suscita ora l'ironia degli avversari, cioè del partito papale, i quali vi scorgono un ritorno al diritto ecclesiastico e all'etica precedenti la Riforma
: nel 1529, il polernista cattolico-romano Johannes Cochläus pubblica il libello Il Lutero dalle sette teste, che nei suoi scritti si contraddice ovunque, a proposito della visita in Sassonia, in cui ironizza sui diversi accenti che la predicazione evangelica assume, a seconda delle circostanze.
L'opera di Melantone svolge comunque la propria funzione di orientare teologicamente le visite, che vengono manciate, con decisione del principe, nel luglio 1528; da ottobre al marzo successivo, con interruzioni, Lutero vi partecipa personalmente, ricavandone l'impressione desolante che si riflette nelle prefazioni ai
Catechismi; in particolare, il Riformatore, come già Melantone, è negativamente colpito dalla diffusa ignoranza religiosa e dalla caricatura blasfema della libertà evangelica, capita e vissuta da molti come semplice autorizzazione all'indisciplina e alla grossolanità spirituale ed etica, e questo anche se, dai resoconti delle visite, risulta che molti ministri svolgano egregiamente il proprio compito; la stessa urgentissima questione del salario dei pastori e degli insegnanti può trovare soluzione solo nel più ampio quadro di una presa di coscienza della centralità della predicazione evangelica nella vita dei singoli e della collettività. In questo clima, in cui la riforma della chiesa si configura, sempre più chiaramente, come l'esigenza di una nuova evangelizzazione, su vasta scala, della Germania sedicente cristiana, giungono a maturazione i Catechismi del 1529. [...]

pp.21-23
Agli inizi del Cinquecento, la predicazione
è il canale privilegiato della formazione catechetica, e Lutero si inserisce in questa prassi fin dagli anni giovanili, trattando nei propri sermoni alcuni temi caratteristici dell'istruzione catechistica; in una predica del 1516 illustra i sette vizi capitali; nello stesso anno, per la festa di s. Lorenzo (10 agosto), spiega il primo comandamento; in una terza predicazione interpreta le prime tre richieste del Padre nostro. A partire dal 1518 (nel frattempo è esplosa la disputa sulle indulgenze) appaiono alcuni scritti sul Decalogo e sul Padre nostro, nonché un primo tentativo di sintesi, in cui sono riunite, utilizzando in parte materiali precedenti, l'esposizione dei Dieci comandamenti, quella del Credo (la prima pubblicata da Lutero) e quella
della preghiera del Signore; gli stessi argomenti, più l'Ave Maria, sono oggetto del
Libretto di preghiere.
Nel 1521-22 il popolo di Wittenberg, gli studenti dell'Università e vari confratelli agostiniani di Lutero, guidati da Gabriel Zwilling, chiedono che la predicazione luterana sia tradotta in pratica attraverso concrete riforme (liquidazione della messa come sacrificio, eliminazione dell'elevazione dell'ostia consacrata); Melantone appoggia le richieste, mentre Carlostadio, inizialmente, invita alla prudenza, poi si pone alla testa del movimento, e il giorno di Natale 1521 celebra la messa senza paramenti sacri, utilizzando una liturgia modificata, che elimina l'idea di sacrificio e l'elevazione, e che include l'eucaristia sotto le due specie; nell' agitazione si inseriscono alcuni predicatori, detti «profeti di Zwickau», dalla città di provenienza, collegati a Thomas Müntzer, i quali, oltre a rifiutare il battesimo dei fanciulli, relativizzano l'autorità della Scrittura di fronte all'ispirazione personale. Temendo che la situazione possa degenerare, Lutero abbandona il rifugio del castello della Wartburg, dove l'Elettore di Sassonia lo teneva segregato per evitare che cadesse nelle mani dell'imperatore, giunge a Wittenberg, dove pronuncia otto predicazioni, in cui sottolinea la necessità di tener conto dei «deboli», cioè di quanti possono trovare motivo di scandalo in innovazioni troppo brusche. Dopo essere riuscito a venire a capo della crisi, il Riformatore istituisce a Wittenberg regolari predicazioni di carattere catechistico, ritenendo che la formazione evangelica di base dei giovani costituisca il modo migliore per preparare un'evoluzione anche esteriore della chiesa in senso riformatore: nel 1521 Johannes Agricola è incaricato della catechesi nella città; Lutero stesso, comunque, tiene cicli di prediche sui Dieci comandamenti, sul Credo, sul Padre nostro e sull' Ave Maria nel periodo 1522-1523. In questa fase, diversi collaboratori di Lutero (tra i più noti: Melantone, Johannes Bugenhagen, Johannes Brenz, Andreas Althamer e il già menzionato Agricola) compongono i primi abbozzi di un Catechismo evangelico.
Nel 1526, il Riformatore espone con tutta chiarezza il proprio programma di rinnovamento catechetico nella prefazione allo scritto Messa in volgare e ordine del servizio divino:
Anzitutto è necessario, per un servizio divino in tedesco,
un buon catechismo che sia elementare, semplice e facile. [...] Non saprei esporre questo insegnamento o istruzione in modo più semplice e migliore di quello che è stato usato fin dagli inizi della cristianità ed è rimasto fino ad oggi, cioè nelle tre parti: i Dieci comandamenti, la fede [cioè il Credo] e il Padre nostro. [ ... ] Però non basta che imparino le parole a memoria per poi ripeterle, come si è fatto fin qui, ma bisogna porre delle domande su ogni parte e far loro dire che cosa ognuna di esse significhi e come la comprendano. Se non è possibile in una sola volta fare delle domande su tutto, si prenda una parte e, il giorno successivo, l'altra. Se i genitori e i tutori della gioventù non vogliono prendersi questa fatica, né affidarla ad altri, non si riuscirà mai ad organizzare un insegnamento catechistico [ ... ]
Lutero non si mostra soddisfatto dai tentativi intrapresi dai suoi collaboratori; egli stesso annuncia, nel febbraio 1525, di aver chiesto a Justus Jonas e ad Agricola la composizione di un Catechismo per i fanciulli, che però non giunge
. Alcuni anni più tardi, l'esperienza come visitatore induce il Riformatore a rompere gli indugi. Nel 1528, come sostituto del predicatore cittadino di Wittenberg, Bugenhagen, Lutero tiene tre serie di predicazioni catechistiche e le ultime due risentono in modo evidente della riscontrata necessità di sottolineare la novità della Riforma, evidentemente non recepita in modo adeguato, evidenziando contemporaneamente, mediante l'esposizione dei comandamenti, la permanente esigenza etica. Questo ricco materiale costituisce la base dell'elaborazione dei Catechismi. Lutero inizia il lavoro per quello che sarà il Grande Catechismo intorno alla fine di settembre 1528: due mesi dopo è pronta la prima stesura dell'esposizione sui comandamenti, che verrà rielaborata tenendo conto della terza serie di predicazioni; in dicembre vengono stese la spiegazione del Credo e del Padre nostro; una malattia impedisce la continuazione del lavoro sino al marzo 1529, il che permette l'utilizzazione, nella redazione della parte relativa alla Cena del Signore, delle predicazioni pronunciate nel corso della Settimana santa, dal 21 al 25 marzo. Al più tardi a metà aprile, il Catechismo tedesco (questo il titolo scelto da Lutero: solo in seguito si parlerà di Grande Catechismo, in contrapposizione all'Enchiridion, o Piccolo Catechismo) esce per i tipi dell'editore Rhau di Wittenberg; nello stesso anno viene pubblicata una seconda edizione, che include la Breve esortazione alla confessione, l'aggiunta di un paragrafo nell'Introduzione al Padre nostro e alcune note in margine, che non è certo siano di Lutero, nonché alcune incisioni, in parte di Luca Cranach il Vecchio; sempre nel 1529 appare, ad opera di Vincentius Obsopous, la traduzione latina, in cui la fedeltà all' originale è sacrificata all' intenzione di fare del testo un esempio di prosa latina di gusto umanistico; la terza edizione, del 1530, vede la comparsa di una seconda, più ampia prefazione. L'ultima edizione del Catechismo tedesco rivista dall'autore è del 1538.
Già nel mese di dicembre 1528, mentre è impegnato nella redazione della parte del Catechismo tedesco relativa al Padre nostro, Lutero pone mano all' Enchiridion: non si tratta di un riassunto dell'altro, ma di un' opera autonoma benché parallela, basata anch' essa sulle predicazioni del 1528. Le singole parti vengono dapprima pubblicate in forma dì manifesti, da appendere alle pareti come basi dell'istruzione, nella scuola e nella chiesa; le prime tre tavole appaiono nel gennaio 1529 presso il tipografo Nickel Schirlenz, di Wittenberg, e le altre seguono, fu due tempi, entro metà marzo, contemporaneamente a una ristampa di quelle uscite in gennaio. A metà maggio, il testo appare in forma di volumetto, integrato dalla «tavola domestica», da una prefazione, e corredato da illustrazioni; ancor prima, su iniziativa di Bugenhagen, era stata pubblicata, ad Amburgo, una versione abbreviata in tedesco del nord, e in giugno esce, ancora a Wittenberg, un'edizione provvista di alcune aggiunte, che ci è pervenuta in un unico, mutilato esemplare; tra agosto e settembre vengono approntate due traduzioni latine, la prima probabilmente di Georg Maior, che elimina la forma domanda-risposta, e la seconda, incoraggiata dallo stesso Riformatore, di Johann Sauermann. Nel 1580, i Catechismi (insieme ai tre simboli ecumenici dell' antichità cristiana, alla Formula di Concordia, alla Confessione di Augusta e alla sua Apologia, agli Articoli di Smalcalda e al trattato melantoniano De potestate et primatu papae) vengono inclusi nel Libro di Concordia, che raccoglie gli scritti simbolici del cristianesimo luterano.

Enchiridion. IL PICCOLO CATECHISMO per pastori e predicatori semplici (da Lutero, Il Piccolo Catechismo. Il grande Catechismo (1529), Claudiana, Torino, 1998, pp. 55-60
Martin Lutero a tutti i fedeli, pii pastori e predicatori. Grazia, misericordia e pace in Gesù Cristo, nostro Signore.
Problematica situazione spirituale del popolo
La deplorevole, misera situazione, da me recentemente constatata in qualità di visitatore, mi ha costretto e obbligato a redigere questo Catechismo o dottrina cristiana, in forma breve, sobria e semplice. Buon Dio, quanta miseria ho visto! l'uomo comune non sa nulla della dottrina cristiana, in particolare nei villaggi, e purtroppo molti pastori sono quasi inetti e incapaci di insegnare
; e tuttavia, tutti si devono chiamare cristiani, devono essere battezzati e ricevere i santi sacramenti, ma non conoscono il Padre nostro, il Credo, né i Dieci comandamenti. Vivono come il buon bestiame e le scrofe irragionevoli: ma, dove l'evangelo è giunto, hanno ben imparato ad abusare magistralmente di ogni libertà. O voi vescovi, come vorrete render conto a Cristo di aver lasciato errare il popolo in modo così scandaloso, senza badare, neppure per un momento, al vostro ministero? Che ogni sventura vi risparmi! Vietate una specie del sacramento e introducete le vostre leggi umane, ma non chiedete se [le persone a voi affidate] conoscono il Padre nostro, il Credo, i Dieci comandamenti, o una qualche parola di Dio. Guai a voi, in eterno.

Funzione dei Catechismi
Perciò, miei cari signori e fratelli, pastori o predicatori, prego voi tutti, per amor di Dio, di voler prendere a cuore il vostro ministero, di aver misericordia del popolo che vi è affidato, e di aiutarci a diffondere il Catechismo tra la gente, e in particolare tra i giovani; quanti non sanno far meglio, prendano questo opuscolo e queste formule e le leggano al popolo, parola per parola, e precisamente come segue.
Anzitutto, che il predicatore eviti di usare numerosi o diversi testi o formulazioni dei Dieci comandamenti, del Padre nostro, del Credo, dei sacramenti ecc., ma scelga una formulazione, ad essa si attenga e insegni, anno dopo anno, sempre la stessa
; infatti, i giovani e i semplici devono essere istruiti in base a un unico e preciso testo o formulazione; altrimenti, se oggi si insegna in un modo e tra un anno in un altro, quasi si volesse perfezionare la dottrina, essi saranno assai facilmente confusi, e tutta la fatica e il lavoro andranno perduti. Di ciò erano ben consapevoli i cari Padri, che hanno utilizzato un'unica formulazione del Padre nostro, del Credo, dei Dieci comandamenti. Perciò anche noi dobbiamo insegnare questi testi ai giovani e ai semplici senza mutarne una sillaba, né presentarli o ripeterli ogni anno in modo diverso. Scegli quindi la formulazione che vuoi, e attieniti ad essa in eterno. Se però predichi a persone istruite e competenti, puoi permetterti di mostrare la tua cultura ed esporre questi testi in modi diversi, svolgendoli nella misura in cui le tue capacità lo consentono. Ma con i giovani attieniti a una formulazione precisa, sempre uguale, e insegna anzitutto i Dieci comandamenti, il Credo, il Padre nostro, in base al testo e parola per parola, in modo che anch'essi possano ripeterli e impararli a memoria.
A chi poi non vuole imparare, si dica che rinnega Cristo e non è cristiano, e non deve neppure essere ammesso al sacramento, condurre i figli al battesimo, né godere di alcun frammento della libertà cristiana, ma semplicemente essere abbandonato al papa e ai suoi funzionari, nonché al diavolo stesso
. Inoltre, genitori e padroni devono negargli il mangiare e il bere e denunciarlo, affinché il principe cacci dal paese gente cosi rozza ecc.
Infatti, benché non si possa né si debba costringere alcuno alla fede, occorre tuttavia mantenere e inculcare nella moltitudine la consapevolezza di che cosa è giusto e di che cosa non lo è, là dove essa dimora, si nutre e intende vivere
. Infatti, chi vuole abitare in una città deve anche conoscere e rispettare il suo diritto, di cui intende fruire, sia che creda o che, nel cuore, sia un astuto e uno scellerato.
In secondo luogo, quando conoscono bene il testo, se ne insegni anche il significato, in modo che capiscano ciò che afferma
; allora prendi ancora una volta per te la formulazione di questo opuscolo, o un'altra breve versione, quella che vuoi, e attieniti ad essa, senza mutarne una sillaba, come si è detto a proposito del testo, prendendoti per questo il tempo che serve; infatti, non è necessario esporre tutte queste cose in una sola volta, ma una dopo l'altra. Quando hanno ben compreso il primo comandamento, passa al secondo, e così via. In caso contrario, essi vengono sovraccaricati, e non ricordano bene alcunché.
In terzo luogo, quando avrai insegnato questo Piccolo Catechismo, prendi il Grande Catechismo, e spiegalo diffusamente e con ampiezza. Esponi ogni singolo comandamento, ogni preghiera, ogni parte [del Catechismo] con le sue varie opere, utilità, giovamenti, pericoli e danni, così come puoi abbondantemente trovare in molti opuscoli. In particolare, inculca il comandamento e la parte [del Catechismo] che, tra la tua gente, è maggiormente trascurata. Ad esempio, il settimo comandamento, relativo al furto, lo insegnerai energicamente agli operai, ai commercianti, ma anche ai contadini e alla servitù poiché tra costoro abbonda ogni sorta d'infedeltà e di ladrocinio. Analogamente, devi parlare del quarto comandamento con i figli e con l'uomo comune, affinché rimangano tranquilli, fedeli, obbedienti, pacifici; cita sempre molti esempi biblici, per mostrare che tipo di gente Dio ha punito, o benedetto.

Responsabilità delle autorità e dei genitori
In particolare, ammonisci nello stesso senso l'autorità e i genitori, affinché [rispettivamente] governino bene e conducano i figli a scuola, mostrando che sono tenuti a comportarsi in tal modo e quale maledetto peccato commettono se non lo fanno
: così, infatti, essi colpiscono e rovinano tanto il regno di Dio che quello mondano, come i peggiori nemici di Dio e dell'uomo; e spiega bene quale terribile danno provocano, e come Dio li punirà terribilmente, se non aiutano a educare i ragazzi affinché diventino pastori, predicatori, scrivani ecc. È infatti necessario predicare su questo punto; genitori e autorità, oggi, peccano in ciò in modo indicibile; certo il diavolo, su questa base, progetta qualcosa di malvagio.

Partecipazione alla Cena del Signore
Infine, poiché ora la tirannia del papa è abbattuta, essi non vogliono più accostarsi al sacramento e lo disprezzano; anche qui è necessario esortare
, non però in modo tale da costringere alcuno al sacramento, né stabilendo alcuna legge, né tempo, né luogo. Occorre invece predicare in modo tale che essi stessi ne sentano l'urgenza anche senza la nostra legge, e che addirittura costringano noi pastori a celebrare il sacramento. Ciò si può fare dicendo: chi non cerca né desidera il sacramento almeno una o quattro volte l'anno induce a temere che egli disprezzi il sacramento e non sia un cristiano, così come non è un cristiano chi non crede all'evangelo o non lo ascolta. Cri­sto, infatti, non dice: «tralasciate questo», o «disprezzate questo», ma: «fate questo, ogni volta che bevete, ecc.». Egli vuole veramente che lo si faccia, e che non lo si tralasci né trascuri in alcun modo. «FATE questo», egli dice.
Ma se uno non tiene in alta considerazione il sacramento, è un segno che per lui non esiste peccato, né carne, né diavolo, né mondo, né morte, né pericolo, né inferno, cioè non crede a nulla [di tutto ciò], sebbene vi sia immerso fino alle orecchie, e appartenga doppiamente al diavolo. Dall'altra parte, egli non ha bisogno nemmeno di grazia, vita, paradiso, Regno dei cieli, Cristo, Dio, né alcunché di buono; se infatti credesse di essere a tal punto immerso nel male, e di aver tanto bisogno di bene, non tralascerebbe così il sacramento, nel quale tale miseria trova aiuto, e viene elargito ogni bene
. Né ci sarebbe bisogno di costringerlo ad accostarsi al sacramento mediante una legge, ma verrebbe egli stesso, e di corsa, sentendosi [interiormente] costretto, e spingendoti a offrirglielo.
Non sei quindi autorizzato a stabilire alcuna legge (come fa il papa) su questo punto: solo, esponi bene utilità e danno, necessità e benefici, pericoli e salvezza in questo sacramento: essi stessi verranno senz'altro, senza costrizione da parte tua; se però non vengono, lasciali andare e dì loro che appartengono al diavolo, dato che non apprezzano né avvertono la loro grande distretta, né l'aiuto pieno di grazia di Dio. Ma se tu non ti impegni in questo senso, oppure ne fai una legge, un veleno, allora è colpa tua, se disprezzano il sacramento. Perché non dovrebbero essere pigri, se tu dormi e taci?
Perciò attento, pastore e predicatore. Il nostro ministero è ora diventato altra cosa rispetto a ciò che era sotto il papa, è diventato una faccenda seria e apportatrice di salvezza. Perciò, esso reca ora molta fatica e lavoro, pericolo e tentazione, nonché una scarsa mercede e poca gratitudine da parte del mondo; tuttavia, Cristo stesso vuole essere la nostra mercede, nella misura in cui lavoriamo con fedeltà. In ciò ci aiuti il Padre d'ogni grazia, a cui sia lode e ringraziamento in eterno, mediante Cristo, nostro Signore. Amen.

da Calvino, in J. Bonnet, Lettres françaises de Calvin, I, p. 272
La chiesa non si conserverà mai senza catechismo, poich'esso è come la semenza per far sì che il buon grano non perisca, ma si moltiplichi d'età in età. E perciò se desiderate costruire un edificio di lunga durata e che non rovini in breve tempo, fate sì che i fanciulli siano istruiti con un buon catechismo
, che mostri brevemente ed in modo loro comprensibile ov'è il vero cristianesimo.

da Introduzione di V. Vinay a G. Calvino, Il Catechismo di Ginevra del 1537, Claudiana, Torino, 1983, p. 6
Si poté così compiere quel che esigevano gli «articoli» della chiesa di Ginevra, «che i fanciulli sin dalla loro tenera età vengano in tal modo istruiti, che possano rendere ragione della fede, onde non si lasci decadere la dottrina evangelica, ma essa venga diligentemente ritenuta e trasmessa dall'uno all'altro, di padre in figlio» (Calvini Opera selecta, Monaco, 1926, I, 369)[...] affinché [...] possa giovare per conservare pura la dottrina nella chiesa e «servire da freno a certa gente che non vuole che strane dottrine» (J. Bonnet, Lettres françaises de Calvin, II, p. 230).

da Ratzinger Joseph, La trasmissione della fede e le fonti della fede, Conferenza tenuta dall’allora cardinal Joseph Ratzinger il 15 gennaio 1983 nella basilica di Notre-Dame di Fourvière a Lione ed il 16 gennaio 1983 nella cattedrale di Notre-Dame a Parigi (il testo integrale è disponibile on-line su www.gliscritti.it nella sezione Catechesi e pastorale)
Un primo grave errore fu quello di sopprimere il catechismo e di dichiarare "sorpassato" il genere stesso del catechismo. Certo, il catechismo come libro è divenuto comune soltanto al tempo della Riforma; ma la trasmissione della fede, come struttura fondamentale nata dalla logica della fede, è vecchia quanto il catecumenato, cioè quanto la Chiesa stessa. Essa scaturisce dalla natura stessa della sua missione e, dunque, non si può rinunciarvi. La rottura con una trasmissione della fede attinta nella sua strutturazione fondamentale alle fonti di una tradizione presa nella sua globalità, ha avuto come conseguenza la frammentazione della proclamazione della fede. Essa fu non solo arbitrariamente accolta nella sua esposizione, ma anche messa in discussione in alcune sue parti, che appartengono a un tutto e che, staccate da esso, appaiono sconnesse.
Cosa vi era dietro questa decisione errata, affrettata e universale? Le ragioni sono molteplici e fino a ora poco esaminate. Sicuramente questa decisione è da mettere in rapporto con la evoluzione generale dell'insegnamento e della pedagogia, caratterizzata da una ipertrofia del metodo rispetto al contenuto delle diverse discipline. I metodi diventano i criteri del contenuto e non più i veicoli di esso. L'offerta si regola sulla domanda: è così che sono state tracciate le vie della nuova catechesi nella disputa sul catechismo olandese.
Ne conseguì che ci si limitò alle questioni per principianti, invece di cercare le vie che avrebbero permesso di superarle e di arrivare a ciò che inizialmente non si comprendeva, unico metodo che modifica positivamente l'uomo e il mondo. Così, il potenziale di cambiamento proprio della fede fu paralizzato. Infatti la teologia pratica non era più intesa come uno sviluppo concreto della teologia dogmatica o sistematica, ma come un valore in sé. Ciò corrispondeva, di nuovo, alla tendenza attuale a subordinare la verità alla prassi, che, nel contesto delle filosofie neo-marxistiche e positivistiche, ha fatto breccia anche in teologia.
Tutti questi fatti contribuirono a impoverire considerevolmente l’antropologia: precedenza del metodo sul contenuto significa predominanza dell'antropologia sulla teologia, di modo che questa dovette trovarsi un posto nel contesto di un antropocentrismo radicale. Il declino dell'antropologia fece apparire, a sua volta, nuovi centri di gravità: supremazia della sociologia, o, ancora, primato della esperienza, come nuovi criteri di comprensione della fede tradizionale.
Dietro a queste cause e ad altre ancora, che si possono trovare nel rifiuto del catechismo e nel crollo della catechesi classica, vi è tuttavia un processo più profondo. Il fatto di non avere più il coraggio di presentare la fede come un tutto organico in se stesso, ma solamente come una serie di riflessi scelti di esperienze antropologiche parziali, si fondava, in ultima analisi, su di una certa diffidenza nei riguardi della totalità.
Esso si spiega con una crisi della fede, meglio: della fede comune alla Chiesa di tutti tempi. Ne risultava che la catechesi ometteva generalmente il dogma e tentava di ricostruire la fede direttamente a partire dalla Bibbia. Ora, il dogma non è niente altro, per definizione, che interpretazione della Scrittura, ma questa interpretazione, nata dalla fede dei secoli, non sembrava più potersi accordare con la comprensione dei testi, a cui il metodo storico aveva nel frattempo condotto. In questo modo, coesistevano due forme di interpretazione apparentemente irriducibili: la interpretazione storica e quella dogmatica.
Ma quest'ultima, secondo le concezioni contemporanee, poteva essere considerata solo come una tappa pre-scientifica della nuova interpretazione
.

5/ Le quattro parti del Catechismo

da Lutero, Il Piccolo Catechismo. Il grande Catechismo (1529), Claudiana, Torino, 1998, pp.. 117-121
[Prefazione al Grande catechismo o Catechismo tedesco]

Scopi del Catechismo
Questa predicazione è creata e destinata a servire all'istruzione dei fanciulli e delle persone semplici; perciò, sin dall'antichità, si chiama, in greco, «catechismo»; cioè insegnamento per i fanciulli. Qualunque cristiano deve assolutamente conoscerla; chi non la conoscesse, non potrebbe essere contato tra i cristiani, né ammesso ad alcun sacramento, esattamente come un artigiano che non conosce l'impiego e l'utilizzo del suo attrezzo viene escluso [dalla corporazione] e ritenuto incapace. Perciò, si devono far imparare ai giovani le parti del Catechismo (o predicazione ai fanciulli) bene e a fondo, facendo in modo che vi si esercitino diligentemente e le pratichino. A tal fine, inoltre, ogni padre di famiglia è tenuto, almeno una volta alla settimana, a interrogare ed ascoltare i figli e la servitù, in successione, su quanto ne sanno o stanno appena imparando, e a richiamarli con severità, qualora non lo conoscano. Infatti mi ricordo ancora bene l'epoca (anzi, succede tuttora ogni giorno) in cui si trovavano persone ignoranti, anziane, attempate, che di tutto ciò non sapevano nulla, o che tuttora non ne sanno nulla, e che tuttavia si accostano ugualmente al battesimo e al sacramento [della Cena] e usufruiscono di tutto quanto è dato ai cristiani. Eppure, quanti si accostano al sacramento dovrebbero ovviamente avere una conoscenza e una comprensione di tutta la dottrina cristiana migliore di quella dei fanciulli e degli scolari di prima elementare

Contenuti essenziali
In ogni caso, per quanto riguarda le persone comuni, ci accontentiamo delle tre parti che, sin dall'antichità, sono state mantenute nella cristianità, ma insegnate e praticate in modo poco corretto; vi insisteremo finché ognuno, giovane o vecchio, che voglia chiamarsi ed essere cristiano, non le impari a fondo, in modo che gli diventino familiari. Queste tre parti sono:

Prima parte
I Dieci comandamenti di Dio.

Primo: Non avere altri dèi accanto a me.
Secondo: Non nominare il nome di Dio invano.
Terzo: Santifica il giorno di festa.
Quarto: Onora il padre e la madre.
Quinto: Non uccidere.
Sesto: Non commettere adulterio.
Settimo: Non rubare.
Ottavo: Non testimoniare il falso contro il tuo prossimo.
Nono: Non desiderare la casa del tuo prossimo.
Decimo: Non desiderare sua moglie, né il suo servo, né la sua serva, né il suo bue, né alcun’altra cosa sua.

Seconda parte
Gli articoli principali della nostra fede. Credo in Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra. E in Gesù Cristo, suo Figlio unigenito, nostro Signore, concepito dallo Spirito santo, nato dalla vergine Maria, che patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto, discese agl'inferi; il terzo giorno risuscitò dai morti, salì al cielo, sedendo alla destra di Dio Padre onnipotente, e di là verrà a giudicare i vivi e i morti. Credo nello Spirito santo, una santa chiesa cristiana, la comunità dei santi, il perdono dei peccati, la risurrezione della carne e una vita eterna. Amen.

Terza parte
La preghiera (o Padre nostro) che Cristo ha insegnato. Padre nostro, che sei in cielo, sia santificato il tuo nome; venga il tuo Regno; la tua volontà si compia, come in cielo, così anche in terra; dacci oggi il nostro pane quotidiano, e rimettici i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori; e non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male. Amen.

Queste sono le parti essenziali che, prima di tutto, occorre imparare a recitare parola per parola; e si devono abituare i bambini a ripeterle quotidianamente, quando si alzano al mattino, quando vanno a tavola e quando, a sera, vanno a dormire; non si deve dar loro da mangiare e da bere, finché non le abbiano recitate. Ogni padre di famiglia è altresì tenuto a comportarsi allo stesso modo con la servitù, domestici e cameriere: egli non deve tenerli presso di sé, se non le sanno o non vogliono impararle. Non può essere infatti tollerato in alcun modo che una persona sia così ignorante e rozza da non imparare queste cose, poiché in queste tre parti è riassunto, in modo breve, comprensibile e assolutamente semplice, tutto ciò che abbiamo nella Scrittura. Infatti i cari padri o apostoli (chiunque sia stato) hanno ricapitolato in un compendio ciò che costituisce la dottrina, la vita, la sapienza e l'erudizione dei cristiani, ciò di cui essi parlano, che praticano e con cui hanno a che fare.

I sacramenti
Quando queste tre parti sono state comprese, è altresì necessario che si sappia dire qualcosa dei nostri sacramenti (che Cristo stesso ha istituito): del battesimo e del santo corpo e sangue di Cristo. [per quanto riguarda il battesimo], si tratta del testo che Matteo e Marco riportano alla fine dei loro Vangeli [Mt 28,19; Mc 16,16], narrando come Cristo si congedò dai suoi discepoli e li inviò [in missione]:

Il battesimo
Andate in tutto il mondo, istruite i pagani e battezzateli in nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo. Chi crede ed è battezzato, sarà salvato, ma chi non crede, verrà dannato.
Circa il battesimo, è sufficiente che una persona semplice sappia questo, in base alla Scrittura. Analogamente per quanto riguarda l'altro sacramento, [è sufficiente conoscerlo] mediante le brevi e semplici parole del testo di S. Paolo [I Cor 11,23-26].

Il sacramento
Il nostro SIGNORE Gesù Cristo, nella notte in cui fu tradito, prese il pane, rese grazie, lo spezzò, lo diede ai suoi discepoli e disse: «Prendete e mangiate; questo è il mio corpo, che è dato per voi; fate questo in memoria di me». Allo stesso modo prese anche il calice, dopo la cena, rese grazie, lo diede loro e disse: «Prendete e bevetene tutti. Questo calice è il nuovo testamento nel mio sangue, che è versato per voi per il perdono dei peccati. Fate questo, ogni volta che ne bevete, in mia memoria».
Si avrebbero quindi in tutto cinque parti per l'intera dottrina cristiana. Si deve costantemente inculcarle, ed esigere che vengano imparate a memoria; non contare sul fatto che i giovani le imparino e le ricordino solo mediante la predicazione. Quando queste parti sono ben conosciute, vi si possono aggiungere anche alcuni Salmi o inni, che sono stati composti su questi temi, come supplemento e conferma. Così si può introdurre la gioventù alla Scrittura e, quotidianamente, farla progredire.
Tuttavia, non può essere sufficiente che si capiscano e si sappiano recitare a memoria le parole [del Catechismo]; al contrario, si insista perché i giovani si rechino alla predicazione, specialmente nel periodo in cui essa è consacrata alla spiegazione del Catechismo, in modo che essi odano spiegare e imparino a capire ciò che ogni parte [del Catechismo] contiene
; essi devono sapere ripetere ciò che hanno udito, e rispondere correttamente quando li si interroga, affinché non si predichi inutilmente e senza profitto. Se mettiamo tanta cura nel predicare sovente sul Catechismo, non in modo complicato e dotto ma brevemente e con estrema semplicità, è per inculcarlo nei giovani, in modo che penetri bene [nell'animo] e rimanga nella memoria. Per questo, vogliamo ora esaminare una dopo l'altra le parti indicate e dirne, nel modo più chiaro, quanto necessario.

da J. Ratzinger, Il Catechismo della Chiesa cattolica e l’ottimismo dei redenti, in J. Ratzinger - Ch. Schönborn, Breve introduzione al Catechismo della Chiesa Cattolica, Città Nuova, Roma, 1994, pp. 26- 27
Alcuni erano dell’opinione che il Catechismo dovesse svilupparsi in una concezione cristocentrica, altri ritenevano che il cristocentrismo dovesse essere superato dal teocentrismo. Finalmente si offrì alla nostra riflessione il concetto del Regno di Dio come principio unificatore. Dopo una discussione serrata, arrivammo alla convinzione che il Catechismo non doveva rappresentare la fede come un sistema o come un qualcosa da derivare da un unico concetto centrale [...] Dovevamo fare qualcosa di più semplice: predisporre gli elementi essenziali che possono essere considerati come le condizioni per l’ammissione al battesimo, alla vita comunionale dei cristiani. [...] Che cosa fa di un uomo un cristiano? Il catecumenato della Chiesa primitiva ha raccolto gli elementi fondamentali a partire dalla Scrittura: sono la fede, i sacramenti, i comandamenti, il Padre Nostro. In modo corrispondente esisteva la redditio symboli – la consegna della professione di fede e la sua “redditio”, la memorizzazione da parte del battezzando-; l’apprendimento del Padre Nostro, l’insegnamento morale e la catechesi mistagogica, vale a dire l’introduzione alla vita sacramentale. Tutto ciò appare forse un po’ superficiale, ma invece conduce alla profondità dell’essenziale: per essere cristiani, si deve credere; si deve apprendere il modo di vivere cristiano, per così dire lo stile di vita cristiano; si deve essere in grado di pregare da cristiani e si deve infine accedere ai misteri e alla liturgia della Chiesa. Tutti e quattro questi elementi appartengono intimamente l’uno all’altro: l’introduzione alla fede non è la trasmissione di una teoria, quasi che la fede fosse una specie di filosofia, “un platonismo per il popolo”, come è stato affermato in modo sprezzante: la professione di fede è nient’altro che il dispiegarsi della formula battesimale. L’introduzione alla fede é essa mistagogia: introduzione al battesimo, al processo di conversione, in cui non agiamo solo da noi stessi, ma lasciamo che Dio agisca in noi.

da Ch. Schönborn, Il Catechismo della Chiesa cattolica. Concetti dominanti e temi principali, in J. Ratzinger - Ch. Schönborn, Breve introduzione al Catechismo della Chiesa Cattolica, Città Nuova, Roma, 1994, pp.47-48
Il cardinal Ratzinger ha formulato chiaramente questa opzione nelle conferenze tenute a Parigi e a Lione nel 1983: la struttura della catechesi «è prodotta degli atti vitali fondamentali della Chiesa, che corrispondono alle dimensioni essenziali dell’esistenza cristiana. Così è sorta nei tempi remoti una struttura catechetica che nella sostanza risale al sorgere della Chiesa, che è, cioè, altrettanto e persino più antica del Canone degli scritti biblici. Lutero ha adoperato questa struttura per i suoi catechismi altrettanto naturalmente quanto l’autore del Catechismus Romanus. Questo è stato possibile perché non si tratta di una sistematica artificiosa, ma semplicemente del compendio del materiale di cui la fede necessariamente fa memoria, e che riflette, insieme, gli elementi vitali della Chiesa: la professione di fede apostolica, i sacramenti, il Decalogo e la Preghiera del Signore».

6/ Una storia antica: l’esperienza della catechesi (a partire dal catecumenato)

da Benedetto XVI, catechesi nell’udienza generale del 23 giugno 2010, su San Tommaso d’Aquino
Nel 1273, un anno prima della sua morte, durante l’intera Quaresima, [Tommaso d’Aquino] tenne delle prediche
nella chiesa di San Domenico Maggiore a Napoli. Il contenuto di quei sermoni è stato raccolto e conservato: sono gli Opuscoli in cui egli spiega il Simbolo degli Apostoli, interpreta la preghiera del Padre Nostro, illustra il Decalogo e commenta l’Ave Maria. Il contenuto della predicazione del Doctor Angelicus corrisponde quasi del tutto alla struttura del Catechismo della Chiesa Cattolica. Infatti, nella catechesi e nella predicazione, in un tempo come il nostro di rinnovato impegno per l’evangelizzazione, non dovrebbero mai mancare questi argomenti fondamentali: ciò che noi crediamo, ed ecco il Simbolo della fede; ciò che noi preghiamo, ed ecco il Padre Nostro e l’Ave Maria; e ciò che noi viviamo come ci insegna la Rivelazione biblica, ed ecco la legge dell’amore di Dio e del prossimo e i Dieci Comandamenti, come esplicazione di questo mandato dell'amore.

da J. Ratzinger, Il Catechismo della Chiesa cattolica e l’ottimismo dei redenti, in J. Ratzinger - Ch. Schönborn, Breve introduzione al Catechismo della Chiesa Cattolica, Città Nuova, Roma, 1994, p. 20
Infine, ci siamo però trovati d’accordo sul fatto che le analisi del presente contengono sempre qualcosa di arbitrario e dipendono troppo dal punto di vista prescelto; non esiste d’altra parte una situazione mondiale uniforme. Il contesto di un uomo che vive in Mozambico o nel Bangladesh (tanto per prendere due esempi a caso) è completamente diverso da quello di una persona che vive in Svizzera o negli Stati Uniti. Abbiamo inoltre visto quanto cambino in fretta le circostanze e le coscienze sociali. È necessario intrattenere un dialogo con le varie mentalità, ma questo rientra nei compiti delle Chiese locali, che devono rispondere alla sfida delle diverse situazioni del nostro mondo.
Il Catechismo non procede comunque in maniera semplicemente deduttiva, perché la storia della fede è una realtà di questo mondo e ha creato la propria esperienza. Il Catechismo parte da essa e quindi ascolta il Signore e la sua Chiesa, trasmettendo la parola così udita nella sua logica intrinseca e nella sua forza interna
. Ciò nonostante, esso non è semplicemente “sovratemporale” e non vuole esserlo. Il Catechismo evita soltanto di legarsi troppo alle circostanze del momento, poiché desidera offrire il servizio dell’unità non solo in modo sincronico, per questa nostra epoca, ma anche in modo diacronico, per le generazioni che verranno, come hanno fatto i grandi Catechismi, soprattutto quelli del XVI secolo.

7/ L’ordine delle diverse parti

- nei catechismi protestanti prima i comandamenti e solo dopo il Credo

8/ Il rapporto fra verità e amore (fides qua e fides quae): sintesi del messaggio biblico

da Lutero, Il Piccolo Catechismo. Il grande Catechismo (1529), Claudiana, Torino, 1998, p. 71 [Il Piccolo catechismo] N.B. Il testo presentato in questa antologia è preso invece da Internet
Il Credo

Il PRIMO ARTICOLO
Credo in Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra.
Cosa vuol dire?

Risposta: Significa che Dio mi ha creato assieme a tutte le creature, mi ha dato ed ancora conserva corpo ed anima, occhi, orecchie e tutte le membra, l'intelletto e tutti i sensi, inoltre mi ha dato vestiti e scarpe, mangiare e bere, moglie e figlio, campo, bestiame e tutti i beni; che mi provvede abbondantemente e quotidianamente tutto il necessario e il nutrimento di questo corpo e di questa vita, che mi difende da ogni calamità, mi protegge e mi guarda da ogni male e tutto questo per pura, paterna, divina bontà e misericordia, senza merito né dignità alcuna da parte mia. Per tutto questo io devo ringraziarLo e lodarLo, servirGli e obbedirGli. Questa è la verità.

da Lutero, Il Piccolo Catechismo. Il grande Catechismo (1529), Claudiana, Torino, 1998, pp.. 232-234
[Prefazione al Grande catechismo o Catechismo tedesco]

Secondo articolo
E in Gesù Cristo, suo Figlio unigenito, nostro Signore, concepito dallo Spirito santo, nato dalla vergine Maria, che patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto, discese agl'inferi; il terzo giorno risuscitò dai morti, salì al cielo, sedendo alla destra di Dio Padre onnipotente, e di là donde verrà a giudicare i vivi e i morti.
Qui conosciamo la seconda persona della divinità, e vediamo che cosa abbiamo da Dio, oltre ai beni temporali fin qui ricordati: cioè che egli si è completamente dato e non ha trattenuto nulla senza darcelo
. Questo articolo è dunque molto ricco e rilevante: tuttavia, per trattarlo in modo brevissimo e degno di un fanciullo, vogliamo prendere per noi una parola e in essa riassumere il suo intero contenuto. Si deve cioè (come ho detto) imparare da esso come siamo stati salvati, attenendoci a questa parola: «in Gesù Cristo, nostro SIGNORE».

Come Cristo è diventato nostro Signore
Se si chiede: «Che cosa credi, nel secondo articolo, a proposito di Gesù Cristo?», rispondi nel modo più breve: «Credo che Gesù Cristo, vero Figlio di Dio, è diventato mio Signore». Che cosa significa dunque: «diventare Signore?». Significa che egli mi ha redento dal peccato, dal diavolo, dalla morte e da ogni sventura. Infatti, prima non avevo alcun Signore e Re, ero prigioniero del potere del diavolo, condannato a morte, irretito nel peccato e nella cecità.
Infatti, dopo che siamo stati creati e abbiamo ricevuto beni di ogni sorta da Dio Padre, venne il diavolo e ci condusse nella disobbedienza, nel peccato, nella morte e in ogni sventura, così che ci troviamo sotto l'ira e la disgrazia di Dio, condannati all'eterna dannazione, come abbiamo ottenuto e meritato. Non v'era qui alcun consiglio, né aiuto né consolazione, finché questo unigenito ed eterno Figlio di Dio non ebbe misericordia della nostra disgrazia e della nostra miseria, in forza di una bontà immotivata, e venne dal cielo ad aiutarci. Così ora quei titani e carcerieri sono stati cacciati tutti quanti, e Gesù Cristo è subentrato a loro come un Signore di vita, di giustizia, di ogni bene e di ogni beatitudine. Ha strappato, acquistato, liberato noi, poveri esseri umani perduti, dalla vendetta dell'inferno, conducendoci di nuovo nel favore e nella grazia del Padre, e prendendoci sotto la sua difesa e protezione, come sua proprietà, per governarci mediante la sua giustizia, saggezza, potere, vita e beatitudine.
Questo è dunque il riassunto di quest'articolo, che la parolina «SIGNORE» significa, del tutto semplicemente, «un redentore», cioè uno che ci ha condotti dal diavolo a Dio
, dalla morte alla vita, dal peccato alla giustizia e lì ci ha mantenuti. Dunque le parti che si susseguono in quest'articolo non fanno altro che spiegare ed esplicitare questa redenzione: come e mediante che cosa sia avvenuta, cioè che cos'è costata, quanto egli ha impegnato e osato in essa, per conquistarci e condurci sotto la sua signoria; egli, cioè, è diventato uomo, concepito e nato dallo Spirito santo e dalla Vergine e senza alcun peccato, per essere Signore del peccato; ha inoltre sofferto, è morto ed è stato sepolto, per compensare e pagare ciò di cui ero debitore, non con argento od oro, ma col proprio sangue prezioso; e tutto questo perché divenisse mio Signore; egli non ha infatti compiuto nulla di tutto ciò per se stesso, e non ne aveva bisogno. Inseguito è risuscitato, ha inghiottito e distrutto la morte, e infine è asceso al cielo e ha assunto la signoria alla destra del Padre; cosi il diavolo e ogni potenza devono essergli sottomessi e giacere ai suoi piedi, finché egli, nell'ultimo giorno, non ci separerà e dividerà definitivamente dal mondo malvagio, dal diavolo, dalla morte, dal peccato ecc.

Centralità del secondo articolo
Trattare una per una queste singole parti non è compito di una breve predicazione per i fanciulli, bensì delle grandi pre­dicazioni nel corso dell'intero anno, soprattutto nei tempi che sono stabiliti per trattate con ampiezza ogni articolo: nascita, sofferenza, risurrezione, ascensione di Cristo ecc. Inoltre, l'intero evangelo che predichiamo si basa su questo, che conosciamo bene questo articolo, come ciò da cui dipende la nostra salvezza e beatitudine, e che è cosi ricco ed ampio, che possiamo sempre di nuovo apprenderne a sufficienza.

da Lutero, Il Piccolo Catechismo. Il grande Catechismo (1529), Claudiana, Torino, 1998, pp.. 246-247
[Prefazione al Grande catechismo o Catechismo tedesco]

Conclusione sul Credo
Ecco, qui hai l’intera essenza, la volontà e l'opera di Dio, presentata nel modo migliore con parole brevi, ma ricche di significato. In ciò consiste l'intera nostra saggezza, che supera e travalica ogni saggezza, comprensione e ragione umana. Infatti, benché il mondo intero abbia cercato di capire che cosa sia Dio, che cosa voglia e che cosa faccia, non ha mai potuto ottenere niente di tutto ciò. Ma qui lo hai nella misura più abbondante. Infatti qui, in tutti e tre gli articoli, egli stesso ha rivelato e dischiuso il più profondo abisso del suo cuore paterno e del suo inesprimibile amore. Egli, in effetti, ci ha creati appunto per redimerci e santificarci; e, dopo averci dato e do­nato tutto quanto v'è in cielo e sulla terra, egli ci ha dato anche il suo Figlio e il suo santo Spirito, onde condurci a sé per mezzo loro: poiché; come abbiamo già spiegato, non potremmo mai giungere a riconoscere la clemenza e la grazia del Padre, se non mediante il Signore Cristo. Egli è lo specchio del cuore paterno, senza di lui non vedremmo altro che un giudice irato e terribile; d'altra parte, non potremmo sapere nulla di Cristo se non ci fosse rivelato mediante lo Spirito santo.
Perciò questi articoli di fede distinguono e separano noi cristiani da tutta l'altra gente sulla terra. Infatti, gli altri esseri umani, al di fuori della cristianità, siano essi pagani, turchi, ebrei o falsi cristiani e ipocriti, vorrebbero bensì credere in un unico vero Dio e adorarlo; essi tuttavia non sanno come egli sia disposto nei loro confronti
. Essi, inoltre, non possono attendersi da lui amore, né qualcosa di buono; per questo rimangono nell'ira e nella dannazione eterne. Infatti, non hanno il Signore Cristo, e non sono illuminati né graziati con alcun dono dallo Spirito santo.
Da ciò puoi constatare come il Credo sia una parte della dottrina molto diversa dai Dieci comandamenti. Infatti, quelli insegnano che cosa noi dobbiamo fare, mentre questo dice quel che Dio fa e dà. I Dieci comandamenti, inoltre, sono scritti nel cuore di tutti; nessuna intelligenza umana, per contro, può afferrare la confessione di fede: questa deve essere insegnata soltanto dallo Spirito santo
. Quella [prima] parte della dottrina non rende alcuno cristiano; anzi, l'ira e lo sfavore di Dio rimangono ancora sempre su di noi, poiché non sappiamo compiere quel che Dio esige da noi. Questa parte della dottrina, al contrario, reca pura grazia, ci rende retti e graditi a Dio. Infatti, mediante la conoscenza che qui ci viene data, riceviamo desiderio e amore nei confronti di tutti i comandamenti di Dio, poiché qui vediamo come Dio, con tutto ciò che ha e può, si dia completamente in nostro aiuto e in nostro sostegno, in modo che possiamo osservare i Dieci comandamenti: il Padre elargisce tutte le creature, il Figlio tutte le sue opere, lo Spirito santo tutti i suoi doni. Questo basti per ora sulla confessione di fede, onde offrire una base ai semplici, senza sovraccaricarli, affinché, dopo averne compreso l'essenziale, essi stessi proseguano nello studio, collegando a ciò quanto imparano nella Scrittura, e così crescano e maturino in una più ricca comprensione. Ogni giorno, finché viviamo quaggiù, dobbiamo predicare su questo punto e da esso imparare.

9/ Il ruolo della sintesi e dell’immagine nell’enucleazione del centro

da J. Ratzinger, Dogma e predicazione, Queriniana, Brescia, 1974, p. 26
I Simboli [della fede], intesi come la forma tipica ed il saldo punto di cristallizzazione di ciò che si chiamerà più tardi dogma, non sono un’aggiunta alla Scrittura, ma il filo conduttore attraverso di essa; sono il canone nel canone, appositamente elaborato; sono per così dire il filo di Arianna, che permette di percorrere il Labirinto e ne fa conoscere la pianta.
Conseguentemente, non sono neppure la spiegazione che viene dall’esterno ed è riferita ai punti oscuri. Loro compito è, invece, rimandare alla figura che brilla di luce propria, dar risalto a quella figura
, in modo da far risplendere la chiarezza intrinseca della Scrittura.
[Contro questa visione del dogma] una tendenza molto più forte considera la fede della comunità in maniera completamente diversa: poiché, si dice, ciò che è comune ed oggettivo non può più essere fondato e colto, la fede allora è, di volta in volta, ciò che la comunità presente pensa e, nello scambio delle idee («dialogo»), raggiunge come convinzione comune. La «comunità» prende il posto della chiesa, la sua esperienza religiosa quello della tradizione ecclesiastica. Con una siffatta concezione si è abbandonato non solo la fede, nel senso vero e proprio del termine, ma si è rinunciato logicamente anche ad una reale predicazione ed alla chiesa stessa; il «dialogo», di cui ora si parla, non è una predicazione, ma un dialogo con se stessi, seguendo l’eco di antiche tradizioni.

Wittenberg, Pala d’altare, Cranach

10/ Il Catechismo del Concilio di Trento o Catechismo Romano

N.B. de Gli scritti
La tradizione rabbinica designa con il termine 'am ha-aretz (“popolo della terra”) colui che non studia la Torah e, quindi, pecca necessariamente perché non sa nemmeno quale sia la volontà di Dio perché non è in grado di conoscerla. In senso letterale è l’analfabeta che lavora la terra e non impara l’ebraico, ma, nel senso più profondo, è l’ignorante dei comandamenti di Dio.

bPes 49b
I nostri rabbini insegnavano: Un uomo deve sempre vendere tutto e sposare la figlia di uno studioso. Se non riesce a trovare la figlia di uno studioso, sposerà la figlia di uno dei grandi uomini della generazione (dei capi civili della comunità). Se non riesce a trovare la figlia di uno dei grandi uomini della generazione, sposerà la figlia del capo delle sinagoghe. Se non riesce a trovare la figlia del capo delle sinagoghe, sposerà la figlia di un amministratore delle elemosine. Se non riesce a trovare la figlia di un amministratore delle elemosine, sposerà la figlia di un insegnante di scuola elementare, ma non deve sposare la figlia di un 'am ha-aretz, perché loro sono detestabili e le loro mogli una ripugnanza e delle loro figlie è detto: "Maledetto chi si unisce con qualsiasi bestia…" (Dt 27,21).
R.Eleazar disse: "Un 'am ha-aretz si può pugnalare (anche) nel Giorno della Espiazione che cade di Sabato". Gli dissero i suoi discepoli: "Maestro, dici di macellarlo (ritualmente)!''. Rispose: "Ciò (la macellazione rituale) esige una benedizione, questo invece non esige alcuna benedizione".
R.Eleazar disse: "Viaggiando non ci si faccia compagnia con un 'am ha-aretz, perché è detto: 'Essa (la Torà) è la tua vita e la lunghezza dei tuoi giorni' (Dt 30,20). Vedendo che non gli importa la propria vita, tanto meno la vita del suo vicino!".
R.Samuel b.Nahmani disse nel nome di R.Johanan: "Uno può squarciare un 'am ha-aretz come un pesce! Disse R.Samuel b. Isaac: “(Ciò vuol dire) lungo le sue spalle".
Fu insegnato che R.Akiba disse: "Quando io ero un 'am ha-aretz dissi: vorrei avere uno studioso davanti a me, lo morderei come un asino".
Gli dissero i discepoli: "Maestro, dici: come un cane!". Rispose: "Il primo morde rompendo le ossa, mentre l'altro morde non rompendo le ossa".
Fu insegnato che R.Meir soleva dire: "Chiunque da in sposa la propria figlia ad un 'am ha-aretz è come se la legasse e la deponesse davanti a un leone. Come un leone calpesta e consuma e non ha vergogna, così un 'am ha-aretz la colpisce e coabita senza avere vergogna".
Fu insegnato che R.Elieser disse: "Se non fossimo utili a loro per affari, ci ucciderebbero". R.Hiyya insegnava: "Chiunque studia la Toràdi fronte ad un 'am ha-aretz è come se coabitasse con la sua sposa dì fronte a lui, perché è detto: 'Mosè ci ordinò la Torà, un’eredità (morashah) per la congregazione di Giacobbe" (Dt 33,4). Non leggere morashah ma me'orasah (sposa). L'odio con cui gli 'amme ha-aretz odiano gli studiosi è più grande dell’odio con il quale i pagani odiano Israele. E le loro mogli odiano molto di più.
Fu insegnato: colui che ha studiato e poi abbandonato (la Torà) odia gli studiosi più di tutti.
I nostri rabbini insegnavano: sei cose furono dette degli 'amme ha-aretz: "Non affidiamo loro la testimonianza, non accettiamo da loro la testimonianza. Non riveliamo a loro un segreto, non nominiamoli tutori degli orfani. Non eleggiamoli amministratori delle elemosine. Viaggiando non facciamoci con loro compagnia”. Alcuni dicono: “Non avvisiamoli se perdono qualcosa”.

Catechismo Tridentino, PREFAZIONE
1. L'uomo lasciato alle sole sue forze non è in grado di acquistare la vera sapienza e di trovare i mezzi sicuri per conseguire la beatitudine
La capacità dell'anima e della intelligenza umana è tale, che pur avendo questa potuto da se stessa investigare e conoscere, con molta fatica e diligenza, non poche cose riguardanti le verità divine, tuttavia col solo lume naturale non è mai arrivata a conoscere e ad apprendere la maggior parte dei mezzi con cui si acquista la salvezza eterna, scopo principale per cui l'uomo è stato creato e formato a immagine e somiglianza di Dio. "Poiché", come insegna l'Apostolo, "dalla creazione del mondo in poi, le perfezioni invisibili di Dio possono essere contemplate con l'intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità" (Rm 1,20). Invece "il mistero tenuto nascosto fin dai secoli remoti, e per tante generazioni", ossia il mistero di Cristo, supera talmente l'intelligenza umana, che se non fosse stato rivelato ai santi, cui Dio volle mostrare le ricchezze del la sua gloria in mezzo alle genti, nessuno avrebbe potuto aspirare a tale sapienza con qualsiasi sforzo umano.

2. L'origine dell'eccelso dono della fede
Poiché la fede nasce dall'ascoltare, è evidente la perenne necessità dell'opera e del ministero di maestri autorizzati, per conseguire la salvezza eterna. Ecco perché fu detto: "Come ascolteranno, se non c'è chi predica? E come possono predicare, se non ne hanno la missione?" (Rm 10,14-15). Perciò, fin dall'origine del mondo, Dio, che è pieno di clemenza e di benignità, non ha mai mancato di provvedere ai suoi eletti; ma "più volte e in molte maniere per mezzo dei profeti parlo agli antichi padri" (He 1,2), mostrando a loro secondo l'opportunità dei tempi, la via sicura e retta per la beatitudine celeste.

L'intervento di Cristo, degli Apostoli e dei loro successori
Dio però, avendo promesso "un maestro di giustizia per illuminare le genti" (
Gioele,2,23), che avrebbe portato la sua salvezza" fino agli estremi confini della terra " (Is 49,6), "negli ultimi tempi ha parlato a noi nella persona del Figlio" (He 1,2), e "ha comandato con una voce venuta dal cielo nella gloriosa trasfigurazione", (2P 7,17) che tutti obbediscano ai suoi comandi. A sua volta il Figlio "destinò alcuni ad essere apostoli, altri costituì pastori e dottori" (Ep 4,14), perché annunciassero la parola di vita, per evitare che noi "fossimo sballottati da ogni vento di dottrina": ben fermi invece sul fondamento della fede, "fossimo compaginati nell'edificio di Dio per opera dello Spirito Santo" (Ep 2,22).

Accoglienza per la parola dei pastori della Chiesa
Per evitare poi che qualcuno ricevesse la parola di Dio dai ministri della Chiesa come parola umana, bensì l'accogliesse qual'é realmente, come parola di Cristo, il nostro Salvatore medesimo stabili di conferire al loro magistero tanta autorità, da affermare: "Chi ascolta voi ascolta me; e chi disprezza voi disprezza me" (Lc 10,16). E questo non intese riferirlo solo ai presenti cui si rivolgeva, ma a tutti quelli che per legittima successione avrebbero ricevuto l'ufficio d'insegnare, perché promise di assisterli sino alla fine del mondo (Cfr. Mt 28,20).

3.  Necessità della loro predicazione ai nostri giorni
Questa predicazione della parola di Dio, pur non dovendosi mai interrompere nella Chiesa, certamente deve essere promossa con più impegno e pietà ai nostri giorni; affinché i fedeli vengano nutriti e confortati dal pascolo vitale di un insegnamento sano e incorrotto. Infatti oggi sono sorti nel mondo dei falsi profeti, di cui il Signore aveva detto: "Non li mandavo come profeti ed essi correvano; non parlavo loro, ed essi profetavano" (Jr 23,21), per pervertire gli animi dei cristiani " con dottrine varie e peregrine " (He 13,9). E la loro empietà, addestrata a tutte le arti di Satana, sembra che non trovi più limiti. E se non ci potessimo appoggiare alla stupenda promessa del Salvatore, il quale affermo di aver dato alla sua Chiesa un fondamento cosi solido che le porte dell'inferno non avrebbero mai potuto prevalere contro di essa (Mt 16,18), ci sarebbe da temere che ai nostri giorni la Chiesa, assediata da ogni parte, assalita e combattuta da tante macchinazioni, fosse sul punto di crollare.
Per tacere di intere nobilissime provincie che un tempo erano attaccate con pietà e santità alla vera e cattolica religione, ricevuta dai loro maggiori, mentre adesso abbandonata la retta via, affermano di praticare in modo eccellente la pietà allontanandosi totalmente dalla dottrina dei loro padri, non esiste una regione cosi remota, né un luogo cosi ben custodito, né un angolo del mondo cristiano, dove tale peste non abbia tentato d'infiltrarsi.

I catechismi degli eretici
Coloro poi che si sono proposti di pervertire le menti dei fedeli, avendo capito che in nessun modo era possibile raggiungere tutti con la parola viva, per infondere nelle orecchie i loro discorsi avvelenati, tentarono di riuscire a spargere gli errori dell'empietà con un altro mezzo. Infatti, oltre ai grossi volumi con i quali hanno tentato di scalzare la fede cattolica (e da cui forse non è difficile guardarsi, perché contengono apertamente l'eresia), hanno anche scritto un numero quasi infinito di libretti, i quali con un'apparenza di pietà, sono in grado di ingannare in modo incredibilmente facile gli animi incauti dei semplici.
 
4.  Il proposito catechistico del Concilio Tridentino
Mossi da tale stato di cose i Padri del Concilio Ecumenico Tridentino, col vivo desiderio di adottare qualche rimedio salutare per un male cosi grave e pernicioso, non si limitarono a chiarire con le loro definizioni i punti principali della dottrina cattolica contro tutte le eresie dei nostri tempi, ma decretarono anche di proporre una certa formula e un determinato metodo per istruire il popolo cristiano nei rudimenti della fede, da adottare in tutte le Chiese da parte di coloro cui spetta l'ufficio di legittimi pastori e insegnant


Il catechismo voluto dal Concilio e quelli già esistenti

E' vero che non pochi si sono già distinti per pietà e dottrina, in questo genere di componimenti, tuttavia i Padri Conciliari ritennero che sarebbe stato di massima importanza la pubblicazione di un libro, munito dell'autorità del Concilio, dal quale i parroci e tutti gli altri cui spetta il compito di insegnare, potessero attingere e divulgare norme sicure, per l'edificazione dei fedeli. Cosicché, come "uno è il Signore e unica la fede) (Ep 4,5), cosi fosse unica la regola comune nel trasmettere la fede, e nell'insegnare al popolo cristiano i doveri della pietà.


Limiti del nostro Catechismo

Essendo però assai numerose le cose riguardanti la professione della religione cristiana, nessuno pensi che il Concilio si sia proposto di comprendere e di spiegare appieno, in un solo libro, tutti i dogmi della fede cristiana: cosa che sono soliti fare coloro i quali insegnano l'origine e la dottrina di tutta la religione. Questa infatti sarebbe stata un'impresa lunghissima, e poco adatta allo scopo suddetto. Ma volendo istruire parroci e sacerdoti in cura d'anime, si è pensato di limitare l'esposizione alla conoscenza di quelle cose che sono maggiormente richieste al compito pastorale, e più proporzionate alla comprensione dei fedeli. Perciò vengono proposti qui soltanto quei punti di dottrina che possono aiutare lo zelo e la pietà dei pastori non troppo versati nelle dispute teologiche.
 

5.  Principi orientativi fondamentali dell'azione pastorale
Stando cosi le cose, prima di esporre i singoli trattati che ricapitolano questa dottrina, lo scopo fissato esige l'illustrazione di quei pochi fondamentali principi, che i pastori d'anime devono sempre considerare e tenere principalmente presenti.
Affinché, dunque, i pastori d'anime indirizzino tutte le loro deliberazioni, fatiche e industrie al debito fine, e possano facilmente conseguirlo, la prima cosa da ricordare sempre è la seguente: che tutta la scienza del cristiano si ricapitola in quel programma, stabilito dalle parole del Salvatore: "Questa è la vita eterna, che conoscono te, unico vero Dio, e colui che tu hai mandato, Gesù Cristo" (Jn 17,3). Perciò l'impegno principale di quanti insegnano nella Chiesa sarà quello di suscitare nei fedeli il desiderio di conoscere "Gesù Cristo, e questo crocifisso" (1Co 2,3); e si persuadano bene e credano con intima pietà e devozione, che "non è stato dato agli uomini altro nome sotto il cielo, nel quale sia possibile salvarsi" (Atti 4,12), essendo egli la vittima di propiziazione per i nostri peccati (Cfr. 1Jn 2,2).
Siccome però "noi possiamo sapere di conoscere Lui, dal fatto che ne osserviamo i comandamenti" (1Jn 2,3), è strettamente legato al principio suddetto, che s'insegni ai fedeli a trascorrere la propria vita non già nell'ozio e nell'ignavia; che anzi "noi dobbiamo camminare come lui ha camminato" (1Jn 2,6), ed esercitarci con impegno nella giustizia, nella pietà, nella fede, nella carità e nella mansuetudine. Infatti "egli offri se stesso per noi, per redimerci da ogni iniquità, e per rendere il suo popolo mondo e applicato alle opere buone" (Tt 2,14), opere che l'Apostolo comanda ai pastori di illustrare e di raccomandare.
D'altra parte, avendo il Signore e Salvatore nostro affermato e dimostrato col suo stesso esempio che tutta la Legge e i Profeti si riducano alla carità (Cfr. Mt 22,40), e avendo poi l'Apostolo confermato che la carità è il fine dei precetti e la pienezza della legge (Rm 13,8), nessuno può dubitare che l'intento principale da perseguire con ogni diligenza sia quello di sollecitare il popolo dei credenti ad amare l'immensa bontà di Cristo verso di noi; cosicché, infervorato da un ardore divino, venga rapito da quel bene perfettissimo, aderendo al quale potrà godere la vera felicità colui che sarà in grado di ripetere col Profeta: "Che cosa vi è in cielo per me? e all'infuori di te, che cosa io bramo sulla terra?" (Ps 72,25). E in realtà è questa la via più sublime che l'Apostolo additava, quando indirizzava tutta la somma della sua dottrina e del suo insegnamento alla carità, la quale non verrà mai meno (1Co 13,8). In tal modo, qualunque cosa venga proposta, da credere, da sperare, o da compiere, in essa deve sempre essere raccomandata la carità del Signore nostro, cosicché ognuno capisca che tutte le opere della perfetta virtù cristiana non hanno altra origine e non hanno altro scopo all'infuori di questo amore soprannaturale.
 

6.  L'obbligo di adattarsi alla capacità di ciascuno
Se poi è vero che nell'impartire qualsiasi insegnamento ha grande importanza la maniera d'insegnare, questa è da ritenere addirittura grandissima nell'istruire il popolo cristiano. Va infatti tenuto conto dell'età, dell'intelligenza, delle abitudini e della condizione degli ascoltatori, in modo che l'insegnante si faccia tutto a tutti, per guadagnare tutti a Cristo (Cfr. 1Co 9,19-22) e, rendendosi ministro e dispensatore fedele (Cfr. 1Co 4,1,2), sia degno, quale "servo buono e fedele", di ricevere dal Signore autorità su molto (Cfr. Mt 25,23). Egli deve persuadersi che a lui sono affidati non soltanto uomini di una data categoria, da istruire su particolari norme e con una determinata formula, ma deve formare alla pietà tutti i fedeli. E siccome alcuni di essi sono "come bambini appena nati" (1P 2,2), altri cominciano a crescere in Cristo, mentre ce ne sono di quelli che hanno raggiunto l'età matura, è necessario considerare con diligenza chi ha bisogno del latte e chi del cibo solido, per offrire a ciascuno quell'alimento di dottrina che ne assicuri la crescita spirituale, "fino a che arriviamo tutti all'unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo" (Ep 4,13).
L'Apostolo indico tale dovere a tutti coloro che sono chiamati a questo ministero, dichiarando se stesso "debitore dei greci e dei barbari, dei sapienti e degli ignoranti" (Rm 1,14), per far comprendere che nell'esporre i misteri della fede e i precetti della vita bisogna adattare l'insegnamento alla comprensione e all'intelligenza degli ascoltatori; affinché nel fornire di cibo spirituale quelli che sono più preparati, non si lascino morir di fame i più piccoli che inutilmente chiedono il pane perché non c'è chi possa loro spezzarlo (Tren. 4,4).
Nessuno poi deve trascurare l'insegnamento per il fatto che talora bisogna istruire gli ascoltatori su dei precetti che sembrano meno importanti, e che per lo più vengono trattati non senza molestia da coloro che si occupano e si deliziano di argomenti più sublimi. Se infatti l'eterna sapienza del Padre discese sulla terra, per trasmetterci i precetti dell'eterna vita nell'umiltà della nostra carne, chi sarà colui che non si sentirà costretto dalla carità di Cristo a diventare bambino in mezzo ai suoi fratelli, e, simile a una nutrice che allatta i suoi figliuoli, non bramerà la salvezza del prossimo con tale ardore da dare per essi, come scriveva di se stesso l'Apostolo (1Th 2,7), non solo il Vangelo di Dio, ma anche la propria vita?
 
7.  La dottrina della fede è racchiusa nella Scrittura e nella Tradizione, nonché nel Credo, nei Sacramenti, e nel Decalogo e nell'Orazione domenicale
Ogni sorta di dottrina che deve essere insegnata ai fedeli è contenuta nella parola di Dio, distribuita nella S. Scrittura e nella Tradizione. Perciò i pastori d'anime si esercitino giorno e notte nella meditazione di queste due cose, ricordando l'ammonimento di S. Paolo a Timoteo: "Dedicati alla lettura, all'esortazione e all'insegnamento" (1Th 4,13). "Tutta la Scrittura, infatti, ispirata da Dio, è utile per insegnare, convincere, correggere e formare alla giustizia, perché l'uomo di Dio sia completo e preparato per ogni opera buona" (2Th 3,7).
  
8. Molteplicità e varietà delle verità cosi trasmesse
Data però la molteplicità e varietà delle verità cosi trasmesse, al punto che risulta difficile comprenderle e, una volta comprese, non è facile ricordarle in modo da averle pronte quando capita l'occasione d'insegnarle, con grande saggezza i nostri maggiori ricapitolarono tutto il succo di questa dottrina salutare in quattro formule distinte, che sono: il Simbolo apostolico, i Sette Sacramenti, il Decalogo e l'Orazione Domenicale, o Padre Nostro. Infatti tutto quello che a norma della fede cristiana si deve ritenere e conoscere su Dio, sulla creazione e il governo del mondo, sulla redenzione del genere umano, sulla ricompensa dei buoni e sulla punizione dei malvagi, è contenuto nell'insegnamento del Simbolo. Quelli che formano i segni e come gli strumenti per procurarci la divina grazia sono racchiusi nell'insegnamento relativo ai Sette Sacramenti. Quanto poi si riferisce alle leggi, il cui fine è la carità, si trova descritto nel Decalogo. Finalmente tutto quello che gli uomini possono salutarmente desiderare, sperare e chiedere, è racchiuso nella Preghiera del Signore. Ecco perché spiegando queste quattro formule, che costituiscono come i punti comuni di riferimento della S. Scrittura, non rimane quasi più niente da insegnare circa le cose che il cristiano è tenuto a imparare e a desiderare.

Suggerimenti ai Parroci per unire alla spiegazione del Vangelo quella del Catechismo
Riteniamo quindi opportuno avvertire i Parroci che ogni qualvolta essi sono chiamati a spiegare un passo del Vangelo o qualsiasi brano della S. Scrittura, la materia di quel testo, qualunque esso sia, ricade sotto una delle quattro formule riassuntive suddette; e a quella essi dovranno ricorrere per trovarvi la fonte della spiegazione richiesta. Nel caso, p. es., che si debba spiegare il Vangelo della prima domenica d'Avvento: "Ci saranno segni nel sole, nella luna, ecc. " (Lc 21,25), quanto si riferisce a tale argomento si troverà in quell'articolo del Simbolo: "Verrà a giudicare i vivi e i morti". E cosi valendosi della spiegazione di quell'articolo, il pastore d'anime insegnerà insieme e il Credo e il Vangelo.
Perciò in ogni suo impegno d'insegnamento e d'interpretazione prenderà l'abitudine di riferire ogni cosa a quei quattro generi di argomenti, ai quali fanno capo, come abbiamo detto, tutti gli sforzi e gli insegnamenti della sacra Scrittura.
Nell'insegnare poi ognuno terrà quell'ordine che sembrerà più adatto alle condizioni di persona e di tempo. Noi però, seguendo l'autorità dei santi Padri, i quali nella iniziazione cristiana dei neofiti cominciavano dalla dottrina della fede, abbiamo giudicato opportuno mettere al primo posto quanto si riferisce alla fede

da Paolo Asolan, Per una più consapevole e vigorosa adesione al vangelo, Lateran University Press, in corso di pubblicazione
Il 15 gennaio 1969 Hubert Jedin – celebre storico del concilio tridentino[1] ed egli stesso coinvolto nello studio del congegno procedurale del Vaticano II e nella riforma degli studi teologici – pubblicò un articolo su L'Osservatore Romano, dal titolo Storia della Chiesa e crisi della Chiesa[2].
Tale crisi veniva da lui classificata come una crisi liturgica, dell'autorità e di fede: quest'ultima – la più grave – identificabile con il venir meno del «privilegio della Chiesa cattolica di dire chiaro e univocamente ai suoi fedeli ciò che devono credere»[3].
Lo storico paragonò i mutamenti ai quali la fede era sottoposta nell'immediato dopo Concilio a quelli avvenuti in due diversi passaggi cruciali della storia della Chiesa, e cioè il tramonto della cultura ellenistico-romana e la Riforma luterana
. In entrambi i casi, la vita e la missione della Chiesa poterono continuare sia per un rafforzamento dell'autorità istituzionale dei suoi pastori (debitamente ri-formata e ri-converita al suo statuto evangelico), sia per il ristabilimento della sicurezza della fede, dando così anche alla teologia un fondamento certo sopra il quale esercitarsi.
La Chiesa ha potuto resistere e sopravvivere a entrambe le crisi che noi abbiamo tirato in campo come oggetti di confronto, perché ha messo al primo posto la preservazione del patrimonio rivelato affidatole, mediante il magistero. La teologia dopo la caduta del mondo antico non ha potuto mantenersi all'altezza che aveva raggiunto all'epoca dei grandi Padri della Chiesa, con un Origene e un Agostino. Il magistero ecclesiatico ha ripiegato su formule come il Simbolo di fede niceno-costantinopolitano, il cosiddetto Credo di Atanasio ed altri Simboli, nella istruzione del popolo e nell'evangelizzazione segnatamente si è accontentata dei più semplici strumenti dottrinari, il Credo apostolico, il Pater noster e il decalogo»[4].
La tesi – del tutto condivisibile – dello storico è questa: anche in questa sorta di “automutilazione” (e, forse, proprio in virtù di essa) il magistero ha saputo/potuto conservare la continuità della fede, organicamente espressa nei Simboli della fede.
Da qui discende un corollario pastoralmente interessante e bisognoso di esprimersi praticamente in forme assai migliori di quanto non sia finora avvenuto: il magistero della Chiesa, non la teologia, è e rimane anche oggi la norma vincolante della nostra fede.
La teologia deve cercare (con la fede!) di impadronirsi del contenuto della fede, può renderne meglio intelligibili e comprensibili i misteri
, mostrando le relazioni che essi mutuamente intrattengono tra loro. Può/deve fare questo lavorando con il proprio metodo scientifico, svolgendo così un compito importante per il magistero stesso, ma non si identifica con esso.
Portatori del magistero sono e rimangono i successori degli apostoli.
Emerge sotto questo profilo, il compito fondamentale del vescovo e una nota saliente della sua figura la quale, nella percezione diffusa, «appare come
la più sbiadita delle figure ecclesiali: riferita, perlopiù, al conferimento della cresima, o al ruolo di direzione della Chiesa (dei preti) su un determinato territorio, per mandato e in rappresentanza del Papa»[5].
In realtà, nella sua Chiesa egli è anzitutto testimone della fede in Cristo Risorto.
Nella prospettiva neo-testamentaria, infatti, il munus profetico non fa appello, nel suo riferimento genetico e nel suo nucleo sostanziale, a un dono di ispirazione individuale (“carismatico”, com'è invalso sempre più dire, non del tutto propriamente), ma allo spessore storico-biografico della fede testimoniale[6]. Il vescovo, cioè, non è garante dell'ortodossia della fede in forza di un carisma soggettivo, e neppure della sua (peraltro auspicabile) competenza teologica, ma in forza della ininterrotta e incorrotta successione apostolica.
Rimanda egli stesso, cioè, a un evento e a una Persona storici, e li annuncia non come un fatto del passato, ma come un evento efficace, dinamico e prolettico.
La crisi della fede che stiamo attraversando, perciò, pone con sempre maggior rilievo, tra le esigenze strutturali della conversione pastorale, la
forte connotazione del vescovo come pastore reale del popolo a lui affidato e primo testimone/confessore della fede apostolica. Non sarà un caso che il n. 8 del Motu proprio costituisca un invito che il Papa rivolge ai “Confratelli Vescovi di tutto l'orbe”.

[1] H. Strack – P. Billerbeck, Das Evangelium nach Matthäus, erläutert aus Talmud und Midrasch, München 1922, 357.

[2] Cfr. P. Sequeri, L’oro e la paglia, Milano, 1989.

[3] L. Bolzoni, Dante o della memoria appassionata, disponibile on-line sul sito www.gliscritti.it.

[4] Educare alla vita buona del Vangelo, 13.

[5] C.M. Martini, Educare nella postmodernità, Brescia, 2010, pp. 153-154. È evidente che la sintesi cristiana è diversa da quella proposta da un sistema come quello hegeliano: il Credo, ad esempio, è piuttosto simile all’armonia sintetica di un corpo, nel quale tutto è connesso ed articolato.