Faremo la fine di Bisanzio, caduta perché «la fede non era più il principio motore della vita»? I bizantini «non vollero capire che la superiorità del regno cristiano esiste solo nella misura in cui si amministra secondo lo spirito di Cristo». La fine di Costantinopoli secondo Vladimir Solov’ev

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 18 /08 /2013 - 14:02 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo dal sito della rivista Tempi un testo di Vladimir Solov'ev pubblicato il 18/7/2013, con l’introduzione che lo accompagnava. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.

Il Centro culturale Gli scritti (18/8/2013)

Proponiamo uno stralcio di un articolo di Vladimir Solov’ev pubblicato dall’Osservatore Romano. Il testo, scritto dal filosofo russo nel 1896 per la rivista Vestnik Evropy, è contenuto nella versione integrale nell’ultimo numero della rivista La Nuova Europa (3, 2013).

La Roma pagana cadde perché la sua idea di Stato assoluto divinizzato era inconciliabile con la verità rivelatasi nel cristianesimo, secondo la quale il potere supremo dello Stato è solamente una delega del potere autenticamente assoluto, divino-umano, di Cristo.

La seconda Roma, Bisanzio, cadde perché, pur avendo accolto in teoria l’idea del regno cristiano, di fatto lo rifiutò, si fossilizzò nella costante e sistematica contraddizione tra le sue leggi, la sua amministrazione e le esigenze di un principio morale superiore. L’antica Roma divinizzò se stessa e cadde. Bisanzio, pur essendosi sottomessa nelle idee al principio superiore, si ritenne salvata per il fatto di aver rivestito la propria vita pagana con un manto esteriore di dogmi e ritualità cristiane, e cadde anch’essa.

Questa caduta diede un forte impulso alla coscienza storica di un popolo che, assieme al battesimo, aveva ricevuto dai greci anche il concetto di regno cristiano. Nella coscienza nazionale russa, così come si è espressa nel pensiero e negli scritti dei nostri uomini di cultura, dopo la caduta di Costantinopoli sorse la ferma convinzione che il ruolo del regno cristiano fosse passato ormai alla Russia, che essa fosse la terza e ultima Roma.

Ai nostri avi era lecito fermarsi a questa idea nella sua forma iniziale di sentimento o presentimento inconscio. A noi, tuttavia, si richiede di verificarla attraverso il pensiero logico e l’esperienza, e conseguentemente di innalzarla sul piano della coscienza razionale oppure di rifiutarla come un sogno infantile e una pretesa infondata

Se il tratto comune della vecchia e della nuova Roma consiste nel fatto che entrambe caddero, è di estrema importanza per noi sapere perché caddero e, quindi, cosa l’ultima Roma deve evitare per non subire la stessa sorte.

Se si trattasse solo della prima Roma, indagare i motivi della sua caduta non sarebbe così difficile. Roma cadde perché il suo principio fondante era falso e non poté reggere all’impatto con la verità suprema.

Ma che dire della Bisanzio ortodossa? Il suo principio fondante era vero e il suo scontro con i turchi musulmani non fu lo scontro con la verità suprema. O forse Bisanzio crollò soltanto a causa della forza materiale? Ma un’ipotesi del genere, a parte che è inammissibile dal punto di vista cristiano, è altresì contraria alla ragione e all’esperienza storica, che abbondano di prove evidenti secondo cui la forza materiale da sola è impotente.

Non fu per la superiore forza materiale che gli antenati classici dei greci bizantini distrussero i regni d’Oriente, e non fu per la superiorità quantitativa che le armate d’Aragona e Castiglia respinsero definitivamente la presenza musulmana in Occidente, proprio nel momento in cui questa poneva fine all’Impero d’Oriente.

Ci fu una causa interiore, spirituale nella caduta di Bisanzio, e dato che non consisteva in un falso oggetto di fede, giacché ciò in cui credevano i bizantini era vero, significa che la causa della loro rovina va individuata nel carattere falso della loro fede in quanto tale, ossia nel loro falso atteggiamento verso il cristianesimo: essi interpretavano e applicavano un’idea vera in modo sbagliato.

La fede per loro era solo un oggetto di riconoscimento intellettuale e di venerazione ritualistica, ma non era il principio motore della vita. Orgogliosi della loro retta fede e della loro pietà, non vollero capire la semplice ed evidente verità che la retta fede e la pietà autentiche esigono che noi conformiamo in qualche modo la nostra vita a ciò in cui crediamo e che veneriamo; non vollero capire che l’autentica superiorità del regno cristiano rispetto agli altri esiste solo nella misura in cui questo regno si edifica e si amministra secondo lo spirito di Cristo.

È chiaro che riconoscere in modo sincero e onesto che confessare la verità suprema esige determinati cambiamenti nella vita, ancora non vuol dire aver realizzato tali cambiamenti; ma in ogni caso, questo riconoscimento in sé spinge a fare degli sforzi nella giusta direzione, induce a fare qualcosa per avvicinarsi allo scopo supremo e, pur senza produrre immediatamente la perfezione, costituisce una molla interiore verso il perfezionamento. A Bisanzio, invece, si negavano appunto le pretese stesse del cristianesimo sulla vita, non si poneva alcun compito superiore alla società e all’attività di governo.

L’imperfezione è la nostra sorte comune, tuttavia Bisanzio non cadde certo perché era imperfetta ma perché non voleva tendere alla perfezione. Questa gente, talvolta, si pentiva dei propri peccati personali, ma si dimenticò totalmente del proprio peccato “sociale”, e attribuì la caduta del regno solo alle colpe di alcune persone. (…) I regni, in quanto entità collettive, cadono solo a causa di peccati collettivi (del popolo, dello Stato) e si salvano solo correggendo l’ordinamento sociale, o almeno cercando di avvicinarlo all’ordine morale.

Se tutto il problema consistesse nella rettitudine personale a prescindere dalla correzione sociale, sicuramente, nel regno bizantino di uomini santi non ce n’erano meno che altrove, e allora perché questo regno sarebbe caduto? Secondo la mentalità bizantina, se un qualche signore non angariava i suoi servi e li nutriva bene, non gli si poteva chiedere nulla di più nei confronti della schiavitù; e né a lui né al suo padre spirituale, né allo stesso autocrate dei «romei» sarebbe passato per la testa anche il più elementare pensiero che le condizioni decenti dei servi di un padrone buono non rendono migliori le condizioni dei servi di un padrone cattivo, mentre abolire la schiavitù a livello legislativo avrebbe immediatamente alleviato le condizioni di tutti, e al tempo stesso avrebbe avvicinato il regno terreno al regno di Dio, dove non ci sono servi né padroni.

I singoli fenomeni di crudeltà e di depravazione, per quanto fossero numerosi e comuni, ancora non costituivano in sé un motivo sufficiente per la caduta definitiva di Bisanzio. Ma noi comprenderemo appieno questa caduta se considereremo il fatto che nel corso di tutta la storia propriamente bizantina (cioè dal momento in cui si verificò il netto allontanamento del cristianesimo orientale da quello occidentale, che lo si faccia risalire all’XI o al IX secolo), non si può indicare una sola azione pubblica, una sola misura generale del governo che avesse qualche interesse a migliorare i rapporti sociali in senso morale, a elevare un po’ la situazione giuridica in conformità alle esigenze della giustizia assoluta, o a riformare la vita collettiva del regno al suo interno o nei rapporti esterni; in una parola: non troveremo niente che possa mostrare almeno una labile traccia dello spirito supremo che muove la storia universale.

Magari i misfatti e la dissolutezza di alcuni venivano compensati dalle opere buone di altri e dalle preghiere dei santi monaci, ma niente poteva compensare o espiare la totale e generale indifferenza per “l’opera storica del bene”, per l’adempimento della volontà di Dio nella vita collettiva degli uomini.

Gli eredi diretti dei cesari romani dimenticarono di essere al tempo stesso anche delegati del potere supremo di Cristo. Invece di innalzare lo Stato pagano che avevano ereditato alle altezze del regno cristiano, essi al contrario abbassarono il regno cristiano al livello di un ordinamento statale pagano bastante a se stesso. Essi preferirono all’autocrazia di una coscienza conformata alla volontà divina, l’autocrazia del proprio arbitrio umano, che costituiva la somma di tutti gli arbitri individuali concentrati in un’unica persona.

Essi chiamavano se stessi autocrati ma in realtà erano come gli imperatori pagani, ossia i mandatari a vita, o magari a tempo determinato, delle masse popolari e dell’esercito. Essendo irrimediabilmente incapace di assolvere la sua alta missione di regno cristiano, Bisanzio perdette la ragione interiore del proprio esistere. Infatti, le mansioni correnti e abituali della gestione pubblica potevano essere svolte anche meglio dall’amministrazione del sultano turco, il quale, libero da contraddizioni interiori, era più onesto e più forte, e per giunta non si immischiava nella sfera religiosa del cristianesimo, non creava dogmi ambigui e perniciose eresie, e neppure difendeva l’ortodossia massacrando in massa gli eretici e bruciando solennemente sul rogo gli eresiarchi.

Dopo molte dilazioni e una lunga lotta contro la dissoluzione materiale, l’Impero d’Oriente, che era già spiritualmente morto da tempo, venne infine cancellato dall’orizzonte storico, proprio mentre stava iniziando il rinascimento dell’Occidente.