La Dei Verbum: la novità di un approccio personalistico alla rivelazione. I cinque punti nodali di un magnifico documento, di Andrea Lonardo

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 04 /08 /2013 - 14:10 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo sul nostro sito un breve studio di Andrea Lonardo. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.

Il Centro culturale Gli scritti (4/8/2013)

È possibile sintetizzare il messaggio della Dei Verbum in cinque punti.

1/ Innanzitutto i padri del Concilio scelsero di presentare la Parola di Dio in chiave personalistica: «Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelare se stesso»[1]. Dio non ha rivelato agli uomini innanzitutto delle verità di fede e nemmeno degli eventi storici particolarmente rilevanti. Infatti, al cuore della rivelazione non ci sono primariamente dei dogmi e nemmeno il dispiegarsi della storia biblica, bensì molto più profondamente il Dio che si rivela perché per amore vuole essere conosciuto.

Il desiderio di tutti i secoli e di tutte le culture, il desiderio di ogni uomo di vedere Dio, ha finalmente trovato soddisfazione. Come dice l’evangelista Giovanni: «Dio nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito che è Dio è lui che lo ha rivelato»[2].

Proprio nella discussione che avrebbe portato alla Dei Verbum il Concilio conobbe la svolta che gli permise poi di portare frutto. Il documento preparatorio portava il titolo Delle due fonti della rivelazione e si occupava solo della Scrittura e della Tradizione, avendo come scopo quello di chiarire la relazione tra di esse. Esso venne ritenuto giustamente troppo angusto e la sua prospettiva limitata: un terzo dei votanti lo rifiutò. Fu papa Giovanni XXIII ad avere il coraggio di appoggiarsi a costoro per chiedere ad una commissione apposita di elaborarne una stesura totalmente nuova.

Il nuovo testo si indirizzò nella giusta direzione, inserendo in apertura un capitolo sulla rivelazione stessa, sul Dio che parla prima che sulla Parola di Dio.

Ecco allora la prima grande novità della Dei Verbum: ciò che conta innanzitutto è la bellezza di Dio che vuole rivelarsi, di Dio che per amore mostra finalmente il suo volto. In una storia d’amore umana si introduce l’amato a conoscere la propria intimità: così è piaciuto fare a Dio con gli uomini.

2/ La secondo novità della Dei Verbum consiste nella chiarezza con cui Gesù Cristo viene riconosciuto come il cuore stesso della rivelazione: «Cristo è insieme il mediatore e la pienezza di tutta intera la rivelazione»[3].

In questa maniera appare subito evidente che il cristianesimo non è una “religione del libro”, ma è la fede nel Dio fattosi carne. La Parola di Dio, conseguentemente, non è primariamente la Scrittura, bensì il Verbum Dei è Gesù Cristo.

I due termini che specificano nella Dei Verbum il significato di Cristo sono “mediatore” e “pienezza” della rivelazione. Solo da un punto di vista superficiale può apparire che un rapporto immediato con Dio sia più vero di quello mediato da Cristo. Nello stupore che si prova dinanzi a Cristo, l’uomo si accorge che solo attraverso la mediazione della carne di Gesù può abbandonare tutte le false immagini della divinità che si è creato nei secoli. Come insegnava Teresa d’Avila l’unica via certa per giungere a Dio è la carne di Gesù.

Ma Cristo non è solo il mediatore necessario per giungere a Dio, dato che l’uomo è incapace di “bucare le nubi” per giungere a vedere il volto di Dio. Gesù è anche la pienezza della rivelazione. In Lui Dio si è mostrato totalmente al punto che, contemplando la sua vita, noi arriviamo a dire: «Dio è amore» (1Gv 4,8). Perché Dio è totalmente presente in Lui. Come dice San Paolo: «È in Cristo che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità» (Col 2,9).

Al di fuori della fede cristiana, il massimo che possa accadere è che un uomo venga mandato da Dio per recapitarci un libro a nome dell’Altissimo. Nel cristianesimo i libri biblici sono scritti perché si giunga alla Parola di Dio piena che è Gesù Cristo.

Cristo così eccede la Scrittura, perché solo in Lui Dio parla in maniera piena e definitiva[4].

3/ La Dei Verbum, dopo aver chiarito che cosa è la rivelazione e che essa si compie in Gesù Cristo, può allora passare ad affrontare il rapporto fra Bibbia e Tradizione. Esse non sono più viste dal Concilio come due fonti, perché l’unica fonte è la rivelazione stessa di Dio. Scrittura e Tradizione sono piuttosto i due modi con cui la rivelazione, compiutasi una volta per sempre, si perpetua nel tempo.

Per un certo aspetto la Tradizione ha un valore infinitamente più alto della Scrittura. Infatti, nella celebrazione liturgica la Parola di Dio è talmente viva che quando il sacerdote pronuncia le parole «Questo è il mio corpo», Cristo si dona totalmente a chi riceve quel pane. In quelle parole è talmente presente la Parola stessa di Dio che realmente chi mangia dell’Eucarestia riceve Cristo stesso. Una lettura ripetuta ed approfondita della Scrittura non sarebbe mai in grado di offrire alla Chiesa la presenza eucaristica.

Per un altro aspetto, la Scrittura ha una qualità infinitamente grande che la Tradizione non ha: avendo Dio ispirato ogni minuzia di quel testo, ecco che esso è la «regola suprema della fede»[5]. La Tradizione, senza un continuo rapporto con le Scrittura, si inaridirebbe e perderebbe il contatto con il vero Gesù trasmesso dalla tradizione apostolica.

La Tradizione e la Scrittura non possono così stare l’una senza l’altra, anzi «poiché ambedue scaturiscono dalla stessa divina sorgente, formano in certo qual modo un tutto e tendono allo stesso fine […], ne risulta così che la Chiesa attinge la certezza su tutte le cose rivelate non dalla sola Scrittura e che di conseguenza l'una e l'altra devono essere accettate e venerate con pari sentimento di pietà e riverenza»[6].

4/ La Dei Verbum passa poi ad illuminare quale debba essere il giusto modo di accostarsi al testo sacro. I padri del Concilio accolsero con riconoscenza i nuovi studi biblici che, attraverso la ricerca storica, permettevano di comprendere sempre meglio il senso originario delle parole bibliche[7]. Al contempo il documento ricorda che l’esegesi deve essere guidata dallo stesso Spirito che ha ispirato le Scritture e, per questo, sottolinea alcuni importantissimi criteri spirituali quali l’unità della Scrittura - si veda la tipologia che caratterizza la liturgia -, la viva tradizione della Chiesa (cui è da aggiungere, come fanno i documenti successivi, il concorso dell’esegesi ebraica) e l'analogia della fede[8].

L’allora cardinale Ratzinger ricordò in un suo intervento[9] che a modello di questa compresenza del metodo storico e del metodo spirituale nell’interpretazione biblica potevano essere prese le meditazioni del cardinale Carlo Maria Martini, che era capace di radicare la sua riflessione nel dato filologico del testo, ma insieme ne sapeva manifestare il significato attingendo sia al continuo rimando dei brani dall’Antico al Nuovo Testamento, sia allo splendore dell’interpretazione che i rabbini ed i padri della Chiesa ne avevano fornito.

In particolare la Dei Verbum seppe confermare la Chiesa, grazie all’intervento di papa Paolo VI che richiese l’inserimento di tale espressione nel testo, che «i quattro Vangeli, di cui afferma senza esitazione la storicità, trasmettono fedelmente quanto Gesù Figlio di Dio, durante la sua vita tra gli uomini, effettivamente operò e insegnò per la loro eterna salvezza»[10]. I padri conciliari sottolinearono che, qualunque sia stata la storia redazionale degli scritti neotestamentari, essi «sono di origine apostolica»[11], rispecchiano cioè effettivamente quanto Gesù manifestò ai Dodici.

5/ Infine la Dei Verbum desidera ardentemente che i fedeli si nutrano dei tesori della Parola di Dio, affermando: «Il santo Concilio esorta con ardore e insistenza tutti i fedeli, soprattutto i religiosi, ad apprendere “la sublime scienza di Gesù Cristo” (Fil 3,8) con la frequente lettura delle divine Scritture. “L’ignoranza delle Scritture, infatti, è ignoranza di Cristo” (San Girolamo, Commento ad Isaia, Prologo). Si accostino essi volentieri al sacro testo, sia per mezzo della sacra liturgia, che è impregnata di parole divine, sia mediante la pia lettura, sia per mezzo delle iniziative adatte a tale scopo e di altri sussidi […]. Si ricordino però che la lettura della sacra Scrittura dev'essere accompagnata dalla preghiera, affinché si stabilisca il dialogo tra Dio e l'uomo; poiché “quando preghiamo, parliamo con lui; lui ascoltiamo, quando leggiamo gli oracoli divini”»[12].

In questo paragrafo finale meritatamente famoso tutto quanto la Dei Verbum ha già espresso viene riletto dal punto di vista del dialogo personale di ogni credente con il Signore. Dio che si è rivelato in persona vuole entrare in comunione con ogni uomo e vuole parlargli ancora oggi, tramite la Sacra Scrittura e la viva Tradizione della Chiesa espressa particolarmente, ma non solo, dalla liturgia. È un dono d’amore, una proposta da non rifiutare.

Note al testo

[1] DV 2.

[2] Gv 1,18.

[3] DV 2.

[4] «La Parola di Dio precede ed eccede la Bibbia. È per questo che la nostra fede non ha al centro soltanto un libro, ma una storia di salvezza e soprattutto una Persona, Gesù Cristo, Parola di Dio fatta carne» (dal discorso tenuto da papa Francesco nell’udienza ai membri della Pontificia Commissione Biblica il 12/4/2013).

[5] DV 21.

[6] DV 9.

[7] DV 12 e, per il Nuovo Testamento, DV 19.

[8] DV 12.

[9] J. Ratzinger, Un instancabile maestro della “lectio divina”, in Carlo Maria Martini da 15 anni sulla cattedra di Ambrogio, San Paolo, Cinisello Balsamo, 1996, pp. 101-103.

[10] DV 19.

[11] DV 18.

[12] DV 25.